Di scheletri e gente morta male: History cold case

In ricorrenza della simpatica Festa dei Morti, ho deciso consigliare qualcosa che combini gente mortamale, ricerca storica e pedanteria accademica. E quando si parla di pedanteria, si può sempre contare sull’Inghilterra!

History cold case

History cold case è una serie in due stagioni che passata in tv tra il 2010 e il 2011.

Il concetto è semplice: applicare i mezzi della medicina forense attuale ai resti di gente morta illo tempore.

Un’analisi dettagliata e completa del cadavere richiede un notevole investimento in risorse, e spesso la descrizione degli scheletri è relativamente sommaria. Basti pensare che fino a un paio di decenni fa molti scheletri erano identificati come maschi o femmine in base al corredo funebre, metodo raffazzonato che ci ha fatto prendere non poche cantonate.

Lo studio completo della salma è di solito riservato a defunti importanti: ad esempio, qualche anno fa un team diretto dal Professor Fornaciari dell’Università di Pisa ha analizzato la mummia di Cangrande della Scala, determinando che il prode ghibellino è stato spacciato da un infuso risolutivo corretto alla digitale.

Benvenuto a Treviso, che ne dice di una tipica tisana locale?

La serie History cold case segue un protocollo simile, occupandosi però di morti senza nome, pescati da varie epoche, dall’Età del Bronzo all’Epoca Vittoriana.

Il team

Sue Black

Sue Black dirige la squadra di ricerca. La nostra è antropologa e professoressa di Anatomia ed Archeologia forense all’università di Dundee. L’identificazione a partire dallo scheletro fu la sua tesi di dottorato nel 1986.

Per più di 10 anni Black ha lavorato in qualità di antropologa nell’identificazione dei morti, sia all’ospedale St. Thomas di Londra che in zone di conflitto come il Kosovo o l’Iraq. La nostra ha partecipato anche allo sforzo internazionale di identificazione delle vittime in Thailandia, dopo lo tsunami del 2004.

Black ha diretto per un periodo il Center of Anatomy and Human Identification (CAHID) dell’Università di Dundee, ma si occupa anche di gente viva: nel 2014 la nostra contribuisce all’identificazione delle mani di un uomo riprese in un video pedopornografico.

Insomma, cosa non c’è da apprezzare in Sue Black?

Xanthé Mallett

Segue Xanthé Mallet.

Anche lei antropologa forense e specializzata in biometrica del cranio e identificazione delle mani, senior lecturer all’Università di Newcastle in Australia.

La nostra comincia la sua carriera accademica con una laurea in Archeologia a Bradford, per poi orientarsi sull’Antropologia con un Master a Cambridge e un dottorato a Sheffield.

Per 5 anni ha lavorato al CAHID di Dundee, università presso cui è stata anche professore in Antropologia.

Caroline Wilkinson

caroline

Caroline Wilkinson

Terza e ultima antropologa del gruppo è Caroline Wilkinson, dottorata all’Università di Manchester, collaboratrice del CAHID ed esperta in ricostruzioni facciali.

La nostra ha ricreato la faccia di noti defunti come Riccardo III d’Inghilterra o Roberto I di Scozia.

Nel 2012 ha ricevuto una medaglia dalla Royal Photographic Society per il suo contributo al miglioramento della fotografia medica.

 

Wolfram Meier-Augustein

Wolfram Meier-Augustein

L’ultimo membro fisso del gruppo è anche quello col nome più metal, Wolfram Meier-Augustein. Il nostro ha un dottorato in Scienze naturali della Ruprecht-Karl University di Heidelberg, è un esperto forense per la National Crime Agency e professore alla Robert Gordon University di Aberdeen. Dal 2010 al 2014 è stato direttore del Forensic Isotope Ratio Mass Spectrometry Network ed è stato membro della British Association for Human Identification.

E’ stato consulente in diversi casi di cronaca nera, dove ha contribuito ad identificare parti umane. Ha partecipato anche nelle indagini del famigerato caso delle sorelle Mulhall, due irlandesi che uccisero a coltellate e martellate il fidanzato della madre, per poi farlo a pezzi.

I casi

History cold case non è una lunga serie: ci sono solo due stagioni, ognuna delle quali ha 4 episodi di circa un’ora.

Ogni volta, il gruppo prende in esame un caso del passato (con una o più vittime) che presenti un qualche tipo di peculiarità.

I resti sono quindi studiati come se si trattasse di vittime contemporanee.

Mentre parte del team studia il cadavere (o i cadaveri), altri membri si occupano di completare il contesto storico con l’aiuto occasionale di altri ricercatori, reenactors e storiografi.

Mentre l’indagine va avanti, la Wilkinson si adopera a ricostruire il viso della vittima, di modo da restituire un’apparenza umana all’individuo.

Alla fine dell’episodio, il gruppo presenta il resoconto di ciò che sono riusciti a trovare (che può essere un sacco di roba o molto poco), le possibili circostanze della morte, e il ritratto del defunto.

Oltre alla ricerca dell’identità del morto, l’indagine offre anche uno spunto per parlare del periodo storico o di particolari fenomeni legati al morto, come i ladri di corpi dell’Inghilterra ottocentesca, le persecuzioni antisemite o i sacrifici umani dell’Età del Bronzo.

Uno dei casi porta sullo scheletro di una donna seppellito in una posizione bizzrra con non uno, non due, ma TRE infanti disseminati addosso

Spesso in questo genere di documentari si cerca di aggiungere una spolverata di suspence e dramma, qualcosa che tenga agganciato lo spettatore distratto.

Nella fattispecie questo aspetto è molto discreto, e non si sconfina mai in roba ridicola tipo reenactment del fattaccio o altre boiate atroci del genere (molto comuni nella “documentaristica forense” da pizza e divano).

Il contesto storico è di solito sommario, ma l’inusuale dipartita del soggetto di studio permette spesso di avere un ragguaglio su aspetti poco noti.

Nella seconda puntata della seconda serie, ad esempio, il gruppo della Black si occupa di una fossa comune trovata subito fuori dalle mura di York e contente 113 corpi, probabilmente legati all’assedio del 1644.

I nostri studiano in particolare 2 scheletri che presentano una rara malattia genetica che calcifica e deforma le ossa. Al di là del contesto storico, l’episodio mostra che portatori di handicap (anche gravi) erano presenti negli eserciti del periodo.

Immaginate domani una serie tv che racconta la storia di un portatore di handicap all’assedio di York.

Posso già sentire i lamenti e le lagne dell’Uomo del Bar: “ecco questi social justice warriors che impestano la Storia con le loro cazzate con gli handicappati in guerra!”

La prima puntata della prima serie parla dell’Uomo di Ipswich, lo scheletro di un maschio adulto di origine africana risalente al XIII° secolo.

Di nuovo, le sentite le lagne dell’Uomo del Bar sulle femministe che vogliono inquinare il passato bianco dell’Inghilterra?

O gli strilli dello Storiografo di Facebook che afferma con totale sicurezza che l’Europa del 1200 era isolata e stagnante?

Il punto è che la Storia è molto più complessa di quanto siamo portati a pensare dopo uno studio superficiale. Serie come questa sono un piccolo contributo nel demolire i luoghi comuni.

Parlando di luoghi comuni, un esempio è l’episodio 2 della prima serie, in cui la Black analizza la mummia di un bambino. La nostra lancia una serie di ipotesi sul background del fanciullo, ipotesi ragionevoli ma che si rivelano del tutto errate dopo uno studio approfondito. Questo mostra come un bais iniziale, se non verificato in modo rigoroso, può portare a conclusioni del tutto false.

Per un lungo periodo gli archeologi hanno catalogato il sesso del morto in base al corredo: armi->uomo / gioiellii->donna. A quanto pare è stato un errore in diversi casi, perché la costruzione dell’identità di genere nella morte è una roba particolare che non segue lo stereotipo di conserva insito nella gran parte di noi.
Di questo libro parlerò con calma in altra sede, ma intanto lo consiglio.

Insomma, History cold case è un prodotto per la televisione che deve catturare l’attenzione non solo dell’appassionato, ma anche dello spettatore medio. Pertanto lo stile e il modo in cui la serie è realizzata a volte urtano un pochettino la mia acuta sensiibilità di “maestrina laureata al classico” (cit.), ma questo non porta serio danno all’investigazione stessa, che resta ben fatta per il medium scelto (un episodio da 57 minuti).

Nell’insieme è una buona serie, divertente e interessante senza aver la pretesa di creare qualcosa di davvero rivoluzionario. E’ un peccato che si siano fermati dopo 8 episodi: è il genere di roba che presenta infiniti spunti, e mi farebbe piacere vedere altri documentari del genere, magari non limitati alla sola Inghilterra.

Idea di base
Team di ricerca
Soggetti
Format

In conclusione, History cold case è un buon prodotto, basato su una buona premessa e che offre molti spunti di studio. Plus, l’ultima volta che ho guardato lo si trovava tutto in modo diversamente legale su YouTube. La Fortezza gli concede quindi un bel seal of approval.

MUSICA!


IMDb della serie

Pagina wiki di Sue Black

Pagina wiki di Xanthé Mallett

Pagina wiki di Caroline Wilkinson

Pagina wiki di Wolfram Meier-Augustein

The Handmaid’s Tale: m’è garbato ma c’ho da ridire lo stesso

Nei mesi in cui sono stata fantasma, pare che un paio di persone abbiano effettivamente sentito la mancanza del blog.

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Eh, non me lo spiego nemmeno io, ma il mondo è bello perché è vario.

Quindi mi accingo a punire costoro con ciò che meritano: la mia indispensabile opinione su robe che passano in TV!

The Handmaid’s tale – la serie

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Un briciolo di contesto

The Handmaid’s tale, tradotto in italiano con La storia dell’ancella, è una serie uscita su Hulu, tratta dall’omonimo libro di Margaret Atwood.

Uscito nel 1985, The Handmaid’s tale è un romanzo distopico che esplora le conseguenze del potere volto a preservare se stesso . L’elemento portato alle estreme conseguenze qui è il potere patriarcale, in particolare il patriarcato di stampo fondamentalista cristiano.

In un futuro non troppo remoto, la fertilità degli esseri umani crolla. Un attentato terroristico spaccia la gran parte del parlamento statunitense e un gruppo fondamentalista chiamato Sons of Jacob prende il controllo del paese. Ribattezzati Gilead, gli Stati Uniti vengono trasformati in una dittatura puritana.

Le donne sono quelle che perdono più diritti sotto il nuovo regime: non possono più scegliere, divorziare, abortire, possedere beni o anche solo leggere. Le loro funzioni sono strettamente limitate. Le Wives sono le mogli dell’élite, amministrano le loro case e vestono in blu. Le Marthas sono domestiche e vestono in verde. Le Econowives vestono abiti a strisce colorate ed esercitano tutti i compiti muliebri per le classi subalterne, a cui sono assegnate come ricompensa.

Una branca a parte è dedicata alle donne fertili ma immorali (donne che sono state promiscue, divorziate o che hanno tenuto altri comportamenti poco biblici), che sono ridotte in schiavitù e costrette a concepire figli per l’élite. Queste sono le ancelle: vestono in rosso e sono assegnate alle famiglie dei Comandanti. Una volta al mese il marito stupra l’ancella in un balordo rituale in cui la moglie regge ferma la disgraziata.

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Nell’eventuale necessità di un atto sessuale, è necessario fare in modo che nessuno si diverta!

Una volta sgravato il pargolo, l’ancella lo allatta fino allo svezzamento e poi passa a una nuova famiglia. In tutto ciò, le ancelle prendono il nome del proprietario di turno (tipo Offred, impiegata da Fred Waterford, “of Fred”) e sono controllate e indottrinate da delle “zie” (Aunts), che vestono marrone e si preoccupano di applicare le draconiane leggi di Gilead.

Nel libro, un’ancella di nome Offred racconta via delle cassette la propria vita, com’era prima del colpo di stato, l’indottrinamento, e infine la sua esistenza in Gilead. Attraverso il punto di vista di Offred, possiamo esplorare le contraddizioni, l’ipocrisia e la crudeltà insita dell’ideologia patriarcale, come anche i metodi repressivi e propagandistici usati dai dirigenti per mantenere il controllo sulla popolazione.

La serie

Immagine correlata

Parte del successo della serie è PROBABILMENTE legato al clima politico in America

La prima serie di The Handmaid’s tale ha aperto col botto nell’aprile del 2017 e ha ricevuto applausi pressoché universali, portandosi a casa un sacco di premi, tra cui diversi Emmys e un Golden Globe per miglior serie tv nella categoria drammatica.

Prova del famoso complotto nazifemminista volto a sterminare i maschi vincendo premi tv, ovviamente.

Anche il pubblico però sembra aver apprezzato, con un 95% Su Rotten Tomatoes.

Una serie acclamata dai critici, diretta in buona parte da donne e con sottotono femminista. Ma vi pare che non la guardavo?

Prima di cominciare è opportuno specificare: ho letto molto a proposito questo libro, ma non ho letto ancora il libro stesso, quindi il mio commento porta soprattutto sulla serie tv.

Serie tv su cui, ovviamente, ho da ridire.

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We are not amused

Il primo problema che ho con la serie (e col libro, di conserva) è la faccenda del calo della natalità.

All’interno del genere distopico, l’improvviso crollo della fertilità è ricorrente, ne sono un esempio storie come When she woke o The children of Men. L’idea che la razza umana appassisca lentamente è piuttosto attraente per la sottoscritta, ma al di là della sete di estinzione della Tenger, questo elemento è strutturalmente problematico qui.

L’infertilità generale è uno degli elementi decisivi nella genesi di Gilead (la sopravvivenza dell’Umanità è in gioco!) e nella vita dei personaggi (un personaggio commette un “reato” punibile con la morte, ma essendo una donna fertile viene risparmiata).

Ora, una distopia è un esercizio nel portare alle estreme conseguenze elementi reali. In altre parole, è un “avvertimento” contro cose che esistono. Per esempio, il pensiero unico e la sorveglianza capillare insiti nel regime comunista russo sono ciò che ha favorito l’ascesa e il mantenimento dello stalinismo, ed è pertanto normale che giochino un ruolo così prominente in 1984.

La misoginia e il patriarcato hanno molto poco a che vedere con un catastrofico calo delle nascite. Il trattare le donne come incubatrici che cucinano e stirano è una costante di tantissime culture, a prescindere dal numero di pargoli per famiglia.

E’ vero che il tasso di fertilità mondiale è calato. Ciononostante il problema principale di oggigiorno non è una carenza in gristiani. Con tutto il calo di natalità, abbiamo comunque un surplus di umani rispetto alle risorse (anche a causa di sfruttamento predatorio, Cambiamento Climatico, ecc.).

