Terzo anniversario: tre anni di pedanteria e percosse

E’ il terzo anniversario del blog. Come vola il tempo quando si recrimina!

Una rappresentazione grafica del mondo di Tenger

E’ stata un’annata faticosa. Mi ero ripromessa di scrivere più spesso, ma il mondo ha deciso di esplodere.
Gli Americani hanno deciso di scatenare la fine del mondo, per esempio. Noi di Fortezza Nascosta abbiamo passato la notte fatidica fuori a bere e abbuffarci di porcherie perché, sticazzi, se abbiamo imparato qualcosa in anni di studi classici è che le persone di classe celebrano il suicidio come Tito Petronio Nigro! Peccato non avere schiavi da frustare, ma bon, non si può avere tutto nella vita.

E senza perdere un colpo, siccome viviamo invero nel crepuscolo della nostra civiltà, ora Nicolai Lilin ha un programma tutto suo dove parla di Geopolitica. I casi sono due: o scrivere fantasy mediocre è un nuovo requirement per parlare di geopolitica, o migliaia di italiani credono davvero alla balla del cecchino discendente da criminali onesti. La cosa bella è che, sul piano puramente teorico, questa gente non è diversa da quei glebani ‘mmmerigani che pesano che The Exorcist sia un documentario.

A tema fantasy, la scrittrice De Mari ci ha deliziati con le sue illuminanti opinioni sul sesso anale e il satanismo. Da buona integralista religiosa, la dottoressa dimostra una fissazione preoccupante sulle feci, ossessione che di solito si supera in culla.

E a coronare la sfilata di tragedie e degrado di questo scorso 2016, i Sabaton ci hanno sparato nei denti una delle peggiori cacate musicali del decennio.

Volevo dimenticare tutto ciò sprofondandomi in studi inutili e articoli inediti, ma la mia direttrice di Dottorato ha iniziato a spedirmi teste di cavallo mozzate, e ho dovuto modificare la mia agenda. Per la gioia dei lettori, sto lavorando sulla storia del cavallo da guerra in Giappone, quindi allegri! Tra un annetto potrei lanciarmi in interessantissimi articoli su staffe, zoccoli o modi di disposizione del letame.

Insomma gente, se aveste ancora dei dubbi: la vita è una valle di lacrime. Citiamo a questo proposito Love and Death:

And so I walk through the valley of the shadow of death. Actually, make that “I run through the valley of the shadow of death”

Ma l’anno non è stato del tutto improduttivo: siamo riusciti scrivere articoli su argomenti poco conosciuti, come la rivolta di Masakado, o su film che dovrebbero avere molto più seguito, come The Frisco kid o The look of silence. Possiamo dirci soddisfatti, tutto sommato.

Ma bando alle ciance, che ne è dei numeri?

Senza starvi ad elencare chiavi di ricerca, diverse persone sono capitate da queste parti cercando una spiegazione al finale di Dracula Untold. Ciò mi spezza il cuore e mi provoca riso isterico al tempo istesso. Dracula Untold non ha senso, volete farvene una ragione?
Per contro la stalker di Luke Evans ha desistito. O è stata arrestata, una delle due.

Ma torniamo alle migliori ricerche dell’anno.

esercizi contro pressappochismo

Comincia col non leggere Cinzia Leone.

anatolij fomenko storia: finzione o scienza?

Patologia.

link donne con la gobba bellissime.fb

Eh?

giochi satanici

Se fai il Gioco dell’Oca al contrario evochi Altieri.

giochi di gruppo satanici

Secondo questo illuminante articolo, i giochi di ruolo tipo D&D.

la donna senza uomo e una regina l’uomo senza una donna e un cretino

Non approvo questa palese discriminazione sessuale. L’unione tra uomo e donna è un abominio a prescindere, dacché lo scopo dell’umano è adottare e riverire i gattini. L’accoppiamento è una distrazione dallo scopo principale della nostra specie.

impalamento

impalamenti nei film

impalamento foto

Curati.

scopata scena film horror

Questa è stranamente specifica e stranamente vaga al tempo stesso…

impugnando una pistola al buio è facile riconoscere il tipo?

Cos’è, un quiz? Sei una stanza buia, ti mettono una pistola in mano e te devi indovinare il modello… potrebbe essere un’idea.

umorismo cosacco

AIUTO!

tatuaggi siberiani amore impossibile

Spero tu stia scherzando.

efei siberia

No. La risposta è NO.

siberiana madonna

Non tollero bestemmie in questo blog!

fighette alla riscossa

Eccone un altro che cerca Educazione siberiana.

sesso estremo ragazza si scatena con nun cavallo e il cane

A volte mi dispiace per quelle povere anime che cercano porno e finiscono su un blog di storia militare… ma per gli zoofili non ho simpatia.

video porno italiano con camera nascosta sensa sapere nulla spia

E nemmeno per i voyeurs.

volevano fottermi

Lo so, sono passati qui dal blog.

racconti fetish fart

WHAT!

film viaggio verso ritrovo corvi nel mais

Well, un campo di mais sembra il posto più logicoper un ritrovo di corvi…

le porte dell abisso

Sì! Sì, finalmente qualcuno sta cercando questo indiscusso capolavoro del cinema indie! Giubilo e gaudio!

magdeburg dekken non riconosce il fratello

Non sono andata avanti oltre il primo libro, ho dei limiti perfino io.

film fantascienza pesanti

Se con “pesanti” intendi “gradevoli come piazzarsi un dizionario enciclopedico sui testicoli”, ti consiglio Interstellar.

come viene vista la satira dagli intellettuali remoti ?

Da lontano *badum-tssssssh*.

Ok, chiedo scusa, vado a ciliciarmi.

pronta al martirio umorismo

Faccio del mio meglio.

le bizzarre questioni di logica medievale

La logica medievale non è bizzarra, se non la capisci il problema è solo tuo.

strehe paurose cattive

Nessun problema (con canzone assortita).

favola della botte swift riassunto

NON SI PUO’ RIASSUMERE IL GENIO!

ragazzo con ciuffetto in testa horror

Presto il terrificante sequel: Sopracciglia ad ali di gabbiano.

come ritirarsi a vivere in solitudine senza soldi e senza nulla

Dipende: quanti giorni vuoi sopravvivere?

dal vapore del ferro da stiro restare assueffatti….incredibile sniffare cosi……

L’importante è crederci.

un ninja in turingia

esempi in cui la guerra nonostante sia il suo esito danneggi soprattutto la povera gente

Sempre.

attendibilita vikings

No. Un milione di volte no.

tempi risposta manoscritto vaporteppa

Dipende se sei Menconi oppure no.

gioco di ruolo comunista

Quando lo trovi fai un fischio.

“il gelato estemporaneo e altre invenzioni della cucina molecolare italiana” “libri usati”

Google mi deve spiegare come questa ricerca (VIRGOLETTATA) ha portato a un blog di storia militare giappoonese.

uomini deformi cottolengo

ANCORA TE?

E sempre parlando di numeri, quali sono stati gli articoli più letti?

Ancora e sempre Dracula Untold. Gente, ma porca miseria, perché?

Questo è seguito con netto distacco dall’articolo su Fomenko e il Recentismo. Ciò mi rallegra oltre ogni dire: è importante che il Mondo sappia!

Lieta anche di vedere che il terzo classificato è l’articolo sul pessimo pezzo di Cinzia Leone. Che l’infamia non cessi mai ma serva da esempio alle future generazioni.

Infine abbiamo La battaglia dei Bastardi, ovvero l’ennesima occasione sprecata. Un giorno avremo una scena epica in cui il regista dà retta al consulente tattico. Ma non è questo il giorno.

E i tre meno letti?

La mia vita di campo, prevedibilmente, e la seconda puntata del Wei Lieo-tzu, altro risultato prevedibile. Il terzo però è l’articolo su The Colour of Magic. Voglio sperare che sia perché io scrivo ammerda: tutti dovrebbero vedere questo film, è tratto da un romanzo di Pratchett starring Pratchett, e Pratchett HA RAGIONE a prescindere.

Quest’anno come i due corsi non ho avuto haters o flame. Per certi versi è un bene, per altri un po’ mi dispiace. Sono un pochino coprofaga, dopotutto.

Ho comunque avuto due interventi degni di nota: un recentista che mi accusa di scarsa apertura mentale (much love!), e un autore pubblicato (ubi maior, signori!) che si lamenta dei brutti frustrati (tipo me, deduco) che passano la vita a criticare Licia Troisi. Sì. Nell’UNICO articolo del blog che parla vagamente di Licia. Avete presente, quello in cui il focus della critica non è nemmeno la Licia ma Cinzia Leone. Quando si dice leggere con attenzione!

Tirando le somme, abbiamo accumulato 80 articoli. Scremando tutti quelli che sono annunci, esternazioni e celebrazioni, abbiamo 16 articoli di storia giapponese, 4 di Storia occidentale, 10 sui Classici cinesi e 5 di Vita di Campo.

Riguardo Narrativa e connessi, abbiamo 17 recensioni di film (9 positive), 6 recensioni di libri (5 positive) e 7 recensioni di articoli (7 negative). Ci sono anche 5 recensioni doppie in cui uno o tutti i film citati mi sono piaciuti.

Oh dear, quando qualcuno guarda i numeri si direbbe che gli articoli di lagne siano solo una piccola percentuale…

Vedrò di migliorare, o va a finire che perdo la membership al club delle Zitelle Acide!

E bon, un altro anno è passato. YAY!

MUSICA!

Genpei 2.1: Agiremo con Buonsenso solo dopo aver esaurito ogni altra possibilità

Abbiamo lasciato i Taira alle prese con ribellioni diffuse in tutto il Paese, Yoritomo ancora saldamente basato a Kamakura ma pesto dopo un rovescio di fortuna, i monaci in rivolta e l’Imperatore Goshirakawa alla Capitale col cerino in mano.

Molti di questi disordini non dipendono direttamente dalla guerra tra Taira e Minamoto: piuttosto, la situazione difficile e la debolezza del governo esacerbano rivalità locali e familiari. Insomma, se gli aristocraticoni imperiali si sgozzano tra cugini, perché la stessa simpatica usanza non dovrebbe essere praticata in provincia? E’ importante tenersi al passo con le ultime tendenze!

E’ vero però che buona parte di questi conflitti sono polarizzati dai due galli del pollaio. Un esempio sono i Kōno, che si ribellano in Iyo nell’isola di Shikoku. Il movente iniziale è una rivalità con un’altra famiglia di notabili locali, ma dopo l’arrivo di un Castigatore Taira incazzato, i nostri baldi guerrieri son lesti a precipitarsi da Yoritomo, che per conto suo è ben lieto di allungare i tentacoli anche nel Mare Interno.

Kiso Yoshinaka attacca la residenza dei Jō in Echigo, dal pennello di Utagawa Yoshitora

I Taira possono dirsi soddisfatti di aver vinto almeno una battaglia contro di lui, ma non hanno tempo di riposare: in Shinano si trova ancora Kiso Yoshinaka, e il giovane comandante è carismatico, abile e ambizioso. Tre grossi difetti.

I Taira si riuniscono alla Capitale.

-E’ necessaria una spedizione punitiva.- Decreta il Capo del Clan, Munemori, secondo figlio di Kiyomori. -Come stiamo a fantaccini?

-Sono morti di fame sulla via del ritorno.

-E i cavalieri?

-Si sono mangiati i cavalli sulla via del ritorno.

-Tutti?

-No, il resto delle bestie si è azzoppato inciampando sui cadaveri dei morti di fame.

-Ottimo…

-Abbiamo dei vassalli in Echigo, i Jō, magari bastano loro a scapitozzare Yoshinaka.

-Massì, dai, basteranno. Cosa può andare storto?

I Jō sono incaricati di scapitozzare Yoshinaka. Sequestrano beni e cibo, radunano i guerrieri di Dewa, Echigo e dintorni a calci nel culo e si dirigono in tromba in Shinano. Il loro esercito conterebbe 40.000 o 60.000 uomini secondo le fonti, ma sappiamo che i numeri sono sempre da prendere cum grano salis. Quello che però è certo, è che si tratta di un’accozzaglia male assortita di bande diverse, poco uniformi e disunite (nonché spesso nemiche tra loro). Questa gente viene tirata al fronte a combattere per gente che non conosce contro altra gente che non conosce, quando potrebbe restare a casa ad allevare cavalli e sbudellare cugini. La maggior parte di questi guerrieri ha tanto da perdere e poco da vincere.

Nel mentre, Yoshinaka sta preparando i suoi uomini. Secondo le fonti, si tratterebbe di 2.000 truppe montate, divise in 3 bande principali di cui una (la Kiso) sotto il suo diretto controllo.

Tra le sue truppe troviamo anche nominati i Takeda di Kai, ma pare strano, visto che questi combattevano per Yoritomo (cugino e rivale di Yoshinaka). Secondo Uesugi è più probabile che le truppe di rincalzo venissero da Kōzuke, provincia in cui Yoshinaka aveva discreta influenza.

I due partiti si incontrano sulla piana alluvionale della Yokota.

La regione dei Circuiti di Hokuriku e Tōsan

Yoshinaka ha gente convinta, ma meno numerosa. Promette male. Al consiglio di guerra, i nervi sono tesi.

-Potremmo scatenare delle papere.- Propone qualcuno. -Ho sentito dire che sulla Fuji hanno fatto una macello.

-Le papere?

-Pare.

-Chi l’avrebbe mai detto…

-Dei rinforzi del clan Inoue dovrebbero arrivare.- Interviene un altro. -Dice che son qualche migliaio, sempre pochi ma magari fanno più danni delle papere.

Nessuno fa più danni delle papere!

-Però-

-E poi non cambia, sono sempre troppo pochi, quando i Jō li vedranno arrivare, faranno salsicce di loro e dei loro cavalli.

-Vero.- Conviene Yoshinaka. -Potrebbero non vederli arrivare.- Sorride. -Viviamo in tempi molto confusi, dopotutto.

E’ una mattina del sesto mese, il campo dei Jō è un casino bestiale in potenza. Jō Nagashige pretende un rapporto sullo stato delle truppe.

-A parte coltellate tra le scapole, risse tra ubriachi e minacce, va benone.- Attacca l’aide-de-camp. -La banda dei Tali ha cercato di dar fuoco alla banda dei Tizi per una storia di corna.

-Furto di donne o furto di arieti?

-Non credo faccia davvero differenza, dalle loro parti.

-E quindi?

-Sono stati interrotti dalla banda dei Semproni che inseguiva Un’Altra Banda A Caso.

-Sempre corna?

-No, sono cugini, quindi devono uccidersi tra loro.

-E’ naturale.

-Sì, mio signore.

-Tifo? Peste?

-Non ancora, se diamo battaglia oggi riusciamo a fare più morti di spada che di malanni!

-Sarebbe bello.

-Secondo i nostri calcoli, abbiamo ancora quindici ore prima che quest’accozzaglia di facinorosi esaltati inizi ad autodigerirsi.

