Vite anonime di gente interessante: il sito di Vagnari, centro industriale della Puglia Imperiale

6 gennaio 2021.

Tenger è alla dacia di famiglia. Non c’è riscaldamento, sul tavolo il lavoro di ammucchia, fuori c’è mezzo metro di neve, negli Stati Uniti il Re dei Furries ha espugnato il Campidoglio.

Mi sento un po’ eroina russa, un po’ sentinella alla Fortezza Bastiani

Volevo cominciare questo anno con qualcosa di stimolante, ma visto come abbiamo ingranato ho optato per qualcosa di assolutamente rilassato e privo di implicazioni politiche. C’è tempo per la polemica e tempo per la distrazione, no?

Oggi andiamo in Puglia, nella Valle del Basentello, e parliamo di cose strane e interessanti!

Il posto

Il Basentello è un fiume che segna il confine tra Potenza e Bari. Nel 2000 Alastair Small, archeologo dell’università di Edinburgo, sta conducendo una survey nella zona e individua un sito di possibile interesse a Vagnari, comune di Gravina, provincia di Bari. Il posto si trova nei pressi del tracciato della via Appia.

Lo stesso anno un cantiere viene organizzato in collaborazione con le università di Bari, Edinburgo, McMaster, Foggia e Glasgow.

Presto viene individuata un’area di circa 3,5 ha, tagliata da est a ovest da un calanco. Sulla parte Nord si trovano tracce di un villaggio del I°-IV° secolo d. C., mentre sulla parte sud si stende il cimitero. Nei paraggi, nel sito di San Felice, salta fuori una magione di lusso, molto probabilmente la residenza del dirigente incaricato di gestire il vicus di Vagnari. D’acchito, l’intera faccenda promette bene: gli archeologi hanno scovato quello che ha tutta l’aria di essere un centro agricolo e industriale.

Tra le prime cose a essere individuate nella parte abitata, un mulino e quella che sembra essere una forgia. Nel cimitero invece, sotto uno strato di terra agricola, emergono numerose tombe “alla cappuccina”, tipiche per gli individui di estrazione modesta.

Vagnari è una trovaglia particolarmente interessante, perché le fonti scritte offrono davvero pochi dettagli sulla vita quotidiana della regione in questo periodo, e quei pochi dettagli tratteggiano una zona poco sviluppata e popolata. Ad esempio, Seneca cita la Puglia nell’epistola 87, parlandone come di una zona con poca gente e vasti latifondi.

Vagnari per contro è un villaggio popoloso, con una manifattura specializzata. Gli scavi sono l’inizio di una lunga ricerca che permetterà di avere uno sguardo più preciso sulla storia della regione, e che regalerà anche un paio di interessanti sorprese!

Il vicus

Come abbiamo accennato, il vicus di Vagnari era vicino alla via Appia. Nonostante questa sia stata una delle arterie principali nel periodo tardoantico, in epoca imperiale stava perdendo relativamente di importanza rispetto alla via Traiana. Secondo Small, questo fattore incoraggiò lo sviluppo di comunità cerealicole nella zona: nel primo e medio periodo imperiale, notiamo un moltiplicarsi dei siti, in particolare di piccole fattorie, che prima erano in declino. I vici del periodo non vivevano in autarchia, ma in una rete di scambi e contatti con gli altri centri della regione e del paese.

Nella parte nord del sito è emerso un insediamento databile al periodo tardo-repubblicano. Il villaggio declina bruscamente con la fine della Repubblica, ma rifiorisce alcune decadi dopo, con un picco di costruzioni intorno al I° secolo d. C.

Sul limite settentrionale è stato ritrovato un edificio imponente, in pietra. A sud di questo, una seconda costruzione per la lavorazione di metalli, attiva probabilmente durante il III° secolo. Altri indizi suggeriscono la lavorazione di cereali e la fabbricazione di tegole.

Insomma, si delinea come quello che doveva essere un centro industriale piuttosto importante in questa zona.

Secondo Carroll Maureen, in questo periodo l’Imperatore acquistò numerosi terreni nella regione. E’ possibile che Vagnari sia un’azienda di proprietà del sovrano.

Nel rapporto del 2015 Christopher Smith afferma che il posto pare lavorare diversi tipi di materiali, con una specializzazione nel lavoro del piombo. Sono stati estratti circa un centinaio di oggetti in piombo, tra cui pesetti a forma di conchiglia, placche rettangolari, frammenti.

L’industria del piombo è notoriamente tossica, e gli abitanti di Vagnari pativano senza dubbio dell’inquinamento che ne derivava.

Non bisogna però immaginarsi Vagnari come un posto miserabile, al contrario: frammenti di pannelli di marmo e altri segni di lusso indicano che gli edifici erano tutt’altro che tuguri di disperati. Nel corso del I° secolo il centro sembra crescere e le attività aumentare, al punto che viene perfino costruita una cella vinaria completa di dolia importati da Roma.

Dolium

Vagnari era anche un centro agricolo, dove si allevavano maiali, capre e pecore, e dove si coltivavano cereali: sono state trovate trace di grano duro, avena, avena selvatica, orzo e monococco. Questi cereali venivano stacciati, e la pula è stata ritrovata mischiata all’argilla che riveste le pareti interne dell’edificio settentrionale.

L’insediamento entra in crisi col finire del III° secolo. I segni di attività diminuiscono e gli edifici come la cava vinaria vengono abbandonati e gradualmente smantellati per recuperare i materiali.

La zona resterà comunque abitata anche dopo il collasso dell’Impero, ma il villaggio sarà trasferito sulla parte meridionale, dove i Vagnaresi continueranno a vivere e lavorare fino al VII° secolo.

La necropoli

Il cimitero è la parte più interessante della faccenda, perché a noi della Fortezza pacciono le cose morbose!

Cominciamo col dire che non saltano fuori epitaffi, quindi i morti di Vagnari restano anonimi. A fine 2012 lo scavo della necropoli copre un’area di 30m x 15m, ma la superficie totale è stimata a circa 2.100 metri quadrati.

Sono emerse un centinaio di tombe, suddivisibili in 4 tipi:

  • Inumazione semplice
  • Inumazione alla cappuccina
  • Tombe dotate di un canale per libazioni
  • Cremazioni

Non c’è bisogno di spiegare l’inumazione semplice: fai un buco, ci tiri il cadavere, copri il buco. Solo 8 sono inumazioni semplici.

