Tombe scoperchiate: un breve assaggio di preistoria coreana e il Cimitero di Daho-ri

Oggi tanto per cambiare vorrei parlare della Corea.

Quando iniziai a studiare Storia Giapponese, la Corea era quel posto nei dintorni che i Giapponesi invadevano ogni qualche secolo.

In realtà la Storia coreana, in particolare per quel che riguarda il periodo preistorico e protostorico, è assolutamente indispensabile per capire le rocambolesche vicende dell’Arcipelago.

Il piccolo problema è che la Storia coreana non gode manco da lontano della stessa mole divulgativa dedicata alla Storia cinese o giapponese, per lo meno non in lingua occidentale. In lingua giapponese già si trova di più, ma, dati i rapporti un tantinello disfunzionali che corrono tra i due paesi, farsi un’idea della Storia coreana basandosi su ricercatori giapponesi è un pochettino… hum… problematico.

Non so di preciso perché, ma la Corea sembra un po’ la sorella zitella dell’Estremo Oriente.

Fortunatamente per noi esiste gente come Gina Barnes e Mark Byington!

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Mappa delle moderne provincie sudcoreane

La preistoria coreana è un soggetto vastissimo (DUH!). Oggi voglio limitarmi a offrire un’infarinatura generale di riferimento e, per rendere il tutto un pochino più gustoso, concludere con un saporito bocconcino archeologico. Giusto per avere quel dettaglio concreto che piace tanto a noi storici dei materiali (Storia dei Materiali, una branca che suona avvincente come il cemento che asciuga ma che in realtà è molto peggio del cemento che asciuga).

Masochist cat by Claire-Aurora on DeviantArt

Cominciamo con l’identificare un periodo: il Periodo Samhan, ovvero «dei tre Han». o «Proto-Tre Regni». Gli «Han» in questione non sono da confondersi con gli Han cinesi (漢): «Han» riferito alla Penisola coreana (韓) è un termine piuttosto vago usato per identificare tre polities, tre proto-stati che pendono forma da qualche parte tra il 300 a. C. e lo 0. Si tratta di grumi di polis legate tra loro da relazioni più o meno solide e gravitanti attorno ad alcuni centri più grandi e importanti.

I limiti del Periodo Samhan non fanno l’unanimità. Per Gina Barnes, questa fase si situa tra lo 0 e il III° secolo d. C., e corrisponde alla Tarda Età del Ferro. Per alcuni ricercatori coreani, il periodo comincia già dal 100 a. C., o dal 300 a. C., durante l’ultima fase dell’Età del Bronzo.

I sostenitori della tesi del 300 a. C. hanno dalla loroparte le fonti cinesi che, seppur posteriori, fanno riferimento alla situazione coreana del 300 a. C. parlando di «tre Han». Come vedremo, le foti cinesi sono state messe insieme secoli dopo questo periodo, quindi da sole provano poco. Tuttavia sono generalmente molto affidabili, e sembrano confermate da alcuni dati archeologici: a partire dal 300 a. C. si diffonde nella Penisola quella conosciuta come la Slender bronze dagger culture, un nuovo complesso culturale distinto dalla cultura dei dolmen precedente.

Questa innovazione sarebbe un inizio dell’incipiente processo di state formation che, secondo questa corrente storiografica, avrebbe portato alla nascita di Federazioni Han già nel II° a. C.

Secondo Lee Jaehyun, la Cultura del Bronzo coreana è divisibile in due categorie: una che segue lo stile della Slender bronze dagger culture tipica del Liaoning, e una in stile tipicamente coreano, entrambe esemplificate da forme distinte di daga.

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Daga in bronzo in stile Liaoning, l’oggetto-emblema della Slender bronze dagger culture. Questo reperto è stato trovato nella contea di Buyeo, nella provincia di Chungcheon, è conservato nel National Museum of Korea in Seul.

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Daga in bronzo in stile coreano, ritrovate nella contea di Hwasun nella provincia del Jeolla meridionale. Reperti conservati nel National Museum of Korea in Seul.

La daga in stile Liaoning ha un’inconfondibile forma a liuto ed è diffusa dal nordest della Cina alla penisola, ma ne troviamo pochi esempi in Corea, quasi sicuramente beni importati.

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In blu i ritrovamenti di daga in bronzo in stile Liaoning, in rosso i ritrovamenti di daghe in bronzo in stile coreano

La Korean-style slender bronze dagger culture presenta numerosi aspetti originali, il che spinge Lee Jaehyun a supporre che si tratti in realtà di una cultura indipendente. E’ caratterizzata da oggetti rituali in bronzo, tra cui spiccano specchi e armi, ma anche sonagli e strumenti. Nella sua fase formativa, notiamo diverse caratteristiche in comune con la cultura del bronzo in stile Liaoning. La fase successiva, detta «di espansione», è caratterizzata da uno sviluppo di oggetti più originali, tra cui ferri di lancia e alabarde.

Tra la fine del II° secolo a. C. e il II° secolo d. C., questa cultura declina, mentre in parallelo si sviluppa la Cultura del Ferro. Gli specchi decorati in linee sottili e i sonagli diventano progressivamente più rari, mentre si favoriscono oggetti rituali in bronzo sotto forma di armi, come punte di lancia decorative.

La prima fase della Cultura del Ferro nel sud della Corea si sviluppa tra il IV° e il II° secolo a. C. e presenta molte similitudini con quella tipica del regno di Yan, da cui è stata probabilmente importata. In questa fase però la Cultura del Ferro resta molto limitata nelle regioni di Jeolla e Chungcheong.