Un messaggero arriva di corsa nella tenda di Nagashige. -Capo, sta arrivando una banda di qualche migliaio di cavalieri!

-Chi diavolo sono?

-Non si capisce molto bene, ma hanno le bandiere dei Taira.

Nagashige guarda l’aide-de-camp. -Stiamo aspettando rinforzi?

L’aide-de-camp si stringe nelle spalle. -Poesse. Alcune delle bande se ne sono già andate, alcune stanno dando la caccia ai paraculi che non si sono ancora mossi di casa loro, altra gente ancora è in ritardo…

-Bon, a caval donato non si guarda in bocca, date il benvenuto ai nostri amici!

Spoiler

Per citare lo Heike monogatari:

“Ah, quindi anche in questa provincia c’erano partigiani degli Heike! Ciò è incoraggiante!- esclamò, ringagliardito.

Ma i sette distaccamenti [dei nuovi arrivati], che nel frattempo si erano avvicinati, fecero giunzione a un segnale convenuto e tutti insieme lanciarono l’urlo di guerra. Gli stendardi bianchi [Genji] che tenevano pronti si levarono all’improvviso. E la gente di Echigo, a questa vista:

“I nemici sono senza dubbio decine di migliaia! Che ne sarà di noi!- si dissero, impallidendo.

Nella fretta e la precipitazione, gli uni spinti nel fiume, gli altri gettati nei dirupi, ben pochi scamparono e molti furono colpiti.

Le bande sopravvissute e quelle rimaste a Echigo si rendono conto che i Jō sono pestimale. Quando il gatto non c’è, i topi ammazzano il cugino: scoppiano rivolte ovunque, fuoco e massacro si diffondono attraverso la provincia come un’epidemia. Fino a quel giorno i Jō hanno comandato grazie alla protezione dei Taira. Yoshinaka ha mostrato ai guerrieri che le braccia dei Taira sono più corte di quanto si pensasse.

Salve, mi serve il raccolto per far la guerra a mio cugino. Come sarebbe non c’è raccolto?

La notizia della battaglia della Yokota non tarda ad arrivare a Yoritomo.

Yoritomo non è stupido, sa che queste sono brutte notizie.

-Se continua così, tuo cugino potrebbe perfino marciare sulla Capitale.- Gli fanno notare.

-Lo so.

-E’ discendente di Yoshiie come te, potrebbe rivendicare una posizione dominante nel clan.

-LO SO.

-Potremmo attaccarlo.

-Noi abbiamo appena perso, lui ha appena vinto, cerchiamo di non fare stronzate troppo grosse.

-Potremmo allearci con lui…

-Piuttosto mi faccio sbranare dai chihuahua.

-E allora che facciamo?

Yoritomo sospira. -So che sto per dire qualcosa che vi parrà rivoluzionario, impensabile e perfino immorale.

I guerrieri impallidiscono. -Oh no.

-Sì. Dobbiamo dar prova di buonsenso.

Svenimenti e nausea.

-E’ contro la tradizione!

-L’ultimo notabile di buonsenso è stato Masakado, e tutti sappiamo com’è andata a finire!

-E i bambini? Che esempio daremo ai bambini?

Yoritomo li silenzia con un gesto. -Mi duole tantissimo, ma a mali estremi, estremi rimedi. Chiamatemi uno scrivano.

Yoritomo è un politico accorto e un fine conoscitore dell’essere umano. Non scrive direttamente al capo dei Taira Munemori, contatta surrettiziamente l’Imperatore Ritirato Goshirakawa e gli chiede di passare il messaggio. Magari se Sua Maestà Frate ci mette una buona parola, i Taira saranno più inclini a dargli retta.

Il messaggio recita qualcosa del genere: “sentite, al di là di tutto, tutti noi vogliamo solo difendere l’Imperatore, giusto? Insomma, senza Imperatore è la guerra civile fino all’ultimo uomo e nessuno vuole questo. Quindi facciamo così: voi vi tenete l’Ovest e i vostri porti per commerciare con la Cina, noi l’Est e i pascoli dei cavalli. Non è niente di drammaticamente diverso da quello che abbiamo fatto per 300 anni, ovvia! Mettiamoci una bella pietra sopra e volemosebbene.”

Munemori e soci considerano la proposta.

-Ha senso.- Osserva uno. -E ci caverebbe da una brutta impasse. I Kikuchi di Kyūshū sono ancora in rivolta, la fame falcia centinaia di plebei al giorno, in Shikoku stanno corteggiando la causa Geniji e il nostro nuovo imperatore ha cinque anni appena.

-Potremmo in effetti lasciar perdere.- Conviene un secondo. -Lasciamo che sia Yoritomo ad occuparsi di suo cugino Yoshinaka, noi ci teniamo il boccone grasso della regione centro-occidentale e loro possono tornare a scopare arieti ed allevare cavalli. O era il contrario?

-Tutto questo ha molto senso e solo un pazzo rifiuterebbe una proposta simile.- Munemori annuisce. -Ma mio padre Kiyomori mi ha fatto giurare di non far mai la pace con i Minamoto, quindi ciccia.

Non sto scherzando.

Ah, le colpe dei padri…

I Taira tentano di riportare l’ordine in Hokuriku, ma le rivolte continuano: Noto e Kaga si ribellano, gli intendenti fedeli ai Taira sono cacciati o uccisi a colpi d’accetta.

Taira Michimori viene spedito con un esercito di pacificazione e arriva senza ingombro al governo provinciale di Echigo.

-Oh, non è così male, dopotutto.- Commenta. -Yoshinaka non si è nemmeno fatto vedere. Magari la gente è stanca di sangue e pronta a tornare in riga.

-Magari, mio signore.

-E questi bei riverberi che si vedono, cosa sono? Festeggiamenti?

-E’ il benvenuto dei Kaga-Genji?

-Oh, vedi che ci festeggiano perfino loro? Cosa stanno bruciando?

-Villaggi.

Michimori è partito per pacificare l’intero Circuito, ma ridimensiona presto le sue ambizioni alla provincia di Echigo. E anche in quel caso, calmare i guerrieri locali è un po’ come voler ragionare coi calabroni dopo avergli scorreggiato nel nido. Notabili, frati, intendenti di santuari, tutti sono armati e tutti sono affamati. Chi ha fame uccide.

Perfino i vassalli Taira capiscono l’antifona: ci vuole un capo carismatico e in cui la gente creda. Michimori non risponde alla descrizione, Yoshinaka sì. Molti cambiano campo in meno di un mese.

Dopo aver perso più di 80 vassalli personali, Michimori si rassegna e abbandona Echigo. Si asserraglia nella fortezza di Tsuruga, ma prima ancora che i suoi possano mandargli rinforzi è costretto a mollare tutto e fuggire in montagna. Il circuito dell’Hokuriku è un vespaio senza compassione, e dal casino Yoshinaka emerge con una banda temibile e compatta.

Dal canto suo, Yoritomo cerca di lanciare un attacco decisivo sulla Capitale, ma viene bloccato dalle truppe di Koremori, autore del disastro sull Fuji e della vittoria sulla Sonomata.

Nell’undicesimo mese, il Paese è un disastro e i tre contendenti principali (Yoritomo, Yoshinaka, Taira) si trovano in un’impasse militare. Nessuno di loro può muoversi senza esporre il fianco, e nessuno di loro ha le risorse di attaccare e difendersi allo stesso tempo.

Intanto, la carestia infuria. Miserabili muoiono gli uni sugli altri per le strade della Capitale. I campi vengono abbandonati. Ispettori delle tasse brutalizzano plebei e notabili per strizzar loro riso e bestie per la guerra. La gente fugge, la gente si ribella, l’economia collassa.

Il macello di Genpei non è finito, ma entra in una fase di gelo. E’ il 1182, e tutto è allo stesso tempo in subbuglio e cristallizzato.

Quindi cosa abbiamo imparato oggi, bambini?

Uccidete vostro cugino prima che lui uccida voi. Nella miglior tradizione tragica, il sangue del proprio sangue è il più dolce da spargere.

MUSICA!

Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Genpei 2.0


Bibliografia

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, 2004, New York

ROYALL Tyler, The tale of the Heike, Viking, 2013, New York

SOUYRI Pierre-François, Histoire du Japon Médiéval – Le monde à l’envers, Tempus, 2013, Paris

UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō

Storie di documenti: Ashikaga Yoshimasa e la colletta della Befana

Il 2 gennaio 2015 scrissi:

Il 2015 è finito, finalmente. E’ stato un anno molto grumpy, e ho alte aspettative per il 2016.

Le mie aspettative non sono state deluse. Riuscirà il 2017 a essere ancora più grumpy del 2016?

Noi della Fortezza diciamo di sì.

Per attaccare questo nuovo anno di fastidio e antipatia, ho deciso di presentare un articolo un po’ diverso dal solito. Non voglio parlare di battaglie e ammazzamenti, ma analizzare un dettaglio pratico, un tipo di documento con cui lo studioso di Storia si trova alle prese. Nella fattispecie, una lettera diplomatica dello shōgun al re di Corea. Perché? Così avrete un’idea di che tipo di documento il ricercatore si trova a leggere e analizzare.

Il quadro storico

Il Padiglione d’Argento, in cui Yoshimasa passò buona parte del suo tempo (buon per lui)

All’inizio del XV° secolo il governo giapponese non ha relazioni ufficiali e dirette con la Corea, ovvero non ci sono lettere ufficiali tra l’Imperatore e la dinastia di Joseon (1392-1910). Alo stesso tempo, le grandi famiglie giapponesi non esitano ad avere scambi privati con la corte coreana, di solito usando grandi mercanti come intermediari.

La lettera di cui ci occupiamo oggi è tratta dallo Zenkoku hōki, una raccolta di missive scambiate tra lo shōgun e il re di Corea, ovvero tra Ashikaga Yoshimasa (1436-1490) e re Sejo (1417-1468).

Chi è Yoshimasa?

Ashikaga Yoshimasa, dal pennello di Tosa Mitsunobu

E’ l’ottavo shōgun della dinastia Ashikaga e detiene il titolo dal 1449 al 1490. Manco a dirlo, il XV° è un brutto periodo. Non che la vita in Giappone sia mai stata una festa, ma con Yoshimasa è particolarmente rognosa.

Non che sia solo colpa sua, beninteso. Per cominciare il Paese si cucca un bel rosario di rovesci climatici che sputtanano i raccolti. Da una parte gli usurai si fanno tondi, dall’altra contadini e guerrieri di provincia cominciano a ribellarsi.

Per fare un esempio, nel 1462 la gente del dominio Niimi (guidata da piccoli guerrieri locali) decide: “sai che? Moriremo tutti di fame e di peste, tanto vale cavarsi qualche sasso dalla scarpa”.

Vanno dall’amministratore del dominio, lo ammazzano e danno fuoco a ogni cosa. Gli ufficiali che si recano sul posto trovano una scritta cubitale in sangue e frattaglie: WORTH IT.

E mentre avvenimenti di questo genere si diffondono per tutto il Paese, le famiglione al potere decidono che è il momento perfetto per scannarsi tra loro Genpei style. Un anno dopo la redazione della lettera che ci apprestiamo a leggere sarebbe scoppiata la Guerra di Ōnin, un bagno di sangue di proporzioni epiche che sprofonderà il Paese nel Periodo Sengoku (altresì conosciuto come “150 anni di guerre civili e bordello così atroce che se fossero sbarcati i Klingon nessuno ci avrebbe fatto caso”).

E Yoshimasa in tutto questo che fa?

Verrebbe da dire “nulla”, ma purtroppo non è così. A parte sputtanare miliardi in regge e giardini, il nostro fa danni, immischiandosi in scazzi ereditari e politici ma senza implicarsi davvero, dando appoggio a tizio o a caio secondo l’umore, e lasciando briglia sciolta al suo savio mentore.

Non è proprio un personaggio simpatico.

Ma aveva gran gusto estetico e intellettuale! E’ grazie a lui che vediamo fiorire arti come la Cerimonia del The, il Nō e quant’altro.

Ma torniamo a noi. Non voglio dilungarmi troppo nel contesto, le cose saranno spiegate via via.

La lettera

Primo anno dell’era Bunshō, segno del Cane ramo maggiore del Fuoco

Come ogni documento ufficiale che si rispetti, la lettera comincia con la data. Il primo anno dell’era Bunshō corrisponde al 1466 nel calendario gregoriano. Il resto è dedotto secondo il ciclo sessagesimale del calendario cinese, che si articola in 60 “binomi” ottenuti associando due serie, una di dieci “Tronchi Celesti” (gli “agenti” taoisti) e una di dodici “Rami Terrestri” (i segni zodiacali).

Minamoto no Yoshimasa del Giappone

Porge i suoi rispetti a sua eccellenza il re di Corea.

(L’autore di questa lettera è Menkoku)

Le lettere ufficiali dovevano essere scritte il cinese. Questo perché il cinese è una delle invenzioni migliori di sempre.

Re Sejo riceve la lettera di Yoshimasa. Ed è già grumpiness…

Pensateci. In un alfabeto fonetico come può essere il nostro, ogni simbolo corrisponde a un suono. Nel caso degli ideogrammi, ogni simbolo corrisponde prima di tutto a un concetto. Questo che significa?

Che non hai bisogno di conoscere il cinese per leggere il cinese. Una volta che hai imparato un pugno di regole per l’ordine di lettura, dato che ogni segno è un concetto, puoi leggere il testo nella grammatica che più ti è congeniale (io leggo il cinese in giapponese, per esempio). Per un impero multiculturale come era (ed è sempre stata) la Cina, questo era uno strumento straordinario, al pari dell’acciaio e della ruota.

Non hai bisogno di costringere i tuoi sudditi a imparare la tua lingua. Basta insegnar loro a leggere quello che tu scrivi nella loro lingua! La comunicazione diventa molto più semplice e offri meno appigli al risentimento separatista. E’ pratico, è collaudato, è geniale.

Tuttavia c’è un piccolo caveat: chi scrive il documento deve sapere il cinese, e deve saperlo bene. Una minoranza di letterati poliglotti resta quindi necessaria. Yoshimasa, che di certo scriveva benissimo, si affidava quindi a dei professionisti per la redazione delle lettere ufficiali. Il signor Menkoku, misterioso autore di questo documento, era senza dubbio un monaco letterato.

Ma veniamo al nome che il nostro Generalissimo usa. I Minamoto sono il clan di cui la famiglia Ashikaga fa parte ed è con questo nome che Yoshimasa interagisce con altri leaders stranieri. Da notare che lo shōgun non include il proprio titolo nella lettera, ma prende cura di usare un linguaggio di raffinata cortesia e rispetto nei confronti di Sejo.

Di rimando, nelle risposte, il Re di Corea ha la cortesia di indirizzare le proprie lettere al “re del Giappone” (intendendo lo shōgun).