La tomba “alla cappuccina” significa una fossa non troppo profonda dove il morto viene steso col proprio corredo funerario (se ne ha), coperto di tegole piatte (tegulae) a formare un V rovesciato, e sepolto. Esistono molte varianti sul tema: a volte il morto è steso direttamente in terra, a volte su uno strato di tegole; a volte ha delle tegole semi-cilindriche (imbrex) a mo’ di “colmo” sopra quelle piatte; a volte ha un imbrex sotto la nuca a mo’ di cuscino, ecc.

La stragrande maggioranza delle tombe sono “alla cappuccina”.

Le tombe con canale per libazioni sono simili a quelle “alla cappuccina”, ma in più hanno una sorta di canala che affiora dalla terra, talvolta realizzata con due imbrex. Questa “condotta” tra il morto e il mondo dei vivi permetteva di fare offerte e libazioni.

Le tombe con un morto cremato sono solo 2, risalenti al II° secolo, e in una le ceneri sono state poi coperte “alla cappuccina”. In effetti, col periodo imperiale si comincia a privilegiare l’inumazione, almeno in certe parti della penisola. Le tombe con morti cremati sono l’eccezione e hanno un corredo funebre più ricco della media, il che lascia supporre che gli individui inceneriti fossero di uno status sociale più alto degli altri.

Nell’insieme, le tombe di Vagnari sono modeste.

Solo 9 tombe non presentano nessun oggetto funerario.

Scordatevi però i sontuosi tesori dei giganteschi tumuli coreani: l’oggetto più comune ritrovato a Vagnari è l’umile e proletario vaso di terracotta, solitamente rotto prima dell’inumazione (la rottura del vaso prima della deposizione è ricorrente nella pratica funeraria romana). Nel 91% dei casi è l’unico tipo di bene funerario rinvenuto.

Tuttavia non abbiamo trovato solo quello: già dai primi scavi saltano fuori pezzi di ceramica sigillata, e più in particolare ARS (African Red Slip), prodotta per lo più nel nordafrica e molto apprezzata. Emergono anche lampade e frammenti di contenitori in vetro, monete, perfino alcuni contenitori in bronzo.

La concentrazione e la qualità degli oggetti è più alta rispetto ad altri cimiteri rurali dello stesso periodo, il che suggerisce da subito che la gente di Vagnari viveva un’esistenza modesta, fatta di duro lavoro, ma non miserabile.

In diverse tombe, peraltro, troviamo un chiodo, dritto o piegato, spesso associato a un vaso. Anche questa non è una novità nella pratica funeraria del periodo: il chiodo aveva senza dubbio una funzione magica, o come talismano o per tenere “inchiodate” sottoterra forze maligne. Il chiodo magico anti-fantasma è stato trovato in 43 delle 98 tombe studiate finora. In 35 di questi casi, era associato a un vaso.

Toynbee parla di questa pratica nel suo libro del 1971, Death and burial in the Roman World. Non l’ho consultato per questo articolo perché le biblioteche sono oltre i passi innevati e su Amazon costa un po’ caruccio, quindi sarà per il prossimo Natale.

In molti casi, il chiodo e il vaso sono accompagnati da una lampada: su 30 delle tombe indisturbate e contenenti un chiodo, 26 avevano anche lampade, il che lascia presupporre che la lampada, il chiodo e il vaso giocassero un ruolo magico sinergico nel separare il morto dai vivi e guidarlo nel suo percorso.

Scavo nella necropoli

Gli oggetti erano do solito deposti accanto ai piedi, le gambe o le mani del morto, raramente vicino alla testa. Questo è particolarmente vero per le lampade, solitamente posate accanto ai piedi, che erano probabilmente deposte accese e poi coperte con le tegole, allo scopo di rischiarare il percorso del defunto.

Monili modesti come collanine, anelli in bronzo, o perfino un paio di piccoli orecchini in oro, sono pure stati ritrovati. Dalla posizione, è probabile che il morto li indossasse al momento di essere seppellito. I defunti venivano quindi adornati prima di essere consegnati all’Oltretomba.

In alcuni casi il morto era accompagnato da utensili, senza dubbio i suoi strumenti di lavoro in vita.

In “Burial practices and patterns of distribution in the Vagnari cemetary”, Brent e Prowse notano che, generalizzando, gli infanti (0-6 anni) hanno meno doni funerari. I defunti di più di trent’anni hanno di media 5,6 oggetti, i giovani tra i 15 e i 30 ne hanno di media 6, mentre i pargoli di meno di 1 anno ne hanno di media 2,5.

E’ probabile che gli oggetti scelti per costituire il corredo fossero rappresentativi del ruolo, mestiere o posizione sociale della persona, tutte cose che un bambino non ha avuto il tempo di ottenere. Ad ogni modo anche i bimbi lattonzoli portano con loro collanine o spille, traccia dell’affetto, la cura e il dolore dei genitori di Vagnari.

Per quanto riguarda gli adulti, c’è una leggera differenza tra i sessi: le tombe maschili contengono una media di 6,1 oggetti, le tombe femminili una media di 5,4. Le donne sembrano quindi avere avuto un ruolo subalterno (SORPRESA!), ma non drammaticamente inferiore agli uomini.

Ovvio, non possiamo avere la certezza che lo status in morte sia davvero corrispondente allo status in vita.

Ci sono differenze secondo i sessi anche nella qualità degli oggetti trovati: alcuni oggetti, come monete o contenitori in vetro, si ritrovano in modo abbastanza uniforme nelle tombe, mentre 12 tombe maschili e solo 5 tombe femminili contenevano resti di scarpe. Di nuovo, constatiamo una probabile differenza nel rituale per uomini e donne.

Altri oggetti, come i braccialetti, si trovano solo nelle tombe di individui al di sopra di una certa età, il che mostra un cambiamento di status sociale legato all’età.

Sono saltati fuori anche dei contenitori in bronzo, ma solo in 6 tombe, all’occorrenza 6 delle tombe più ricche, con un bottino funebre di 15,3 oggetti di media! Di questi sei pezzi grossi, 4 erano maschi, 1 era femmina, e 1 un mucchietto di cenere.