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Prego ammirare la mia padronanza di Paint

E’ con la seconda fase, alla fine del II° secolo a. C., che la produzione di ferro si diffonde nella penisola. Questa nuova ondata presenta caratteristiche smaccatamente Han (Han nel senso degli Han della Cina). E’ in questa fase che si situa la Tomba n.1 del cimitero di Daho-ri, che andremo a studiare!

La diffusione del ferro come materiale di prestigio/mezzo di scambio e lo sviluppo delle miniere nella regione dello Yeongnam favorirono una vasta rete commerciale che legava le polities sudcoreane con le Comanderie cinesi di Lelang e Daifang, con Mahan, con le regioni degli Ye orientali e le isole giapponesi. Quest’industria è la base della crescita economica che favorirà il maturare delle polities di Saro e Guya negli staterelli di Gyeongju e Gimhae, con cui il regno di Wa avrà strettissimi legami diplomatici e commerciali nel suo periodo di formazione.

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I Tre Han e le due comanderie

Tornando ai Tre Han, si tratta di Mahan (futuro regno di Baekje), Byeonhan (futura Confederazione di Gaya) e Jinhan (futuro regno di Silla, ovvero gente cattivissima se diamo spago alle fonti giapponesi dell’VIII° secolo).

A noi interessa in particolare Byeonhan e la futura Gaya, una delle entità politiche più importanti nello sviluppo del regno di Yamato in Giappone, e una delle meno conosciute.

Il problema è che mentre abbiamo una qualche forma di documentazione indigena per entità come Baekje, Silla o Goguryeo, gli annali di Gaya non sono sopravvissuti in nessuna forma, e quindi le uniche fonti storiche riguardo questa sfuggente Confederazione e la sua Storia sono tutte fonti straniere compilate dai paesi vicini.

Purtroppo anche l’aspetto archeologico è problematico, e vale la pena parlarne prima di tuffarci nel bellissimo sport della violazione di tombe: i primi studi archeologici legati a Gaya o alle polities che la precedettero risalgono agli anni ’20 e furono portati avanti dai giapponesi.

Da buona potenza coloniale e nazionalista, il Giappone non era proprio mosso da un sincero desiderio di conoscenza (anche perché il sincero desiderio di conoscenza raramente si presta a confermare l’ideologia nazionalista, ideologia storicamente molto recente). Insomma, i giapponesi hanno scoperchiato un botto di tombe, fatto manbassa della roba più bella che c’era e se la sono portata via senza documentare i siti. E considerato il volume di bombe che si son buscati vent’anni dopo, de facto una quantità ragguardevole di patrimonio di Gaya è finito in fumo.

(C’è anche un lunghissimo dibattito se Gaya fosse o non fosse una colonia Wa, ma questa lattina di vermi l’apriremo un’altra volta).

I primi scavi condotti nel bacino del Nakdong dai Sudcoreani risalgono gli anni ’70, ma il grosso dei siti di Gaya, come Daho-ri e la Tomba n.1, sono documentati a partire dagli anni ’90. Purtroppo, con l’eccezione della regione di Gimhae, i dati archeologici per Periodo Samhan di Gaya sono relativamente pochi.

Ovviamente anche il dato archeologico va trattato con cautela: la maggioranza dei siti a nostra disposizione sono siti funerari. E l’arte funeraria è importantissima, sia chiaro, dato che spesso le pratiche mortuarie consistono in una sorta di ricostruzione essenziale dell’identità del morto (la sua appartenenza a una certa classe, clan, professione, ecc), ma la morte è solo uno degli aspetti della vita degli esseri umani. Alla fine, l’arte mortuaria è una storia che i vivi raccontano su loro stessi e sul defunto, e non abbiamo molti elementi da comparare a detta storia.

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Concluso questo preambolo interessantissimo che, son certa, vi avrà tenuto col fiato sospeso, tuffiamoci nella parte divertente: violare tombe!

Tomba n.1 del cimitero di Daho-ri

Il sito archeologico di Daho-ri (茶戸里) si trova nella zona di Changwon, capoluogo della regione sudcoreana del Gyeongsang meridionale, ovvero la parte sudorientale della penisola coreana.

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Vista aerea del sito di Daho-ri

Il sito è stato scavato tra il 1988 e il 1998 e oggi gode dello status ufficiale di Sito Nazionale Storico n.327. Non solo ha fornito un considerevole numero di artefatti, ma si tratta di un sito usato per un lasso di tempo considerevole: durante i 10 anni di scavi abbiamo trovato 69 tombe con sarcofago in legno, 4 con sarcofago a giara, e perfino una tomba con camera in pietra del Periodo di Gaya, il che significa un lasso di tempo che va dal II° secolo a. C. al VI° secolo d. C..

Daho-ri è a una decina di chilometri dal fiume Nakdong, un’importantissima arteria di scambi che scorre fino a Gimhae e Busan, il che lascia supporre che questa zona avesse contatti frequenti col resto della regione via il fiume.

Daho-ri stesso è nelle vicinanze di altri siti, tra cui insediamenti fortificati e cimiteri.

Purtroppo una delle prime cose rilevate all’inizio dello scavo nel 1988 è che il sito era stato saccheggiato. Ma è stato comunque possibile estrarre informazioni preziose.

Oggi voglio parlare in particolare di quella che è chiamata Tomba n.1.

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La Tomba n.1 scoperchiata

Come buona parte del sito, la Tomba n.1 è stata trovata saccheggiata e stravolta, ma il sarcofago di legno era ancora in buono stato. Trattandosi di un mostro monossilo, probabilmente era troppo pesante e solido per i ladri. Sotto di esso abbiamo potuto recuperare un certo numero di oggetti funerari, a conferma che nascondere la roba sotto il letto è una grande idea.