Una brutta persona potrebbe dire addirittura che il tasso di natalità ha raggiunto un livello ottimale, è la mortalità che è troppo scarsa, ma non divaghiamo.Risultati immagini per blackadder death meme

Un’altra celebre opera che studia gli effetti del potere assoluto sugli oppressi

Il punto è, oggi e ora misoginia e narrativa patriarcale sono reali, e sono quelli che la Atwood prende di mira nel suo libro. Però non dipendono da una scarsa fertilità.  Un esempio sono appunto gli Stati Uniti, in cui il tasso di natalità è rimasto pressoché stabile dal  1990 in poi  (e che quando la Atwood scrisse il libro era perfino in leggera rimonta). Nonostante ciò hanno un Presidente che pare l’incarnazione di una barzelletta sessista pronunciata in un singolo rutto in un bordello livornese. Nonostante ciò ci sono persone come Kevin Williams che sostengono che l’aborto dovrebbe essere punito con l’impiccagione.

E’ vero che la stagnazione demografica viene usata come scusa per spingere quella porcheria immonda della propaganda pro-life. Se la catastrofe demografica fosse stata una scusa usata dai Sons of Jecob, avrebbe potuto funzionare. Ma no, è reale, non nascono più figlioli.

In altre parole, una piaga di infertilità fulminante non è un elemento reale, non ha avuto un ruolo strutturale nell’evoluzione e mantenimento del patriarcato. Pare che sia inserita qui meramente come elemento scatenante per la trama.

Aggiungere un elemento alieno come questo inficia un po’ l’analisi sociale.

Da un punto di vista puramente narrativo, offre vantaggi e svantaggi.

Un vantaggio è che il regime oppressivo è una risposta a una minaccia reale e pressante. Può essere una risposta sbagliata, ma un qualche tipo di azione drastica è percepita come necessaria e urgente davanti a qualcosa che minaccia la specie.

Da un punto di vista speculativo, questo è problematico perché la misoginia non è una risposta a una catastrofe urgente, non è necessaria e non è nemmeno costruttiva. Gli evangelisti americani non vogliono vietare l’aborto per risolvere un qualche problema reale: lo vogliono vietare perché sono delle sottomerde (semplificando). Il loro “problema reale” non è che l’umanità è in pericolo, è che le donne possono scegliere cosa fare coi loro corpi (ovvove e vaccapviccio!).

Sul piano puramente narrativo, questo fa dei Sons of Jacob gente pazza e pericolosa, ma mossa da buone intenzioni che sono giustificate da un reale pericolo. Aumenta il conflitto (gli antagoniti non sono cattivi per il gusto della cattiveria).

Di contro, introduce un secondo problema, comune in questo genere di film, che a me piace chiamare “e quindi ora?”.

Prendiamo l’esempio di What happened to Monday?: c’è un problema di sovrappopolazione e il governo adotta SoluzioneBruttaRandom. La SoluzioneBruttaRandom è sbagliata e cattiva e viene nullificata dall’eroico sforzo dei protagonisti.

Ok, e quindi ora?

Il problema che ha portato all’adozione di SoluzioneBruttaRandom è ancora presente. Le opzioni sono due: o gli eroi propongono una SoluzioneBuonaRandom, o si stabilisce che l’estinzione di massa è la scelta più etica.

In The Handmaid’s tale c’è lo stesso problema. Sappiamo che solo Gilead ha imposto il sistema delle ancelle. Il Messico non si sa che fa, ma è detto chiaro che non sta funzionando. In Canada la gente sta meglio e non ci sono ancelle ma non è spiegato che cosa si siano inventati per ovviare alla denatalità.

Non sarebbe troppo male se non fosse che questo aspetto (fondamentale nella storia) non viene mai affrontato.

Ridurre la gente in schiavitù e stuprarla è sbagliato. Ok, e quindi ora?

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In una scena Offred affronta una diplomatica messicana, venuta per trattare un qualche tipo di “importazione di ancelle” verso il Messico. Offred fa notare il piccolissimo dettaglio che si tratta di schiavitù, stupro e repressione. L’ambasciatrice le risponde “eh sì, brutta cosa, ma da noi non nascono marmocchi da 6 anni e non sappiamo che altro fare”.

Ergo la soluzione del Canada per qualche ragione non è applicabile in Messico.

E quindi ora?

In un’altra scena Offred e il Comandante parlano del “prima e dopo Gilead”. Mentre il Comandante offre collaudati argomenti da evangelista scoppiato (le donne sono più felici ora che possono realizzare il loro “destino biologico” di uteri ambulanti, prima erano comunque oggettivizzate dal consumismo edonista, ecc.), il fatto che la razza umana sia sull’orlo dell’estinzione non viene nemmeno sfiorato.

La sterilità dilagante, ancorché verosimile, viene usata meramente per spingere la trama a pedate. Potrebbe arricchire il conflitto, ma no, come in What happened to Monday? restiamo a chiederci “ok, quello che fanno in Gilead è sbagliato, e quindi ora?”.

Il secondo punto che mi crea problema è la protagonista: June/Offred.

In buona parte ciò dipende dal tipo di romanzo da cui è tratta la serie.

L’interesse principale della letteratura distopica è la speculazione: si tratta (in teoria) dell’analisi di un meccanismo reale e di come questo può danneggiare l’umanità se lasciato senza controllo.

Il romanzo distopico pone l’accento sul contesto più che non sui personaggi. Il protagonista spesso è il più  normale possibile, perché lo scopo è esplorare l’effetto che il potere ha sull’essere umano qualsiasi.

Winston Smith è una persona normale che cerca di ribellarsi come può. Se fosse un genio del computer capace di hackerare i teleschermi e mandare in crush il Big Brother, il romanzo sarebbe del tutto differente. Sarebbe magari un romanzo d’azione, ma la sottile analisi dell’effetto della dittatura sulla persona qualsiasi sarebbe in buona parte persa.

Il film Running man è divertentissimo. Ma la fine analisi sociale finisce sullo sfondo quando The Governator in tony sgargiante corre in giro cazzottando gente e snocciolando battutacce di pessimo gusto.

Insomma, in un romanzo distopico, il protagonista è spesso poco attivo, qualcuno che cerca di sopravvivere ed opporsi con mezzi molto limitati.

Questo funziona bene in un romanzo, o in un film, ma in una serie di 10 puntate da un’ora?

Quelle puntate vanno riempite, e non possono essere riempite solo da gente che si fa pestare.

Offred è un personaggio spesso molto passivo.

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Ovviamente non succede

Intendiamoci: è verosimile che lo sia. La maggioranza della gente al suo posto lo sarebbe. Ma per un format di 10 ore, questo è un problema.

Nel libro, Offred registra i propri pensieri e la propria storia. Ciò è di per sé un atto rivoluzionario. E’ una donna che trova il modo di conservare la propria individualità in un mondo che le ha tolto i mezzi, la famiglia, il lavoro, la libertà e anche il nome. In un mondo che vuole annullarla come persona, Offred trova il modo di “preservarsi”, anche a rischio di brutali punizioni.

Nella serie, Offred non registra niente, abbiamo la sua voce narrante e basta. Questo la rende più passiva della sua controparte letteraria.

Aiuta il fatto che l’attrice che la interpreta è Elisabeth Moss, che è bravissima. Doppiamente bravissima, conto tenuto che recita la parte di una donna che, nel 99% dei casi, non può mostrare le proprie emozioni, deve abbassare al testa e inghiottire le parole.

Purtroppo resta il fatto che la nostra subisce per la stragrande maggioranza del tempo. Di nuovo: verosimile, ma non molto compelling per 10 ore di visione.

Ci sono momenti in cui la nostra fa cose. Ad esempio nasconde un pacchetto di lettere di ancelle per conto della resistenza. Purtroppo queste lettere giocano un ruolo molto marginale nella prima serie e un ruolo cretino e basta nella seconda. L’impressione è che ‘sto benedetto pacchetto sia stato tirato nella storia non per arricchire il contesto, l’analisi o la vicenda, ma per dare a Offred qualcosa da fare.

In un paio di casi la serie pare non rendersi nemmeno conto della passività di Offred.

C’è un cliché inaffondabile, che è quello del protagonista che marcia deciso verso la telecamera alla testa della squadra, di solito in slow motion. E’ un sotterfugio trito e ritrito ma a cui siamo affezionati, e che di solito viene usato dopo che il personaggio ha compiuto un qualche tipo di atto simbolico (magari ha fatto esplodere qualcosa).

Offred per qualche ragione si cucca due camminate in slow motion, nessuna delle due davvero giustificata.

Nel quarto episodio Offred scopre un messaggio lasciato dalla disgraziata prima di lei. Il messaggio la incoraggia a non arrendersi e ciò è inframezzato da flashbacks in cui le altre ancelle danno prova di solidarietà verso una June ferita e invalida. Tutto si conclude su note ottimiste, una camminata in slow mo e Offred che chiacchiera di come sono ancelle, e hanno una divisa, e non si faranno macinare dai padroni!

Ok, quindi questo episodio sprona Offred a prendere in pugno la situazione, magari convince le altre ancelle a scioperare, o ribellarsi, o assassinare tutti nel sonno in una catarsi di sangue e fuoco!

No, nell’episodio 5 Offred è punto e da capo.

Il messaggio che la rincuora ha senso se presentato per ciò che è: un piccolo gesto che aiuta questa disgraziata a sopportare la propria situazione ancora un po’.

Invece no, camminata lenta, note pimpanti di piano, mo’ ve se famo un culo così, e un niente di fatto.

La seconda volta è ancora peggiore. Senza troppi spoilers, nell’ultimo episodio Offred e le altre si trovano a dover lapidare una di loro. Una delle ancelle, Offglen, si oppone. E’ l’unica ad osare e viene brutalmente picchiata e trascinata via.

Ma questo sprona Offred, che lascia cadere il sasso e se ne va, seguita dalle altre, mentre Aunt Lydia urla che ci saranno conseguenze. Camminata in slow mo e passo coordinato, mo ve se famo il culo 2 il ritorno!

Cosa fanno?

Niente.

Ritornano ordinatamente ognuna a casa sua in attesa della mannaia, ma con la camminata tosta davanti alla telecamera che fa sempre figo.

Immagine correlata

Non dico che non sia un atto di eccezionale coraggio rifiutarsi in una situazione del genere, ma boh, la camminata stile Deadpool mi pare molto fuori luogo. Anche contando che non è stata nemmeno Offred la prima a fronteggiare l’autorità. Offglen è stata la prima a rifiutarsi e l’unica a soffrire una punizione immediata. Dovrebbe essere lei a cuccarsi la camminata figa, no? Mah.

Offred resta un personaggio passabile, verso cui è facile provare empatia. La sua passività è verosimile e giustificata dal contesto. Uno però si chiede se non fosse meglio, per una serie a puntate, seguire un personaggio in una posizione diversa che sia quindi più attivo. Perché i personaggi attivi ed affascinanti certo non mancano, e sono uno dei grandi pregi di questa serie!

Prendiamo la prima Offglen/Emily: è un ex-professoressa universitaria, lesbica, sposata e con un figlio. Dopo aver perso la famiglia ed essere finita in schiavitù, Emily collabora con la resistenza. Allaccia una relazione con una Martha. Viene arrestata. Uccide un guardiano. Insomma, è una donna che non ha niente da perdere ed è disposta a qualsiasi cosa pur di resistere.

La seconda Offglen è contenta di essere un’ancella. Era poverissima prima di Gilead, e costretta a prostituirsi per miseria. Ora è mantenuta in una casa da gente che, tutto sommato, la tratta bene. Le basta, le va bene così. Ma quando le impongono di far del male a un’altra ancella si rifiuta, perché è comunque una persona empatica e di fegato.

Moira riesce a scappare dal centro di detenzione e indottrinamento, ma viene ricatturata e costretta a scegliere tra una vita di stenti in una colonia contaminata e una vita di stenti (ma con la droga) in un bordello.

La lista continua: ci sono un sacco di personaggi ganzi nella serie, tutta gente che si trova ad agire più di Offred.

Serena Joy (interpretata da Yvonne Stahovski), la moglie di Waterford e uno degli antagonisti principali, è il mio personaggio preferito in assoluto.

Nel libro, Serena è una donna in là con gli anni, afflitta dall’artrite e infelice nel suo ruolo marginale. Nella serie Serena è più giovane e più reattiva. Si scopre che lei è il vero cervello dietro al marito, che prima del ribaltone Serena ha giocato un ruolo cardinale nell’organizzazione del colpo di stato.

E’ una donna che ha costruito con determinazione, intelligenza e metodo il nuovo sistema… e ci si trova ora intrappolata. E’ una versione tragica di Phyllis Schlafy, una fervente fondamentalista antifemminista che riuscì a frenare il progresso dei pari diritti con grande efficacia.

Il patriarcato è sempre stato protetto e perpetrato grazie a donne come Serena Joy o Phyllis Schlafy, donne che hanno interiorizzato la misoginia inerente del sistema e che lavorano attivamente alla sua conservazione in cambio di potere e status. Non vogliono emancipazione per sé stesse, vogliono controllo sul prossimo, e lo possono ottenere attraverso il sistema patriarcale. Serena orchestra gran parte della congiura, partecipa alla costruzione di Gilead, ma alla fine suo marito la mette da parte.

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Serena è anche una fonte inesauribile di reaction pics. 50 sfumature di disappunto.

Potrei andare avanti a parlare della serie: come storia distopica, offre di conserva un sacco di spunti di discussione.

In generale, ha delle cose che non mi sono piaciute, ma nell’insieme gli elementi positivi (o quantomeno interessanti) superano quelli su cui ho da ridire.

Plotpoint dell’infertilità subitanea
Format poco consono al tipo di storia
Elementi come il razzismo sono del tutto assenti nel worldbuilding
Camminate in slow mo
Recitazione
Una compagine di personaggi secondari interessanti e ben fatti
Atmosfera
Antagonisti ben delineati e non appiattiti a macchiette
Sceneggiatura
Serena Joy

 

Per certi versi il romanzo è un mostro sacro, e la serie è di certo degna di interesse. Nonostante l’abbia menata fin qui su tutte le cose che non mi garbano, molte altre mi son piaciute. Non è per tutti (non è una storia d’azione, la protagonista non ha un vero e proprio arco, ecc.), ma invito a tentare per lo meno la prima puntata.

E la seconda serie?

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No.

La prima si conclude dove si conclude anche il romanzo, quindi con la seconda serie gli sceneggiatori hanno dovuto inventarsi tutto da zero senza le idee della Atwood.

E niente, secondo me l’esperimento è un fiasco.

L’ho vista a pezzi e bocconi e ho lasciato perdere. Immaginate tutte le cose che non mi son piaciute nella prima, aggiuingete più scene di violenza più morbose e meno motivate, e buchi di trama estemporanei (che nella prima serie, vivaddio, non c’erano).