Brent e Prowse notano che in altri cimiteri dello stesso periodo, come quello di Musarna vicino a Viterbo, uomini e donne hanno un corredo funebre abbastanza equivalente. Queste 6 tombe suggeriscono che a Vagnari, all’interno della comunità operaia e contadina, c’erano degli strati sociali distinti, e che questo status relativamente elevato rispetto agli altri abitanti era per lo più occupato da uomini.

Esempio di ceramica sigillata

Le ceramiche estratte dal cimitero hanno depositi notevoli di sali di calcio rispetto a quelli estratti fuori dal cimitero, il che lascia supporre a Small che la sepoltura includesse l’uso di calce viva, per accelerare la decomposizione.

Della serie “parti coi nostri regali, ma parti alla svelta!”.

Sometimes dead is better!

Prowse ha analizzato gli scheletri e determinato segni di usura interpretabili come danni inflitti dal lavoro pesante. Gli scheletri dei subadulti mostrano spesso lesioni al cranio di solito causate da mancanza di ferro, che può essere provocata da una malattia o da una dieta sbagliata. Infine, nonostante i denti siano mediamente in condizioni relativamente buone, Prowse rileva una ricorrente usura degli incisivi. Ciò può significare in alcuni casi che i denti erano usati come strumento per tagliare/spezzare qualcosa, o più in generale che il cibo consumato era particolarmente tosto.

Insomma, a Vagnari si mangiava il pane da battaglia dei nani!

Antica specialità pugliese, Pane da Battaglia nanico

Più precisamente però: che tipo di gente abitava a Vagnari?

E’ qui che il sito ci riserva una sorpresa, ma una cosa alla volta!

Prowse nota che l’area di Vagnari era densamente popolate nel IV° secolo a. C., ma che la densità di popolazione declina tra il III° e il II° secolo a. C. In questo periodo troviamo solo un piccolo insediamento nella porzione nord del sito.

Come abbiamo visto, questo cambia in periodo imperiale, ma chi abitava e lavorava in questo centro agricolo e industriale?

L’unico documento scritto ritrovato è costituito da una tegola databile tra il 50 a. C. e il 50 d. C., su cui è stampigliato “ GRA[ti]…/CAES[aris]”, ovvero “Gratus, schiavo di Cesare”, il che supporta l’ipotesi che Vagnari fosse una tenuta di proprietà dell’Imperatore.

Bisogna però sottolineare che questa tegola è stata trovata vicino a un forno e non nella necropoli. Quindi non sappiamo se il buon Grato viveva e lavorava a Vagnari o se risiedeva altrove: dopotuto Vagnari produceva tegole, magari forniva tegole funerarie ai centri vicini. In effetti nella necropoli non sono saltate fuori tegole stampigliate.

L’ipotesi di una tenuta imperiale resta però valida: è possibile che il vicus fosse quindi popolato da schiavi, liberti e operai liberi che abitavano, lavoravano e morivano in situ.

Il punto è: ci nascevano pure?

Per rispondere a questa domanda Prowse ha usato due metodi:

L’analisi degli isotopi stabili: varianti di elementi (come carbonio, azoto o ossigeno) che vengono incorporati nei tessuti durante la vita e che non decadono dopo la morte. A seconda dell’elemento, quest’analisi può fornire indicazioni sulla dieta dell’individuo, o sulla sua provenienza geografica (in particolare determinando l’acqua che ha bevuto durante l’infanzia). Questi dati possono essere estratti dalle ossa o dai denti.

Un altro dato utile è il DNA mitocondriale (mtDNA), che sopravvive alla decomposizione ed è trasmesso per linea matrilineare.

Esistono delle variabili individuali di mtDNA, e quando determinate variabili sono presenti in determinate combinazioni, è possibile individuare degli aplogruppi. In pratica, questo permette di tracciare, attraverso il mtDNA, l’origine geografica del lignaggio materno della persona.

Stando a Prowse, la maggioranza degli individui di Vagnari appartengono agli aplogruppi H, J K e T, ovvero l’Eurasia occidentale. In altre parole, la maggioranza della gente era di varie origini, ma tutte definibili come “europee”. Alcuni dei gli abitanti condividono lo stesso aplogruppo, ergo il loro lignaggio è originario della stessa regione, ma non condividono lo stesso aplotipo, ovvero non sono imparentati per parte di madre!

Quella di Vagnari appare quindi come una comunità composta da gente di origini diverse. Quando analizziamo il mtDNa di scheletri sepolti vicini (clusters), notiamo che non solo non sono parenti per parte di madre, ma che talvolta non appartengono nemmeno allo stesso aplogruppo. Le origini materne non sembrano quindi giocare un ruolo determinante nella costruzione dell’identità dell’individuo in morte.

Per quanto riguarda l’analisi degli isotopi, indicano che la maggioranza degli abitanti, pur avendo ascendenze etniche variabili per parte di madre, è nata è cresciuta a Vagnari o nelle colline circostanti. Se vogliamo paragonare a un altra necropoli dello stesso periodo, Isola Sacra, 1/3 dei “residenti” era forestiera (non si sa bene da dove provenisse), ed è arrivata nella zona di Isola Sacra nell’infanzia.

Anche a Vagnari possiamo determinare che alcuni degli abitanti sono arrivati da bambini. Le fonti spesso parlano di migrazioni e spostamenti di uomini adulti, ma è chiaro che donne e bambini si spostavano (o erano spostati).

Ad ogni modo, circa 25% dei residenti non erano né di Vagnari né dei dintorni, ma venivano da altre regioni dell’Impero.

3 individui, 2 uomini e una donna, venivano da zone più distanti, probabilmente altre regioni affacciate sul Mediterraneo.

Infine, tra i vari aplogruppi esumati, troviamo 2 individui particolari.

Un uomo apparteneva all’aplogruppo L, ovvero la sua linea materna risaliva alla regione subsahariana. E’ stato peraltro possibile determinare che il signore non è nato e cresciuto a Vagnari né nei dintorni, ma che proveniva probabilmente da un’altra zona del Mediterraneo, forse il Nord Africa. Quest’uomo è stato seppellito accanto a un uomo e una ragazza di aplogruppo europeo e di origine locale, indicando che provenienza ed etnia non erano fattori rilevanti in questo contesto.