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Esistono due tipi di sarcofago in legno, in Corea: il sarcofago monossilo realizzato da un singolo tronco scavato, e il sarcofago di assi, una sorta di «bara», simile in stile ai sarcofaghi Han.

La maggioranza dei sarcofaghi in legno coreani sono a «bara». E’ possibile che i sarcofaghi monossili siano una forma più arcaica e che l’uso della «bara» sia invalso più tardi, a seguito dell’influenza delle Comanderie.

La Comanderia di Lelang, probabilmente la più importante nel traffico tra Byeonhan e gli Han cinesi, venne fondata nel 108 a. C., dopo che l’Imperatore Wu rase al suolo la polity di Gojoseon (Vecchia Joseon), polity situata nel nordovest della Penisola. Questa guerra avrebbe portato un afflusso notevole di esuli al sud, provocando un’evoluzione nella cultura e nei costumi funerari.

Le tombe con sarcofago in legno, dette mokkwanmyo (木館墓), cominciano a manifestarsi nel sito di Daho-ri nel I° secolo. Secondo Kim Daesik, dell’Università di Hongik, questa evoluzione nei costumi segna l’apparire di una classe dirigente (tombe di questo genere ovviamente necessitano un investimento non indifferente di risorse, tempo e lavoro) diversa da quella indigena precedente.

Poesse che il misterioso defunto della Tomba n.1 fosse un immigrato Gojoseon?

In realtà per le fonti cinesi la stretta relazione tra Gojoseo e gli staterelli coreani predata il I° secolo: il primo riferimento in tal senso viene da quello che è anche il primo testo a riferirsi alle polities della Penisola col termine «Han», il Sanguozhi (Storia dei Tre Regni). Il Sanguozhi, iniziato da Chen Shou del regno di Jin (233-297) e completato e annotato da Pei Songzhi del regno dei Song (372-451), è un testo importantissimo, nonostante sia stato completato secoli dopo i fatti narrati.

Nel libro, re Jun di Gojoseon avrebbe perso una guerra contro il generale Wei Man del regno di Yan (che gli succede sul trono di Gojoseon) e sarebbe quindi fuggito a sud, diventando «Re di Han».

Alcuni hanno situato questi fatti tra il 194 e il 180 a. C. Potrebbe darsi che il II° secolo sia il periodo in cui il termine Han riferito alla Corea entra in uso.

Altri hanno criticato questo approccio fiducioso alle fonti cinesi, notando che potrebbe benissimo trattarsi di un termine usato anacronisticamente.

Per altri ancora, si può iniziare a parlare di «Han» con l’apparizione archeologica di un nuovo indicatore culturale, la ceramica con bordo aggiunto (粘土帯土器), che ha origine nella penisola del Liaodong e si diffonde nel resto della Corea verso il 300 a. C.

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Esempio di vaso degli inizi dell’Età del Ferro, ritrovato in Seo-gu, distretto di Incheon, conservato nel National Museum of Korea

Avvincenti discussioni filologiche a parte, già dal III° secolo a. C. il sud della Corea è caratterizzato da polities che intrattengono scambi regolari col Nord della Cina e Gojoseon. Byeonhan, la polity che interessa a noi, si sviluppa a partire dal II°-I° secolo a. C.

Quando parliamo di polities per Byeonhan, parliamo davvero di entità politiche di taglia ridotta: secondo Yi Hyunhae gli staterelli più grandi di Byeonhan contavano 2-3.000 famiglie, e quelli minori appena 6-700. Si trattava con ogni probabilità di costellazioni di città semi-indipendenti che agivano di concerto in materia di diplomazia e politica estera.

Dalla fine del II° sec a. C., spuntano cimiteri di gruppo attraverso tutta la provincia del Gyeongsang. Questo è accompagnato da una diffusione senza precedenti del sarcofago in legno e da un aumento sensibile degli artefatti nel corredo funebre. Compaiono tombe come la Tomba n.1, palesemente erette per capi. La varietà nella struttura e nel corredo suggerisce peraltro una certa diversità culturale in seno alla classe dirigente, il che presuppone una società più complessa e stratificata. Yi Hyunhae si accorda col dire che questo è dovuto a un massiccio influsso di migranti, i buona parte provenienti da Gojoseon.

Questo sembra confermato dal fatto che in Daho-ri continuiamo a trovare oggetti in continuità con il passato, come le ceramiche «non decorate» (Mumun) nere e marroni. Ma notiamo anche un influsso crescente di oggetti in metallo o in lacca simili in stile e in qualità a quelli fabbricati dagli artigiani di Gojoseon.

Secondo Kim Daesik, possiamo interpretare questi dati come segue:

  • gente portatrice di conoscenze e tecniche nuove arriva e viene assimilata in una nuova classe dirigente (come direbbe uno degli spauracchi della “Destra Razionale”, Foucault, potere e sapere sono spesso strettamente correlati).
  • Questo apporto tecnologico però non provoca stravolgimenti traumatici nella struttura sociale locale, che mantiene molta continuità col passato
  • Ne deriva che le società agricole indigene erano stabili e sviluppate.

L’arrivo di gente nuova sembra riecheggiare nel mito fondatore di Gaya raccontato nel Samguk Yusa: Un uomo di nome Suro discende dal cielo sul picco del monte Kuji, e vi stabilisce il suo regno. I nove capi (kan, 干) della regione di Gimhae lo scelgono quindi come capo.

Per Kim, il mito suggerisce la fusione tra culture locali e una cultura straniera, aliena.

Spessissimo la classe dirigente è descritta come aliena o celeste in origine, questa interpretazione ha valore in quanto supportata da elementi archeologici.