Non dico che sia tutta da buttare: ci sono belle trovate, momenti notevoli, e un arco interessante nel personaggio di Serena Joy. Ma nell’insieme non mi è garbata abbastanza da finirla e pertanto non la consiglio.

Ora scusatemi, devo andare a scrivere una fanfiction dove Serena Joy, Ramsay Bolton e Standartenführer Hans Landa conquistano il mondo con il loro esercito di zombie sovietici a cavallo di tirannosauri.

MUSICA!


Letture aggiuntive

La pagina wiki del libro

La pagina wiki delle serie

Qualcuno fa notare che la seconda serie non è all’altezza

Una critica alla prima serie

Un altro lungo e ponderoso articolo sulle implicazioni femministe delle serie

Hannibal: risparmia un agnello, mangia un pastore!

L’estate incombe su di noi come la cresta di uno tsunami, le notti si accorciano e la pace di spirito di Tenger è stata archiviata tra i casi a pista fredda insieme ai files del Tamam Shud.

Ma è Pasqua, e non è appropriato essere troppo scoppiati durante questo lieto periodo. Occorre celebrare.

La mia più grande passione è la storia di gente mortamale. Con ragionevole distacco, viene un certo interesse per la cucina. In questi giorni di pantagruelici banchetti (so che vi state sfondando di cibo, dannati servi del Capitale!) volevo fare qualcosa che riunisse entrambi questi elementi.

Ergo oggi parliamo di Hannibal Lecter.

Hannibal

Hannibal Lecter appare per la prima volta nel 1981, nelle pagine del libro di Thomas Harris, Red Dragon. Per i quattro disgraziati che non conoscono questo personaggio, Lecter è uno psichiatra e serial killer cannibale, protagonista di una serie di romanzi prima e di film dopo.

La performance di Hopkins nei film Silence of the Lambs, Hannibal e Red Dragon è ormai iconica e il nostro dottore lituano è diventato il serial killer fittizio più famoso al mondo.

Purtroppo la popolarità del personaggio ha subito una leggera inflessione dopo l’ultimo film, Hannibal rising, del 2007. Hannibal rising è stato un fiasco tombale, sbeffeggiato dai critici e disprezzato da un’ampia fetta degli spettatori, al punto che fu nominato in ben due categorie per i Golden Raspberry Awards (Peggior prequel/sequel e Peggior scusa per un film horror). Non li ha vinti, but still.

5 anni dopo questa musata cinematografica, il nostro gourmet preferito è stato ritirato fuori dal cilindro da Bryan Fuller, per una nuova serie su NBC.

It’s nice to have an old friend for dinner (cit.)

La creazione di Fuller prende numerose libertà nella trama e nel cast. Per cominciare, la storia si svolge nello stesso periodo della serie TV (2013-2015). Hannibal non è più un orfano della Seconda Guerra Mondiale, ma un uomo nel fiore degli anni, psichiatra di Baltimora e occasionale collaboratore dell’FBI.

Questo non è l’unico cambiamento: il personaggio di Will Graham viene presentato sotto una luce originale, con un profilo più vulnerabile e torturato di come lo abbiamo visto in Red Dragon o anche in Manhunter.

Altri personaggi hanno subito cambiamenti ancora più radicali: il capo di Will, Jack Crawford, è interpretato da Lurence Fishburne invece che da un attore bianco; il personaggio dello psichiatra Alan Bloom diventa Alana Bloom, una donna, ecc.

Di solito guardo questo genere di “swap” con una certa dose di diffidenza. Non sono opposta all’idea: ho visto una versione di Much ado about nothing in cui il Principe era recitato (benissimo) da un attore nero, e la cosa non strideva per nulla. Tuttavia è pur vero che spesso questa pratica è usata per puro gusto dell'”edgy” e per mascherare l’assenza di idee originali.

Non è il caso di questa serie: il cast si sposa benissimo con la nuova versione dei personaggi e i cambiamenti non sono fatti per coprire la pigrizia del copione.

Hugh Dancy riprende il ruolo di Will Graham, un professionista brillante e dotato di una potente capacità immaginativa e empatica. In questa versione, la storia esplora più in dettaglio il conflitto di Will. Lo vediamo in azione sul campo e lo vediamo a casa, circondato dai suoi cani. La brutalità del suo lavoro e la fragilità delicata della sua vita privata offrono un contrasto che dà profondità a un personaggio che altrimenti, come dice Dancy stesso, “sarebbe giusto uno stronzo”. Dancy riesce peraltro a rendere molto bene lo stato precario in cui si trova il protagonista, costantemente in bilico tra sanità mentale e collasso nervoso.

Mads Mikkelsen interpreta la nuova versione di Hannibal, e a parer mio è l’attore perfetto per la parte. La strana fisionomia di Mikkelsen gli permette di apparire a tratti charming e divertente, compassato e cortese, a tratti del tutto privo di umanità, distante e minaccioso. Seguendo la serie, non è difficile capire come riesca a ingannare il resto del monto e nascondere il mostro che è in realtà.

I Comprimari sono pure ben tratteggiati. Fishburne in particolare rende benissimo il personaggio di un poliziotto competente e completamente devoto alla causa, con tutto ciò che ne deriva. Se da una parte Crawford è motivato dalla necessità di proteggere innocenti, dall’altra la sua assoluta dedizione lo spinge a sacrificare la sanità mentale di Will Graham come “male necessario”. Pur essendo un personaggio positivo, lavorare con lui può significare “fare un patto col diavolo”.

Non è l’unico a presentare un buon mix tra pregi e difetti. L’approfondimento psicologico è di solito molto curato.

Difatti uno dei punti positivi della trama, in particolare della prima serie, è l’equilibrio che Fuller è riuscito a creare tra l’Antagonista e il resto dei comprimari. Hannibal è un mostro geniale, uno “psicopatico perfetto”, ma le sue vittorie non sono mai regalate: Crawford e il suo team non sono degli incompetenti, al contrario, sono presentati come gente scelta e capace. E’ solo grazie a sforzi calcolati che Hannibal riesce a raggirarli.

Nelle visioni di Will, Hannibal appare come Wendigo, un mostro predatore che un tempo era uomo e che è mutato dopo aver consumato carne umana.

Il centro della serie è lo svilupparsi e l’evolvere dell’amicizia patologica tra Will Graham e Hannibal Lecter. Grazie alla sua straordinaria empatia, Will è in grado di comprendere gli assassini, capire il loro punto di vista, e questo affascina Lecter. La curiosità iniziale del nostro diventa pian piano un’ossessione: Will è l’unico capace di comprendere davvero la sua visione. Perfino Hannibal può sentirsi solo, nella sua fornitissima cucina.

Ci sono scene consacrate interamente all’approfondimento di questo aspetto, con Will e Hannibal soli nello studio, immersi in conversazione. Sono gestite molto bene (non troppo lunghe, non troppo corte) e scritte con cura.

Al di là dei personaggi, un aspetto preponderante della serie è lo stile. La serie è molto bella da vedere. Come lo dice lo stesso Fuller, Hannibal non è una storia realistica, non vuole esserlo. Tante altre serie esplorano trame verosimili e autentiche procedure di polizia. Fuller non voleva l’ennesimo thriller, voleva qualcosa di diverso. La serie che ne risulta ha elementi indubbiamente realistici, ma sconfina spesso nell’onirico, talvolta nel grottesco. Fuller stesso spiega che, per lui, Hannibal è da interpretare come “a very, very, very dark commedy”, a tratti una tragedia farsesca.

Sganasciamoci!

L’estetica della serie è barocca e fantasiosa, con uno sfacciato gusto del macabro. Tra totem di arti umani, montage di haute cuisine a base di gente, tizi trasformati in aiuole viventi, spesso pare che la direttiva principale fosse: “questi sono dei pezzi di cadavere, come possiamo farci qualcosa di esteticamente bello e originale?”

E io non mi lamento: spesso sono opere molto belle! Capisco però che questo genere di estetica macabra non piaccia a tutti, o che qualcuno possa trovarla gratuita ed esibizionista.

D’altro canto, c’è una ragione precisa per cui Fuller insiste su questo aspetto fino a renderlo caricaturale: la serie deve divertire. Non deve essere una cruda storia realista, non deve essere deprimente, deve essere interessante, noir, divertente, surreale.
Un esempio di questa logica ci viene spiegato in un’intervista: nelle varie stagioni (di certo non parche in violenza) non ci sono scene di stupro. Perché? Perché lo stupro non è divertente.

E l’omicidio allora?

Nemmeno l’omicidio, ma se il corpo della vittima viene trasformato in una farfalla di carne, allora smette di essere verosimile. Non è più realista, è spettacolo, uno spettacolo che Graham stesso definisce “kabuki”: è esagerato, barocco, raffinato.

Non puoi sorridere di una moglie picchiata e stuprata dal marito. Un cadavere trasformato in un violoncello umano invece è grottesco, artistico, fuori dalla realtà, e quindi può essere divertente.

Niente è più romantico di un mazzo di fiori

Per quel che riguarda la storia e le sotto-trame, abbiamo tre serie da 13 episodi ognuna: la prima introduce i personaggi e l’inizio dell’indagine sugli omicidi di Hannibal (conosciuto come Chesapeake Ripper). La seconda è liberamente ispirata dalle vicende del romanzo (e film ) Hannibal, con i fatti ambientati in Europa (Parigi, Lituania, Firenze), e infine la terza racconta la storia di Red Dragon, con Richard Armitage nei panni di Francis Dolarhyde (fa push-ups a testa in giù, le signore apprezzano).

“Ora tutti ti conoscono come ‘il tizio che ha fatto Thorin'”.
“No…”

“Lo Hobbit è il franchise più famoso che hai fatto.”
“No, smettila!”
“Tre film dove stai conciato come il 
lovechild di un rastafariano e uno Sherman.”
“Raaaaah!”

Detta così queste serie sembrano fighe fighissime!

Errr… circa.

Cominciamo col dire che a qualcuno non piaceranno, a prescindere dalla qualità. Lo stile è molto pervasivo, spesso artsy e pretenzioso. Per la maggior parte del tempo serve la storia, ma certe immagini paiono essere lì solo perché “è figo attaccare una scena in questo modo”. Questo può essere un problema, e può dare molto fastidio a certi spettatori. Personalmente, ero disposta a perdonare questi momenti di narcisismo spicciolo per amor del resto (trasformano la testa di un tizio in un’arnia, io approvo!).

Inoltre non tutti gli episodi e non tutte le serie sono allo stesso livello. La prima stagione in particolare è molto curata. Ci sono licenze artistiche, momenti inverosimili (specie nella posizione dei corpi delle vittime), ma non troviamo veri e propri buchi di trama. Nella terza sì, ed è un peccato.

Seconda e terza hanno anche altri problemi, con alcuni personaggi poco approfonditi o francamente inutili. Una tizia in particolare, che non voglio spoilerare, potrebbe essere tagliata dalla storia senza rimpianti. Questo è un grosso problema: siccome ci rendiamo conto presto che costei non va a parare da nessuna parte, sappiamo che le scene con lei sono delle perdite di tempo. L’unica cosa che redime in minima parte questo subplot del tutto superfluo è, di nuovo, l’estetica di uno degli omicidi.

Un’altra magagna è l’antagonista della seconda stagione, il malvagio Mason Verger: è caricaturale perfino per una commedia. Il tizio beve le lacrime dei bambini. Eddai Fuller, checcazzo!

C’è poi una presenza sempre più prepotente del fanservice.

Come detto, il soggetto principale dell’intera faccenda è il rapporto tra Will e Hannibal. Ora, per quanto a me piacciano storie di bromance o anche dichiaratamente omosessuali, a tratti il copione è un po’ troppo palese. Non che ci siano scene davvero ridicole, sia chiaro! Niente momenti stile anime con Will vestito da principessa o cagate del genere. Però a volte il concetto viene martellato in modo un pelo troppo palese. E non ce n’è bisogno: l’evolvere dei due personaggi è tracciato molto bene per la stragrande maggioranza della storia, abbiamo capito!

Peraltro, santo fanservice, abbiamo la bromance per le signorine e lo yuri per i signori. Parità di fantasia erotica, per Giove!

Infine, la seconda serie ha un ultimo grosso difetto a parer mio: tira in ballo il Mostro di Firenze.

Ora, io non sono tipo da triggerarmi aggratis, ma trovo di pessimo gusto usare un fatto di cronaca autentico in una storia del genere. Sarebbe bastato cambiare appena il nome (magari invece che “il Mostro” chiamarlo “la Bestia”? O “Cicci il Mostro di Scandicci”, tipo). Ispirazione e riferimenti vanno benissimo, ma scopiazzare pari-pari il nome è pigro, e la pigrizia mi sta sulle scatole.

Riassumendo

La trama, per la maggior parte

 

Il cast

 

Immagine e fotografia

 

La maggioranza dei personaggi sono memorabili, interessanti e ben scritti

 

I montage di cucina! Altro che Gordn Ramsay, dateci un programma su come fare gli ossi buchi di postino!

 

Atmosfera e ritmo

 

Buchi di trama, specie nella seconda/terza stagione

 

Alcuni personaggi inutili

 

Lasciate stare Cicci di Scandicci, per cortesia

 

La serie è stata apprezzata dalla critica, vincendo diversi premi, ma non ha avuto un gran successo di pubblico, il che ha portato alla morte del progetto dopo la terza stagione. Nell’insieme, non mi sentirei di definirlo un prodotto davvero eccelso, ma ha elementi interessanti e molto positivi. Non annoia, è divertente.

Tuttavia lo stile prepotente lo rende molto soggetto ai gusti. I personaggi sono ben costruiti e la scrittura è davvero buona, ma se non piace lo stile sarà impossibile approfittarne. Personalmente, l’estetica sfacciata e barocca mi è piaciuta molto, e anche nel peggiore episodio ho trovato qualcosa di interessante da apprezzare.

Infine, non credevo che fosse possibile eguagliare la performance di Hopkins per il personaggio di Hannibal, ma Mads Mikkelsen è davvero perfetto per il ruolo! Con la sua faccia da alieno e il suo accento bizzarro, riesce a dare un’interpretazione che vale davvero la pena vedere!

Consigliata, nonostante i difetti.

MUSICA!


La pagina wiki della serie

La pagina Imdb della serie

Scene dalla prima, seconda e terza stagione.

C’è chi lavora per vivere, chi vive per lavorare, e chi stava solo passando di là per caso

E’ un periodo molto faticoso e faccio fatica a star dietro a tutto. Tra tesi e rotture di cosiddetti, mi sto perdendo un sacco di polemiche interessanti. E ciò è male.