Al di là delle formule di buona creanza, i due paesi hanno relazioni egalitarie, in quanto entrambi si considerano come regni indipendenti ma satelliti del Grande Ming.

Il Grande Ming

Nonostante i nostri due Paesi siano separati da 1000 li, dal Grande Oceano, lo scambio di inviati ci rende vicini. Ogni volta che abbiamo richiesto qualcosa, ce lo avete sempre accordato senza fallo. La nostra gratitudine è inesprimibile.

Yoshimasa non perde troppo tempo in salamelecchi: lui e Sejo sono uomini occupati, quindi non meniamo il can per l’aia e andiamo al sodo. Caro collega, voglio chiederti qualcosa.

Nella nostra capitale meridionale [Heijō] c’è un tempio. Il suo nome è Yakushi-ji.

Yoshimasa sta parlando del tempio dedicato al Bodhisattva Yakushi, patrono dei rimedi. Fu costruito nel 680 in Fujiwara-kyō dal grande imperatore Tenmu, con lo scopo di invocare la misericordia di Yakushi e salvare la vita della sua consorte, gravemente ammalata. La consorte in questione, la principessa Unosarara, era figlia del defunto imperatore Tenji.

A chiosa, Tenji era fratellastro di Tenmu. Quindi Unosarara era nipote di suo marito. Ma bon, i nobili di Corte hanno sempre avuto un comportamento altamente endogamico.

Il tempio di Yakushi dopo i finanziamenti coreani

Unosarara guarì dalla malattia (spoiler). A dire il vero, guarì così bene che sopravvisse Tenmu e gli succedette come l’Imperatrice Jitō (e vale la pena notare che in giapponese la parola che significa “imperatore”, tennō, non ha nessuna connotazione di genere ed è utilizzato per indicare sovrani uomini o donne senza distinzioni).

Tornando al tempio, all’inizio dell’8° secolo lo Yakushi-ji fu spostato all’allora capitale Heijō e oggi fa parte della conurbazione di Nara.

Quest’anno è stato danneggiato, scosso e squassato da una bufera. [La bufera] Era tale l’urlo di un drago, il grido di un elefante. A questo soggetto, abbiamo deliberato assieme alla folla [degli alti dignitari, Yoshimasa era una persona seria e non aveva giurie popolari, NdTenger].

Il passaggio sul drago-elefante è interessante perché pone un problema comunissimo quando si maneggiano questo genere di documenti. Non è difficile capire cosa Yoshimasa intenda quando tira in ballo bestie mitologiche o pseudo-tali: vuol dire che la bufera faceva un chiasso mostruoso. L’uso bizzarro della figura retorica è probabilmente un vezzo di stile dell’autore, una citazione a qualche passaggio o commentario cinese di cui oggi non siamo più a conoscenza.

Ma assodato che il senso generale è chiaro, come tradurre senza che risulti ridicolo al lettore moderno?

Non c’è una soluzione perfetta, purtroppo. A volte certe espressioni non possono essere restituite in altre lingue.

Il nostro tesoro è esaurito, non abbiamo le forze e il restauro è impossibile. Se il Vostro Grande Paese non intende aiutarci, che altro mezzo ci resta per risolvere questo problema? Con questa lettera Vi chiediamo di intervenire.

Tombola. Yoshimasa scopre le carte: vuole soldi.

Pertanto abbiamo mandato come Inviato in capo Yuen e come Inviato aggiunto Sorai, per visitarVi e trasmetterVi i nostri pensieri. Se Sua Maestà volesse accordarci la Sua assistenza, potremmo intraprendere i restauri, invero l’Oriente non è forse unito nel Buddismo? La Terra Pura è il tesoro di vicini amichevoli.

I due tizi nominati non sappiamo chi siano. Si tratta sicuramente di monaci letterati capaci di affrontare l’etichetta della corte coreana senza perdere la faccia.

Notare il simpatico richiamo all’amicizia universale nella religione, sempre molto utile quando hai bisogno di quattrini.

I tributi della nostra terra sono elencati in allegato.

Yoshimasa è un uomo di mondo, non un mendicante. Una richiesta di fondi non si fa con una letterina elegante e un paio di teste pelate adepte di Confucio. Assieme a lettera e messaggeri, lo shōgun invia ovviamente una serie di doni (qui chiamati “tributi” per umiltà), sperando di ricevere in cambio o un valore maggiore o beni di alto valore d’uso.

In questo periodo il Giappone è infatti esportatore di oggetti di estremo lusso: oggetti d’arte come scatole laccate, paraventi, ventagli decorati, sciabole da parata e quant’altro, molto apprezzati sul Continente.

Il secondo mese infine si riscalda. La sola cosa che desidero è che prendiate cura della Vostra salute.

Anno del segno del Cane ramo maggiore di Fuoco, secondo mese, ventottesimo giorno

Minamoto no Yoshimasa del Giappone.

E così si conclude la lettera. Sappiamo che il re di Corea rispose con cortesia e che mandò finanziamenti e beni. E’ una missiva molto breve che non perde tempo in inutili girti di parole. Dal nostro punto di vista può apparire fin troppo diretta e sfacciata. Peraltro, la straordinaria vita di lusso e arte che lo shōgun conduceva era ben nota, ma ciononostante è perfettamente accettabile, da parte sua, fare la questua presso un re straniero per rappezzare i templi scoperchiati dal vento.

Il corpus di lettere tra Yoshimasa e i re coreani è estremamente ricco e tocca diversi soggetti, dai sigilli diplomatici, alle importazioni, a missioni per procura del tipo “il mio ambasciatore ha sbudellato un funzionario Ming, puoi chiedere te se l’Imperatore se l’è presa?” o argomenti di interesse comune tipo “ci sono più pirati che pesci nel Mar della Cina, ne sai qualcosa?”.

La lettura di documenti del genere offre numerosi spunti di approfondimento e, talvolta, preziosi attimi di WTF diplomatico. Come primo articolo di questo genere, ho preferito trattare qualcosa di semplice e innocente, come la restaurazione di un tempio. Un inizio molto pio e devoto, che sia mai qualche Bodhisattva si muove a pietà per questo 2017 che già me le fa girare.

MUSICA!


Bibliografia

Articolo basato sul seminario “Histoire et philologie du Japon Ancien et Médiéval”, Ecole Pratique des Hautes Etudes.

 

HASHIMOTO Yū, Itsuwari no gaikō shisetsu, Yoshikawa kōbunkan, Tōkyō, 2012 p.1-74

HERAIL Francine, Histoire du Japon, POF, 1986, p.242-277

KEENE Donald, Yoshimasa and the Silver Pavillion, Columbia University Press, New York, 2003, p.229

MORITA Kyōji, Ashikaga Yoshimasa no kenkyū, Izumi Shoin, Ōusaka, 1993, p.361

SOUYRI Pierre, The world turned upside down, Pimlico, Londre, 2002, p.142-217

VON VERSCHUER Charlotte, Le commerce extérieur du Japon, Maisonneuve & Larose, Paris, 1988, p.101-131

SCHOTTENHAMMER Angela, The East Asian Mediterranean: Maritime Crossroads of Culture, Commerce and human migration, Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2008, IGAWA Kenji « Travels of Ambassies in Fifteenth to Sixteenth Century East Asia », p.273-288 ; HASHIMOTO Yū « The information strategy of the Imposter Evnoys from northern Kyūshū to Chōson Korea in the Fifteentth and Sixteenth century », p.289-316 ; OLAH Csaba « Trouble during trading activities between Japanese and Chinese in the Ming period », p.317-330

ZUKEI Shūhō, Zenrin kokuhōki, 1470 (edizione curate da ISHII Masatoshi, 1995)

Classici Militari: Le Tre Strategie di Huang Shih (2)

Bentornati in questi lidi di fastidio e mestizia, per un nuovo articola sulle Ricette di San Attila. La scorsa volta avevamo parlato della Strategia Superiore di Huang Shih. Oggi affronteremo il resto di questo Classico.

La strategia mediana

Zhang Liang, stratega degli Han Occidentali a cui Huang Shih avrebbe dato il libro

In questa sezione, il nostro cita un testo tradotto come Il potere strategico dell’esercito. Questo testo non ci è arrivato, e non siamo nemmeno sicuri che sia mai davvero esistito. Ad ogni modo, Huang Shih lo usa per dare savi consigli su come gestire un esercito.

Per prima cosa, ripete (come altri Classici) che il potere decisionale dell’armata in campagna risiede solo e soltanto nel generale. E’ lui che decide quando e come avanzare o ritirarsi, se attaccare o aspettare, ecc. La corte deve occuparsi di politica e non di tattica!

In secondo luogo, l’esercito è una grande famiglia che ha posto per tutti: i savi, i coraggiosi, gli avidi e i deficienti. Perché? Perché sono quattro categorie di uomini mossi da emozioni e aspirazioni differenti.

Un uomo savio trae gioia dai risultati che riesce a ottenere, l’uomo coraggioso trae gioia dall’esercitare la propria volontà, l’avido is in for the money e il deficiente non ha nessuna paura di morire. Queste quattro categorie sono governate dalle loro emozioni. Puoi ragionare con gli uomini, ma se sei capace di manipolare le loro emozioni sei capace di far fare loro più o meno qualsiasi cosa.

Sulla stessa onda, devi tener conto che un ufficiale competente non viene arruolato e tenuto con un semplice salario, né con polpose ricompense e basta. Puoi comprare un buon artigiano, ma quando chiedi a un uomo di rischiare la pellaccia per te, non puoi aspettarti che lo faccia solo per i quattrini. Uno uomo da bene non si fa ammazzare per un capo carogna.

Se il sovrano manca di virtù i suoi ministri si ribelleranno, e se manca di awesomeneness finirà per perdere autorità. Questo vale per ogni gradino della scala sociale, con una piccola differenza: se qualcuno tipo un ministro o un alto ufficiale possiede troppa awesomeness, il rischio è che ciò provochi timori, invidia o diffidenza, tutta roba dannosa. Devi tener gente di talento ma, well, non troppo talento.

Alto funzionario Han

Come nell’Arte della Guerra, viene ribadito quanto sia importante per un generale conoscere il nemico. C’è un caveat però: non permettere ai tuoi ufficiali di parlare dei punti di forza dell’avversario a tiro d’orecchio del resto dell’esercito. E questo per ovvie ragioni!

In altre parole, evitate di fare le stesse stronzate dei Taira sulle rive del fiume Fuji.

Sempre parlando di accorgimenti, non mettere gente benevolente a gestire le finanze. Tendono a spendere troppi quattrini (magari dietro scuse frivole come “ma i soldati hanno fame!”) e finiscono sempre per affezionarsi ai ranghi più bassi. E non vuoi amministratori con crisi esistenziali quando devi ordinare a duemila fantaccini terrorizzati di marciare allineati e coperti dritti nelle fauci dei mongoli.

Altro accorgimento importante: prima di ogni cosa, lancia una bella caccia alle streghe. Niente sciamani, medium, indovini e baggianate simili nel tuo esercito! Non devono essercene tra i soldati e soprattutto non devono essercene al servizio dei tuoi ufficiali. Ci manca solo che la gente si faccia venire le paranoie per la luna in Leone o perché qualche Dulcamara ha letto brutte cose nelle frattaglie di montone.

Se fai le cose a modino e riesci a eliminare tutti i tuoi nemici, prendi cura di riunire tutti i ministri che hanno reso ciò possibile e tagliarli fuori dal potere. Devi ricompensarli, ovviamente, seppellendoli di ricchezze, terre e belle manze, ma non lasciarli con le mani in pasta. Ci deve essere ricambio, o rischi che qualcuno si monti la testa.

Allo stesso modo devi congedare l’esercito e scalzare il generale dalla sua posizione. Dagli una carica prestigiosa, dagli terre da amministrare, dagli poppute donzelle o quello che ti pare per farlo contento, ma strappagli il potere delle armi. Se è un buon generale è più che probabile che legami solidi e profondi si siano creati tra lui e i suoi ufficiali giù lungo la gerarchia fino ai soldati, e questa cosa, per quanto utile in guerra, è troppo pericolosa in pace.

Tieni conto che un sovrano che abbia voglia di restare in sella non gioca a carte scoperte e non gioca ad armi pari, non coi suoi nemici, non coi suoi alleati, non con i suoi fedeli assistenti.

La strategia inferiore

Edizione delle Tre strategie

La solidità del tuo controllo sulla popolazione e l’assistenza di uomini savi e competenti è proporzionale al beneficio che la plebaglia e il Paese in generale traggono da te. Un capo poco popolare non può considerarsi davvero stabile. Anche perché uomini competenti potrebbero avere riserve nel servire un capo simile. Chi non ha subordinati capaci non ha una seggiolone solido.

Una volta trovati collaboratori capaci, è importante ottenerne la sottomissione fisica e ideologica. La prima te la assicuri via un sistema appropriato di regole e ricompense, per la seconda Huang Shih consiglia… Musica!

No, non vuol dire che devi ballare il valzer col tuo Ministro dell’Agricoltura.

Al lettore odierno può parere bizzarro veder comparire il termine “musica” in un contesto simile, ma la musica era una componente imprescindibile della formazione del buon Confuciano. Ad ogni modo, l’autore specifica che non parla qui di pifferi e mazurche, ma di un senso di armonia e ordine che deve pervadere e unire ogni aspetto del Paese. Questo equilibrio armonico non deve essere volto a compiacere il capoccia, ma a dare pace e piacere ai sudditi, che sudditi contenti fanno un paese stabile.

I Confuciani sono una banda di dannati hippies!

E’ fondamentale che l’attenzione dei dirigenti sia rivolta verso l’interno. Un capo ambizioso che sguinzaglia armate sterminate alla conquista di territori distanti finirà prima o poi per esaurire le riserve di energia e pazienza dei suoi. La prima preoccupazione di un sovrano deve essere sulla propria base, sulla stabilità, sicurezza e virtù. Questo perché il libro è stato scritto da un Confuciano, e mannaggia all’Inferno se i Confuciani son fissati con ‘sta storia della virtù!

Un capo destinato a sopravvivere deve possedere 5 qualità: aderenza al Tao, virtù, benevolenza, giustizia e decoro (ovvero un comportamento appropriato).

Un capo deve peraltro badare alle ramificazioni che ogni suo atto può avere. In particolare, quando ricompensi un uomo da bene, questo riverbera in modo positivo incoraggiando zelo e attirando buoni collaboratori. Ricompensare un cialtrone, per contro, aliena i buoni soggetti e tira una valanga di conseguenze negative.

La credibilità è tutto. La plebaglia deve credere in te. Quando il sovrano o lo stato perdono legittimità e fiducia, non c’è modo di tenere la barca pari. E’ responsabilità del sovrano evitare che ciò accada, e per prima cosa uno deve evitare il lassismo. Lascia che un uomo disobbedisca, e cento altri si sentiranno in diritto di fare lo stesso. Lascia che un crimine impunito, e cento altri criminali si metteranno all’opera. Come detto nei precedenti Classici, devono esserci punizioni severe, e i sudditi devono credere in essere, devono saperle inevitabili, rapide e cattive.