Ciò non è molto strano, visto che ci sono stati per secoli frequenti traffici tra Roma e varie regioni Africane (checché ne dicano quegli scoppiati degli identitari). E’ però indicativo della varietà di backround che accomunava gli abitanti di questo villaggio dell’entroterra pugliese.

Infine un’altra sepoltura presenta caratteristiche ben più bizzarre.

Si tratta della sepoltura F37. La donna appartiene all’aplogruppo D.

Ovvero l’aplogruppo dell’Asia Orientale.

F37, una donna adulta, è l’unico esempio conosciuto a oggi di individuo appartenente all’aplogruppo D e ritrovato sul territorio italiano per questo periodo.

Purtroppo non è stato possibile eseguire l’analisi degli isotopi, e non possiamo quindi sapere se F37 è arrivata dalla lontanissima Asia Orientale, o se la migrante era sua madre, sua nonna, sua bisnonna, ecc. Considerato il suo aplotipo,è stato possibile verificare cinque match compatibili, tutti e cinque in Giappone.

Questo ovviamente non significa che F37 fosse Giapponese: come accennato in questo articolo l’etnogenesi dei giapponesi è molto più complicata e variegata di quanto possa parere. Dopotutto l’aplogruppo ingloba tutta la regione. Ma è possibile che le origini di F37 siano da ricercare nelle popolazioni coreane o Malgal.

Sappiamo che aveva probabilmente 45-49 anni, che il suo scheletro mostra leggeri danni alle articolazioni degli arti inferiori e che aveva la scoliosi (come yours truly, yeeeee!). E’ vissuta tra il II° e il III° secolo. Il suo scheletro è relativamente ben conservato. E’ sepolta in una tomba “alla cappuccina” rinforzata da pietre e con un colmo di imbrex a coronare le tegulae. Il corpo non è deposto direttamente a terra, ma su tre tegulae piatte, una delle quali è stata piazzata ad un angolo deliberato. Le tre tegulae su cui è stesa F37 sono decorate: le due alle estremità con archi impressi con le dita, una con una linea ondulata.

Gli oggetti funerari sono stati deposti vicino ai suoi piedi: una ceramica africana a bordo annerito, rotta, e il fatidico chiodo magico.

La tomba di F37 non è delle più ricche, né delle più povere. E’ una sepoltura curata ma modesta, per una donna che svolse un lavoro pesante e che, chissà, magari nemmeno sapeva delle proprie remote origini. E’ sepolta con gli altri e come gli altri: la sua etnia era esotica, il suo status sociale a Vagnari sembra essere stato lo stesso delle altre donne.

Il mistero delle origini di F37 è complicato dal fatto che Roma non aveva rapporti diretti con la Cina, men che meno con Corea e Giappone.

Troviamo menzione della Cina (nota come Seres) negli scritti di Pausania.

Pausania visse tra il 120 e il 180 d. C., quindi allo stesso tempo di F37. Parla della Cina come di un paese estremamente remoto e lo nomina nel contesto della produzione della seta: secondo Pausania il nome di Seres viene dal baco da seta, in greco ser. Si tratta secondo lui di un coleottero che i nativi allevano per 4 anni prima di farlo crepare di indigestione. Il bacarozzo si ingozza tanto che letteralmente scoppia, rivelando una pancia piena di filo di seta.

Dopo questa perla di entomologia, Pausania indica che Seres è un’isola del Mar Rosso, o di un fiume chiamato pure Ser, e che gli abitanti sono tutti Etiopi, o di una razza imbastardita frutto di un miscuglio di Sciti e Indiani.

Insomma, ci siamo capiti: i romani non avevano la più pallida idea di come si allevava il baco da seta, di dove si trovasse la Cina, o di che faccia avessero i cinesi. Sapevano però dell’esistenza di un grosso stato a oriente.

Conoscevano la seta da secoli: già dal V° secolo a. C. Cos produceva un tipo di seta a base di bozzoli sfarfallati. Cruelty free!

A partire dal I° secolo a. C. però, Roma favorì la seta cinese, importata attraverso l’India e l’Asia Centrale. La Cina, origine del prodotto, restava un posto misterioso e irraggiungibile.

I cinesi per contro hanno una mezza idea dell’esistenza di Roma. Dopotutto nel II° secolo d. C. sono riusciti a sconfiggere i ferocissimi Xiongnu e si sono allungati a ovest includendo nel loro sistema tributario il bacino del Tarim. Per intendersi, le propaggini occidentali di questa zona toccano i confini orientali di quelli che sono oggi Kirgyzistan e Tajikistan. La loro influenza diplomatica si allungò fino al Golfo Persico.

Insomma, gli Han incocciano nei Parti. E lì si fermano.

Vaghe informazioni circolarono tra i due imperi, portate dai mercanti, ma non sembra che ci sia mai stato un contatto diplomatico diretto.

Dico “sembra” perché alcuni indizi suggeriscono il contrario: Floro (70/75-145 d. C.) afferma che la Cina avrebbe mandato degli ambasciatori al tempo di Augusto (Epitoma Libro II, Capitolo 34). La cosa però non compare nelle fonti cinesi e sembra molto poco probabile. Dopotutto circa due secoli dopo Pausania non sembra avere la minima idea di dove sia la Cina o che faccia abbia un cinese. E’ possibile che la gente “mezza Scita e mezza Indiana” indichi piuttosto i mercanti Yuezhi che facevano da tramite attraverso il Tibet.

C’è però una nota interessante nello Hou Han Shu: nel 166 d.C. L’Imperatore Huan riceve la visita di un gruppo di uomini che si presentano come ambasciatori del re Andun di Da Qin.

Da Qin è il nome che i cinesi davano a Roma.

Non somiglia manco per il cazzo a “Roma”?

Beh, i romani chiamavano la Cina “Seres”, quindi non si possono lamentare.

Tornando a noi, “Andun” è chiaramente una trascrizione fonetica. Noi in Italia conosciamo Andun come Marco Aurelio Antonio (121-180).

La cosa interessante è che questa visita avviene subito dopo una compagna di Lucio Vero contro i Parti. Che Marco Aurelio sia stato il primo ad allacciare un tenue contatto diretto con la leggendaria Seres?