Oggi pertanto ho deciso di recuperare! Ci tenevo a portare il mio indispensabile contributo a due dibattiti, anzi tre. Il primo, questo sabato, è tanto triviale da essere ridicolo. Ma hey, questa gente viene pagata per scrivere, quindi perché lasciar correre?

In attesa che l’Espresso ci offra di nuovo un articolo troppo bellissimo, Vice è lì per tenerci occupati!

[P.S., mentre leggete voglio che nel retrotesta pensiate a tutti quelli che hanno il sogno di diventare giornalisti e che sono a smistare insulti in un callcenter.]

Alcuni di voi avranno letto questo articolo: Un inutile ma obbligatorio dibattito su Game of Thrones

Paura? Ne avete ben donde.

Per qualche ragione, Game of Thrones è una serie che le persone mi hanno sempre descritto paragonandola ad altre serie HBO: “The Wire con i maghi,” “I Soprano con le spade,” e così via. Non l’ho ancora guardato e, ad essere onesto, non penso che lo farò mai.

Partenza tranquilla ma promettente per Clive Martin, che vuole aprire un dibattito su qualcosa di cui, per sua stessa ammissione, non sa un tubo. Che dire, giornalismo del ventunesimo secolo at its best! Presente quando Cinzia Leone faceva finta di saperne di fantasy? Beh, fanculo, possiamo anche risparmiarci la finzione e andare dritti alla polemica inutile!

Tutti conosciamo gli stereotipi sul tipico fan del fantasy: l’impiegato di Games Workshop che si irrita e di dispera quando i bambini non sanno giocare bene. Il genere di persona che ha trovato il proprio Giardino dell’Eden culturale nella sezione graphic-novel di Borders negli anni Novanta. La loro traiettoria culturale li ha portati da Redwall a Red Dwarf a Reddit, e ora discutono ad alta voce della morte di Bruce Lee in bar di provincia. Odiano la moda in tutte le sue forme, eppure cercano di distinguersi. Per aggirare questo paradosso, tutti i loro vestiti devono riferirsi a qualcos’altro. Che sia un talismano in stile Alan Moore o una di quelle magliette con scritto “Afraid of the dark, Lagerboy?”

Mi ritengo, se non un’appassionata, una frequente consumatrice e amante di fantasy e fantascienza, e tra tutti i miei conoscenti nemmeno uno corrisponde a questa descrizione. Ma gli stereotipi fanno sempre audience!

In realtà, non mi interessa se Game of Thrones sia davvero più simile a “Mad Men con i maghi” che non a Dungeons & Dragons. Il mio problema è strutturale; è la ragione per cui mi sono addormentato durante il primo film del Signore degli Anelli, me ne sono andato a metà del secondo e ho ignorato completamente il terzo (per non parlare di Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, che non è piaciuto nemmeno a quelli che amano Il Signore degli Anelli).

Perché tutti i fantasy sono come Il Signore degli Anelli, e i film sono un’adattazione perfetta del libro! Cioè, il fantasy sono draghi ed elfi, elfi e draghi! Cioè! No? Cioè!

Ma non penso che sia questo il problema, perché non ho mai avuto scarse capacità di immaginazione; da bambino adoravo Ghostbusters – Acchiappafantasmi e sono stato una delle poche persone di mia conoscenza che all’epoca ha apprezzato davvero Le avventure del barone di Münchhausen. Non ho passato la mia adolescenza a chiedermi quante uccisioni ci fossero in un film prima di decidere se guardarlo o meno. Non ho mai ripensato al bacio saffico di American Pie 2, e le mie letture sono andate oltre il passaggio obbligato rappresentato dai libri di Kerouac, Salinger, Ballard, Philip K. Dick e via dicendo.

Sì, bello. Niente di quanto detto sopra denota particolare immaginazione o eccezionalità però, eh. Diciamo che hai fatto quello che milioni di ragazzini facevano. Peraltro, solo per aver guardato American Pie 2 dovresti cospargerti il capo di cenere.

Anche se poi sono cresciuto e ho scoperto l’alcol, le ragazze e il nu-metal, mi sono ritrovato in mezzo a un sacco di cose che di solito piacciono alle persone a cui piace il fantasy; che stessi cercando di decifrare il discorso dell’Architetto in Matrix: Revolution o qualsiasi cosa in Twin Peaks. Non ho alcun problema con nessuna attività paranormale, occulta o demoniaca—va bene tutto, basta che non compaia la parola “orco”.

Questa non l’ho capita. A parte la tristissima battuta su ragazzeVSfantasy, che è degna di un fratboy[1], complimentoni per la citazione da Matrix: Revolutions, uno dei film di fantascienza più brutti e cretini del secolo (consiglio la visione di questo commento). Peraltro, wow, orchi, in ASoIaF PULLULANO! Ma che sto a criticare, ‘sto tizio non sa n’asega della storia, per sua stessa ammissione.

Ma il fantasy di ascendenza inglese è una cosa che non sono mai stato in grado di sopportare. È una ascendenza che racchiude tutto dalla musica dei Pink Floyd e da quei libri in cui servono i dadi per leggerli. L’ho sempre vista come una cultura che di solito è oggetto di venerazione da parte di persone che non sono in grado di rapportarsi con il caos del mondo reale: i suoi genocidi, il suo dolore, le sue schifezze, le sue mode in continua evoluzione, i suoi fanatismi religiosi.


BWAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAahhhhahahhhhhhrgh*soffoca*

“Fantasy di ascendenza inglese” che cazzo vuol dire? Rowling, Pratchett, Tolkien, STESSA ROBA, guarda, identica!

Per carità, io non ho nulla contro la gente a cui non piace il fantasy. A me non piace la letteratura rosa. Sono sicura che da qualche parte ci sono dei libri tutti incentrati su storie d’amore che sono scritti benissimo, con personaggi ottimi e quant’altro. E magari mi piacerebbero. Ma non è un genere che di solito mi garba e lo evito, preferisco buttarmi su roba che so mi piacerà quasi di sicuro (o che mi farà fare delle matte risate, ciao Vanni Santoni!).

Ma prego contemplare la crassa ignoranza del genere (di cui non sai niente ma su cui stai scrivendo un articolo) e la condiscendenza per tutti quei poveri gonzi che si rifugiano in romanzetti di elfi e nani perché non sono in grado di fare i conti con la dura, crudele realtà *violini strazianti in sottofondo*.

Perché mai fantasy e fantascienza si sono occupati di temi reali e crudeli (Soylent green? Che cazzo è Soylent green? Brave new world? Eh? 1984? La prigione della libertà? Che? E non cito tutti i libri di Bacigalupi ambientati nel raccapricciante mondo del Post-Global Warming…). Inoltre è chiaro che se leggi fantasy non ti occupi mai di problemi reali. Per definizione! Che è un po’ come dire che tutte le donne che guardano Sex and the city sono rincretinite romanticone che leggono solo Vogue e Donna moderna, e che tutti quelli che guardano History channel sono dei ritardati mentali sol cappellino di stagnola e il tatuaggio WeLoveRagnar.

Qualcuno mi darà del luddista per questa mia incapacità di sopportare il fantasy.

No, ti diamo dell’ignorante, dello sputasentenze, del superficiale, non del luddista. Non vedo proprio che cazzo c’entri il luddismo con questo articolo, ma forse non sono abbastanza ubriaca. O Clive Martin non sa cosa vuol dire Luddismo. Insomma, è una delle due.

Credo che il mio vero problema sia che molte delle caratteristiche del fantasy sembrano derivare da una visione del mondo molto antiquata e conservatrice.

E’ normale che ti sembri così, dopotutto non sai una sega del genere per tua stessa ammissione. E siamo d’accordo, potrebbe davvero essere un problema strutturale.

Forse se Game of Thrones fosse ambientato in terre davvero immaginarie o futuristiche potrei guardarlo in uno stato di sospensione dell’incredulità. Non ho avuto alcun problema a credere a Blade Runner, ma GoT e gran parte delle opere di genere fantasy sembrano rappresentare soltanto una versione imbastardita dell’Inghilterra del 1930.


RAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHRGAHAHAHAHAHAHAHAhhhhhlapanciamioDio!

Che vuol dire? “Terre davvero immaginarie”? Guarda, non voglio sembrare snob, ma GoT non si ambienta nel mondo reale. Si tratta proprio di terre immaginarie. Sai, non so se hai notato, ma sul nostro pianeta le stagioni non durano anni, gli zombie non esistono e i draghi sono tutti celiaci e amanti degli Abba (in-joke per aficionados).

Quanto alla versione imbastardita del 1930, io ero rimasta che l’ispirazione era, tra le altre, la Guerra delle due Rose, un po’ prima del 1930.

Poi c’è il problema del sesso. Il Signore degli Anelli—anche se c’erano Viggo Mortensen, Orlando Bloom e Liv Tyler—è riuscito ad evitare brillantemente qualsiasi cosa fosse anche solo vagamente sessuale, fatto salvo per un po’ di scollature e qualche fugace bacio verso la fine. Per quel che ne so, in tutta la loro carriera i Pink Floyd hanno finto che il sesso non esistesse, e sono abbastanza certo che non ci siano pompini nel Mondo Disco. Invece in Game of Thrones ce ne sono tantissimi, stando a quanto dicono tutti ogni volta che se ne parla. Ottimo lavoro—individuare il problema e aggiungerci tette e cazzi

A parte il fatto che i riferimenti al sesso, nelle storie di Pratchett, ci sono e non sono nemmeno tanto rari (ma per saperlo avresti dovuto leggere i romanzi, che sbattimento!), ma decidi: sesso sì o sesso no? Peraltro Il Signore degli Anelli (romanzo) è scritto sul modello del poema cavalleresco. E non so se ti è mai capitato di leggere la Chanson de Roland o il Mabinogi, ma di scene di sesso descritte in dettaglio ce ne son pochine. Il signor Clive è uno di quelli che hanno sempre ragione:

-Che cagata ‘sti libri, sono così inverosimili, nessuno scopa mai!

-Beh, in questo romanzo scopano.

-Sì, vabbé, hanno individuato il problema e c’hanno messo tette e cazzi [Che suppongo voglia essere un commento denigratorio o una critica, ma non lo capisco. Qualcuno più intelligente di me può spiegarmi che minchia significa?]

A me sembra che questi libri, questi film, queste canzoni e queste serie tv su persone con strane orecchie che corrono per le montagne trafiggendosi l’un l’altra per mezzo di spade siano creati per persone che hanno problemi a capire gli altri esseri umani.

Disse colui che sta giudicando qualcosa che non conosce e che non gli interessa. Ovvio che ti sembri così, sei come Jon Snow.

Peraltro, ancora, pare che per costui “fantasy” si riduca a “high-fantasy con elfi”. Non solo è una visione caprina del genere, ma la cosa esilarante è che i libri di Martin non si accomunano nemmeno da lontano a quel genere! E’ un po’ come se io criticassi Don Quijote perché non c’è Magia.

E già che ci siamo, dove sono tutte le minoranze etniche nel Signore degli Anelli? È un’accusa comune mossa a un sacco di opere fantasy e probabilmente un appunto fatto da migliaia di cattivi comici. Ma questo non significa che dobbiamo ignorarla. Da una breve ricerca su Google, la giustificazione sembra essere che queste storie sono scritte come se facessero parte del folklore inglese. Ma, ragazzi, un momento. Non doveva essere fantasy? Quindi vanno bene gli orchi, i draghi, i nani ma niente neri? A me la cosa sembra un problema.

Sapevate che stava arrivando, ed eccola qui! Come nel bllximo articolo della Leone, non poteva mancare il bocchino pseudosociologico-psico-impegnato-FreeGaza-NoTav! La ciliegina sulla torta di cacca, pancia mia fatti capanna! (E non guardatemi male, so che ci sono altri coprofagi in sala!)

Potrà sembrare impensabile, ma i neri NON fanno parte del folklore inglese. E ad ogni modo il mondo di Tolkien è fortemente ispirato all’Europa Medievale. Hai presente, pochi traffici, pochi scambi, poca gente su tanto posto… Nel background geografico, tecnologico, culturale, economico e politico de Lord of the Rings, è normale che la gente si mischi poco. Sarebbe anzi molto poco verosimile avere gente esotica così a muzzo in villaggetti remoti. E ad ogni modo i neri nel Mondo di Tolkien ci sono eccome (Haradrim ed Easterlings). Sai, Tolkien ha i suoi difetti, piace o non piace, ma sul worldbuilding c’è veramente poco da dire. Lo sapresti se avessi letto il libro, ma dopotutto scrivere un articolo di roba che non conosci e che non ti interessa è il marchio dell’odierno giornalista.

Certo, mi dirai, i neri ci sono ma sono cattivi!

No, sono nemici. Non necessariamente cattivi. Anzi, l’unica scena in cui uno di loro è visto da vicino, sono trattati con notevole empatia:

[Un sudrone è appena caduto nella buca dove si acquatta Sam]

«…improvvisamente un Uomo cadde proprio dall’orlo della loro conca, quasi sulle loro teste, piombando fra gli esili arbusti. Giacque immobile nelle felci a pochi passi di distanza, bocconi, con frecce dalle verdi piume che gli trafiggevano il collo appena più in basso del collare d’oro. I suoi abiti rossi erano laceri, la cotta di piastrine d’ottone strappata e deforme, le nere trecce adorne d’oro fradice di sangue. La bruna mano stringeva ancora l’elsa di una spada rotta.
Era per Sam la prima immagine di una battaglia di Uomini contro Uomini, e non gli piacque. Era contento di non poter vedere il viso del morto. Avrebbe voluto sapere da dove veniva e come si chiamava quell’Uomo, se era davvero di animo malvagio, o se non erano state piuttosto menzogne e minacce a costringerlo ad una lunga marcia lontano da casa; se non avrebbe invece preferito restarsene lì in pace… »

Il Signore degli Anelli, ed. Rusconi, 1989, p. 799

Come ho detto, non ho mai guardato Game of Thrones. E chissà—magari è bellissimo. Magari un giorno sarò in grado di mettere da parte tutti i miei pregiudizi. Ma per ora non riesco ad andare oltre quei cazzo di orchi.

Orchi che non esistono nell’Universo di Martin, stai sereno. Caro Clive, non gliene frega un cazzo a nessuno se un giorno guarderai GoT. Quello che fraga, è che te hai la fortuna di scrivere su Vice. A meno che tu non stia lavorando aggratis per “far curriculum”, per favore, abbi rispetto per tutti quelli che si trovano a far gli sguatteri e almeno provaci a fare un lavoro decente. Perché la “lagna su una roba di cui non so niente né mi frega niente” non è un lavoro decente.

Ma non sono l’unica a pensarla così: un collega di Clive Martin, Harry Cheadle, ha risposto con un articolo gemello! Come se l’è cavata costui?