Occhio a non pestare a caso sulla gente, però. In una situazione di diffuso scontento uno potrebbe aver la tentazione di combattere il fuoco col fuoco. Schiaffare populisti arrabbiati ad amministrare plebaglia arrabbiata. E’ una pessima idea che può solo aggravare la situazione. I tuoi ufficiali devono essere uomini dal comportamento specchiato e la tua amministrazione deve seguire la legge. Uomini capaci da soli non possono combinare niente se il sistema non segue.

Ogni trasgressione deve essere punita alla svelta e senza pietà. Come fanno i gattini. Prendi esempio dai gattini.

Hai bisogno di amministratori incorruttibili e ufficiali giusti, ma gli uni e gli altri non possono essere comprati o costretti nel tuo servizio. Da bravo Confuciano, l’autore sottolinea che solo adottando una condotta appropriata il sovrano può attirare a sé gli uomini di cui ha bisogno per governare. Anche perché uomini davvero degni non s’impelagano in un paese condannato al tracollo, sono mica deficienti…

Le armi sono considerate strumenti infausti in questo Classico, ma si concede talvolta il loro impiego è necessario. Se è il caso, devono essere usate presto, senza esitazione e full force. Temporeggiare è disastroso.

Inoltre, devi stare attento a non lasciare famiglie potenti accaparrarsi posti di potere. Questi gruppi cercheranno di succhiare via l’autorità del sovrano e accaparrarselo. Devono essere tenute sottomesse e sotto stretto controllo. Personalmente ho sempre avuto una predilezione per il sistema degli ostaggi: la gente tende a essere più tranquilla quando hai i loro eredi chiusi in cantina.

Sii quindi molto cauto con i tuoi subordinati, ma non essere geloso di loro: se sono capaci e valenti, spingi avanti la loro carriera (ma considera l’evenienza di chiudere in cantina i suoi bambini…).

Infine, tieni a mente la plebaglia. Piaccia o no, è la base dello Stato. Se danneggi mille plebei per il beneficio di un solo suddito, stai piantando i semi del disastro. Viceversa, se eliminando un solo uomo porti beneficio a mille altri, non dovresti esitare.

Questo è l’ultimo consiglio di Huang Shih e la fine del sesto Classico.

Al prossimo giro attaccheremo l’ultimo: Domande e risposte tra Tang Tai-zong e Li Wei-kung.

MUSICA!

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Bibliografia:

Ralph D. SAWYER, The seven military classics of ancient China, Basic Books, Boulder, 1993, pag.568

Ralph D. SAWYER, The art of the warrior, Shambala, Londra, 1996, pag.304

La folle histoire de Max et Léon

Un piccolo bistrot di provincia nella Francia occupata dai nazisti. La porta si apre, due uomini in uniforme da Gestapo entrano. Sugli avventori cala il silenzio. I due uomini vanno al bancone.

Ordinano in un francese colloquiale e senza inflessioni. Non sono due crucchi.

Sono Max e Léon, due buoni a niente del villaggio, partiti sotto le armi anni prima della débacle, e ora di ritorno, vestiti da collabos.

I due vengono prontamente agguantati e legati come salami. Uno dei compaesani tira fuori una pistola, unico modo ragionevole di relazionarsi con i collaborazionisti. Prima che il tizio tiri il grilletto, però, i due assicurano che si tratta di un fraintendimento: possono spiegare!

E così comincia la Folle histoire de Max et Léon.

La commedia francese ci ha regalato delle perle assolute, dal bellissimo I visitatori al goliardico Tais toi, a classici come La grande vadrouille. Negli ultimi anni però il genere tende a produrre filmetti godibili nel migliore dei casi, pallosi nel peggiore, e complessivamente molto mediocri.

Pertanto molta gente si è avvicinata a questo film con una sana dose di diffidenza, e a ragione.

Per cominciare, una commedia a sfondo storico ambientata nella Francia occupata prende dei rischi. Il potenziale c’è, ovviamente. Dopotutto la base della commedia è la sofferenza: da sempre, più i personaggi patiscono, più la commedia fa ridere. Se fatta bene, s’intende. Anche perché il rovescio della medaglia implica che più traumatico è l’argomento, più il rischio di fare una cagata è alto.

Una commedia mediocre su dei divorziati in lite è solo quello, una commedia mediocre, una perdita di tempo. Una commedia mediocre sulla battaglia di Verdun o sul Genocidio Armeno diventa un insulto vero e proprio.

In secondo luogo, il cinema francese annovera già molte commedie ambientate nella Seconda Guerra Mondiale, grandi classici come la succitata Grande Vadrouille o Mais où est donc passée la 7ème compagnie?. Il confronto con questi cult è inevitabile.

Quindi abbiamo un soggetto difficile da maneggiare e un genere che già presenta grandi esempi e un confronto spietato. Ma questi non sono gli unici scogli.

Gli autori e attori principali in questo film sono David Marsais e Grégoire Ludig, due amici d’infanzia diventati poi comici su internet. Già, questo film è un film del webbe!

Il magico duo comincia nel 2002 con il Palmashow, una serie di sketch comici online. Da subito cominciano ad ottenere piccoli riconoscimenti, come le due vittorie consecutive come migliori comici al festival studentesco del Palais de Glaces di Parigi, e dopo appena un anno schiodano il primo contratto con un’emittente radio. Nel 2006, si buttano nelle parodie, ammucchiando visualizzazioni su Dailymotion e Youtube. Quattro anni dopo, sono sulla televisione nazionale con un programmino tutto loro: La folle histoire du Palmashow.

Insomma, pian pianino i due comici costruiscono la loro professione, attirando anche l’attenzione di nomi già famosi come Florence Foresti (conosciutissima in Francia). I due creano anche una casa di produzione: Blaguebuster Production (“blague” parole francese per “celia”, “scherzo”). Il loro successo continua a crescere in modo progressivo, finché nel giugno 2016 non lanciano sul canale Youtube un teaser: il duo fa un film! Al cinema!

Quindi abbiamo due youtubers divertenti che si buttano sul lungometraggio, scegliendo peraltro un argomento e un genere particolarmente difficile.

Ora, personalmente non ho mai visto una storia del genere concludersi bene: di solito quando youtubers e creature simili si invischiano nel cinema, il prodotto è molto deludente.

E in questo caso?

This is off to a good start…

Personalmente non avevo mai sentito parlare di Ludig e Marsais. Seguo poco la scena Youtube francese, quindi quando Compare di Bevute mi chiede se mi va di vedere un film “sulla Seconda Guerra Mondiale” accetto senza sapere minimamente cosa aspettarmi. Non avevo nemmeno visto il trailer.

Certi diranno “e ti sei fidata a sborsare 10 euri e passa sulla parola di ‘sto tizio?”

Good point. Ma vedete, il tizio io l’ho portato a vedere I 47 ronin, e dopo non mi ha strangolata e rivogata nella Senna (nessuno avrebbe potuto rinfacciarglielo, davvero), quindi diciamo che sono in debito.

E comunque non ha importanza: La folle histoire de Max et Léon è un bel film. Forse non raggiunge pinnacoli come il primo Visitatori (che aveva Jean Reno, quindi è meglio per decreto e basta), ma di certo è un film spassosissimo da vedere!

La trama

Rommel, anche conosciuto come “il gatto del deserto”

Max e Léon sono due trovatelli, cresciuti in un villaggio francese perduto nella campagna. Sono dei marginali, vivono di lavoretti occasionali e si accontentano di poco. Sono balordi ma non cattivi, paraculi, ma non disonesti, non hanno nessuna curiosità per il mondo e sognano di aprire un bar tutto loro nel paesello dove abitano. Sono due uomini semplici che vogliono vivere, invecchiare e morire nel loro villaggio natale.

La vita è rassicurante e monotona per i due, finché non vengono arruolati. Non passano molto tempo al campo di addestramento, però: una bella mattina si svegliano a suon di cannonate. Sul crinale della collina la Divisione Fantasma fa ciaociao con la manina.

Nella débacle che segue, i due amici riescono a scappare. Senza un esercito e senza un’oncia di coraggio in due, i nostri hanno un unico scopo: tornarsene a casa e star lontani dalle schioppettate.

Comincia così un viaggio improbabile in cui i due fregano divise diverse, finiscono in Inghilterra, passano dalla Siria, si ritrovano a Vichy, sempre cercando di defilarsi, finché non cedono all’evidenza: quella guerra li riguarda e devono fare la loro parte come tutti gli altri.

Cominciamo subito col dire che questo film non è particolarmente originale.

Il concetto della storia lo si ritrova in decine di film comici e drammatici. I due personaggi principali sono verosimili e simpatici, ma certo non innovativi. I comprimari sono poco esplorati e a tratti ridotti a delle macchiette.

Tuttavia il materiale, ancorché già visto, viene trattato bene. La scrittura è divertente, le peripezie spassose e il ritmo ottimo. Peraltro, il film ci fa la grazia di evitare certi clichés, tipo i migliori amici che litigano, si separano e poi tornano insieme dopo aver capito il valore dell’Amicizia, o altre boiate da Baci Perugina.

Il quadro storico presenta qualche falla (tipo quando sono arrestati come spie e mandati in campo di prigionia invece che di sterminio), ma non viene stuprato selvaggiamente come in quella merda di Vikings o in quella cagata colossale di Pearl Harbor. Le inconsistenze sono rese più accettabili dalla chiara nota surrealista che attraversa l’intero film.

Gli scherzi per la maggior parte funzionano bene. Ci sono alcuni riferimenti pop, ma non sono prepotenti e non guastano il divertimento: la battuta resta simpatica anche se non riconosci il riferimento nerd alla pubblicità anni ’90.

Costumi e cinematografia sono più che dignitosi. Ci sono dei soldi in questa produzione e si vedono! Non una produzione da colossal, ma nemmeno un indie fatto passando il cappello alla Fiera della Salsiccia.

Non tutti gli scherzi funzionano, alcuni sono un po’ troppo surreali, altri davvero troppo infantili, ma nell’insieme il film scorre con brio.

Ad ultimo, la commedia è leggera e ottimista, ma non del tutto scollegata dalla realtà. Il collaborazionismo, la deportazione, le fucilazioni sono presenti, e impediscono al film di apparire troppo puccioso per il contesto storico. Personalmente avrei preferito una vena più cruda, ma mi accontento.

Tirando le somme.

Concetto e personaggi poco originali

 

Alcune falle storiche

 

Non tutti gli scherzi funzionano

 

Recitazione

 

Costumi e fotografia

 

Ritmo e sceneggiatura

 

Il terzo atto

 

Al di là di qualche scivolone, il film non annoia mai

 

Un film del webbe che non fa cagare a spruzzo, WEEEEE!

 

In conclusione,, La folle histoire de Max et Léon non è un capolavoro come Train de vie, ma è meglio di film come La vita è bella (pur prendendo delle libertà, per lo meno non sbaglia carro armato…).

Io lo consiglio caldamente: è una visione spassosa mai noiosa!

MUSICA!


Pagina Imdb del film

Pagina wiki del duo

Canale youtube del Palmashow

Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (2.2)

In concomitanza con il 78esimo anniversario della Kristallnacht, i nostri cugini yankees eleggono un tizio che promette infrastrutture, industrie, veterani e amicizie di dubbia reciprocità (come fa notare il mio buon amico Sir GreenMold). Sono così tanti omen tutti insieme che la palla di cristallo mi è scoppiata e ha fatto scappare tutti i pipistrelli. Ora l’antro è vuoto e solingo fatta eccezione per la ragnetta Becky e la sua progenie di aracnidi grandi come criceti.

Quindi è con sommo piacere che oggi parlo di altra gente determinata a martellarsi le palle fino a ridurle in polvere: Masakado e soci.

Nella scorsa puntata avevamo lasciato Masakado in una situazione non proprio piacevole: suo zio Yoshikane gli ha appena inflitto cocenti sberle nel muso, culminate con la cattura di sua moglie e il possibile massacro dei suoi figli.

Yoshikane è sulla cresta dell’onda. C’è solo un problemino: Masakado è sempre vivo. Grave errore.

La “battaglia” del colle Yubukuro

Siamo nell’anno 937, è l’inizio dell’inverno, gli aghi dei larici cadono, gli aceri dardeggiano rosso sangue nella foresta, il raccolto (o ciò che ne resta) è immagazzinato e la nebbia riempie le valli.

Yoshikane decide che, sai che, ho sconfitto mio nipote/genero e di certo questa brutta faccenda è conclusa. Perché non andare in gita per una visita alla famiglia di Hitachi?

Il Nord-Est

Arriva alla residenza di Hatori, nel distretto di Makabe. La base è grande, circondata da un muro in terra, abitata da numerosi vassalli e dipendenti assortiti. Yoshikane è lieto di ritrovare conoscenti e familiari. Sarà una bella riunione dopo tutto il dramma degli ultimi mesi!

Il nostro si è appena installato, quando un piantone arriva di corsa.

-Capo, sono arrivati!

-Ah, la famiglia intendi, vero?

-Heu… sì, si potrebbe dire così…

-Li aspettavo. Fai preparare un bel pranzetto-

-Capo, sono 1800! [fonte: Shōmonki]

-1800? All’anima, chi si è portato l’intera banda?

-Er… dice di essere tuo nipote Masakado…

Mai lasciare i nemici in vita.

Mentre Yoshikane preparava la scampagnata, Masakado ha raccattato i suoi e preparato una bella festa a sorpresa. Come un sol’uomo, assaltano la residenza e affogano la cinta in una pioggia di frecce. Contadini e artigiani, guerrieri, scribi, donne e bambini, vengono infilzati come puntaspilli. Poi Masakado e i suoi gagliardi compari sfondano le porte a cornate e sciamano all’interno in un’orgia di stupro, morte, budella sparpagliate e fuoco. Orti, frutteti, case, magazzini: tutto viene saccheggiato, bruciato, distrutto secondo la brutale logica dal X° secolo.

Yoshikane e una parte dei suoi uomini riescono a raccattar le sottane e scappare a gambe levate sulle montagne circostanti. Nascosti tra cinghiali e scoiattoli, nella fredda aria di fine autunno, guardano il fumo di quelle che fino al giorno prima erano le loro case.

Masakado dal canto suo si è tolto una soddisfazione. Ma non è abbastanza.

-Dobbiamo trovare Yoshikane e staccargli quella testa di cazzo una volta per tutte.

-Non è uno spreco di risorse?- Obietta uno dei suoi fratelli. -Gli abbiamo fatto un culo grosso come un canotto, magari è sufficiente.

-Ah, certo, perché io sono fesso abbastanza da lasciarlo vivo, più che altro! Mandate gli esploratori!