I sedicenti ambasciatori sono arrivati a piedi dopo essere sbarcati a Rinan, commanderia Han piazzata sulla costa centrale del Vietnam. Portano con loro zanne di elefante, corno di rinoceronte e gusci di tartaruga, a loro dire doni da parte di Andun.

Huan degli Han riceve cortesemente il paniere di benvenuto, ma non è molto convinto.

-‘Sta roba non è esotica nè preziosa.- confida al Ministro. -Possibile che il re dall’altra parte del mondo mi mandi ‘ste quattro cazzate che trovo al mercato sotto casa? Secondo me sono mercanti, levameli di giro.

La nota di Pausania su Seres è del 174. E’ possibile che l’abbia scritta basandosi sulle storie riportate dal sedicente ambasciatore del 166. Ed è molto probabile che quel volpone di Huan ci avesse visto giusto: detto ambasciatore non era probabilmente altro che un mercante con la bocca piena di favole.

Quindi no, nessun contatto diretto ufficiale, solo contatti indiretti attraverso i mercanti.

Quindi è impossibile che F37 sia arrivata dalla remota Asia Orientale, si trattava senza dubbio di una straniera di seconda o terza generazione.

O FORSE NO!

Il fatto che non esistessero relazioni diplomatiche ufficiali non significa che contatti diretti tra cittadini romani e cittadini cinesi non siano avvenuti! Semplicemente, se non hanno coinvolto le autorità, non sono stati trascritti nelle fonti ufficiali.

“Ah, ma Tenger!- sento già obiettare qualcuno -Questa è pura speculazione! Non hai nessuna prova né indizio di un contatto diretto tra un cinese della Cina e un Romano de Roma!”

No, è vero.

Ho di meglio!

Le avventure di due Cinesi a Londra

Scheletro esumato a Lant Street

Londra, Lant Street, gli archeologi di Durham esaminano gli scheletri di un cimitero romano utilizzato tra il II° e il IV° secolo. E ben due di costoro sono originari della Cina Han.

A oggi, si conoscono 3 o 4 esempi del genere nell’Impero Romano. Tutti scoperti di recente. E’ possibile che scavi futuri cambino ancora la visione che abbiamo dei rapporti tra la lontana Seres e la fiera Da Qin.

E sì, se due cinesi sono riusciti a venire a morire a Londra, è possibile che F37 abbia seguito lo stesso percorso, e sia morta di mal di schiena, dopo una vita faticosa ma onesta, nella valle del Basentello, in Puglia.

THE END

Vi ricordate quando ho detto che in questi giorni di terribili tensioni volevo dedicarmi a qualcosa di totalmente apolitico?

Ho mentito.

Prima che a qualcuno vadano a fuoco le mutande: certo, due ritrovamenti archeologici non sono politici. Gli scambi tra la Cina e Roma non sono politici. Sono fatti.

Il problema è che troppo spesso le civiltà del passato sono raccontate come omogenee, unite e coerenti. Isole che coesistono, ogni tanto combattono, ma che in generale possono essere descritte come fenotipi alla D&D.

La ridicola diatriba scoppiata quando la BBC osò disegnare un legionario nero, o le minacce subite dalla ricercatrice Sarah Bond quando ebbe l’ardire di notare che i Romani non erano tutti bianchi né possedevano il concetto di “razza bianca” dimostrano a che punto la società consuma un’idea distorta della realtà Storica.

In particolare Roma e la Scandinavia sono due miti fondatori dell’odierno suprematismo bianco, che da un punto di vista storico fa un sacco ridere, ma poi ‘sta gente tenta un colpo di stato e di botto è molto meno divertente.

La ragione principale per cui ho voluto parlare di Vagnari è perché lo trovo un sito interessante, e una buona maniera di familiarizzarmi con tecniche archeologiche contemporanee.

La seconda ragione è perché trovo assolutamente affascinante e uberganzissimo rilevare un collegamento seppur tangenziale tra un’operaia della campagna pugliese e la Cina degli Han, forse perfino il Giappone.

Per ultimo, senza fretta né affanno, per ricordare che la gente si è sempre spostata, le società non sono mai state omogenee, né conformi, né impermeabili. Il nostro concetto di identità etnica è contingente al nostro periodo storico e non è necessariamente applicabile al modo di vedere e di sentire del passato.

E’ importante conoscere il proprio passato, ma è ancora più importante non farsene un ritratto stereotipato, superficiale e falso. E’ importante usare la Storia per capire, non per dimostrare a posteriori. E questo a prescindere dal credo politico che ognuno di noi detiene: la realtà sarà sempre più complicata degli slogan.

MUSICA!


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SOMPER James, “‘Phenomenal’ ancient Chinese skeleton discovery in London graveyard casts new light on Roman society”, Independent, 26/09/2016

CARROLL Maureen, “Investigation at the Roman Imperial estate at Vagnari”, Papers of the British School at Rome, 2019, pag. 345-348

Fonti antiche:

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, Lettera 87, trad. Sanasi Patrizio, Edizioni Acrobat, pag. 87

Publio Annio Floro, Epitoma, Libro II, Cap. 34

Tumuli a buco di serratura e altre stravaganze post-mortem

Sono mesi e mesi che il blog giace in abbandono. Per il grande ritorno (si fa per dire) ho deciso di scegliere un argomento gioioso, celebrativo e ottimista: PRATICHE FUNERARIE!

Pratiche funerarie mostruosamente poco pratiche.

Quote by Terry Pratchett, Artist Paul Kidby

Stiamo parlando del misterioso periodo di prima della scrittura, l’alba dello Stato, quando dalla bolgia di polities senza nome un embrione di Impero maturava. Quando la misteriosa Himiko, amica dei Wei e regina-sciamana dei Wa, governava dal suo palazzo-tempio. Quando Yamatai si costruiva, un clan alla volta, un territorio alla volta. Quando gli Imperatori mitici, bisnipoti del Sole, bastonavano barbari e facevano bizzarre osservazioni geomantiche dall’alto di colline.

E’ il periodo delle Tombe Monumentali.

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Tomba monumentale in quel di Sakai

Ho già accennato al Periodo Kofun nel mio articolo su Egami Namio e l’introduzione del cavallo in Giappone.