H o sentito che non ti piace una serie tv che non hai mai visto. Scrivere di quanto odi Game of Thrones pur rifiutandoti di guardarlo è stato un modo utile e costruttivo di passare il tuo tempo, ma dopo aver letto della tua “innata avversione per tutto ciò che può essere definito fantasy” ho pensato di dover dedicare qualche minuto a rispondere alle tue critiche a un genere e a una sottocultura di cui dichiari fieramente di non sapere nulla. Considera questo pezzo un amichevole “Taci!” da parte di un collega dall’altro lato dell’Atlantico

Promette bene!

Quello che mi infastidisce è che il tuo disprezzo per il fantasy sia basato su stereotipi datati e sul Signore degli Anelli, che è come se io mi immaginassi l’Inghilterra come un posto pieno di tizi che somigliano a Winston Churchill e bevono birra calda.

Amen. Harry se la cava molto meglio. Purtroppo non può durare.

Ok, qui hai ragione—gran parte delle opere fantasy sono scritte da bianchi appassionati di cose da bianchi come la storia militare europea e la mitologia celtica. Alcuni di loro sono anche abbastanza conservatori e il genere non è famoso per la sua apertura nei confronti dei personaggi femminili.

Scrittori bianchi. Scrittori bianchi! Del cielo numi!
Sul serio, un bel romanzo è un bel romanzo, fregancazzo il colore della mano che lo scrive. Se poi l’”Ecumene europea” ha offerto più spunti di altra roba per il fantasy anglosassone, perdonami un goliardico ma grazie al cazzo. Figurati che il fantasy giapponese si ispira un sacco spesso al folklore e agli elementi di cultura nipponica. Incredibile eh? Sì, esiste il fantasy anche in Giappone. Esiste in India. E non è né bizzarro né problematico che gli scrittori traggano ispirazione da elementi della loro cultura. Il punto è: i libri che scrivono sono belli oppure no? Sono ben scritti oppure no?

Peraltro sottintendere che ai non-bianchi non interessi la cultura celtica o altra “roba da bianchi” è ridicolo. Quanti manga esistono ispirati a storia/folklore/mitologia europea?

Per i personaggi femminili, ci sono chiari esempi di personaggi di primo piano. Senza citare le numerose donne di Martin, abbiamo le numerose donne di Pratchett (la piccola Tiffany, la sepolcrale Susan, o la cazzuta Adore Belle Dearheart, o la mia preferita in assoluto, Angua, e solo per citarne 4), abbiamo Paksenarrion (che debutta in un romanzo scritto di merda ma è pur sempre una donna soldato competente nel ruolo di protagonista), abbiamo Pima e Nita, Emiko e Kanya dall’universo di Bacigalupi, anche in Tolkien, dove le donne sono poche, abbiamo Galadriel ed Eowin, due personaggi importantissimi (nel libro) e trattati con rispetto. Sto citando a braccio, eh.

Ora, non voglio dire che i personaggi femminili ben costruiti abbondino nella letteratura fantastica. Come avrete notato, quasi tutti i personaggi citati vengono da BUONI libri. Più in generale le donne sono spesso dei cliché che camminano, e ancora di più da quando c’è stato il boom del Paranormal Romance (la Meyer ha avuto l’effetto di una bomba a neutroni su tanti cervelli femminili…). Ma non riguarda solo il fantasy: in generale le donne sono spesso rese in modo stereotipato. Come anche gli uomini. Perché in generale si scrive un sacco di merda.

Sul fatto poi che gli scrittori “bianchi” si scorpaccino di storia militare europea, ti prego Harry, prendimi per mano e lasciami vivere nel tuo mondo immaginario per un quarto d’ora!

Ci sono più cazzate tattiche in 10 pagine di un romanzo a caso che nell’intera Campagna di Russia. Trovare libri in cui lo scrittore parla di guerra E ha le basi minime per farlo è come cercare un filo di paglia in un mucchio di aghi.

Di nuovo, sì, il fantasy è un genere da bianchi, anche se qua e là si possono trovare sprazzi di diversità. Ma non è un problema specifico del fantasy—anche alcuni degli autori che dici di aver letto, Kerouac e Salinger, non hanno mai affrontato il tema della razza, e probabilmente loro hanno anche meno scuse.

Ma è un problema?

Intendiamoci, in un articolo di Vice fatto ammodo, uno sceneggiatore affermava che nelle serie italiane non ci sono personaggi omosessuali perché dall’alto viene chiaramente vietato di scriverne. QUESTO è un problema, perché si sta operando una censura bigotta. Non mi pare che ci sia lo stesso guaio nella storia fantastica. La maggior parte dei personaggi sono bianchi, ok. Quindi? E’ verosimile nella trama? E’ problematico?

Perché se giochiamo al “questo libro non è serio perché non è socialmente impegnato”, allora nessun libro è bello, perché nessun libro parla di TUTTE le minoranze.

Te ti lamenti che non ci sono neri? Ah, e io voglio vedere più personaggi gay! Anzi, voglio vedere personaggi che fanno la raccolta differenziata. Perché non c’è mai un personaggio con la scoliosi? Per una che avrà una gobba come Igor, mi sento molto offesa da questa mancanza! Che, ce l’avete con gli handicappati?

Se a molti lettori di fantasy piace evadere dalla realtà leggendo storie di terre misteriose e di persone comuni che diventano eroi è perché questi lettori sono stati bullizzati e emarginati dagli altri e, be’, come si può biasimarli?

Grazie Madre Teresa, ma anche no, eh ? Il fantasy ben fatto piace perché dà sense of wonder, è come fare un viaggio in una terra lontana. Fine. Lo psicodramma dei poveri ve lo potete anche tenere. C’è che è stato bullizzato, chi no, chi a volte sì e a volte no, evitiamo le bischerate eh. Che sennò è un po’ come dire che tutti quelli che leggono thriller hanno vite vuote e monotone, e tutti quelli che leggono storie di guerra sono fascistoni assetati di sangue che sognano di sterminare popoli interi.

In conclusione, il signor Harry conosce il genere certamente meglio del signor Clive, ma la sua risposta lascia comunque a desiderare. Mi aspettavo qualcosa di più, specie quando l’articolo da criticare offriva bersagli così facili. Ma pazienza.

Stretta è la foglia, larga è la via,

Facciamo che ci beviamo sopra anche se non fa rima ?

MUSICA ! (Chi altri giocava a Prince of Persia warrior within? Una delle tamarrate che mi resteranno sempre nel cuore!)


 

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO : sto finendo di scrivere la tesi e sono nello stallatico fino agli occhi (o anche « sono nei romanzi di Altieri fino agli occhi ». Gli articoli « seri » e « impegnati » riprenderanno non appena mi sono liberata di questa triviale incombenza che si chiama Laurea Specialistica. Chuss !

[1] Fratboy, creatura tristissima da tutti i punti di vista. Sì, sto generalizzando. Ma almeno io ne sono cosciente.

BlackAdder, la commedia dei secoli

Era il 1979, quando due studenti di Oxford fecero conoscenza. Si trattava di Rowan Atkinson (che stava studiando ingegneria, no less) e Richard Curtis. I due cominciarono a collaborare mettendo insieme reviews di commedie.

Quando decisero di passare dal commento all’azione, si trovarono davanti a un problema: Fawlty Towers. Questa serie faceva furore in quegli anni, e rappresenta tutt’ora un esempio ammirevole di commedia inglese. Qualsiasi altra serie umoristica non poteva non essere paragonata a Fawlty Towrs, Curtis e Atkinson lo sapevano, e il confronto sarebbe stato spietato. Come disse Curtis, Fawlty Towers era semplicemente “troppo perfetto”.

Decisero quindi di aggirare il Cariddi girando una serie di ambientazione storica, così diversa da non evocare nessun confronto.

Nel 1983 nasce The Black Adder la Vipera Nera.

Curtis spiega che il nome è una gomitata a Hollywood, che in quel periodo riteneva assolutamente necessario ficcare BLACK o RED su ogni drammone storico sfornato.

La serie attacca con la guerra tra Riccardo III e Enrico VII, spiegando che tutta la faccenda della battaglia di Bosoworth (vinta da Enrico) non è che una vile menzogna. Riccardo vinse la battaglia, ma…

E la storia comincia!

Rowan Atkinson recita il protagonista, Edmund, secondo figlio del non-molto-storico re Riccardo IV d’Inghilterra, sul finire del ‘400. Atkinson usa tutte le smorfie, la voce nasale e le gesticolazioni esagerate di Mr. Bean, che a me non dicono un granché ma che al resto del mondo sembrano piacere così tanto (go figure). Edmund è un personaggio untuoso, vile e senza talento, pieno di invidia e ambizione.

E’ affiancato nelle sue maldestre macchinazioni da un servo scaltro (interpretato dell’eccellente Tony Robinson), Baldrick, e da un compare mentecatto, Percy (recitato da Tim McInnerny).

Nella migliore tradizione inglese, il resto dei personaggi è costituito da vari mostri umani, di solito accomunati dall’assenza di qualsivoglia intelligenza e dal fatto che praticamente ognuno di loro è, a modo suo, una persona riprovevole.

Se c’è qualcosa che gli inglesi ci insegnano, è che ci sono 101 maniere differenti per essere un essere orribile.

La prima serie di Black Adder è una serie ambiziosa. Costumi, grandi riprese, numerosi set e scene esterne, trucchi… Tutto molto caro e tutto non all’altezza della spesa.

Intendiamoci,questa serie ha pregi innegabili, e non è in nessun modo un brutto prodotto. Ma nonostante tutto, non decolla. Alla fine è una specie di Mr. Bean nel passato.

Una delle cose buone è senz’altro la sceneggiatura, molto spassosa.

Una menzione di merito va anche al padre di Edmund, il mai esistito re Richard the IV, un pazzoide sanguinario, tanto scatenato quanto crudele. Brian Blessed è uno spettacolo!

Un assaggio, lo scambio tra Edmund e lo spettro di Riccardo.

La sceneggiatura

 

Re Riccardo!

 

Certe gag sono un po’ banalotte o maldestre

 

Molta ambizione nella realizzazione..

 

… ma alla fine è Mr. Bean nel passato

 

Serie caruccia, ma niente di trascendentale.

La storia di BlackAdder però non è finita. Dopo la prima serie, al team creativo si aggiunse Ben Elton, altro comico televisivo, che decide di dare una drastica ripettinata alla faccenda: quello che alla serie manca è focus! Basta cavalli, basta grandi scene, basta lunghe riprese! Ben e Curtis impacchettano una nuova proposta alla BBC, una serie comica con meno sets, più presenza degli attori, metà prezzo per il doppio delle gags!

Nel 1986, nasce Blackadder II, ambientata sotto il regno di Elisabetta I. E diavolo, stavolta decolla!

Bob?

Ritroviamo Blackadder, che non è più principe ma un cortigiano, e non è più un impedito gesticolante ma un uomo astuto (che non vuol dire intelligente), tagliente e sarcastico. Un uomo senza scrupoli e senza morale, alla mercé di una regina capricciosa, infantile e completamente psicotica (recitata dalla bravissima Miranda Richardson).

Tornano anche Percy, l’amico idiota, e Baldrick, che in questo secolo ha perso la lotteria genetica e ricompare come completo ritardato mentale. Per quanto entrambi siano due side-kick stupidi, entrambi i personaggi vengono sviluppati in questa serie.

Percy è qualcuno che hai giusto voglia di prendere a calci per la pena che fa. E’ un imbecille senza talento, che adora Blackadder con ottuso ardore. Farebbe (fa!) qualsiasi cosa per aiutarlo, proteggerlo, compiacerlo, senza ottenere mai un’oncia di stima o gratitudine in cambio.

Baldrick è ancora più stupido, ma animato da una lealtà incrollabile. E’ peraltro forse l’unico personaggio, insieme a Percy, a non essere un essere spregevole, un infame o uno psicopatico pericoloso.

Un altro personaggio si aggiunge alla banda, il Ciambellano Melchett, interpretato dall’ottimo Stephen Fry, un sicofante che la regina tiene presso di sé come si tiene un canarino: le piace sentirlo cantare, ma può sempre decidere di tirargli il collo quando si stufa.

Un assaggio, che spero non vi sconwenga!

La sceneggiatura

 

I costumi

 

Gli attori

 

I nuovi caratteri dei personaggi

 

I nuovi personaggi

 

L’ultima puntata

 

Blackadder II non ha difetti, è uno spasso, guardatelo!

La serie ebbe un tale successo, che la seguente, Blackadder the Third, uscì subito l’anno dopo!

Seguendo le leggi Pessime e Regressive delle umane sorti, Blackadder ritrona sulla scena dopo essere ancora sceso nella scala sociale. Il personaggio è lo stesso come carattere e antipatia, ma a questo giro si trova incastrato come maggiordomo del Principe del Galles, erede del re matto Giorgio III (1738-1820).

Il personaggio del principe fu progettato seguendo l’idea “che tipo di persona sarebbe Percy se gli togliessimo quel pochissimo che ha di cervello?”. Aggiungete Hugh Laurie nei panni del ritardato, e avete uno dei personaggi più divertenti della serie. La stupidità disarmante del principe fa il paio con l’astuzia del suo maggiordomo.

Baldrick ritorna, e Stephen Fry, stavolta nei panni di nientemeno che il Duca di Wellington.

Questa serie rispetta molto più la storia della prima, la sfrutta invece di tenerla come mera scusa per filmare cavalli e gente in armature bislacche. E il risultato è ottimo.

C’è anche posto per il romanticismo, tipo quando il principe decide di corteggiare la ricchissima dolcissima Amy. Wof wof!

La sceneggiatura

 

Le gag storiche

 

Hugh Laurie nei panni del principe

 

La puntata del dizionario è bellissima e un capolavoro di per sé!

 

I francesi. Ah!

 

Blackadder the Third è oro. Guardatela!

Questa terza serie piacque tantissimo agli inglesi, al punto che la BBC chiese al team di girare uno speciale per Natale. Sai che hai sfondato quando ti chiedono di fare uno speciale di Natale. Pervertire senza vergogna il classico A Christmas Carol non ha prezzo!

La via per il successo di Blackadder non era però finita. Il gruppo decise di cimentarsi di nuovo, questa volta andando alla radice stessa della commedia: la miseria umana e la sofferenza gratuita.

Blackadder goes Forth si ambienta nel 1917, nelle trincee inglesi.

Per quanto non mi piacciano i discorsi dei preti, la Prima Guerra Mondiale fu una vera e propria “inutile strage”. Abbiamo fatto di peggio, è vero, ma resta uno dei momenti più bui della nostra storia. Il team comico sapeva di maneggiare materiale delicato, ed era determinato a farlo con rispetto e umorismo.