Gli esploratori ritornano dopo poco tempo: Yoshikane e i suoi si sono rifugiati sulle pendici del Monte Tsukuba.

-Oh bene.- Masakado si sfrega le mani. -Chi è in vena di un po’ di momijigari?

Il 13 del decimo mese Masakado incoccia nel nemico: un migliaio di uomini di Yoshikane si annida sulla collina Yubukuro, nei pressi del Monte Tsukuba.

Quella che segue, è una delle battaglie più ciofeca nella storia delle battaglie ciofeca.

Com’è andata? Oh beh…

Se crediamo allo Shōmonki, Masakado avrebbe optato, per una volta nella vita, di ingaggiar battaglia secondo il “protocollo”.

Tale protocollo non è definito nello Shōmonki, ma Kawajiri lo spiega basandosi su un altro esempio:

I due contendenti e compari si danno prima di tutto appuntamento in un luogo prestabilito (via lettera formale, perché tutto è più bello con la burocrazia).

In seguito, i due si piazzano a 100 metri di distanza e i capoccia si incontrano al centro per scambiarsi dichiarazioni di ostilità ufficiali. Qualcosa del tipo…

Egregio signor Tiziocaio,

con la presente le comunico la mia ufficiale intenzione di staccarle la testa con uno strumento affilato e defecarle poscia nell’esofago.

La ringrazio per la cortese attenzione e mi scuso per la sua imminente e violenta dipartita,

Sempre suo
Firma

Dopo questa formalità, i due si congedano (preferibilmente senza strapparsi i baffi a vicenda) e ritornano dietro le rispettive linee di mantelletti. Indi i due gruppi procedono a un simpatico scambio di frecce detto ya awase.

Se per disavventura nessuno dovesse morire (purtroppo a volte succede), le linee vengono avvicinate e le salve di frecce riprese, finché uno dei due campi non defunge.

Masakado non procede proprio in questo modo, ma prende la pena di mandare a suo zio una lettera ufficiale sul tono “Howdy pezzo di merda, sono venuto per stapparti gli occhi e sputarti nel cervello! Tally oh!”

Questo non era il modo normale di procedere (secondo l’antico adagio che avvertire il nemico del tuo imminente attacco è da Dodo) e non abbiamo altri esempi simili in questo conflitto. Perché quindi questa lettera?

Poesse che lo Shōmonki ci stia coglionando, o poesse che Masakado stesse semplicemente cercando di provocare lo zio.

Come abbiamo detto, l’inverno è alle porte, le giornate sono brevi e la notte fa un freddo buggerone con le rape. Nessuno vuole stare su questo cazzo di colle a lungo. Allo stesso tempo, nelle scale delle priorità di Yoshikane e soci, ammuffire in montagna è comunque passabile rispetto al farsi tritare da Masakado. Yoshikane è sulla difensiva, una posizione generalmente vantaggiosa.

Mandandogli una lettera di sfida Masakado spera forse di far leva sulla coda di paglia dello zio (e i guerrieri giapponesi hanno notoriamente una coda di paglia molto infiammabile) spingendolo a uscire allo scoperto.

Sfortunatamente per Masakado suo zio non è così tanto fesso, e si guarda bene dall’incontrare il nipote in campo aperto.

Guerriero in armatura dōmaru con naginata

Quindi come va a finire?

Si riassume facile: Masakado e Yoshikane, insieme ai compagnetti di merende, si girano intorno e si tirano pallette di carta per diversi giorni, senza mai compicciare niente. Nel frattempo, bruciano e saccheggiano nella zona perché hey, già che siamo costretti a far del campeggio, almeno riforniamoci bene.

Secondo lo Shōmonki, questa epica battaglia del colle Yubukuro avrebbe portato a una prematura fine la cifra straordinaria di 7 uomini.

Secondo Rabinovitch costoro sarebbero stati assassinati proditoriamente dai nemici, secondo Yanase erano ciucchi come macachi e si sono spacciati a clavate tra loro per l’ultimo orcio di grog. Il bello della storia giapponese è che, non solo entrambe le versioni sono perfettamente verosimili ed egualmente probabili, ma una teoria non esclude l’altra!

Roba molto costruttiva, insomma.

Altre vittime della guerra sono due bovi, che muoiono di indigestione quando qualche mentecatto ubriaco decide di nutrirli a botte di granaglie.

Probabilmente la scena andò così:

-Ohooo… ho un’idea!

-Un’altra?

-Sssshì! Hai presente come le mucche si gonfiano e petano quando magniano troppi semi?

-Aha…

-Allora noi rimpinziamo due bui.. buvi… buii…

-Buoi.

-Quelli! Li rimpinziamo di granaglie e poi li mandiamo nel bosco con una torcia nel culo e li facciamo esssshplodere e vacchiamo ‘sti figli di puttana a morte!

-Figo, dai!

In definitiva, i nostri sputtanano campi e orti della zona, pasteggiano a spese dei glebani locali e alla fine ritornano a casa senza aver compicciato nulla. For the win!

Il 5 dell’undicesimo mese, però, una novità arriva nella regione: un comunicato ufficiale della Corte!

Tolto il linguaggio fiorito, il messaggio è grosso modo:

Ok, banda di matti, abbiamo sentito dire che state ancora sul sentiero di guerra. Le loro celesti eccellenza hanno deciso che le tasse hanno da arriva’, quindi ‘sta situazione non può durare. Siccome sculo a parte Masakado pare il picchiaduro migliore e per corollario quello più difficile da spacciare, abbiamo stabilito che ha ragione lui. D’ora in poi ha la benedizione del Cielo se vuole scotennare suo zio o quell’altro tizio Minamoto Mamoru. E vediamo di risolvere ‘sto casino alla svelta che avreste anche un po’ rotto i coglioni con le vostre beghe familiari.

Tale eloquente comunicato viene indirizzato alle provincie di Musashi, Awa, Kazusa, Hitachi e Shimotsuke.

I funzionari provinciali la esaminano con preoccupazione.

-Che si fa? La Corte è la Corte…

-Sì, ma Mamoru ha amichetti dappertutto, Yoshikane è un ex-funzionario e uno degli uomini più potenti di Hitachi, e Sadamori ha più maniglie alla Capitale di… qualcosa con molte maniglie.

-Che facciamo allora?

-Facciamo come con i Testimoni di Geova: se Masakado viene a chiedere qualcosa, ci nascondiamo sotto la scrivania e fingiamo di essere morti!
-E se proprio insiste?

-Lo schiviamo con la scusa che dobbiamo eseguire l’importante Rituale della Testa nella Sabbia!

-Geniale!

Uno può immaginarlo: Masakado non resta proprio contento della resistenza passiva accampata dai funzionari. Prova a protestare, ma gli rispondono che se ha qualcosa da dire deve comporre un modulo di reclamo con carta da bollo da spedire con ricevuta di ritorno indi poi aspettare un intervallo tra i sei mesi e i sessant’anni. La paraculaggine dei burocrati non è la sola cosa che ostacola la giusta vendetta di Masakado: l’inverno è arrivato, e d’inverno non si combatte.
E la giostra continua: zio e nipote sempre in vita, sempre determinati a farsi a fettine l’un l’altro.

Nella prossima puntata: Hasetsukabe, ovvero “se sei un facchino di merda, stai al tuo posto e non impicciarti di scazzi tra guerrieri”.

MUSICA!

Prima puntata

Seconda puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata


Bibliografia

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira,Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

FUJIWARA Tadahira, Teishin kōki (Notes journalières de l’ère Teishin), Iwanami shōten, Tōkyō, 1956

KAWAJIRI Akio, Shōmonki wo yomu (Lire le Shōmonki), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2009

KAWAJIRI Akio, Taira Masakado no ran (La révolte de Taira Masakado), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2007

KAWAJIRI Akio, Yuregoku kizoku shakai (Une société aristocratique tremblante), Shōgakukan, Tōkyō, 2008; L’ère des zuryō

KITAYAMA Shigeo, Ōchi seiji shiron (Essai historique sur la politique de la Cour), Iwanami shōten, Tōkyō, 1970

In lingua occidentale

HERAIL Francine, La Cour et l’administration du Japon à l’époque de Heian, Genève, DROZ, 2006

HERAIL Francine, La Cour du Japon à l’époque de Heian, Hacette, Paris, 1995

HERAIL Francine, Gouverneurs de provinces et guerriers dans Les Histoire qui sont maintenant du passé, Institut des Hautes Etudes Japonaises, Paris, 2004

HERAIL, Francine, Aide-mémoire pour servir à l’étude de l’Histoire du Japon des origines à 1854, lieu de publication inconnu, date de publication inconnue

HALL John Whitney , Government and Local Power in Japan, 500 to 1700, Center for Japanese Studies Univesity of Michigan, 1999,

RABINOVITCH Judith N., Shōmonki, The story of Masakado’s Rebellion, Tōkyō, Monumenta Nipponica, Sophia University, 1986

PIGGOT Joan R., YOSHIDA Sanae, Teishin kōki, what did a Heian Regent do?, East Asia Program, Cornell University, Itacha, New York, 2008

FRIDAY Karl, Hired swords, Stanford University press, Stanford, 1992

FRIDAY Karl, The first samurai, John Wiley & Sons, Hoboken, 2008

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FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, Cambridge

BRYANT Anthony et MCBRIDE Angus, Early samurai, AD200-1500, n.35, Osprey publishing, Oxford, 1991

PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

The look of silence

Adi è un oculista, sta misurando la vista di un uomo anziano. Gli fabbricherà degli occhiali su misura, e lo farà gratis. In cambio, il vecchio ha accettato di parlare con lui davanti a una telecamera.

Il fratello maggiore di Adi è stato assassinato durante il genocidio in Indonesia. E’ stato arrestato, trascinato in mezzo al niente e preso a coltellate. E’ riuscito a scappare e tornare a casa. Ferito e senza via di fuga, non ha potuto fare altro che aspettare insieme ai genitori, aspettare che le squadre della morte tornassero a prenderlo e a finire il lavoro. Ha chiesto un ultimo caffé a sua madre, ma gli squadristi sono arrivati prima che potesse berlo.

Adi è nato due anni dopo. Non ha mai conosciuto suo fratello, ma è cresciuto col suo fantasma sulle spalle: ogni giorno sua madre racconta delle ultime ore del figlio, il ricordo è un chiodo fisso che la tormenta tutti i giorni da decenni.

Il vecchio che Adi sta esaminando è un membro delle squadre della morte che hanno torturato, pugnalato e affogato suo fratello maggiore.

Alcuni di voi conoscono il documentario The act of killing. Come spiegato nel mio precedente articolo sull’argomento, si tratta, a mio modesto parere, di uno dei migliori documentari mai realizzati nella storia del documentario. Le implicazioni politiche, storiche, tecniche e psicologiche sono tantissime e il film, al di là del suo interesse contingente, è uno sguardo sull’essere umano in generale e su ciò che significa uccidere. The act of killing è una storia universale che chiunque dovrebbe guardare.

Joshua Oppenheimer però non ha finito il suo lavoro: The act of killing non è che la prima metà della storia, ed è seguito da una seconda parte, The look of silence.

Genesi dei documentari, un breve riassunto

Alla tenera età di 26 anni, Oppenheimer cerca di realizzare un documentario su dei lavoratori indonesiani. I tizi sono costretti a maneggiare prodotti chimici molto simpatici che finiscono col dissolverti il fegato e farti morire di lunga e dolorosa agonia. I lavoratori cercano di sindacarsi, ma la cosa è più ardua di quanto possa sembrare.

Uno dei problemi maggiori è che questi lavoratori sono in buona parte discendenti delle vittime dell’eccidio ordinato da Suharto. Il governo indonesiano non ha mai riconosciuto nessuna colpa, anzi, l’organizzazione di paramilitari stragisti usata nella faccenda, Pancasila, è oggi in piena fioritura, ammanicata con generali, politici, funzionari, ecc.

In altri termini, immaginatevi di andare in gita a Berlino e trovare i nazisti ancora al potere.

Il primo progetto di Oppenheimer è quindi di fare un documentario sull’oppressione e l’ingiustizia di cui questi lavoratori sono vittime.

La faccenda non piace ai funzionari indonesiani, che lanciano una politica di intimidazione e rappresaglie fasciste, al punto che Oppenheimer deve sospendere la realizzazione per non mettere a repentaglio la vita di quelli che è venuto ad aiutare.

Che fare quindi?

Il problema viene preso per un altro verso: se Oppenheimer non può raccontare la storia delle vittime, forse può raccontare quella dei loro carnefici. Dopotutto questa gente è osannata dal Paese e gode dello status di celebrità locale.

Il piano funziona. Per anni Oppenheimer segue questi criminali di guerra, li riprende, li ascolta, documenta le loro sparate.

In The act of killing, Oppenheimer segue in particolare Anwar Congo, uno tra i più prolifici assassini di massa oggi in vita. Nel documentario, Anwar e compagni sono intervistati, e poi invitati a rivedere i filmati. La reazione degli assassini a quel punto è straordinaria.

Da The act of killing, Anwar Congo spiega i benefici della musicoterapia

In The look of silence, Oppenheimer va più lontano. In questa parte, i macellai di Pancasila non sono solo messi difronte alla loro stessa immagine, ma si trovano a parlare con una delle loro vittime.

Il documentario

In un’intervista a Vice, Oppenheimer spiega come, quando ha iniziato a lavorare con la gente della piantagione, una cosa lo avesse colpito in particolare. Non soltanto questa gente era ancora schiacciata da squadristi e piccoli capi-regime, ma l’intera comunità pareva incapace di parlare davvero di ciò che è successo negli anni ’60. Non era semplice paura delle rappresaglie. Questa gente era oppressa dal silenzio.

Molte delle persone uccise sotto Suharto erano semplicemente sparite, sgozzate e buttate in fiumi e canali. Le famiglie non avevano mai avuto un corpo da seppellire, un comunicato, niente. Questa gente era scomparsa nel nulla. Sopravvissuti e familiari non osavano quindi parlare di costoro come di morti perché, anche dopo decenni, persisteva un barlume di speranza che, in qualche modo e in qualche luogo, la persona fosse ancora in vita. In altre parole, non solo avevano perso amici e parenti, ma non erano mai stati capaci di fare il loro lutto, di superarlo.

Ancora oggi, la ferita non è richiusa, perché la storia non è mai stata conclusa.

Adi davanti alle interviste degli squadristi

C’è però un’eccezione: un uomo di nome Ramli. A differenza di molti altri, la morte di Ramli è confermata. Ci sono testimoni. Quindi di Ramli si può parlare, perché Ramli è morto davvero. I suoi assassini vivono ancora nello stesso villaggio, accanto alla sua famiglia.

Ramli è il fratello maggiore di Adi.

E’ Adi a proporre una collaborazione ad Oppenheimer: dopo aver visto le interviste fatte agli assassini, vuole incontrare questi uomini e parlare con loro. Vuole fronteggiarli. Spiega ad Oppenheimer che non vuole vendetta o rivalsa: quello che vuole è un’ammissione.