Per quel che riguarda Daho-ri in particolare, troviamo 3 tipi di tomba con sarcofago, classificati in base alla taglia e alla profondità della fossa: le tombe grandi (con sarcofagi di 240-278 cm per 100-136 cm e una profondità di 120-205 cm), che spesso hanno una buca di taglia ridotta al centro del pavimento, poi sigillata dal sarcofago; le tombe piccole (160-200 cm per 55-64 cm e una profondità di 20-40 cm); e le tombe così così (200-270 cm per 80-125 cm e una profondità di 90-168 cm, sono di poco più piccole delle tombe di tipo 1 ma, come le tombe di tipo 3, sono sprovviste di buca supplementare).

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Il sarcofago monossilo della Tomba n.1

La Tomba n.1 data del I° secolo a. C. La sua posizione in seno al cimitero non presenta particolarità degne di nota, ma dalla quantità e qualità del corredo funebre possiamo dedurre che si tratta della tomba di qualcuno relativamente importante.

La fossa ha una pianta rettangolare con gli angoli arrotondati e misura circa 278cm in lunghezza, 136 cm in larghezza e 205 cm in profondità, orientata lungo un asse sudest-nordovest. Presenta una buca realizzata al centro del pavimento, poi coperta dal sarcofago.

Il sarcofago stesso è imponente: ricavato scavando e aprendo in due un tronco di quercia di 350 anni, per un risultato che misura 240 cm per 85 cm, riempiendo di fatto quasi la totalità della fossa con la sua massa.

Il sarcofago è ancora più impressionante se si considera che le seghe da legno non erano ancora state inventate e che l’intera faccenda è stata realizzata con accette e fuoco.

La tecnica ricorda quella per realizzare le canoe monossili. Yi Young Hoon nota che la tradizione della canoa-sarcofago si ritrova anche nella tradizione funeraria del Sichuan del periodo dei Regni Combattenti (V°-III° secolo a. C.) e nella cultura Dong Son vietnmita (1.000 a. C. – 100 d. C.).

Parte del coperchio è stata rovinata dai ladri, ma all’interno abbiamo comunque trovato una daga laccata, una collana di perle di vetro, una coppa di legno e una lama di scure a testa piatta. Si tratta probabilmente degli effetti personali del morto, di cui purtroppo non ci resta niente.

Sotto il sarcofago, c’è la buca di cui sopra, che misura 65cm per 55 cm per una profondità di appena 12 cm. Qui abbiamo trovato asce con manico in legno ancora intatto (usate probabilmente per scavare la fossa, oggetti laccati tra cui una coppa a piede, fasci di spago, castagne e foglie. Abbiamo anche recuperato pezzi di una spessa corda, usata senza dubbio per calare il sarcofago nella fossa.

Nella buca secoondaria si trovava una cesta di bambù piena di oggetti: due daghe in bronzo laccate (che hanno permesso di ricostruire finalmente la daga bronzea coreana del periodo), una daga in ferro laccata, una daga in ferro con impugnatura in legno, due frammenti di daga in ferro, un coltello in ferro laccato con una guardia ad anello, una punta di lancia in bronzo e quattro punte di lancia in ferro.

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Daga in bronzo con fodero, conservata al National Museum of Korea

La cesta conteneva anche strumenti, come cinque ferri di ascia in ferro colato e due falcetti con manico in legno, o ornamenti e oggetti di prestigio, come uno specchio decorato, una fibbia da cintura in bronzo, cinque anelli in bronzo di cui uno decorato con un motivo seghettato.

Abbiamo anche trovato delle monete wuzhu (che ritroviamo anche in altri siti contemporanei, siano essi sepolture o siti fortificati), una campanella di bronzo per cavalli e cinque pennelli di foggia particolare (dotati di setole a entrambe le estremità). La presenza dei pennelli è uno dei più antichi esempi di cultura della scrittura nella regione. I pennelli sono peraltro accompagnati da un coltello apposito la cui funzione era grattar via i caratteri errati dalle tavolette di legno (uno dei supporti di scrittura più comuni anche in Giappone, dove vengono chiamate mokkan).

La campana per cavalli e la fibbia in bronzo sono in chiaro stile Han, arrivati in Daho-ri senza dubbio a seguito di scambi con Lelang.

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Specchio in bronzo decorato con motivi di stelle e nuvole stilizzate, conservato nel National Museum of Korea

Yi Young Hoon ipotizza che la cerimonia funeraria si svolgesse nelle tappe seguenti :

  • Il cadavere e parte del corredo erano deposti nel sarcofago, che era quindi chiuso. Il sarcofago era trascinato per i «piedi» al luogo di inumazione, dove venivano realizzate la fossa e la buca della cesta.
  • La cesta era deposta nella buca e il pavimento era ricoperto da contenitori quadrati e circolari contenenti offerte di cibo e bevande, insieme ad altri doni funerari come asce e mazze. Castagne erano quindi gettate nella fossa.
  • Il sarcofago era calato nella buca e le corde erano tagliate.
  • Uno strato di terra era zeppato tra il sarcofago e le pareti, e su di esso venivano poste altre offerte funerarie, probabilmente oggetti preziosi in ferro e in lacca.
  • Altra terra era zeppata nella fossa, fino ad arrivare a livello del coperchio del sarcofago. A questo punto altri oggetti in lacca erano posti sul coperchio, il resto della fossa veniva riempito e la terra veniva accumulata fino a formare un basso tumulo.

Yi Young Hoon cita come esempio simile la Tomba n.11 sempre in Daho-ri, dove possiamo individuare almeno tra strati cerimoniali con offerte di punte di freccia, contenitori in lacca e un arco laccato trovati in differenti livelli.

E’ anche importante notare che gli oggetti laccati estratti dalla Tomba n.1 presentino una tecnica raffinata e nettamente diversa dal metodo di laccatura usato in Lelang. Il che mostra come l’industria della lacca fosse a questo punto non solo sviluppata, ma originale in questa regione.