Blackadder è un capitano, affiancato dal Lieutenant George (Hugh Laurie) e il soldato semplice Baldrick.

Rispetto alle serie precedenti, il carattere di Blackadder è rispulizzito, certi tratti attenuati. Resta un egoista sarcastico e poco lungimirante, ma perde la malignità dei suoi antenati. Blackadder è un personaggio con cui è più facile riconoscersi. E’ un vigliacco e un paraculo, ma allo stesso tempo la situazione in cui si trova non ha senso.

Baldrick è l’uomo semplice, il tommy che viene preso a calci da tutti e la cui vita non vale niente. Ma per la prima volta alza la voce. Schiacciato sotto un sistema che lo opprime, Baldrick sogna la rivoluzione russa e la liberazione degli underdogs come lui.

Il mio personaggio preferito della serie è in assoluto Lieutenant George. George è un idiota che si berrebbe qualsiasi cosa servita dalla propaganda. Non ha la minima idea dei rischi che corre, nemmeno quando si trova nel bel mezzo della no man’s land, ma arde di patriottismo e buona volontà. Il suo “mindless optimism” è esilarante e tragico allo stesso tempo.

Melchett ricompare nei panni del generale, un despota completamente pazzo. E’ il simbolo stesso della follia della guerra. E’ potente e aggressivo, o, per usare le parole di Hugh Laurie in n’intervista, un avvinazzato fascista abbaiante. Non toccate i suoi piccioni, o le conseguenze potrebbero essere gravissime.

Percy torna sulla scena come Captain Darling, un uomo dannato dal nome più ingrato del secolo, cosciente del fatto di essere solo un piccolo burocrate vigliacco, consumato da amarezza e frustrazione ma troppo spaventato per cambiare qualcosa.

Un target molto particolare si rivelò entusiasta per questa nuova caratterizzazione di Baldrick: l’esercito britannico. Baldrick è diventato una specie di favorito assoluto di molti soldati e ufficiali. La serie in generale pare aver spopolato tra i militari. Espressioni come “cunning plan” o “wibble-wobble” sono entrate a far parte del gergo, costruzioni e luoghi vengono soprannominati coi nomi dei personaggi, e pare che una metà dele capre mascotte del Royal Regiment of Wales si chiamino Baldrick.

Questa serie offre spunti di alta poesia (come The german gun) e il finale più bello che un film sulla Prima Guerra Mondiale potesse avere. E’ triste, è tragico, è commovente, è crudele… E’ spettacolare.

La sceneggiatura

 

Gli attori

 

Ogni storia di ogni episodio!

 

20 minuters

 

Lieutenant George!

 

Il finale

 

Blackadder goes Forth è la serie più bella e divertente che abbia mai visto. E’ divertente, è tragica, è rispettosa e cinica. Da guardare assolutamente.

BTW, ho scritto questo articolo così chi bazzica capirà a cosa mi riferisco, d’ora in avanti, con Tally-ho!, cunning plansod off o READYAIMFIRE!.

MUSICA!

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Riferimenti
The Black Adder

Blackadder II

Blackadder the Third

Blackadder goes Forth

Blackadder – The whole rotten saga

Come non si fa (1): Vikings

Fear the Daibanana!

Il Capodanno è finito. L’ho passato in famiglia, con parenti che ci hanno assolutamente tenuto a vedere il documentario sui cercopitechi urlatori, altresì chiamato “quellammerda con Gigi d’Alessio”. La badante di mia nonna ha anche cercato di portarmi via la bottiglia dopo appena un paio di bicchieri. Non ho nemmeno potuto far esplodere qualcosa, e il disperato tentativo di accendere le girandole al chiuso ha avuto le ali tarpate quando quelle porcherie sono bruciate quietamente per terra senza schizzare per aria.

Niente musica, niente sbronza, niente ustioni. Bah.

La ricaduta positiva è che, con queste premesse, il 2015 si preannuncia ancora più Grumpy del 2014.

Ergo, come meglio festeggiare se non inaugurando una nuova rubrica?

COME NON SI FA, una piccola guida a tutto quello che fa schifo nelle vostre scene preferite (perché guastare la festa è la mia vocazione).

Il primo esempio: la prima battaglia della serie Vikings, che, se avete letto questo articolo ricorderete, non mi ha fatto proprio una bella impressione.

Il contesto

La battaglia è presa dall’Episodio 4 della Prima stagione. Al loro secondo raid, i nostri saccheggiano un posto in Northumbria con una facilità che dire fa schifo è poco. Di ritorno alla spiaggia, però, i nostri trovano i guerrieri di re Aelle ad aspettarli.

And hilarity ensues.

La battaglia

Cominciamo, cosa non funziona con questa scena?

La tenuta dei vichinghi per cominciare (anche quella dei Northumbri, ma quella dei vichinghi fa davvero piangere i gattini). Come detto nell’articolo succitato, i costumi della banda sono decisamente brutti. E per sovrammercato, nessuno di loro pare portare una protezione decente: niente guanti, cuoio o panno imbottito, nulla. Pessima, pessima idea.

Ma limitiamoci agli aspetti tattici della faccenda!

Cominciamo con le forze in campo.

Per la squadra di casa, la Northumbria, abbiamo:

  • 3 cavalieri
  • 10 arcieri
  • 3 file da 10 lanceri
  • 10 con la spada nella prima linea.

53 uomini, o 50 se togliamo gli aristocratici a cavallo.

Per la squadra ospite, Norrenia, abbiamo:

  • 24 scudi
  • 6 lance
  • 2 archi.

Ovvero, compreso Floki sono 27 più un prigioniero.

I Northumbri sono quasi il doppio e meglio armati. Non dovrebbe esserci partita. Ma Ragnar può contare sull’Abilità SonoIlProgagonista e sul potere Pessima Sceneggiatura, quindi siamo tranquilli.

Difatti le trovate Ma Che Cazzo cominciano ancora prima del pestaggio.

  • D’acchito.

Il gruppo Northumbro è schierato in assetto di guerra esattamente davanti l’imbocco del sentiero, tagliando la via alla nave. Questo può voler dire solo due cose: si aspettano che i vichinghi arrivino da quel sentiero e non vogliono lasciarli scappare.

E il primo problema c’è già, grosso come una casa.

I Northumbri hanno 3 vantaggi: il numero, la sorpresa e l’agio di scegliere il terreno. E in una combo spettacolare, non approfittano di nessuno di questi!

I vichinghi stanno avanzando su un sentiero profondamente incassato tra le dune, una posizione estremamente vulnerabile.

Ho una proposta per il comandante Northumbro: mandi due tapiri con le accette ad affondare la nave, poi apposti gli arcieri sul crinale delle dune con gli spadaccini per ricacciare giù a calci qualunque furbone cerchi di arrampicarsi, e quando i nemci rompono in fuga te li carichi e gli fai le chiappe a fettine.

E ho un consiglio per Ragnar: prima di tornare indietro per la stessa strada che hai fatto a venire, manda qualcuno a controllare se la via è libera. Potresti scoprire che è meglio fare un altro giro. Magari dar fuoco a qualcosa come diversivo, e tentare uno sfondamento quando il grosso dei Northumbri accorre da qualche altra parte. Questo, ovviamente, se il comandante Northumbro non è affetto da qualche tenia cerebrale e prova a crearti delle difficoltà…

  • What is it?

E’ la battuta di un vichingo alla vista dello schieramento Northumbro. E’ la majala di to’mae. Che vuoi che sia?

  • Fate con comodo

I Northumbri non attaccano subito, sarebbe scortese, poi rischi di fargli male. Prima trascinano nel mezzo i cadaveri dei due pirla lasciati alla nave, perché chi non vuole un morto su cui inciampare, prima di una carica? Poi lasciano il tempo ai vichinghi di fare le faccine, schierarsi, fare un bel muretto, e solo dopo si risolvono ad attaccare. Che gentili.

  • Colpa della crisi

Gli arcieri tirano una sola salva. Difatti, noterete, non hanno una faretra, hanno delle costosissime spade. Perché le frecce avevano l’IVA troppo alta, immagino. Peraltro gli archi svaniscono subito dopo. No, non li lasciano cadere, spariscono: non sono più utilizzati né sono per terra alla fine della scaramuccia.

Ma forse i 10 arcieri stavano sulle palle del capoccia, visto che hanno una sola freccia in dotazione e subito dopo si ritrovano a caricare in prima linea senza uno scudo.

  • Becchi d’assalto

Avete mai notato che nelle cariche dei film i tizi non tengono mai la linea?

  • Dagni di cornate!

Come detto sopra, i Northumbri sono molto più numerosi dei vichinghi. I vichinghi si sono sapientemente disposti su una singola linea, con nessuno a proteggere i fianchi e le terga. I Northumbri potrebbero tranquillamente girargli intorno e affettargli le chiappe. Tempo necessario: 2 minuti e 46 secondi.

Invece no, come un sol uomo i signori prendono a cornate gli scudi. Punfete, punfete, punfete, nota tattica del Moscone contro il Vetro. Ora, già che sono a scapocciarsi la prima linea così, perché fare il giro sarebbe poco galante, potrebbero sfilettare le zampe dei normanni. Difatti noterete che i nostri non le stanno proteggendo, anzi, tengono lo scudo fisso alla stessa altezza. Ragnar lo tiene addirittura a due mani, perché è tanto ‘omo che non ha nemmeno un’arma per due terzi della battaglia. Scalzargli le rotule dovrebbe essere questione di pochi secondi.

Invece no. Capocciate sugli scudi e via a andare, che i colpi su polpacci e polsi non fanno punto!

  • Quanti vichinghi ci vogliono per…

Tirare 2 frecce?

EDIT: ecco, per la gioia di grandi e piccini!

I vichinghi hanno due arcieri. Sono pochini, ma meglio di niente. Potrebbero tirare a campana sulle zucche dei Northumbri.

Non lo fanno.

Perché uno dei due si decida a tirare, Ragnar e Rollo devono scansarsi, aprire la linea perché questo mentecatto tiri in linea retta nel muso di un nemico. Botta di culo che non colpisce nessuno dei suoi (e la probabilità di incidente in un’azione del genere sono innumerevoli), e che i Northumbri non ne approfittano per spingere e spezzare in due lo schieramento vichingo. Bontà loro.

La seconda volta che gli arcieri si rendono utili, come potete vedere dalla gif (contribuzione del buon Dago), è quando salgono ognuno su uno scudo. Dopodiché due normanni per parte li tirano su, e questi tirano (altro tiro diretto) nel mucchio.

Riassumendo, ci vogliono 6 vichinghi per tirare 2 frecce, e i Northumbri sono così impediti che la prima linea può privarsi di 2 scudi e 4 uomini senza risentirne minimamente.

  • They see me Rollin’

I Northumbri sono seghe tali che Rollo può sfondare tutte le loro 4 linee stile panzer, acchiapparne uno per il cravattino e riportarselo dietro il muro di scudi. Il tutto senza subire nemmeno una gomitata nelle costole o un calcio negli stinchi.

  • Uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta per carità (cit., ci sono melomani in sala?)

Dopo la passeggiatina di Rollo, il regista si rende conto che è meglio distogliere l’attenzione dalla tattica, e segue una serie di close-ups di vichinghi machones che con una botta sola azzerano i Punti Vita dei Northumbri, schizzi di sangue e faccine buffe. Dopo aver mostrato un po’ di scenette, i nostri decidono che forse è il caso di riformare la linea.

Ora, chiunque abbia letto un qualsiasi libro, libretto, depliant di storia militare un minimo ben fatto, sa che una volta che la linea è persa, è persa. Puoi recuperare ritirandoti e raggruppando i tuoi in un nuovo schieramento, ma non puoi fare e disfare la linea nel mezzo di una mischia indiavolata.

Questo nel mondo reale. Nel mondo di History Channel (mortacci loro) i Northumbri sono gente molto comprensiva, e lasciano che i nostri amici si risistemino. Che a dargli noia rischi di spettinarli.

 

Bilancio finale:

Perdite Northumbre, 50. Più il prigioniero che, in tutto il casino, non è riuscito a scappare (forse considerava maleducato andarsene senza salutare).

Perdite Vichinghe, 2, più i 2 pirla che avevano lasciato alla nave.

Hooray I guess…

Da un punto di vista puramente narrativo, la battaglia ha 2 grandissimi problemi.

Il primo, i Buoni hanno vinto senza meritarselo. All’inizio la sproporzione di forze è troppo colossale (2 a 1), e nello svolgimento i nemici si mostrano troppo deboli e stupidi per costituire una seria minaccia. Se i Northumbri avessero i neuroni sufficienti a trovarsi il culo con le mani, vincerebbero in un batter d’occhio. Perdono perché manovrano come dei ritardati. Ai Buoni basta star fermi e aspettare che quelli si impalino da soli, o quasi (ho già detto che Ragnar nemmeno ha un’arma in mano?).

Se è chiaro che i buoni vinceranno senza colpo ferire o quasi, la tensione crolla. Non abbiamo paura che Ragnar, o Rollo, o la Lagertha si faccian male. Sappiamo che non se ne faranno. Alla fine non siamo felici per loro, perché non c’è stato nessun investimento sullo scontro.

Il secondo, strettamente legato al primo, la vittoria costa troppo poco. 2 scalzi e gnudi contro 50 militari in armi. Questo ci dice che i Northumbri sono gente del tutto inadeguata, che saranno presenti solo per essere cattivi buffi e per farsi ammazzare da Rollo che è tanto figo.

Per chiunque racconti storie: mettiti nei panni del tuo antagonista. Più l’antagonista è intelligente e capace, più il tuo eroe avrà merito per essere riuscito a sconfiggerlo. Se per far vincere il tuo personaggio devi far commettere errori cretini all’antagonista, vuol dire che il tuo eroe è a sua volta un povero scemo. Perché a qualcuno dovrebbe interessare una gara di lancio della cacca tra due menomati mentali?

Un antgonista ritardato non fa risaltare l’eroe, lo schizza di merda e basta.

Ma Tengy, direte voi, la saga è tanto piaciuta!

Vero. Il punto è: volete raccontare una storia di buona qualità o no? Avete rispetto per i vostri personaggi o non ne avete?

Concludo con una lettura che ho già consigliato, ma che ri-consivlio: Decisive battles of the Western World, del caro Fuller.

E’ tutto per oggi. Vi auguro un 2015 ricco in bottino e saccheggio!

MUSICA! (Da notare che nel video, fatto con un cinquantesimo dei quattrii investiti in Vikings, i costumi sono molto migliori)

Vikings, la serie

L’ho fatto. Ho finalmente visto l’intera saga Vikings. La prima. Tutta.