Questa gente ha vissuto per decenni nella stessa zona, sotto gli occhi di sua madre e di suo padre, come se non fosse successo niente. Davanti a Oppenheimer hanno raccontato le loro gesta ridendo e gesticolando. Per anni Adi ha seguito la creazione del documentario e guardato le interviste, ancora e ancora, interiorizzandole, digerendole, e nel 2012 finalmente sa cosa fare. La storia deve essere conclusa.

Adi vuole che questa gente ammetta la propria responsabilità per il crimine che hanno commesso. Vuole che riconosca le proprie azioni. E questo perché Adi vuole poterli perdonare, di modo che le generazioni future (Adi ha due figli) possano ricucire le ferite del paese e vivere uniti, non nel reciproco sospetto e timore.

D’acchito Oppenheimer non ne vuole sentir parlare: è troppo pericoloso. Dopo lunghe discussioni con Adi e la famiglia, tuttavia, cambia idea. Stabilito un modus operandi che riduca al massimo il rischio, l’avventura comincia.

Come in The act of killing, la reazione di questi squadristi è assolutamente affascinante.

Questa gente non rischia nulla: sono al potere, sono osannati dalla società, non corrono alcun tipo di pericolo e qualsiasi cosa dicano non ci saranno ripercussioni. Peraltro, questi uomini hanno già raccontato ad Oppenheimer di come hanno ucciso decine di persone. Cosa ci può esserci di tanto difficile, per gente simile, nell’ammettere l’uccisione di un singolo uomo?

Eppure, quando Adi li interroga, non uno di loro riesce ad ammettere “sì, è vero, ho partecipato, ho ucciso tuo fratello”. Tutti si ritirano. “Non ero davvero io il capo”, “non c’ero”, “non pensavo che pugnalarlo gli avrebbe fatto male”.

Adi parla con uno degli squadristi. Il tizio parta una maglietta con i colori di Pancasila.

Guerra e omicidio di massa sono sempre stati ricorrenti nella Storia e hanno contraddistinto tutte le società umane, da quando i primi Cromagnon cominciarono a sgozzare Mammuth. Tuttavia, c’è qualcosa di profondamente catartico nel momento in cui un uccisore, al di là di ogni contesto e contingenza, riconosce l’umanità di coloro che uccide.

Questo motivo è ricorrente in letteratura: da Ulisse che piange alla reggia dei Feaci ascoltando l’orrore del sacco di Troia, al guerriero Kumagai che esita a uccidere il giovane Atsumori sulla spiaggia di Suma, il combattente che interiorizza per la prima volta il dolore del proprio nemico è un topos rintracciabile in tutto il mondo e in tutte le epoche.

In letteratura occidentale, l’esempio classico più conosciuto viene dall’Iliade: si tratta del dialogo tra Achille e Priamo. In un poema che racconta della guerra in ogni suo aspetto (la gloria, l’orrore, le tante piccole tragedie senza senso, l’eroismo, la strategia, ecc.), il culmine della storia viene raggiunto quando Achille e Priamo sono riuniti nella tenda. Priamo bacia la mano dell’uomo che ha ucciso suo figlio, rinunciando a ogni risentimento. Achille piange, riconoscendo in Priamo la pena che suo padre Peleo dovrà subire (Achille sa che non tornerà mai vivo dalla guerra). Non c’era modo di evitare la morte di Ettore, non c’è modo di evitare quella di Achille, ma in quel momento i due uomini trovano pace.

Questa riconciliazione nel cordoglio, questa catarsi nel dolore, pur non ponendo fine al conflitto, pone fine alla storia: l’Iliade si conclude con i funerali di Ettore, l’”ira di Achille” è finalmente estinta.

Gli uomini intervistati da Oppenheimer non sono personaggi, sono macellai reali e non uno di loro ha il coraggio di assumere una responsabilità personale davanti a una delle sue vittime. Questi uomini non sono guerrieri, sono vigliacchi che la società ha armato e aizzato contro una minoranza.

Non c’è catarsi e non c’è riconciliazione.

Una nota positiva

The look of silence ha avuto un effetto notevole in Indonesia, dove il dibattito sul genocidio è finalmente tornato sulla tavola. Adi e la sua famiglia si sono dovuti trasferire e Oppenheimer non può più rimettere i piedi nel paese, ma nonostante Adi non sia riuscito a ottenere ciò che voleva, il silenzio delle vittime è finalmente stato spezzato. Adesso la bruttura dell’umanità è sullo schermo, alla portata di tutti.

Joshua Oppenheimer e Adi

C’è tantissimo altro in questo film che difficilmente può essere riassunto in un articolo. La varietà e la vastità degli elementi è straordinaria e ogniuno di essi merita attenzione.

Come The act of killing, questo documentario è un bellissimo esempio di cinematografia, e una storia sull’uomo e sulla società. E’ uno sguardo ravvicinato a ciò che di più pericoloso si nasconde nella razza umana: la banalità del male.

L’estetica è magnifica, il contenuto è straordinario, la narrazione eccellente. Come il precedente documentario, The look of silence ha vinto una valanga di premi, tutti meritatissimi.

E’ un bellissimo pezzo che straconsiglio. Guardatelo.

MUSICA!


Pagina wiki del documentario

Intevista di Oppenheimer a Vice

Dibattito pubblico a Berlino

Genpei 2.0: La morte di Kiyomori e l’alba della Seconda Fase

Bentornati in questi lidi di sconforto e mazzate nei denti. E’ ora di riprendere il nostro lungo e deprimente viaggio attraverso i terribili anni della Guerra di Genpei! Yay!

La volta scorsa avevamo lasciato i Taira in controllo della Capitale, i templi bruciati, e Yoritomo alla testa del neonato Bakufu di Kamakura.

Ma riprendiamo le fila ammodo.

Taira no Kiyomori tormentato dagli spettri del proprio passato, opera di Tsukioka Yoshitoshi

A cavallo tra il 1180 e il 1181, Taira no Kiyomori, Religioso Ministro e capo del clan, comincia a dar segni di ranticosa vecchiaia. Non gli resta tantissimo da campare, il clan sta per perdere la sua chiave di volta.

-Bon.- Fa Kiyomori. -Almeno ho stabilito la mia famiglia alla guida del Paese e dell’Impero.

-Sì, circa.- Nota la moglie. -Le regioni orientali sono in mano ai Minamoto e il Nord-Est è in mano ai Fujiwara di provincia, ma a parte questo siamo a cavallo.

-Ah, ma sono sicuro che le cose si aggiusteranno! Dopotutto abbiamo la Capitale, io sono nonno del nuovo imperatore, stiamo tranquilli. Yoritomo è solo un uomo dopotutto.

-A dire il vero si sono ribellati anche Takeda Nobuyoshi in Kai e Kiso Yoshinaka in Shinano.

-Ma sono parenti di Yoritomo. Una volta che incantoniamo Yoritomo-

-Si sono ribellati per cazzi loro. E poi Yoshinaka e Yoritomo si odiano. E Yoshinaka è un guerriero tostissimo.

-Vabé, ma intanto teniamo la regione centrale del Kinai, che è l’importante…

-Famiglie del clan Minamoto si sono ribellate anche in Mino e Owari. E Ōmi. Ōmi è così vicina che confina con Yamato.

-Boia come sei negativa! Almeno abbiamo la Capitale! Ora che abbiamo sbolognato tutti quei frati mentecatti la nostra posizione-

-Abbiamo bruciato i templi e ora l’aristocrazia ci odia più di prima, mentre il popolo pensa che ci siamo tirati addosso la sfiga degli dei. Ah, e i frati di Kumano nella provincia di Kii si sono messi a far casino a loro volta perché siamo degli indegni peccatori. E anche Kii confina con noi. Ōmi a nord e Kii a sud, siamo un sandwich di grane.

-Ōmi confina proprio per poco però, dai…

-Oh, hai ragione, parliamo del confine Ovest! I Genji di Kawachi si stanno agitando.

-A vabé, sai che c’è? Chi ha risorse ha armi e chi ha le armi vince. Visto che controlliamo i traffici via nave nel mare interno e col Continente non abbiamo di che preoccuparci, finché c’è commercio c’è speranza!

-Ah, non hai sentito le novità da Kyūshū? I Kikuchi si sono ribellati in Higo e hanno attaccato il Governo Militare.

-Occristo, dimmi che almeno in Shikoku si tengono calmi e non fanno danni…

-I Kōno si sono ribellati nella provincia di Iyo. Ah, e ti dice niente il nome Mareyoshi?

-Uh, fammi pensare…

-E’ il fratello minore di Yoritomo, in Tosa.

-Vabé, ammazziamolo a prescindere almeno quello è una preoccupazione in meno.

-Già fatto.

-Oh, bene!

-Male. I suoi vassalli sono scappati in Izu, da Yoritomo.

-Hai finito?

-Ci sarebbero voci sulle provincie di Settsu e Wakasa…

-Ma quanti cazzo di Genji ci sono in giro per il Paese?

-Escono dalle fottute pareti.

-Possano morire tutti ammazzati…

-Forse dovremmo cercare di ragionare da adulti invece di partire in quarta con fuoco, acciaio e sangue-

-GIAMMAI E MAIPOI, se la violenza non risolve un problema è perché non ne stai usando abbastanza!

In blu lo Yamato, in violetto le provincie principalmente toccate da infide attività sovversive

Insomma, i Taira hanno una mandria di gatte da pelare, e la priorità è mettere sotto controllo la Capitale e il Kinai.

Il settimo mese del quinto anno dell’era Jijō, i Taira mettono a punto un nuovo sistema militare capace di mantenere il controllo e la protezione della Capitale: lo Shōkanshoku.

Il capo dello Shōkanshoku è, de facto, un comandante militare avente autorità su tutti i guerrieri della zona e sulle istituzioni legate alla logistica. Alla testa del nuovo sistema viene messo Taira Munemori.

Munemori è figlio di Kiyomori. Suo fratello maggiore Shigemori era erede e figlio prediletto, ma un malanno provvidenziale lo stende nel ’79. Secondo alcune malelingue, Shigemori sarebbe morto di esaurimento nervoso dopo gli innumerevoli contrasti col padre sul come gestire la crisi. Pare che Shigemori avesse questa stupida idea di evitare una guerra civile. Bah.

Ad ogni modo, morto il noioso fratello maggiore, Munemori si ritrova erede del capofamiglia, e ora comandante in capo della forza militare del Kinai.

Questo bell’uomo è Taira no Munemori, dal pennello di Fujiwara Gōshin

E’ interessante notare come questo nuovo Shōkanshoku sia in rottura drastica con la realtà precedente del Kinai e si avvicini a ciò che sarà, di lì a pochi anni, il sistema shogunale. Secondo Uesugi, non è da escludere che Yoritomo stesso abbia preso ispirazione dallo Shōkanshoku per completare e perfezionare il Bakufu di Kamakura. In altre parole, lo Shōkan diventa per il Kinai ciò che lo shogunato sarebbe stato per il Giappone intero.

E’ interessante notare come forme di controllo simili siano state concepite allo stesso tempo da uomini nemici. Si può dire che Yoritomo sia stato il primo a comprendere la necessità rivoluzionaria di nuovi strumenti per la conservazione e l’esercizio del potere, e spesso viene detto che una delle ragioni del tracollo Taira è proprio la loro incapacità di immaginare strutture nuove. I Taira, a differenza dei Minamoto, si sarebbero inseriti nelle istituzioni di Corte, soppiantando l’antica aristocrazia civile, invece di creare qualcosa di originale adattato ai tempi e ai bisogni della classe guerriera. Questa critica è senza dubbio corretta. Ma è anche vero che i Taira non erano del tutto ciechi in questo settore, come lo dimostra lo Shōkanshoku.

Guerriero in armatura pesante parziale, con pugnale e due capocce negli appositi retini (sono trendy, smart, ecofriendly e prodotti da cooperativa equosolidale!)

Ultimata la riforma, i Taira si preparano a una nuova spedizione punitiva nel Bandō, sotto il comando diretto di Munemori. Poco prima della partenza, però, Kiyomori si ammala.

E’ l’inizio della primavera e Kiyomori, il primo guerriero a riuscire a scalare la piramide del potere e stabilirsi come uomo più potente del paese, è roso dalla febbre. Secondo lo Heike monogatari, il vecchio è incapace di inghiottire una goccia d’acqua e il suo corpo sprigiona il calore di un falò, al punto che la semplice vicinanza del malato è insopportabile per i comuni mortali.

Andarono ad attingere l’acqua della fonte di Senju sul monte Hiei e la versarono in un recipiente di pietra che gli fu posto sulla fronte per rinfrescarlo L’acqua si mise a fremere e in un istante bolliva. Sperando di dargli sollievo, dell’acqua fu versata su di lui. Quasi fosse stato di pietra o di ferro incandescente, l’acqua sfrigolava senza sfiorarlo. Quando per miracolo l’acqua riusciva a raggiungerlo, s’incendiava, e un fumo nero invadeva la residenza e si levava in volute di fiamme.

Secondo i redattori dello Heike monogatari (e senza dubbio secondo molti contemporanei), la maledizione sarebbe stata una conseguenza della blasfemia mostrata da Kiyomori nel bruciare i templi di Nara e nel distruggere il Grande Buddha.

Il 2 duel secondo mese, Kiyomori trovò il fiato di confidare alla moglie le sue ultime volontà.

Il solo rimpianto che ho, è di non aver visto la testa mozzata del condannato di Izu, del Luogotenente della Guardia Yoritomo. Quando sarà finita per me, che non sia costruito né santuario né torre, che non sia celebrato un servizio funebre! Che sia subito inviata una spedizione laggiù, che la testa di Yoritomo sia spiccata e che sia piantata davanti alla mia tomba! Ecco il servizio funebre che desidero!

Ah, mi ricorda mia nonna. Quella che morì dicendo alla nuora “sparisci di qui, brutta puttana”…

Kiyomori morì il 4, dopo una crisi convulsiva, a 64 anni.

Non si può dire che fosse morto di vecchiaia, piuttosto che il suo destino si era compiuto d’un tratto, di modo che i grandi scongiuri e gli scongiuri segreti rimasero vani, che la luce dei Buddha e degli Dei gli venne meno e che i Guardiani Celesti gli negarono protezione. Che potevano allora le forze umane? Miriadi di guerrieri che per fedeltà avrebbero sacrificato la loro vita per la sua sedevano in ranghi serrati vicini e lontani, ma non potevano respingere di un solo istante i demoni assassini dell’Impermanenza, invisibili ai loro occhi, contro i quali nessuna forza prevale.

[…]

Di quest’uomo, che aveva diffuso la propria gloria e il proprio nome su tutto l’Impero e imposto il proprio potere, il corpo, ridotto in fumo effimero, si era dissipato nel cielo della Capitale, e i suoi resti, appena più duraturi, erano tornati alla terra mischiati alla sabbia della spiaggia.