Oggi vorrei in particolare concentrarmi sulle tombe stesse, con un occhio di riguardo a una tipologia particolare e iconica: le tombe a forma di buco di serratura.

Mille e un gusti di kofun

“Kofun” (古墳) significa, letteralmente, “antico tumulo”. E’ un termine impiegato per descrivere un tipo di sepoltura diffusa tra la fine del III° e dell’VIII° secolo.

La varietà nella categoria è immensa, in forme, taglie, struttura e corredo. Ne abbiamo piccoli, grandi, con fossato, senza, con più fossati, quadrati, tondi, ottagonali, a forma di uccello padulo (ok, forse questo no)!

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Ad esempio, questo è un kofun, il mausoleo di Nintoku a Sakai

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Sempre il kofun di Nintoku, se lo fotografi senza droni e in controluce

Anche questa puzzetta qui è un kofun!

Come accennato, parleremo in particolare del kofun a buco di serratura, così chiamato dagli occidentali perché la traduzione letterale di zenpō-kōen kofun fa ridere i polli (“antico tumulo che è tondo davanti e quadrilatero dietro”).

Cominciamo subito col dire che l’idea di fare un montarozzo grosso sul defunto non è una cosa originale. La mia modesta opinione è che i primi uomini volessero premunirsi contro eventuali evasioni post-mortem di nonnetti rompicoglioni e zie ficcanaso. So che quando certuni dei miei parenti stirano le zampette la tentazione di sotterrarli sotto un cumulo di mattoni e una colata di cemento stile sarcofago di Chernobyl è piuttosto forte.

Ad ogni modo, sto divagando.

Quale che sia la motivazione d’origine, sta di fatto che i tumuli esistono in Europa e in Asia, dalle valli del Kazakistan alla Corea e al Giappone. Che la gente del Regno di Wa seppellisse così i propri capoccia non è quindi cosa strana.

Ci sono due caratteristiche uniche alla situazione giapponese: la taglia e la forma.

I tumuli maggiori in Giappone hanno perimetri di centinaia di metri. Sono circondati da fossati multipli. In origine erano strutturati a gradoni e ricoperti di pietre, poi decorati con migliaia di haniwa, statue in terracotta di varia foggia. E questo senza contare la camera funeraria, il sarcofago e il corredo funebre.

File:Kamezukakohun 01.jpg

Ricostruzione del Kamezuka-kofun in Oita. I cilindri in terracotta che vedete sono haniwa

Provate a immaginare per la costruzione del tumulo di Nintoku: le migliaia di operai e artigiani specializzati, vasai, fabbri, orafi, con tutta la logistica che ne consegue. E’ necessario trasportare l’argilla, il minerale di ferro (che molto spesso era importato dalla federazione di Gaya, nel sud della Corea). Gli alloggi per tutta questa gente, le bestie da soma, i cuochi, gli sguatteri, i portatori, i cavatori…

Immaginate la plaga disboscata, tronchi e ramaglie ammassate per forni e bivacchi, la polvere, le mosche, il tanfo di sudore e di bufali. Incidenti sul lavoro un giorno sì e l’altro anche. Sacerdoti e sciamani, astronomi e santoni che ispezionano i lavori. I carri con i lingotti di ferro, quelli con la polvere d’oro e il mercurio, scortati da uomini a piedi armati di scudo e lancia. I cavalli trascinati ai fossati per i sacrifici rituali.

Haniwa a forma di palazzo, dal kofun di Imashirozuka

Alle volte è facile dimenticare le più triviali delle questioni logistiche, tipo dove cacava tutta questa gente? Avevano secchi e la portavano via? Avevano scavato trincee?

E tutto questo per seppellire una, due persone.

Bello sbattimento. E io che non volevo pagare per il “dott.” in ottone sulla lapide di mio nonno…

Insomma, chiunque sia finito ad ammuffire sotto tonnellate di terra, pietra e terracotta poteva mobilitare interi villaggi e monopolizzare il lavoro di migliaia di adulti. Ce lo aspetteremmo in uno stato avanzato, da una società stratificata e complessa. Ma quale che sia la definizione che diamo di “stato”, il Giappone del III° e IV° secolo di certo non qualifica.

Un plastico degli scavi di Kami, dal museo di Osaka

E’ però importante notare che, anche prima del III° secolo, il Giappone non era estraneo alle sepolture ridicolmente grandi. Nel sito di Kami, nella regione di Ōsaka, abbiamo trovato una tomba del periodo Yayoi (250 a.C. – 300 d.C.), rettangolare, di 15m per 25m.

Né è davvero una novità un corredo funerario ricco: nel sito Yayoi di Tatetsuki, nel dipartimento di Okayama, abbiamo ritrovato qualcuno seppellito con perle, monili e altra roba.

Quello che secondo Tsude Hiroshi distingue in modo essenziale le tombe del periodo Yayoi da quelle del Periodo Kofun non è il tumulo o la ricchezza del tesoro funerario, ma la forma a serratura.

Come vedete questo tipo di tumulo ha una parte a pianta tonda, una a pianta quadrangolare (spesso non rettangolare) ed è costituito da gradoni (spesso tre).

允恭天皇陵古墳(市の山古墳・古市古墳群)レーザー測量

Kofun a serratura (fonte in bibliografia)

E’ dura capire da dove sia arrivata questa nuova forma architettonica. C’è chi suppone che sia un’elaborazione giapponese di un concetto continentale, tipo le tombe-palazzo Han del I° secolo d. C. Secondo alcuni ricercatori coreani sarebbe una forma architettonica nata nella Penisola e poi importata sull’Arcipelago.

E’ vero che si trovano tumuli molto simili ai kofun a serratura in Corea, tipo il tumulo Jukam-ri, nel sud della regione di Jeolla. Tuttavia questo tumulo data del V° o VI° secolo, ovvero ben dopo l’inizio del Periodo Kofun in Giappone. E’ forse forse più probabile che sia stato il Regno di Wa a influenzare la sud Corea, con buona pace loro.