Oh boy

Non mi è piaciuta. Ho passato il 98% del tempo a prendermi a schiaffi e ridacchiare come un’imbecille. Ma siccome sono una fanciulla liberale e cavalleresca, cercherò di fare un sunto il più equo possibile.

Perché qualcosa di buono questa serie, scavando, ce l’ha.

Le qualità

La musica della sigla di apertura. Splendida. Si tratta di If I had a heart del duo svedese The Knife.

Certe rarissime scene: in alcuni passaggi pare quasi che dietro la morchia un minimo di documentazione emerga. Tipo il processo al thing, nella prima puntata. Non so se sia storicamente esatto, ma è di certo storicamente credibile.

Anche il sacco del monastero è buono.

Il personaggio di Floki: è forse l’unico personaggio davvero memorabile della banda. Purtroppo, pur essendo spesso presente, ha tutto sommato poca parte, sia come battute, sia come ruolo nella storia (fa una cosa importante, costruire la barca all’inizio, poi è una specie di presenza estemporanea al seguito di Ragnar). Ma resta un personaggio interessante.

La fotografia: la serie ha un bell’aspetto, anche se niente di innovativo.

La recitazione: per la maggior parte, gli attori sono bravi. In particolar modo, i bambini sono notevoli per la qualità della performance, tenuto conto dell’età. Travis Fimmel recita la parte di Ragnar, ed è uno di quelli che mi sono piaciuti meno, ma perfino lui, a tratti, riesce ad avere momenti di luce. Insomma, avete presente Game of Thrones, dove hai voglia di cavarti gli occhi con le unghie ogni volta che Jon Snow entra in scena? Ecco, questo supplizio qui ci viene risparmiato.

Certi costumi sono passabili. Non molti e in generale non quelli che hanno addosso i personaggi principali, purtroppo…

Certi scambi di battute sono effettivamente divertenti o ben trovati. Un paio di scene tra Ragnar, sua moglie e suo figlio sono gradevoli, un paio di battute, tipo il discorso del vecchio che vuole morire in battaglia, sono verosimili nel contesto e ben scritte. Purtroppo non sono la maggioranza.

Alcune scenografie sono passabili. La hall di Haraldson è ok, e il castello del re di Northumbria sarebbe quasi passabile.

And that’s about it

Le occasioni sprecate

Ci sono diversi elementi che urlano “Possibile Trovata Geniale QUI!”, ma vengono lasciati ai corvi, forse perché chi ha scritto questa sceneggiatura era troppo occupato a fare roba più interessante, tipo risolvere il cubo di Rubik con le natiche (opinione mia).

Una delle grandi occasioni sprecate è il primo antagonista, il capo di Ragnar, Haraldson. Haraldson è un uomo autocratico, dispotico, avido e paranoico, un uomo che invidia e teme l’audacia dei propri sottoposti. La ragione di tanto sfacelo sarebbe il trauma di due figli assassinati. Gravato da questo lutto mai risolto, Haraldson si affossa sempre più in mediocrità, frustrazione e depressione.

Gli elementi ci sono tutti per la costruzione di un buon antagonista, un buon Cattivo. Eppure, nonostante tutto, la faccenda si riduce a tanto fumo e niente arrosto. Solo in un passaggio Haraldson parla di quanto è successo e di cosa lo spinge a perseguitare Ragnar. Per il resto, il tipo è solo uno stronzo mediocre, messo lì per creare difficoltà al nostro eroe. Ad Haraldson non è concesso di vivere, il povero earl si trova ridotto a mero plot-device.

Forse un attore migliore avrebbe saputo convogliare la tragedia del personaggio. Byrne è un attore più che passabile, ma la sua performance in questa roba è stanca e annoiata, e da sola non basta a sopperire a una sceneggiatura sciatta.

Rollo è un altro personaggio sprecato. C’è una scena in particolare che mi ha fatto mangiare le mani. Rollo e gli altri stanno saccheggiando un posto in Northumbria, e il nostro barbuto preferito entra in una casa dove un vecchio è allettato. Rollo gli versa da bere, lo lascia dissetare, poi intasca coppa e brocca e se ne va senza ucciderlo.

Sarebbe una buona scena. Il problema è che è una specie di bolla avulsa da qualsiasi contesto! Non ha nessuna ragione e non ha nessun impatto!

Avrebbe avuto senso se Rollo fosse stato un guerriero senza empatia, ma non per forza un sadico violento. Se fosse stato qualcuno che combinava un’abitudine incallita alla violenza con una certa quiete, qualcuno che può staccarti la testa se gli profitta, ma che può lasciati vivere se non gli costa niente.

Il problema è che Rollo non è quel tipo di personaggio: Rollo è un energumeno violento e frustrato, che nel raid precedente ha trascinato fuori dalla latrina un monaco per ucciderlo a calci. Il che non è un male, un personaggio del genere va benissimo, ma non è coerente con la scena del vecchio. Peraltro la scena non lascia nessun impatto su di lui.

In un altro passaggio Rollo si fa battezzare per poter sancire un patto con re Aelle di Northumbria. Era una buona idea. Rollo mira a diventare capo e scalzare suo fratello. Facendosi battezzare, fa prova di lungimiranza e astuzia perché, al prezzo di un po’ d’acqua, può diventare l’interlocutore privilegiato di un potente capo straniero. Allo stesso tempo, la sua azione potrebbe irritare gli dei!

E’ un eccellente materiale di partenza per una buona storia!

Ma no, alla resa dei conti il re non lo prende come interlocutore, e poco dopo Rollo fredda una cifra di cristiani, ergo gli dei non ce l’hanno con lui. Nella puntata dopo il battesimo non ha lasciato nessuna traccia, non viene nemmeno menzionato. Rollo dà prova di essere il solito zuccone tanto ardito e tanto tonto.

Ma allora perché si è fatto battezzare? Qual’era il piano, la ragione?

E ora veniamo al dente dolente. E preparatevi, perché mi sa che è un molare.

Il primo grande, enorme, dolorosissimo problema: il fottuto logo di History Channel!

Ora, io sono una cagacazzi, ma so essere tollerante. Non sono del genere a dar fuoco a un film perché la comparsa della terza fila della quindicesima scena aveva un berretto non confermato da fonti attendibili. Sarebbe ipocrita, visto che io stessa vado a giro con una lamellare 2 secoli più recente della datazione ufficiale della mia banda.

Ma per Balder Morto Ammazzato e Mia Nonna Colle Rote, a tutto c’è un limite!

E lo so cosa volete dirmi: Ma Tengy cara, ne abbiamo viste di peggio!

Ma un grandissimo STICAZZI?

Con questa logica ogni film realizzato dopo gli anni ’80 è per definizione bello! (E’ un troll, ma solo parziale)

Questa roba è stata approvata da History Channel, un canale che dovrebbe essere culturale, porca puttana! Una di quelle cose che le guardi, ti diverti, e BONUS, dopo sei anche un po’ meno cretino!

Dico spesso che avrei molte meno lamentele da fare se i film “storici” mettessero un disclaimer “solo liberamente ispirato a fatti reali”. Questi mercenari del rimbecillimento hanno fatto il fottuto contrario!

E mi spiace se suono più volgare del solito, ma questa cosa mi fa diventare matta! Già la storia medievale è conosciuta a cazzo di cane e sotterrata da luoghi comuni che fanno piangere i gattini, ci manca solo che degli irresponsabili ficchino loghi a cazzo su serie a cazzo! E’ disonesto!

E no, nono ho finito di accanirmi su questo punto, ma lo riprenderò alla fine. Ora una rapida panoramica su cosa insulta la vostra cultura generale in questa serie.

WTF?

Questa serie non è né carne né pesce. L’idea di prendere un eroe leggendario e inserirlo in un contesto storico per fare che fosse lui a capo dei primi raid in Northumbria era anche buona. Ma l’hanno saputa rendere?

No. La storia non ha un piffero di nulla a che vedere con la leggenda. Nelle storie, Ragnar è un grande capo guerriero, Lagertha sarebbe la sua terza moglie (e comunque compare nominata solo in Gesta Danorum, la Ragnar saga e la Storia dei figli di Ragnar non la nominano), Bjorn è il figlio che lui ha dalla seconda moglie, Kràka, e, quando prova ad andare in Inghilterra, re Elle lo annienta.

Visto e considerato che la serie e le saghe non hanno NULLA in comune, perché volerle collegare? Che senso ha?

Ha senso se Operation Petticoat io lo chiamassi La battaglia di Tsushima e pretendessi una qualsivoglia ispirazione al fatto storico? No, lascerebbe tutta l’audience confusa.

Qui è uguale.

Peraltro, non si sa chi fosse a capo della prima spedizione vichinga, ma si sa chi era re di Northumbria, e il signore non si chiamava Aelle, bensì Etelredo. E mi spiace, Etelredo sarà poco conosciuto, ma è altrettanto stupido che mettere in scena Napoleone e chiamarlo Davy Crockett!

Il compromesso tra saga e storia è fatto malissimo! Queste entità si sono accoppiate e hanno partorito un feto incompleto e sterile!

I costumi variano dal passabile al “mi strappo gli occhi”, specie quando si tratta di guerrieri. Ragnar e Rollo sono vestiti di semplici giubbe di cuoio, perché la lana non è altrettanto sexy. Sono conciati da motociclisti anche durante le battaglie!

E qui c’è un grosso problema. Ragnar e Rollo sono di classe sociale relativamente bassa, ok, ma del feltro imbottito o un elmetto di cuoio non sono roba complicata da mettere insieme. Plus, Ragnar combatte con una spada, un’arma costosissima e appannaggio dell’aristocrazia. Decidetevi: è ricco o è povero?

I suoi compagni brillano pure per la totale assenza di protezioni, tranne uno, che ha sì della maglia, ma solo per proteggergli la coscia sinistra. Già. Chi vuole pararsi la pancia, o la testa, o la gola quando puoi coprirti la coscia che già proteggi con lo scudo?

E non voglio nemmeno pronunciarmi sul corpetto sadomaso che ficcano a Lagertha durante il raid.

Anche le armature dei sassoni sono fatte a bischero. La storiografia contemporanea pare concordare sul fatto che l’armatura d’elezione di questa gente fosse la maglia. Il che non vuol dire che tu non possa ficcarci pseudo-lamellari. Ma non puoi farne l’armatura base di TUTTI i guerrieri! Peraltro, le loro pseudo-lamellari sono bruttine forte, specie viste da vicino.

La vicenda

 

I danesi non sanno dove si trovi l’Inghilterra. Di più, pare sia opinione comune che non esista nemmeno, una terra a ovest!

Ma Maremma ingarbugliata d’accidenti, vi pare? Ci saranno sì e no cinquecento chilometri tra la Northumbria e la Danimarca, e volete darmi a bere che il popolo più navigatore, esploratore e curioso del nord-Europa non sapeva nemmeno che delle terre occidentali esistessero?

E uno potrebbe dire: ma Tengy, sono solo i quattro ritardati di Kattegat che non lo sanno!

Una bella sega, nell’ultima puntata, durante un té coi biscottini tra Ragnar e re Horik di Svezia, si capisce che l’intera scandinavia ignorava l’esistenza non solo delle Isole Britanniche, ma anche del territorio Franco! Oibò, capisco non parlarsi tra vicini, ma si son forse persi il massacro di centinaia di pagani in Sassonia, giusto un pelino più a sud, cinque anni prima? Volete davvero farmi credere che gli scandinavi non hanno mai sentito parlare di Carlo Magno?!

Ma non è finita qui!

Ragnar sa come navigare ad ovest perché un tizio a caso che passava di là per caso gli ha spiegato come fare e gli ha dato gli strumenti per farlo. L’acquisizione di questo sapere e di questi strumenti è ciò che mette in moto la storia, è un fatto importante.

Ma no, accade fuori campo.

Secondo voi Il ritratto di Dorian Grey sarebbe stato meglio se, invece di raccontare come Dorian entra in possesso del ritratto, la storia attaccasse con lui che prende il té e spiega “oh, sai, ho questo ritratto che invecchia al posto mio, così, me lo ha fatto un amico, buffo no?”?

Ma fosse solo quello…

I nostri salpano di nascosto al capo cattivo, e per poco non scoppia un ammutinamento quando il viaggio dura troppo.

Dall’Irlanda nordoccidentale all’Islanda una nave vichinga del X° ci metteva circa una settimana, e stiamo parlando del doppio della distanza che separa la Danimarca dalla Northumbria.

In altre parole, i nostri fieri guerrieri fanno la lagna per due giorni di navigazione o poco più!

Insomma, i nostri arrivano e saccheggiano il monastero di Lindisfarne. Lindisfarne fu davvero saccheggiato l’8 giugno del 793. La vera ragione dell’attacco è probabilmente legata al fatto che la Northumbria stava attraversando decenni di feroce instabilità politica, in cui re, principi, zii e nipoti si facevano la pelle a vicenda, si deponevano e si ri-arrampicavano sul trono, insomma, un po’ come A song of ice and fire, solo peggio. Il re Etelredo aveva da poco cominciato il suo secondo regno ed era impegnato ad annegare e decapitare rivali dinastici. Il fianco della Northumbria era scoperto.

Ma torniamo alla serie, che la storia reale rischia di essere interessante. I nostri arrivano, saccheggiano il saccheggiabile e tornano indietro portandosi dietro un certo numero di prigionieri, tra cui il giovane monaco Athelstan, che parla norreno essendo stato missionario nelle terre scandinave.

Il che rende tutta la storia del “non esistono terre ad ovest” ancora più cretina, ma non infieriamo.

Di ritorno, il cattivo Haraldson mangia tutto il bottino, ma loro non si danno per vinti e ripartono per un secondo giro di ballo.

Ora, re Aelle (l’alter-ego mentecatto di Etelredo) dovrebbe essere, stando a quello che dice Athelstan, un “buon re”. Dei vichinghi gli hanno appena saccheggiato un grande monastero, si suppone che abbia messo in allerta i villaggi costieri e stia raccogliendo le forze per pararsi dagli attecchi successivi.

Si suppone.

I nostri vichinghi ri-sbarcano sulle coste Northumbre, e sono accolti subito da un manipolo di guerrieri, tra cui uno sceriffo locale. Costui squadra la trentina di energumeni patibolari che avanzano armi sguainate e ghigne fameliche, e giunge alla conclusione più logica: golly gee, mercanti!

I nostri arrivano a una vicina… cittadina? Villaggio? Cosa con roba intorno?

E’ difficile da determinare perché per certi versi ha le caratteristiche di un grosso centro provinciale: le case sono grandi e di pietra, e davanti alla chiesa sono posate numerose spade, il che indica, oltre a una innegabile prosperità economica, la presenza di almeno un aristocratico con la sua banda di armigeri. Per altri versi il posto pare l’ultimo dei buchi fangosi: lo protegge una sottile palizzata di assi (nemmeno tronchi, assi!) e durante la messa nessuno resta di guardia, sono tutti in chiesa, e con tutti intendo forse una cinquantina di persone.