I ferri d’ascia presenti nel canestro non erano adatti a essere montati su un manico e usati: si tratta in realtà più di una forma di lingotto, un’unità base di ferro. La Corea del Sud e in particolare questa zona, era un grosso produttore che esportava un volume considerevole di questi lingotti verso le Comanderie Han e le Isole Wa. I Wa in particolare erano dipendenti dalla produzione coreana, ma di questo riparleremo magari quando racconteremo della fine di Gaya.

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Asce-lingotto estratte dalla Tomba n.1, conservate nel National Museum of Korea

E’ da notare che nei siti funerari di Chinhan e Byeonhan troviamo oggetti indigeni o oggetti cinesi, con poca roba importata da altri posti. Per fare un confronto, nella polity di Mahan gli oggetti di importazione Han sono molto più rari. Questo a dimostrazione che nel Periodo Samhan le Comanderie avevano legami diversi con le varie polities presenti nella penisola.

La sovrabbondanza di ferro lascia supporre che il morto della Tomba n.1 fosse coinvolto nel commercio del ferro con Lelang.

I cimiteri sono associati con centri di potere. Il numero di sepolture e la taglia di tombe, come anche la ricchezza dei corredi, lasciano presupporre che verso il I° secolo a. C. nei pressi di Daho-ri si trovasse un centro amministrativo ed economico di prima importanza.

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Toh, qualcuno è arrivato a fine articolo!

E’ un fatto indiscutibile che la Corea sia servita da ponte tra il Continente e le Isole giapponesi, portando con il suo flusso di mercanti e immigrati tecniche, idee, materiali. Per ricercatori come Takesue Jun’ichi, i toraijin, gli immigrati coreani, furono fondamentali nella rivoluzione tecnica e culturale che segna la fine del periodo Jōmon e l’inizio del Periodo Yayoi. L’apparizione in siti archeologici giapponesi di daghe in bronzo coreane preannuncia l’incipiente processo di state-formation che portò all’emergere del Regno di Yamato e, eventualmente, alla nascita dell’Impero Giapponese.

E’ impossibile studiare la preistoria e la protostoria giapponese senza tener conto di ciò che succedeva sul Continente, e in particolar modo in Corea.

Sicché oggi ho voluto offrire un assaggio del complicato e affascinante mondo della preistoria sudcoreana.

MUSICA!


Bibliografia

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KIM Taesik, “Sources for the Study of Kaya History”, in BYINGTON Mark et al., Early Korea, vol. 3, Harvard University, Cambridge, 2012, p. 17-48

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LEE Ki-baik, A New History of Korea, trad. WAGNER Edward W., Harvard University Press, Cambridge, 1984

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RHEE Song-nai et al. “Korean Contributions to Agriculture, Technology, and State Formation in Japan: Archaeology and History of an Epochal Thousand Years, 400 B.C.–A.D. 600.” Asian Perspectives, vol. 46, no. 2, 2007, pp. 404–459

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YI Young Hoon, “Tomb 1 at the Taho-ri Site in Ch’angwon”, in BYINGTON Mark et al., Early Korea, vol. 2, Harvard University, Cambridge, 2009, p. 155-178

 

Pagina del National Museum of Korea

 

 

 

 

Genpei 2.2: più dell’onore poté il digiuno

E’ ora di riprendere dopo lungo oblio la nostra saga sulla sanguinosa Guerra di Genpei, il lungo conflitto che mise fine al potere dell’aristocrazia civile e portò alla nascita del Bakufu di Kamakura, il «Governo della Tenda», noto in occidente come «shogunato».

Rapido riassunto: uno scazzo dinastico degenera in lotta armata nel 1180 e catalizza conflitti e ostilità latenti che si scatenano uno dopo l’altro effetto-domino fino a scatenarsi in un tripudio di sangue e merda generalizzato.

Siamo agli inizi del 1183, la guerra dura da tre anni, la carestia infuria, il paese è roso da rivolte e faide. Kyūshū è in fiamme, e perfino lo Shikoku, il Molise del Giappone, è un vespaio.

Tre contendenti emergono dalla bolgia di sberle e legnate nei denti:

  • I Taira, sotto la guida del nuovo capo Munemori (il patriarca Kiyomori è morto da poco), padroni della Capitale e padroni del traffico marittimo. Nella loro base di Rokuhara, sono ufficialmente il clan più potente del Paese e controllano l’Imperatore.
  • Minamoto Yoritomo, basato in Sagami, erede del ramo principale del clan e alla testa di una vasta coalizione di bande della piana del Bandō. Tra costoro spiccano gli Hōjō, i Miura, i Sasaki, i Chiba, i Takeda di Kai.
  • Minamoto Yoshinaka, il più giovane del mazzo, abile tattico la cui base principale è in Shinano ma che si trova ormai comodamente installato nel governo provinciale di Echigo, a sua volta a capo di una sostanziosa coalizione di bande dell’Hokuriku. Per ora, Yoshinaka non ha ancora perso una battaglia (a differenza di Yoritomo, che salvo un colpo di culo formidabile, sta prendendo un fracco di legnate).

Considerato lo stato disastroso del paese, Yoritomo tenta di trovare un compromesso coi Taira. E’ una buona proposta, e tutti ne convengono. Ma Munemori ha daddy issues e rifiuta per principio. Ciliegina sulla torta, la missione Taira di «pacificazione» (termine tecnico giapponese per indicare brutale repressione di ogni qualsivoglia dissenso), inviata in Hokuriku per stanare Yoshinaka, fallisce miseramente.

E qui ci ritroviamo. In un paese incendiato da siccità, carestia e odio.