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Esempio di tomba Yayoi quadrata a sommità piatta, da “San.in no shigū tosshutsu-kei funbo”

Per altri studiosi si tratta di una naturale evoluzione dei tumuli Yayoi. Di certo la gente di Yayoi costruiva tumuli circondati da fossati. Inoltre abbiamo quelle che sono chiamate “tombe quadrate a sommità piatta” (方形台状墓), tumuli a pianta quadrata con proiezioni agli angoli. E’ un’ipotesi stuzzicante, anche contando che questo tipo di sepoltura era prevalente nel Kinai, cuore palpitante del kofun a serratura.

Oltre alla forma, la taglia, come detto su, è degna di nota. A partire dal IV° secolo iniziamo a trovare kofun a serratura monumentali, e continueranno a crescere e a diffondersi fino al loro picco assoluto nel V° secolo.

Il tesoro funerario è pure degno di attenzione: come sottolinea anche Egami nel suo Minzoku kokka (1967), il corredo del primo periodo, fino al IV° secolo incluso, è costituito da oggetti sacri e rituali, in particolare da specchi di bronzo.

Si tratta spesso di specchi cinesi fabbricati tutti dallo stesso atelier e con lo stesso stampo. Il più tipico è lo specchio con bordo a sezione triangolare e decorato con motivi di animali e divinità.

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Esempio di specchio con bordo a sezione triangolare e motivi di animali e divinità (三角縁神獣鏡)

Nel Libro dei Wei, quando la regina Himiko scrive all’Imperatore, costui risponde mandandole in dono un centinaio di specchi. Tale oggetto aveva un valore rituale e di prestigio ed era usato come dono diplomatico. Sull’Arcipelago, un capo che era riuscito a procurarsi uno stock di preziosi specchi cinesi poteva a sua volta usarli come dono per cimentare alleanze e amicizie con subalterni o altri capi. Almeno parte di questo “patrimonio” in specchi seguiva il capo nella tomba.

Tutti questi elementi (la taglia, la forma, i gradoni, gli specchi, le statue, ecc.) contribuivano a fare della tomba monumentale un luogo sacro di indubbia importanza. Ma in che termini?

Non avendo fonti scritte (mortacci loro!) siamo costretti a ipotizzare.

Secondo Mizuno Masayoshi e Kondō Yoshirō, il kofun rappresentava il luogo di sepoltura del capo, ma anche il luogo in cui l’autorità del capo stesso veniva trasmessa. In altre parole, non si trattava di una semplice tomba, ma di una fonte radiante di autorità legittima.

In particolare è stato tirato un parallelo tra i tre gradoni dei kofun a serratura e i tre gradoni delle colline cinesi dedicate al Jiaosi, un rito rivolto al Cielo che l’Imperatore Han officiava nei dintorni della Capitale.

Come fa notare Hirose, c’è il piccolissimo dettaglio che il kofun è una tomba (un’elaborata reggi-carcassa), mentre la collina del Jiaosi no. E’ però possibile che i tumuli monumentali, in quanto fonti dell’autorità regale, abbiano in effetti svolto una funzione simile alle colline a gradoni cinesi.

Un’altra possibilità per spiegare i tre livelli è data da Sofukawa Hiroshi: è possibile che i tre gradoni fossero un riferimento al monte Kunlun. Nella mitologia Han, il monte Kunlun (che pure ha 3 livelli) era il luogo di residenza del sovrano dopo la morte (e figura nell’arte funeraria, come nelle pitture del sarcofago nella tomba di Mawangdui).

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Possibile rappresentazione del monte Kunlun

Tirando le somme, col IV° secolo vediamo diffondersi nella regione di Nara tombe monumentali separate dalle sepolture del resto della plebaglia. Questo suggerisce un cambiamento radicale rispetto alla fine del Periodo Yayoi. Tanto per cominciare siamo davanti, de toute évidence, al fiorire di una classe dirigente capace di mobilitare risorse e lavoratori su una scala senza precedenti. La società si è evoluta da una clanica/tribale a una più stratificata e complessa, con un concetto di autorità nuovo.

Non solo: col IV° e V° secolo i kofun si diffondono in altre regioni, fino all’isola di Kyūshū e buona parte dell’Isola di Honshū. L’adozione di questo metodo di sepoltura stravagante è con ogni probabilità il sintomo del diffondersi dell’influenza e del controllo del Regno di Wa sul resto delle polities isolane. Scambi di doni, soft power, conquista cruenta o politica delle cannoniere? Non possiamo saperlo per certo, ma è sicuro che la Corte di Wa di questo periodo allunga i propri tentacoli e tira a sé quelli che prima erano territori indipendenti.

I kofun monumentali non sono peraltro l’unico elemento che ci spinge a ipotizzare la nascita di una élite capace di reclamare un monopolio sul surplus economico.

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Vignetta del 1896, perché certe cose sono eterne. Almeno nel V° secdolo l’élite aveva la decenza di farsi ammazzare a sciabolate, ogni tanto

I villaggi del periodo Yayoi sono tipicamente circondati da un qualche tipo di fortificazione (palizzate, fossato, ecc.). Verso la fine del periodo iniziamo a vedere in certe regioni l’emergere di granai più grandi del consueto. Qualcuno sta cominciando ad ammassare più beni degli altri, ma ancora le costruzioni non sono separate in termini spaziali dal resto delle capanne e magazzini.

Col III° secolo la situazione cambia: i villaggi non sono più fortificati, ma magioni con grandi magazzini cominciano a spuntar fuori come funghi, e queste sono fortificate. In altre parole, vediamo comparire un’élite che si separa anche in termini di spazio dal resto della plebaglia, che reclama le risorse per sé e che può permettersi di garantire la protezione dei villaggi limitrofi.

E’ addirittura possibile che la classe dirigente in questione abbia attivamente scoraggiato la fortificazione dei villaggi, un po’ come Richelieu smantellò i castelli della nobiltà francese.

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Richelieu e il suo Umano da compagnia si apprestano a smantellare fortezze (Philippe de Champaigne)

Una svolta importante avviene nel V° secolo, il periodo d’oro dei tumuli a serratura. Un sacco di cose cambiano! Tra le tante, i kofun di questo tipo si diffondono, crescono in taglia e in opulenza. Le zone di Furuichi e Nakamozu, in quel di Ōsaka, annoverano migliaia di tumuli! Non solo, nel tesoro l’oggetto di prestigio che la fa da padrone non è più lo specchio cinese, ma la sana, pratica e tosta armatura. Questa non solo la puoi mettere per andare a picchiare la gente, ma è fabbricata nel Kinai, chilometro zero, ruspante ed equosolidale!