E’ la fine di un’era per i Taira, ma non hanno tempo di osservare il lutto: senza por tempo in mezzo, lanciano una spedizione punitiva contro i ribelli di Mino.

La spedizione comincia bene, con la rapida capitolazione della base di Gamakura, ma informatori avvertono della presenza di ribelli nella vicina provincia di Owari.

I Taira avanzano verso il confine di Owari, sul guado Sonomata, sul fiume Nagara. Questo fiume segna il confine tra Mino, Owari e Ise. E’ l punto di contatto tra l’Ovest e l’Est del paese, un nodo logistico fondamentale.

Il secondo mese, i due eserciti si avvicinano da una parte all’altra del Sonomata. Da un lato Shigemori e Koremori, dall’altro Minamoto Yukiie e Gien.

E’ il 10 del terzo mese, la notte cala sul fiume.

Secondo lo Engyōbon Heike monogatari, i Taira avrebbero avuto 30.000 cavalieri, contro 6.000 dei Minamoto. I Gyokuyō modera i termini specificando che i Minamoto non erano 6.00 (figuriamoci!), ma 5.000.

Ora, è chiaro che questi numeri son fuori d’ogni grazia (anche perché se ci fidiamo della struttura classica di una banda di guerra, 30.000 cavalieri significherebbero almeno 60.000 uomini in tutto, probabilmente molti di più, roba che nemmeno i cinesi). Quello che bisogna trarne è che i Taira sono in schiacciante superiorità numerica.

Come sa chi legge i Classici Militari, quando un uomo con Schiacciante Superiorità Numerica incontro un uomo senza Schiacciante Superiorità Numerica, il secondo (salvo eccezioni di cui parleremo) è un uomo morto. Oh, spoilers.

I Minamoto lo sanno. Cercano di ovviare con un attacco notturno a sorpresa, ma i Taira mangiano la foglia e li tritano.

Al di là dello svantaggio numerico, diversi fattori giocano contro i Genji.

Per cominciare, combattere a cavallo di un fiume non è una cosa agevole, né lo sarà mai (ricordiamo cosa successe ai Francesi, che pure avevano una tecnologia abissalmente superiore).

Inoltre pare che i due comandanti Minamoto fossero in competizione tra loro per chi fosse il duro più duro del contado, sputtanando del tutto coordinamento e catena di comando.

I Taira vincono a mani basse, raccattando quasi 400 teste trofeo.

I ribelli sono costretti a ripiegare, ritirandosi quietamente da Mikawa e Tōtōmi. I Taira vorrebbero braccarli, ma non hanno i mezzi di farlo: ridendo e scherzando, il raccolto si annuncia ‘nammerda per via del tempo di merda, e si prepara una delle carestie più tremende della Storia del Giappone. A malincuore, i Taira sono costretti a ritirarsi, lasciando l’Est in mano ai ribelli.

Anche perché l’Est non è l’unico problema: disordine e scontri stanno scoppiando ovunque, sempre più grandi, sempre più numerosi.

Bisogna rendersi conto che i guerrieri giapponesi hanno una spiccata tendenza all’odiarsi tra loro. Il timore della condanna della Corte è grosso modo l’unica cosa che trattiene le propensioni stragiste nei nostri emici.

Ovvio, con Kiyomori al Creatore e il potere dei Taira traballante, dispute private tra vicini e cugini divampano nell’intero Paese. La lotta per il potere di due grandi clan polarizza gli scazzi locali, precipitando l’Impero in uno stato di fermento quasi totale.

Tra la carestia incombente, i danni materiali, i dissapori politici e la scarsità di uomini e mezzo, la Guerra di Genpei entra in quella che Farris definisce la “seconda fase”: un braccio di ferro logorante in cui nessuno dei contendenti ha il fiato sufficiente a vincere, né il buonsenso necessario ad abbozzare.

Con tre anni e passa di guerra ancora da incignare, i guerrieri del Paese si preparano a dare il peggio di loro!

MUSICA!


Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Bibliografia

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, 2004, New York

ROYALL Tyler, The tale of the Heike, Viking, 2013, New York

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UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō

Vita da campo: Coudekerque-Branche 2016

Sabato

Foto d’epoca scattata dopo la poco nota battaglia di Legnate sul Groppo, dove un gruppo di Gallo-romani affiancò l’esercito napoleonico per combattere gli scoiattoli. Sulla destra, un ausiliario danese in borghese. (Foto di Nanette)

Mi sento come se ogni fibra del mio corpo fosse stata centrifugata.

Di solito il venerdì notte mi comporto da persona adulta e vado a letto presto, senza bere. A questo giro mi son distratta e ho dormito 3 ore appena. Non sarebbe tanto male se non fosse che dormo 3 ore da una decina di giorni per finire un lavoro…

Per fortuna la giornata è uggiosa e il campo è deserto. Posso covarmi la fatica.

Risiamo in quel di Dunkerque, per il mio campo preferito. Anche quest’anno i Cechi non sono venuti. Tagli alla cultura, fondi ridotti, et voilà, non puoi più permetterti di chiamare la compagnia strafica di Gustavo Adolfo. Sic transit gloria mundi.

I napoleonici in compenso sono venuti in forze. Il che è cosa buona perché puoi sempre contare sui napoleonici per qualche rissa multiepoca.

Ci sono anche i coloniali, i tizi del quindicesimo, il ventesimo secolo, il secondo impero…

E ci sono dei soldati della Wehrmacht. Devo ammettere che quando i loro ufficiali passano con le svastiche sulla giacchetta, mi sale un piccolo brivido.

Hide yo’ wife, hide yo’ kids! (Foto di Michel Langrenez)

E’ un campo sonnacchioso. Il tempo è stato così di merda che venerdì sera ci si è impantanata una delle macchine. Roba che s’arriva al parco e SBLORCH, imputtanata fino ai finestrini. Per fortuna gli yankees del ’39-’45 hanno i gipponi, sennò la si lasciava lì per gli archeologi del futuro.

Il pubblico è rado e poco interessato a noi poveri predoni scandinavi, ergo movimentiamo la vita col Gioco del Ciondolo.
Il Gioco del Ciondolo è una trovata di Bothvar per i nuovi membri: ti si mette al collo un cordino con una zampa di corvo; il tuo lavoro è tenerlo fino alla fine del campo, il lavoro del resto della compagnia è fregartelo. Se te lo fai fregare, paghi pegno.

A questo giro il corvo tocca a Lis. Non è cominciata bene. Venerdì sera gliel’ho già fregato io, mentre eravamo a bere nella tenda del centurione. E’ tutta questione di disinvoltura e polso…

Un’altra novità rispetto all’anno scorso, oltre all’assenza di pubblico e la gara del ciondolo, è il nuovo piano per lo Stato d’Emergenza. La Francia impone ‘sta roba da Novembre. Il lato antipatico è che non puoi fare un sacco di roba, il lato positivo è che sono riusciti ad arrestare un sacco di malvagi ecologisti. Perché fanculo i bombaroli, la radicalizzazione delle carceri, l’assenza di controllo in ghetti infami, quello che davvero angosciava noi parigini era il fatto che dietro un qualsiasi cantone poteva appostarsi un volontario di Greenpeace.

Quindi insomma, niente sfilata di 15 Km quest’anno, perché Al-Bagdadi potrebbe mandare qualcuno con un coltellaccio a cercare di sgozzare una carovana di gente corazzata come un tank, armata fino ai denti e con consolidata esperienza sportiva.

No, non sto scherzando.

La cosa non mi dispiace davvero: sono esausta e la schiena mi fa un male cane. Quindi buono, ci risparmiamo la Grande Marcia. Quello che non ci viene risparmiato è il discorso del sindaco.

Uno dei balocchi dei nostri amici ‘mmerigani (Foto di Nanette)

Di ritorno al campo, facciamo del nostro meglio per essere il più storicamente accurati possibile. Giusto per il principio, visto che non passa un’anima. C’è chi si mette a giocare al gioco del Re, ci si occupa della mangiogna, chi si allena in una piccola lizza. Tutto è così quieto che comincio a sperare che, magari, quest’anno non ci saranno feriti!
Ne approfitto per riposare. Mi avvolgo nel mantello e mi raggomitolo sulla paglia dietro la rastrelliera delle armi. Fa freddo, ma tanto se non dormi all’addiaccio non puoi davvero dire di aver vissuto il campo fino in fondo.

Il torpore mi sale addosso. Sono giorni che lavoro come un nordcoreano, ho un mal di schiena che mi uccide, un’orertta di riposo mi farà bene…

BAM

-MA PUTTANA L’EVA!

Qualcosa mi si è schiantato ‘ntelle stiene con la grazia di uno scooter lanciato contro un palo della luce. Emergo dal mantello incazzata come un gatto che ha scoperto i gavettoni. Un elmo. Qualche mentecatto ha preso un cazzo di elmo e me l’ha tirato tra le scapole!

-Oddio!- Il Fortunato e in piedi accanto allo stand, l’aria colpevole di un cane accanto a un divano sventrato. -Non ti avevo vista.

Prima volta in anni che mi concedo un pisolino pomeridiano, e messer Grigliata mi prende a elmate il groppone.

Nel pomeriggio qualche raro visitatore si fa coraggio. Raccatto le mie stanche ossa e mi metto al pezzo: spiegare i pezzi, far provare le armi ai bambini senza che s’infilzino a vicenda, rispondere a domande creative come “ma i cani esistevano al tempo dei vichinghi?”…

Il Fortunato si palesa. Mi chiedo se dopo le elmate sulla groppa vuole anche prendermi a cartoni nel viso, così, per sport. No. Vuole la mia armatura per passare l’Ordalia.

L’Ordalia è un’altra delle nostre buffe trovate (strettamente facoltativa): chi si sottomette all’Ordalia deve sfidare a duello gli altri membri dell’associazione, uno alla volta, fino a totalizzare 40 duelli di fila.
Perché?

La domanda che spinge le sorti dell’Umanità non è mai “perché”, ma “perché no?”.

Nel caso del Fortunato il “perché no” potrebbe essere che ha una pessima cera e da stamani pasteggia ad antidolorifici e stimolanti.

-Senti coso, sei sicuro di voler fare l’Ordalia oggi? Sei un rottame.

-Ma no, tranquilla, fidati!

Fidomi. E perché no? Stiamo parlando del baldo giovane che si è tuffato in un rogo incandescente e che manca poco affoga per voler inseguire un drakkar a nuoto.

Gli carico addosso la lamellare e mi lavo le mani della sua sorte.

Tempo una dozzina di duelli, non si sentono più botte e rintocchi.

Il Fortunato è scivolato sull’erba bagnata e si è dislocato un ginocchio.

I paramedici arrivano all’istante. Di solito non si allontanano mai troppo del nostro campo, perché siamo sempre noi a farci male. E’ antipatico da ammettere, ma è vero: per una ragione o per un’altra, ogni anno a Coudekerque succede un casino. L’anno scorso era una lancia in un occhio, due anni fa un compare che prendeva a cornate un trave, e via a rimontare. C’è una maledizione!

Legnate (Foto di Nanette)

La sera scende sul campo, il Fortunato torna cionco. E’ peccato che debba essere invalido, perché abbiamo grandi progetti per la notte.

Dopo cena ci armiamo, raccattiamo i romani e i galloromani, e sgattaioliamo di là dalla strada, nel campo post-1700. La notte è fredda, la nebbia affoga gli alberi, il cielo brilla la luna piena. E’ tempo di raid!

Le prime vittime sono i napoleonici. Le loro tende sono appena visibili nella foschia.

Ci schieriamo, un bel muro di scudi eterogenei, le armi in asta in seconda linea, quelli in leggero sui fianchi. Bothvar sguaina la spada.

-Al mio segnale, scatenate il LULZ!

Li vediamo correre a raccattare i loro moschetti. Ah, troppo tardi! Carichiamo nel buio. Spari e lampi di cartucce a salve. Alcuni di loro privano a bloccarci puntando i moschetti contro gli scudi. Nobile tentativo, dispiace quasi girargli intorno e saltar loro sul groppone. Mi azzuffo con uno di loro per prendergli il moschetto. Finiamo a terra nel casino generale, mi rialzo. Al diavolo, tientelo, meglio buttarsi nel match di spintoni col resto della banda…

Dal buio emerge il colbacco del compagno Roccia.

E’ un armadio dei sapeurs che di solito va in giro con un martello da fabbro. A questo giro è a mani nude. Ci carica. Acchiappa me e l’Ulf come se stesse facendo una bracciata di paglia, ci tira su di slancio manco fossimo due bimbetti e ci butta in un fosso. Mortacci sua. Ci riarrampichiamo sulla sponda che già la banda si sta rimettendo in moto.

Questo genere di raid ha un effetto valanga. Ripartiamo che siamo il doppio degli effettivi, armati di scudi, giavellotti spuntati, spade, accette, sciabole e moschetti. Peccato non poter portare anche il cannone!

Arriviamo al limitare della parte Prima e Seconda guerra mondiale. Non ci sono alberi qui, la luna piena illumina la nebbia di luce bluastra. Dei fantasmi neri attraversano di corsa il prato, il lampo di una fucilata a salve. Aha, sono in vena di giocare. Ma ormai siamo troppi. Passiamo sopra il loro campo senza fare distinzioni. Canadesi o crucchi, Grande Guerra o WWII, che tanto al buio son tutti uguali o quasi.

Frego un berretto a caso a un nemico mentre un gruppo di energumeni non meglio identificati conquista con le armi una gigantesca grigliata di salsicce e inizia a distribuirle tra urla di giubilo. Sotto un tendone brilla una luce elettrica, illumina divise americane. Ci precipitiamo di corsa verso di loro.

La nostra prima linea tonfa in terra con la grazia di un capodoglio spiaggiato.

-Reticolato! Girate intorno! Reticolato!

Sono solo cavi di nilon. Se fosse stato filo spinato davvero ora saremmo a sbrandare i paramedici.

Knock knock! (Foto di Nanette)

Ci pigiamo tutti sotto il telo. Siamo così tanti che riusciamo a stento a non darci gomitate nei denti. Certo, le armi non aiutano.

Gli yankees e alleati sono accoglienti, tirano fuori tre bottiglie di spumante e le buttano nel mucchio multiepoca. Chi non sta masticando salsicce bercia un assenso, gli altri berciano pure, inondando gli astanti di pezzi di maiale abbrustolito.

Un ufficiale del Primo Impero si arrampica sulla tavola, agguanta una bottiglia, sguaina la sciabola.

Vive l’Empereur!

La scapitozza con un elegante gesto del polso, blocca la fontana di spuma con la lama, passa la bottiglia in giro tra applausi e giubilo.

Uno yankee si arrampica a sua volta sul tavolo. Vuol far vedere che non è da meno. Sguaina una baionetta. Non elegante come la sciabola, ma ho già visto bottiglie stappate con un fluido fendente di sax, perché non la baionetta?