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I tre centri di potere: Heian per i Taira, Kamakura per Yoritomo, la capitale provinciale di Echigo per Yoshinaka

I Taira sono cinti dal casino: Kyūshū, Shikoku, e ora anche i monaci di Kumano, nel Kii, rilanciano la rivolta. Questi ultimi ce l’hanno coi Taira per via della distruzione dei templi di Nara.

Alla fine del nono mese dell’anno precedente, i rivoltosi di Kumano avevano occupato Shishigaseyama e dichiarato il loro aperto supporto a Yoritomo.

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In rosso, nel centro, la provincia dove si trova la Capitale, tenuta dai Taira;
Contrornate in arancione, le provincie toccate da disordini e rivolte;

In verde barrato nel nord, il territorio controllato da Kiso Yoshinaka;
In aranciano barrato nell’est, il territorio controllato (più o meno bene) da Minamoto Yoritomo

Tra i sostenitori di Yoritomo in Kumano spicca un certo Tanabe Tanzō. Il suo nome non è nuovo nelle fonti: in molti sospettano che sia lui il delatore che ha avvertito i Taira della lettera del Principe Mochihito, all’origine della guerra. Questo dato non è confermato in tutte le fonti, quindi prendetelo con le molle.

Quello che sappiamo con relativa sicurezza è che è nato nel 1130 e che a questo punto riveste una funzione importante nell’amministrazione monacale di Kumano. Suo padre si chiamava Tankai, ma il Sonpi bunmyaku suggerisce che Tanzō fosse in realtà un figlio naturale di nientemeno che Minamoto no Tameyoshi (il nonno di Yoritomo, e ve lo dico perché questa faccenda è peggio di Beautiful e mi diverte incasinarvi le idee).

Tanzō è legato ai Taira e si occupa della marina militare nella provincia di Kii. Come altri in Kumano, il rogo dei templi di Nara è un momento di rottura critico, e Tanzō si ribella.

Questo tradimento gli viene perdonato, ma la frattura è insanabile: nel nono mese, Tanzō raggiunge Yoritomo e diventa de facto il nuovo ammiraglio dei Minamoto. Di certo i ribelli si rendono conto che, se vogliono sconfiggere i Taira, clan padrone del mare, hanno bisogno di una flotta un minimo decente.

Nel frattempo anche Yoshinaka sta consolidando la propria posizione, espandendo la sua sfera di influenza fino in Ecchū.

Munemori si ritrova quindi con rivolte ad ovest e due poteri ostili che dall’Est strisciano con lentezza inesorabile verso la provincia di Yamashiro e la Capitale Fiorita. Si può consolare con l’ida che Yoshinaka e Yoritomo si odiano, e hanno altrettanta probabilità di attaccare i Taira che di sbranarsi tra loro.

Minamoto no Yoshinaka (il tizio più in alto), attorniato da altri tostissimi guerrieri, dal pennello di Utagawa Kuniyoshi (1848)

Il 1182 e 1183 sono contraddistinti da lavori politici più che fati d’arme: la carestia infuria e senza cibo e foraggio gli eserciti non vanno da nessuna parte.

Secondo Kamo no Chōmei (1155-1216), nulla cresce per due anni. Vi riporto il brano in intero per dare un’idea dell’orrore che regnava in Giappone in questo periodo.

Alcuni disertarono le loro terre e se ne andarono in altre provincie, e altri lasciarono le loro case e si accamparono sulle colline. Vari tipi di preghiere furono recitate, ma le cose non migliorarono. E poiché la gente della Capitale dipendeva in tutto dalle terre d’attorno, quando nessun contadino veniva più con il cibo, come potevano costoro continuare la loro solita esistenza? Anche se gli abitanti portavano i loro beni sulla via e supplicavano la gente di comprarli come mendicanti senza vergogna, nessuno li degnava di uno sguardo, e se mai c’era qualcuno disposto a barattare il denaro era tenuto a poco, ma non c’era modo di convincerli a separarsi dai cereali. Gli accattoni riempivano le strade e il loro clamore era assordante.

Così il primo anno passò, e fu già difficile da vivere, sperammo in un miglioramento in quello seguente, ma fu peggio, dacché si scatenò una pestilenza, e le preghiere della gente non servirono a nulla. Man mano che i giorni passavano, gli abitanti si sentivano come pesci quando l’acqua gocciola via, e cittadini rispettabili che di solito indossavano cappelli e scarpe ora andavano scalzi a mendicare casa per casa. E mentre guardavi sconvolto tali scene, costoro si accasciavano e morivano sulla strada. E contro i muri e lungo le vie potevi vedere ovunque i corpi di coloro che erano morti di fame. E non c’era nessuno per portarli via, un fetore terribile colmava le strade, e la gente passava distogliendo lo sguardo. Le strade normali erano già in terribile stato, ma nei bassifondi presso il fiume non c’era nemmeno spazio per far passare carri o cavalli.

I manovali poveri e taglialegna e gente così, quando non poterono più tagliare legna da ardere e nessuno li aiutava, presero a distruggere le loro capanne e a portarne i pezzi in città per venderli. E ciò che un uomo poteva trasportare non era abbastanza da procurargli il cibo per sopravvivere un giorno.

Ed era sconvolgente vedere frammenti con lacca rossa o foglia d’oro e d’argento ancora attaccati spuntare in questi mucchi di legna. E questo è perché quelli che non potevano procurarsi nient’altro facevano irruzione nei templi di montagna e rubavano immagini e utensili e li facevano a pezzi per venderli come legna da ardere. Squallidi e degenerati sono i tempi in cui si compiono simili azioni.