Non è la sola cosa stupida che succede. Durante il raid, un vichingo sicofante ha l’ardire di stuprare una donna sassone. OMG, dei vichinghi che violentano le donne? Che ovvove! Infatti Lagertha interviene e lo ammazza (combattendo malissimo, peraltro!).

Ma Tengy, magari era solidarietà femminile!

No. Abbiamo stabilito in una precedente puntata che Lagertha NON è una persona empatica: in sub-plot del tutto inutile, Haraldson fa portar via un ragazzino dalla fattoria di Lagertha (il figlio di una delle sue dipendenti) e lo fa poi assassinare. Lagertha non fa una piega: non è il suo bambino, ergo chissenefrega?

Ancora, non è sbagliato in sé, ma o è egoista e distaccata o è empatica e solidale, non può essere l’una e l’altra a giorni alterni!

Ah, vi state chiedendo che cosa stiano facendo i nobili Northumbri nel frattempo?

Oh, aspettano educatamente i vichinghi sulla spiaggia, nella battaglia più “famosa” della serie. Questa battaglia è talmente un disastro senza rimedio che prenderà un articolo apposta. Non perché mi piaccia infierire (bon, ok, sì, mi piace!), ma a scopo educativo. Spiegare in dettaglio cosa non funziona può essere un buon modo per imparare quali sbagli non fare, a uso e consumo di chi si diletta di racconti.

Ma torniamo a noi! Dopo la battaglia i pochi scampati corrono da Aelle, che manda più uomini.

Ahahahah, no. Ovviamente no.

I nostri passano mezza giornata sulla spiaggia a far bagni di sole, del tutto indisturbati. Si vede che i Northumbri non attaccano dopo l’ora del té.

Di ritorno in Danimarca, Haraldson decide di far la pelle a Ragnar. Questo sub-plot è inutilmente lungo e un sacco di elementi non vanno da nessuna parte.

Haraldson sposa la figlia a un ricco nobile svedese, per avere più terre e sicurezza. Le ottiene? No, vi pare. Invece accetta un duello che non ha nessuna buona ragione per accettare e muore come da copione, con la stessa espressione annoiata che ha avuto per tutte le puntate. All’istante, sua moglie pugnala e uccide lo svedese brutto-vecchio-e-puzzolente.

Se vi state chiedendo perché gli uomini del tipo non muovano un dito, è semplice: sono spariti, o forse mai esistiti, non è chiaro. Peraltro, il tipo non ha nessun parente a casa che voglia vendicarlo. Va’ che botta di culo.

Ma tant’è, lo ammazzano, e poi si disperano perché non hanno più un uomo a proteggerle. Eh, bisognava pensarci prima, deficienti!

Questo sub-plot è inutilmente lungo e crea un bizzarro disequilibrio. Siccome il conflitto tra Ragnar e Haraldson prende così tanto posto, quando la serie continua sul conflitto tra Ragnar e Aelle, la tensione è molto più debole. Haraldson è un antagonista che viene sviluppato. Male, ma viene sviluppato. Re Aelle è una caricatura e lo si vede per un pugno di scene appena (poi sappiamo già che è incompetente e non pone nessun serio rischio). Per come la storia è costruita, Haraldson era il vero nemico. Morto lui il conflitto collassa, e con esso l’interesse, tenuto vivo solo da una quantità ancora più elevata di idiozie.

Una su tutte, una scena in cui Aelle butta un suo barone incompetente in una specie di tino dei serpenti. A parte il fatto che far fuori un barone così, senza processo né riguardo, era il modo più sicuro per morire di “morte naturale1”, la fossa dei serpenti è piena di bestie tropicali tra cui spicca un Pitone. Perché tanto il pubblico è cretino, e ogni singolo spettatore impara la scienZa ai raduni fruttariani di Max Gaetano.

Insomma, i Danesi risalgono indisturbati il fiume fino alla capitale, dove i Northumbri li lasciano tranquillamente attraccare, scaricare, montare e fortificare il campo. Perché aggredirli nel mezzo dello sbarco sarebbe stato, bé, da maleducati! I poveri predoni avrebbero potuto, tipo, bagnarsi o farsi male!

I Northumbri si accampano poco lontano (dopo aver segnalato ai vichinghi dove si trovano, perché non vogliamo che questi simpatici turisti abbiano difficoltà ad attaccarli!) e vanno tutti a nanna. Con l’armatura. E senza mettere una sola sentinella. I vichinghi senza colpo ferire sterminano i quattro quinti dell’esercito Northumbro e catturano il generale.

No, sul serio, non solo non muore nessuno, nessuno si fa nemmeno male! Immagino che i Northumbri si siano fatti ammazzare apposta per cavarsi da questa serie.

C’è poi tutta una lunga parte in cui Aelle finge di volersi accordare con loro se uno si fa battezzare, ma poi attacca il campo a tradimento.

Lanciamo una nuove rubrica: Come sistemare questa stronzata.

Aelle vuole recuperare il fratello senza pagare il riscatto.

Nel film:

1- chiede il battesimo di uno dei tizi come pegno;

2- consegna delle casse vuote;

3- Dopo che i vichinghi se ne sono accorti, li attacca, mentre il grosso della loro banda è ancora nel campo protetto e in misura di difendersi.

Sistemiamo questa stronzata:

1- chiede il battesimo di uno dei tizi come pegno;

2- durante la cerimonia manda qualcuno ad attaccare il campo impreparato e fa catturare Ragnar e i suoi, che sono quattro gatti;

3- li butta tutti nel tino dei serpenti, tanto le povere bestie saranno in ibernazione.

Avrebbe più senso, ma uno dovrebbe pensare e guadagnarsi il pane onestamente, o avere rispetto per la propria professione.

Quindi, dopo che Aelle promette vendetta in stile villain dei fumetti (“Hai vinto la battaglia ma non la guerra, Maestro Splinter, ci rivedremo!”), ora la storia è finita?

No, macché.

C’è un’intera puntata con Ragnar e famiglia che vanno in gita domenicale a Uppsala.

E Balder Redivivo in bicicletta, questa puntata non finisce mai e apre più buchi nella trama che una sventagliata di Gatling!

Uppsala non è più una grande città in collina, diventa un santuario giappo-norvegese (no, sul serio, ci sono la versione vichinga dei tori.i, lo stagno, tutto!) in cima a una montagna impervia senza nemmeno una strada per arrivarci.

Spiegare tutto quello che non va in questa puntata prenderebbe una vita. Alla fine non succede niente di notevole, se non che Ragnar conosce un tale Horik, che forse vuole essere Horik I re dei Danesi, ma mi pare strano perché nel 794 Horik I doveva essere ancora un marmocchio attaccato alle gonne di mamma.

Bottom line, c’è un colossale sacrificio finale che forse vuole creare un parallelismo con la religione cristiana. Già, perché c’è anche posto per l’elemento spirituale in questo pasticcio. Sorpresa: è gestito male!

Vorrei concludere con una citazione del creatore, una dichiarazione fatta al New York Times:

I especially had to take liberties with ‘Vikings’ because no one knows for sure what happened in the Dark Ages,” Mr. Hirst said. “Very little was written then.” The bottom line, he explained, was: “We want people to watch it. A historical account of the Vikings would reach hundreds, occasionally thousands, of people. Here we’ve got to reach millions.”

Ogni volta che leggo queste parole mi sale una rabbia da far stridere i denti. E non sono sarcastica, non sto scherzando, sono serissima: odio queste idee, disprezzo queste idee, perché sono tra quelle alla base della pessima narrativa che fa furore oggigiorno. E forse per molti la narrativa è solo un passatempo poco importante. Non dal mio punto di vista. La narrativa è l’espressione vitale di un popolo, è fondamentale e indispensabile. Questo atteggiamento è insalubre.

Cosa mi fa incazzare di questo?

Primo:

“Eoh, gente, tanto si sa ‘na sega noi di cosa succedeva nelle Dark Ages.”

Il fatto che certi periodi storici siano meno conosciuti di altri non significa che non ne sappiamo nulla. E anche quando non sappiamo nulla di qualcosa, ci sono ipotesi più o meno plausibili. Fare quel che cazzo ti pare e poi schiaffarlo su History Channel perché “tanto non hai la certezza scientifica di com’era davvero” è stupido e disonesto. Ok, io non so di preciso di che colore erano i sandali di Cicerone, ergo posso farglieli di paillettes rosa e col tacco 12, no? VAFFANCULO!

Secondo:

“Eho, gente, ma se si faceva storico un garbava a nessuno!”

CRISTO GESÙ’ IN CROCE QUANTO MI FA INCAZZARE QUESTO ARGOMENTO!

Ma banda di glebani arricchiti, sapete che è possibile fare qualcosa di divertente e corretto? Basta attivare i due neuroni che avete nella capoccia!

Haraldson non vuole che Ragnar vada a ovest perché di sicuro non esiste terra. E’ STUPIDO. C’è modo di rendere lo stesso identico conflitto in modo meno cretino?

Haraldson non vuole che Ragnar vada a ovest perché un paio di navi non sono mai tornate e gira voce che un re terribile e potentissimo domini sulle terre occidentali.

Il conflitto è identico, ma a questo giro invece che essere dei ritardati mentali che giocano con la cacca, i danesi sono gente che giustamente esita a rompere le scatole a regni che, fino a quel momento, erano più che in misura di far loro un mazzo così.

O per parlare di costumi, cambiava qualcosa se Rollo fosse stato vestito con una tunica di lana invece che di cuoio? No, ve lo assicuro, noi ragazze ce lo saremmo guardato lo stesso.

O credete che a mettere ai sassoni delle cotte di maglia invece che pseudo-lamellari made in China i ragazzini avrebbero detto “ah, no, che orrore, non guarderò un altro minuto di questa roba!”?

La cosa che mi fa ingrullire è che non ci vuole tanto per mettere insieme un prodotto decente! Voglio dire, la serie Hornblower avrà avuto i suoi difetti, ma nell’insieme non c’erano enormità di calibro a sputarti in un occhio, i personaggi erano ben sviluppati e le avventure credibili.

E cari markettari di staminchia, film come Affondate la Bismarck, I duellanti (sì, sì, il libro è meglio, silenzio!), Kagemusha e perfino il succitato Operation Petticoat, sono tutti film Grande Pubblico! E avranno i loro problemi, ma non racchiudono boiate colossali come quelle di cui ho dianzi parlato! Non è che la gente scappa se non ci sono stronzate. E’ solo una scusa per giustificare la totale assenza di etica del lavoro e umana decenza.

Peraltro, come mostrato da questa fin troppo lunga recensione, non solo l’aspetto storico fa cagare a spruzzo, anche come storia in sé ‘sta roba non ha né capo né coda!

La sigla di apertura

Good_Grumpy

Certe rare scene in cui qualche parvenza di storicità scintilla

Good_Grumpy

Floki

Good_Grumpy

La fotografia

Good_Grumpy

La recitazione di buona parte del cast

Good_Grumpy

Alcune scenografie sono passabili

Good_Grumpy

Alcuni scambi di battute sono passabili

Good_Grumpy

Un’abnorme quantità di buone occasioni sprecate e buone idee buttate nel cesso

Bad_grumpy

Gli scandinavi che non sanno dell’esistenza dell’Inghilterra

Bad_grumpy

Gli scandinavi che non sanno dell’esistenza della Frankia

Bad_grumpy

Non saper decidere se mettere in scena la storia di Ragnar Lothbrok, o del primo raid vichingo, il tutto risultando in un miscuglio abortito senza coerenza

Bad_grumpy

Il plot-point che dà il via all’intera vicenda non è nemmeno mostrato

Bad_grumpy

I vichinghi che fanno le lagne per tre giorni di viaggio

Bad_grumpy

Athelstan non serve a granché e la sua mera presenza crea buchi di trama

Bad_grumpy

I costumi e l’armamento, degni di cosplay dell’ultimo minuto

Bad_grumpy

“Oh, salve, mercanti?”

Bad_grumpy

Il sacco del villaggio/città/qualcosa

Bad_grumpy

La battaglia sulla spiaggia

Bad_grumpy

Re Aelle

Bad_grumpy

I serpenti di Re Aelle

Bad_grumpy

Il fratello di Re Aelle

Bad_grumpy

L’inutile lungagnata sulle disavventure familiari di Haraldson

Bad_grumpy

Le trattative con Aelle

Bad_grumpy

L’ultima battaglia con Aelle

Bad_grumpy

“Ti sconfiggerò, Peter Pan!”

Bad_grumpy

Ragnar e famiglia in gita domenicale

Bad_grumpy

Uppsala

Bad_grumpy

Trama mal equilibrata

Bad_grumpy

Personaggi troppo cretini per essere arrivati all’età adulta in un mondo pre-industriale

Bad_grumpy

7/22: Bocciata. E sottolineo che ho contato TUTTI i pregi trovati, mentre ho lasciato perdere un sacco di cose stupide, che sennò la lista degli Angry Gumpies non finiva più.

Insomma, l’impressione è che ci fosse della gente di talento nell’equipe, e che ci fossero buone idee, e conoscenze tecniche sufficienti, ma tutto viene buttato a baldracche da crassa ignoranza, pigrizia e pressappochismo. Una grande occasione mancata. Consigliata solo agli appassionati di trash, solo se ubriachi e in compagnia di agli trashomani.

Poi come sempre: se a voi piace un sacco, ottimo. Nessun giudizio sui gusti. Ma qualitativamente è da rifare da zero.

E ora, MUSICA!

1Come spiega Pratchett in Wyrd sisters, è perfettamente naturale per un uomo morire con una spanna d’acciaio conficcata nella schiena.

P.S. Un ringraziamento speciale a Christian Stocco, che ha disegnato i nuovi Grumpies, più facili da distinguere a colpo d’occhio!

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Bibliografia

Jesse BYOCK, L’Islande des Vikings, Aubier, Parigi, 2007

Terence WISE e Garry EMBLETON, Saxon, Vikings and Norman, Men-at-Arms n°85, Osprey Publishing, Oxford, 2009

Ragnars saga Lodbrokar (traduzione di Crhis VAN DYKE), Cascadian Publishing, Denver, 2003

Una breve storia della Northumbria.

La pagina wiki di Vikings

Tre video interessanti da Schola Gladiatoria

La finta maglia non se pole vède! E le loro pseudo-lamellari so’ bruttine!

Il look da motociclista.

Che cazzo porta addosso Ragnar?

Più qualche approfondimento per chi vuole:

Marc BLOCH, La société féodale, Albin Michel, Paris, 2002, p.39-95

Abiti danesi

Gesta Danorum online

Storia dei figli di Ragnar online