Primo colpo. Nulla. Secondo. La intacca. Riprova. Mi chiedo quanti torneranno al campo con schegge di vetro conficcate in faccia. In ogni caso, worth it!

All’ennesima la testa della bottiglia parte. Hooray!

Un canadese tira fuori un’altra fiasca. La brandisce con piglio deciso e l’accoltella senza esitazione. E’ la prima volta che vedo una bottiglia pugnalata a morte. Il vetro esplode in una pioggia di frammenti e bollicine. Tra gli incoraggiamenti generali, il tizio tracanna da ciò che resta del fiasco senza amputarsi le labbra sui bordi. Un miracolo.

Il bello del multiepoca (Foto di Michel Langrenez)

Il quindicesimo secolo è l’ultimo campo in cui trasciniamo le nostre carcasse. Le loro tende sono buie, nessuno in giro. Sono già a gallina. Una sola figura ci aspetta, immobile. Una vecchina con la cuffietta bianca, appoggiata a un bastone poco più alto di lei.

-Non dovreste far così tanto rumore.- Ci rimprovera. -I bambini dormono. Andate a nanna o vi faccio il didietro a strisce.

Le risponde un coro di rutti.

La vecchia impugna un bastone. Scrosci di risate. La vecchia mulina.

Hal è il primo a cadere con un guaito, altri si tuffano ai ripari, la vecchia indemoniata si butta nel mucchio seminando morte e distruzione. Hell hath no fury like that of a pissed off grandma.

Vicini di campo. Si può sempre contare su di loro per un’emergenza goliardica. (Foto di Michel Langrenez)

Non c’è niente di meglio che un fracco di legnate per calmare gli esagitati.

Gli spiriti si quietano, la banda si disperde. Il silenzio torna sul campo. E’ stato un bel raid. Ora latrine, e poi nanna.

Sulla via per i cessi, incrociamo un manipolo di crucchi. I loro elmetti a tartaruga sono inconfondibili anche al buio. Ci fermiamo a far due chiacchiere. Lis chiede a uno se può farle il saluto battendo i tacchi. Il tizio esegue. Che cortese. Ci separiamo.

Mi incammino con Lis. Si è fatta fregare la zampa un’altra volta durante la giornata e ora la tiene in pugno in continuazione.

-Deve essere figo fare ricostituzione crucca.

Io esito. Sì, deve essere figo, ma io non potrei mai farla. Per carità, so benissimo che ricostituzione e simpatie politiche non vanno necessariamente insieme, ma ho paura che gli spettri dei bisnonni vengano a tirarmi per i piedi se provo a mettere un’uniforme tedesca…

Usciamo dalle latrine. La notte è fresca e tranquilla. Lis tene la zampa di corvo nel pugno chiuso.

-Secondo te dove stavano andando?

Non lo so, non ci ho nemmeno pensato. Però è vero che avevano i fucili… E gli elmetti…. E stavano andando verso il nostro campo….

Urla e frastuono di gente che corre sull’asfalto. I crucchi emergono al galoppo lanciato dal buio. Uno in testa si volta indietro verso gli altri.

-Correte! Cristiddio, correte!

Ci sfrecciano accanto come saette. Dietro di loro, sempre al galoppo lanciato, Harald, una montagna di carne, ossa e furia omicida, armato di scudo romano e giavellotto. E dietro di lui Bothvar.. E tutto il resto della squadra, ovvero una banda di vichinghi e romani ubriachi.

Un altro grande giorno per la razza superiore.

Ci uniamo all’inseguimento e raggiungiamo i crucchi al bunker dove dormono. Entriamo. E’ stretto, soffocante. Un energumeno della prima guerra mondiale sbarra la strada alla stanza più interna. Sto per dirgli di scansare le sue chiappe teutoniche che i vichinghi reclamano birra, quando qualcuno scende le scale di corsa alle mie spalle e mi spintona avanti. Inconfondibile charme bavarese. E’ uno dei crucchi con l’elmetto. Ha un fucile.

Lo afferro con ambo le mani. Il tizio si mette a ridere, cerca di spingermi via, ma non sa che io ho l’istinto di sopravvivenza di un lemming, porello. Quando non mollo la presa, mi spinge contro il muro. Con la coda dell’occhio vedo l’altro energumeno avvicinarsi con una Luger. Aha, divertente.

Infilo il gomito tra il fucile e il petto del crucco, strattono la canna, tiro il grilletto.

Un mesto click. Tutte le loro armi sono demilitarzzate, non possono spararci nemmeno a salve. Guardo il golem in corridoio.

-Saresti stato così tanto morto, coso!

-Kartoffel kapput volkswagen!

-Come no.

Finiamo per ritrovarci tutti nella stanza più interna. Hanno una foto di Himmler, una bandiera nazista, delle uniformi. Tutto ciò mi mette un pochino a disagio. Lis invece è entusiasta, da brava comunista.

-E’ tutto bellissimo!- Sfiora una divisa da capitano. -La posso provare? Posso?

L’accontentano. Mi guarda con un sorrisone felice, le mani in tasca.

-Come mi sta?

La guardo. Sorrido. Le sfilo la collana di corvo dal collo. Disinvoltura gente, disinvoltura. I miei compagni esultano. Lei mi guarda sconvolta e tradita. La prossima volta impari a farmi certe domande. Uscendo un kraut mi dà una pacca sulla spalla.

-Gute nacht!

-Shalom!

Domenica

“Bastards! I hate them with their long tails and their stupid twitchy noses!!” (cit.) (Foto di Michel Langrenez)

Il pubblico sciama attraverso il campo. Mi fa strano. E’ stato così deserto il sabato che cominciavo a pensare fosse un campo off.

C’è una prestazione nella grande lizza oggi, ma io ho un mal di schiena che piango, e lascio perdere. Dovrò tornare dalla conciaossa a farmi raddirizzare, che mi pare ci avere delle viti autofilettanti nelle vertebre del colllo. Approfitto per sobbarcarmi la corvée sgrassaroba. Calderoni e secchi tendono a coprirsi di una loia invereconda, e le uniche cose storicamente accettabili che possono farci qualcosa sono cenere, una buona striglia e olio di gomiti. Lis va e viene a prendermi dell’acqua, mentre io peggioro il mio mal di schiena per il bene e la profilassi del gruppo.

In uno dei viaggi la vedo tornare con un bottiglione d’acqua su un braccio e il figlioletto del capo sull’altro. Alle sue spalle Ulf si avvicina furtivo. Vuole fregarle il ciondolo. Sarebbe la sesta volta che se lo fa fottere, e il campo non è ancora finito. Il record finora è di nove furti su due giorni. Il campione aveva pagato pegno correndo in un campo inseguito da una banda di compari armati di frecce e giavellotti. Alla fine della giostra il povero diavolo aveva perso le scarpe nell’erba alta.

Lis ormai si avvicina al record, riusciremo a superarlo? Ma soprattutto, quando Ulf agguanterà il ciondolo, Lis lascerà cadere la bottiglia o il bimbetto?

Ulf afferra il cordino, tira. Lis torce la testa, acchiappa la collana coi denti. Un buon riflesso. Il bambino del capo è salvo. La complimentiamo con un applauso. Lei sorride fiera per un istante. Il suo sorriso evapora. Sputa il cordino. E’ un laccio di lana, molto assorbente. E’ stato al collo sudato di una mezza dozzina di membri.

-Occristo.- Lis sta diventando verde. -Sa di pecora putrefatta…

Le offro un sorso di vodka di consolazione.

Più tardi nel pomeriggio è l’ora della penitenza per Lis. L’idea è farla correre in armatura attraverso un percorso dove sono disseminate imboscate, e farla combattere ad ultimo contro tre dei ragazzi.

Per rendere la cosa interessante, Bothvar ha di nuovo fatto appello ai romani. Le tuniche rosse non sono molto discrete nel fogliame, ma si nascondono al meglio. Appena Lis si avvicina, da una parte all’altra cominciano a tirarle giavellotti, pezzi di legno, teste mozzate, ciabatte, la nonna in sedia a dondolo.

Dimostrazione napoleonica. E niente, i napoleonici spakkano. (Foto di Michel Langrenez)

Coudekerque è stato un bellissimo campo, come al solito. E ora finalmente l’estate è agli sgoccioli. La stagione è finita, resta solo da rimettere in sesto il materiale e riposare le stanche ossa fino alla primavera prossima!
MUSICA!

Foto di Nanette e Michel Langrenez. Invito ancora a seguirli, pubblicano foto bellissime!

The Frisco kid

Il 29 agosto è morto Jerome Silberman, in arte Gene Wilder.

Per certe povere anime Gene era “il tizio dei meme”

Gene è stato un attore di chiara fama e uno dei più importanti attori comici giudei. Il mondo lo ha ricordato citando i suoi ruoli più conosciuti, come l’iconico Willy Wonka nel film Willy Wonka & the chocolate factory del ’71, o il giovane Victor Frankentsein (leggesi Fran-ken-steen) in Young Frankenstein nel ’74.

Gene Wilder è stato un attore straordinario, con un’energia, una mimica e una sottilità uniche. Oggi voglio ricordarlo parlando di un film meno conosciuto ma a parer mio particolarmente significativo per quel che riguarda Wilder: The Frisco Kid.

The Frisco kid


Nel 1850, Avram Belinski viene scelto per diventare il rabbino della nascente comunità ebraica di San Francisco (“Frisco”). Avram lascia quindi la campagna polacca e si ritrova allo sbaraglio negli Stati Uniti, dove viene prontamente raggirato, massacrato di botte e abbandonato in mezzo al niente.

Rimasto a piedi con la sua Torah, Avram comincia un fortunoso viaggio in un continente esotico e sconosciuto. Il nostro incrocia la strada di un rapinatore di banche (Harrison Ford), che prende lo sprovveduto rabbino in simpatia e lo guida (o si fa trascinare) in un lungo periplo attraverso montagne, deserti, indiani, frati trappisti e quant’altro.

Il film avrebbe tutti i numeri per essere un successo: l’idea del “pesce fuor d’acqua” è un classico ricorrente ma può essere realizzata bene, e le avventure tragicomiche di un rabbino polacco nel selvaggio West offrono un sacco di buone occasioni.

Gli attori sono tutti bravi, a cominciare dal duo protagonista: Harrison Ford, fresco di Star Wars, ritrova il ruolo del delinquente duro ma di buon cuore, e Gene Wilder, uno dei migliori attori comici di tutti i tempi.

Il regista scelto era anche promettente:  Robert Aldrich è il realizzatore che ci ha portato classici come The dirty dozen (1967) o The longest yard (1974).

Tuttavia il film non ebbe particolare successo né fu apprezzato dalla critica. Tutt’ora, è uno dei film meno conosciuti di Wilder. Ed è strano, perché il rabbino askenazi dovrebbe essere considerato come il suo ruolo iconico per eccellenza!

The Frisco kid è a parer mio un film gravemente sottovalutato, ma devo ammettere che le critiche negative che ha ricevuto non sono proprio immeritate. The Frisco kid ha pregi e difetti.

“Io ho letto questo libro. Non ho capito una sola parola.”

Il primo pregio del film è il protagonista: Avram Belinski è un personaggio adorabile. Si tratta di un uomo semplice, ottimista e ingenuo, scaricato senza riguardi in una terra pericolosa e spietata. Belinski non ha la minima idea di cosa lo attende quando parte, né ce l’ha il capo rabbino. Nel primo dialogo che hanno a proposito del suo viaggio in America, Avram chiede dove sia San Francisco e il capo rabbino gli risponde: “By New York”.

Come no, proprio accanto.

Nonostante le disavventure, Avram mantiene la propria gentilezza d’animo e il proprio senso di meraviglia per le novità che incontra. La recitazione impeccabile di Wilder rende perfettamente il personaggio ed è difficile non provare simpatia per il povero diavolo.

La grande forza del film è però anche una delle debolezze: l’evoluzione del personaggio di Avram è sbilanciata tutta sulla fine. Il clou della sua crescita è precipitato nell’ultima mezz’ora di film, in cui Avram si rende conto che, nel suo rispetto per le regole religiose, ha perso di vista ciò che davvero conta nella vita (“I choose a piece of paper instead of you”). Come può essere un buon rabbino in queste condizioni?

E’ un buon dilemma, peccato che sia scatenato e risolto in un paio di dialoghi alla fine del film.

Ma parliamo di Harrison Ford: il suo personaggio è visto è rivisto, il bandito di buon cuore Tommy Lillard. La mancanza di originalità è di per sé problematica, ma quello che affossa Tommy è soprattutto la mancanza di caratterizzazione.

Pur avendo buone battute, Tommy non è un personaggio molto curato. Lo vediamo come delinquente, e nella scena dopo viene in aiuto ad Avram, senza particolare ragione a parte il fatto che il rabbino pazzo gli rimane simpatico. L’intento era senza dubbio di mostrare come la compagnia di Avram riesca ad addomesticare un incallito criminale e riportare alla luce il buono che c’è in lui, ma la faccenda non è curata con attenzione ai dettagli e Tommy Lillard resta un personaggio dimenticabile, simile a tutta la pletora di “criminali buoni” visti in narrativa prima e dopo di lui.

Il film alterna anche momenti eccellenti con momenti superflui. Un esempio può essere la parte sugli indiani, in cui Avram cerca di spiegare che il suo Dio è onnipotente ma non fa venire a piovere (tranne quando cambia idea). Il dialogo è seguito da una scena di danza ben trovata, ma fin troppo lunga.

La sosta al monastero trappista è, da un punto di vista narrativo, del tutto inutile. Da un punto di vista comico però le scene in cui Avram deve sforzarsi di stare zitto sono deliziose.

Gene Wilder e Harrison Ford in kippah. You’re welcome.

Nell’insieme, The Frisco kid ha diversi difetti, ma anche tanti pregi. Nonostante le debolezze, è un film molto divertente, e uno dei film più giudei che abbia avuto occasione di guardare. The Frisco kid non è un western, è una commedia ebraica ambientata nel West, recitata dal miglior attore comico del cinema ebraico occidentale.

L’ingenuità e l’onestà del rabbino lo rendono un personaggio buffo e triste, ottimista e tragico. Lo sprovveduto inerme che mantiene il proprio ottimismo in barba alla sofferenza è un personaggio ricorrente della narrativa ebraica, e un personaggio che può avere risonanza con chiunque.

L’”arco” della storia non è ben equilibrato  
Il personaggio di Ford, indispensabile nella storia, non è curato nel dettaglio né approfondito  
La trama  
Gene Wilder  
Il personaggio di Avram Belinski  
La sceneggiatura  

 

The Frisco kid non è un film perfetto e avrebbe potuto essere migliore, ma resta una commedia assolutamente deliziosa e squisitamente yiddish, consigliatissima.

MUSICA!

Per chi vuole altre letture:

La pagina wiki del film

Un articolo sull’argomento