Un’altra cosa molto triste era che coloro che avevano figli che amavano molto invariabilmente morivano prima di loro, perché si privavano di tutto per dare ai loro figli e figlie ciò di cui avevano bisogno. E così i figli sopravvivevano sempre ai genitori. E c’erano infanti che continuavano a succhiare il seno della madre, non capendo che era già morta.

Testimonianze come questa sono ciò che a mio parere restituisce alla Storia lo spessore e la nitidezza che il tempo tende a offuscare. Spesso quando studiamo eventi remoti, i protagonisti appaiono impersonali, personaggi di un racconto più che non persone in carne ed ossa.

Testimonianze come questa riportano a galla l’umanità delle persone. Oggi come allora, i genitori amano i figli. Oggi come allora, quando una situazione terribile si protrae, legami e strutture si sfaldano, e gente che aveva famiglia, vita, lavoro, si trova sola, per la strada, a crepare in solitudine. Oggi come allora, catastrofi climatiche possono privare qualcuno di tutto, e non c’è niente che puoi fare se non pregare dei che non ascoltano e cercare di sopravvivere un giorno in più, perché magari domani pioverà, magari domani arriveranno dei viveri, magari domani sarà diverso.

Gaki, spettri dominati da una fama atroce e insaziabile. Le loro pance sono dilatate come quelle dei morituri, le loro bocche sono sproporzionatamente grandi, ma il loro collo è troppo stretto per inghiottire anche un sorso d’acqua, e il cibo si muta in fuoco non appena tocca le loro labbra. Il Gaki è la personificazione del tormento di qualcuo che sta morendo di fame.
La simpatica scenetta in questione è ripresa dal Gaki sōshi, del Museo di Nara

Uno potrebbe pensare che una situazione del genere ponga necessariamente fine a una guerra che è cominciata come scazzo dinastico tra alti dignitari. Ma nonostante le grandi campagne militari siano per la maggior parte fuori questione, il fermento continua, in particolare a Kamakura, dove la Rivoluzione non dorme mai!

-Siamo praticamente padroni del Bandō.- Dice Yoritomo, durante una riunione. -E’ ora di regolare i conti con mio cugino Yoshinaka.

-”Praticamente” padroni.- Nota qualcuno. -Un sacco di bande di Hitachi non hanno risposto all’appello. Se ci spingiamo a nord, ci scopriamo ad est.

-Non ho cugini famosi in Hitachi, possiamo prendere il rischio. Invece ho un cugino famoso in Hokuriku.

-Per ora Yoshinaka non si è mostrato ostile.

-E’ nella natura stessa dei cugini di uccidersi a vicenda prima o poi.

-Giusto.

-Quindi, se non ci sono altri parenti problematici da fare a pezzettini, io direi di mettere su una spedizione di taglia ridotta e-

-Capo!- Un piantona arriva di corsa. -Capo, hai mica uno zio in Hitachi?

-Oh no.

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Vi presento Minamoto no Yoshihiro, che chiameremo il Sire di Shida per evitare confusione tra tutti gli Yori e gli Yoshi del clan Minamoto.

Il Sire di Shida è terzo figlio di Minamoto no Tameyoshi e fratello minore del padre di Yoritomo. «Shida» altro non è che il nome della sua base principale, nella provincia di Hitachi.

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La provincia di Hitachi, nel sud potete notare il distretto di Shida

Il Sire di Shida non era mai stato amico del padre di Yoritomo. Fin da ragazzo, il suo fratello preferito era il secondogenito, Yoshitaka. I due sembrano inseparabili sin dall’infanzia: servono insieme alla Capitale e si trasferiscono insieme in Hitachi a fine turno. In questa remota provincia orientale, i due restano uniti, uno il supporto dell’altro. Cosa che non piace per nulla al padre di Yoritomo: Hitachi è nel cuore del Bandō, una provincia produttrice di cavalli e una zona strategica importantissima. Il nostro teme che i due fratelli possano unire le loro forze per rovesciarlo.

Che belle le famiglie disfunzionali, non trovate?

Nel 1155, il figlio maggiore di Yoshitomo (e fratello maggiore di Yoritomo) risolve la situazione spacciando suo zio Yoshitaka.

Annientato dalla perdita del fratello, il Sire di Shida si ritira nel suo territorio e resta fuori dalla guerra. Per più di 20 anni, si occupa della sua terra, senza mai cercare il conflitto con il governatore Taira della provincia. Perché dovrebbe, dopotutto? Non sono stati i Taira ad assassinare suo fratello.

Anche dopo l’inizio della ribellione, il Sire di Shida resta fuori dai giochi.

Ma nel 1183, con la guerra in stallo e il mondo in fiamme, il Sire di Shida decide di agire.

Forse teme il crescente potere di suo nipote Yoritomo, un uomo per cui non può avere che diffidenza e ostilità. Forse teme che Yoritomo trascini il clan nell’ennesima guerra persa, dannandoli tutti. Forse è irato col nipote che mostra scarsissima considerazione a suo riguardo. Forse vuole unirsi alle forze di Yoshinaka. Non lo sappiamo.

Toujours est-il, il Sire di Shida decide di agire.

Il 20 del secondo mese del 1183, il Sire di Shida lascia la propria base nel sud di Hitachi e comincia la lunga marcia passando via Shimotsuke verso Kamakura, dove conta sorprendere e spacciare suo nipote Yoritomo.

La congiura viene però scoperta: Yoritomo raccatta i suoi e va incontro a suo zio, incontrandolo a Nogi no miya. E proprio mentre il Sire di Shida si prepara a dare battaglia, uno dei suoi tradisce e prende le parti di Yoritomo.

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Il teatro delle operazioni

Segue una battaglia ferocissima. Così feroce che la memoria del macello è sopravvissuta nei toponimi del luogo, noto come Jigokuzawa (la palude dell’inferno) o Todorokizawa (la palude del fracasso).

Nonostante gli sforzi, il Sire di Shida perde: sconfitto, può solo ritirarsi precipitosamente e rifugiarsi sotto la protezione di Kiso Yoshinaka.

La Battaglia di Nogi no miya può sembrare aneddotica: ok, sono due parenti che si scannano tra di loro provocando la morte di centinaia di poveri stronzi che non c’entrano niente. Che c’è di nuovo?

Da un punto di vista politico questa battaglia segna un cambiamento importante nell’equilibrio del Bandō: fino a questo punto Hitachi era rimasta potenzialmente ostile a Yoritomo. Alcune bande della provincia si erano unite alla causa di Yoritomo, ma la loro lealtà era condizionata. Con la sconfitta del Sire di Shida, Yoritomo non solo ha eliminato un grosso notabile locale e possibile competitore, ma ha messo le mani su un ricco patrimonio. Per 30 anni il Sire di Shida è stato fuori dalle beghe politiche e si è dedicato solo a curare le proprie terre. Ora il frutto di tanto lavoro finisce dritto nelle rapaci zampine di Yoritomo, che usa subito il nuovo capitale per ricompensare i suoi e assicurarsi la fedeltà dei capetti di Hitachi. Con Nogi no miya, Yoritomo mette al sicuro la propria retroguardia.

Non solo, ma Yoritomo si assicura una vittoria di cui ha davvero bisogno. Con il nuovo lustro e i nuovi mezzi, può sperare di fare i conti con Yoshinaka.

Stando allo Heike monogatari, Yoritomo non riesce a strappare a suo cugino una vera e propria sottomissione, ma riesce a confinarlo nell’Hokuriku, sloggiandolo dalla provincia di Kōzuke, e a fargli inviare suo figlio come ostaggio a Kamakura.

Il primo round tra i due si conclude così con un netto vantaggio per Yoritomo.

Yoritomo

Yoritomo mentre medita nuove infamie

Mentre i Minamoto regolano conti tra di loro, i Taira ritentano di pacificare l’Hokuriku. Con minacce e pedate rimettono insieme un esercito, e il 17 Koremori riparte.

Dallo Heike monogatari:

Avendo ricevuto l’autorizzazione di esigere rifornimenti, una volta passata la barriera di Ōsaka saccheggiarono lungo la strada tutti gli uffici e le magioni, senza rispettare i prodotti delle tasse né i beni pubblici, e dacché al loro passaggio portavano via tutto ciò che trovavano, in Shiga, Karasaki, Mitsukawajiri, Mano, Takashima, Shihotsu e Kahizu, la popolazione non poteva resister loro e fuggì per monti e valli.

L’esercito messo insieme è un mostro mastodontico di migliaia e migliaia di uomini, Uesugi ipotizza anche 40.000! Si tratta di un miscuglio mal accozzato di vassalli dei Taira e coscritti strappati alle provincie obtorto collo. La coesione è bassa e il morale ancora più basso.

Koremori divide l’armata in due parti : una deve avanzare attraverso Tsuruga, a nord del lago Biwa, via il passo Konome. L’altra attraversa il passo Tochinoki, da Ōmi a Echizen. Il 26 fanno giunzione in Echizen senza troppi intoppi.

Intoppi che cominciano il giorno dopo, quando i Taira incocciano nel castello di Hiuchi, protetto da 6.000 cavalieri secondo lo Heike monogatari, tenuto da un ramo filo-Minamoto dei Fujiwara settentrionali e dal superiore monastico Saimei del tempio Heizen (pure pro-Minamoto).

La montagna è dietro, la montagna è davanti. Davanti alla fortezza scorrevano i fiumi Nōmi e Shindō. Alla confluenza dei due, [i difensori] avevano stabilito una diga di enormi alberi abbattuti, rinforzata da una prodigiosa quantità di graticci, così che a est come a ovest l’acqua era salita fino ai piedi dei monti e si sarebbe detto un lago.

Insomma, i grandi eserciti difficilmente possono scorrazzare in giro inosservati: i difensori sapevano che sarebbero arrivati e hanno creato un troiaio paludoso che Alberto I del Belgio levati.

L’acqua è un’ottima difesa, ma non bisogna mai fidarsi dei preti: nottetempo Saimei sgattaiola fuori e scocca ai Taira una freccia. E’ cava. Al suo interno i nemici trovano un messaggio arrotolato. E’ una lettera di Saimei in persona.

“Questo lago non è sempre stato qui. E’ solo l’acqua dei torrenti di montagna ostruiti da un po’. Al calar della notte, inviate i vostri valletti d’arme e fate loro distruggere i graticci. Le acque scenderanno in poco tempo. Appena i vostri cavalli potranno toccare, attraverserete. Quanto a me, li colpirò alle spalle.”

George Washington Treason - Laughshop.com

“People gather, scatter, they go left and right following their interests. That is not surprising.” (Masakage Yamagata ci insegna la politica, dal film Kagemusha)

Il giorno dopo, fangosi ma invitti, i Taira avanzano su Hiuchi, che viene prontamente abbandonato dai difensori.

Sembra che la pacificazione dell’Hokuriku, a questo giro, sia partita proprio bene.

Ma i Taira non hanno contato su Yoshinaka, che dopo l’umiliazione politica impartitagli da Yoritomo ha un sacco bisogno di ripulire il proprio onore col sangue di qualcuno.

Nella prossima puntata, la Battaglia di Kurikara!

MUSICA!

Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Genpei 2.0

Genpei 2.1


Bibliografia

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SOUYRI Pierre-François, Histoire du Japon Médiéval – Le monde à l’envers, Tempus, 2013, Paris

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