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Armatura in ferro, Museo Naizonale di Tokyo

Ne saltano fuori a mazzi, in certi tumuli troviamo decine di set completi di corazze, elmi, gorgiere, frecce, lance, finimenti per cavalli…

Questo cambiamento ha portato Egami Namio a teorizzare nientemeno che un’invasione su larga scala dell’Arcipelago. In altre parole, l’antica aristocrazia Wa, composta da sacerdoti e sciamani, sarebbe stata soppiantata a legnate da un popolo straniero guidato da un’aristocrazia militare.

Come discusso nell’articolo succitato, i dati archeologici non confermano questa ipotesi (anzi), ma è certo che il cambio di stile  nelle tombe e nel corredo indica una notevole evoluzione politica, sociale  e spirituale, di certo legata in buona parte alla pressione straniera, l’arrivo in massa di rifugiati coreani e la consolidazione della polity di Wa in Stato vero e proprio.

Questo è il periodo dei tumuli più grandi, come quelli attribuiti a imperatori di dubbia esistenza e mirabolanti leggende come Ōjin.

Il problema maggiore dello studio di queste tombe è che per il governo giapponese si tratta di monumenti sacri e pertanto off-limits. E’ impossibile scavarli o aprirli.

La cruda verità è che i nazionalisti non vogliono scoperchiarli e scoprire che PERDINDIRINDINA, MA SONO PIENI DI COREANI! Ecco!

Insomma, siamo incastrati a studiare solo i tumuli a serratura di mezza tacca, che probabilmente appartenevano al gradino subito sotto le élites più importanti. Non possiamo quindi essere sicuri se le armature sono una componente dominante anche nelle tombe più grandi oppure no.

In ogni caso, si parlava di immigrazione: il corredo dei kofun conferma gli stretti rapporti che il Regno di Wa intratteneva col Continente nel V° secolo. Un esempio possono essere delle perle trovate nel  kofun di Iwase senzuka, molto simili a degli esemplari tipici della regione di Kyongju in Corea. E’ molto probabile che si tratti di importazioni. In un kofun del complesso di Niizawa senzuka invece abbiamo trovato una corona d’oro molto simile a monili fabbricati dagli Yan settentrionali. E via così, gli esempi abbondano.

Un altro indizio sulla situazione diplomatica dei Wa ci viene dal Libro dei Song (Sō sho), scritto da Shen Yue nel 493 e che copre gli eventi dal 420 al 479. Shen Yue nomina “cinque re di Wa” che avrebbero spedito ambascerie dai Liu Song per guadagnare prestigio e legittimare il loro potere.

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Perché, in un periodo di fermento politico e diplomatico, capi e capetti dovrebbero investire così tanto in tombe di lusso?

Opere come queste servono in realtà diversi scopi. Tanto per cominciare, val la pena ricordare che nel V° secolo siti come Nakamozu e Furuichi erano relativamente vicini al mare. Non è da escludere che una delle funzioni dei kofun più grandi fosse quella di essere visibile dai marinai. Mercanti e viaggiatori che andavano e venivano tra il regno di Wa e il Continente erano costretti ad ammirare queste opere mastodontiche, mostruose, impressionanti. E gli ufficiali Wa potevano spiegare agli stranieri allibiti:

“Quello? Oh, niente, ci ho seppellito mio nonno buon’anima. E quello un pochino più piccoletto lì è per il mio cagnolino Fuffy. Sapete com’è, noi c’abbiamo così tanta gente e così tanta ricchezza e così tanto potere che alle volte non sappiamo bene cosa farci.”

In un periodo in cui i tuoi vicini sono falciati da gente tostissima con mire espansionistiche, non è una cattiva idea curare il proprio prestigio.

Lo stesso valeva per i capoccia delle altre polities Giapponesi: potevi seguire i Wa e partecipare della loro gloria e ricchezza, o potevi metterti contro i Wa e pagarne le conseguenze.

Secondo l’archeologo e storico Matsugi Takehiko, questi tumuli erano anche strumenti di propaganda e coesione sociale. Li definisce kyōshikei monuments (仰見型モニュメント), ovvero strutture a cui la gente guarda per definirsi, con soggezione e trasporto (un po’ come i fiorentini guardano la Statua del Mal di Testa). Si tratta di opere ciclopiche il cui ruolo sociale era creare un forte senso di appartenenza e identità culturale.

E’ anche molto probabile che, come accennato più su, il tumulo restasse un elemento attivo nella vita religiosa del Regno di Wa, e che il defunto rimanesse come protettore del popolo e della classe dirigente.

Con il VI° secolo il numero di kofun a serratura monumentali declina, e continua a declinare per tutto il VII°, fino a sparire, insieme ai grandi kofun in generale a prescindere dalla forma. Le tombe diventano più piccole, e spesso raggruppate tra loro (clusters). La quantità di armature pure diminuisce in favore della spada decorata, nuovo simbolo di autorità e prestigio da portarsi dietro nel Regno dei Morti. Dopotutto una spada rituale è più leggera di un’armatura e più pratica di uno specchio se vuoi stapparti una birra.

Vero, in certe regioni più remote la gente ha continuato a fare tumuli fin nell’VIII° secolo, ma si sa che i provinciali sono sempre in ritardo sulle mode: a quel punto la figata per tirarsela non era più una collina artificiale in cui chiudere il cognato, ma il tempio. Il regno di Paekche aveva infatti portato il Buddismo in Giappone, un set completo di sutra, statue e frati che fungevano da libretto delle istruzioni.

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Una foto da Google Earth di Nakamozu, in Sakai

Tirando le somme

I kofun monumentali a serratura sono stati uno strumento politico e culturale molto importante nella delicata fase di state-formation del Regno di Wa. La loro diffusione in altre regioni testimonia dell’adozione, da parte dell’aristocrazia locale, dei costumi Yamato. In altre parole, testimonia dell’avvicinamento, da parte di territori indipendenti, all’orbita Wa.

C’è un annoso dibattito su quanto il Regno di Wa del Periodo Kofun sia o meno uno “stato” e su che tipo di influenza o controllo la Corte poteva davvero esercitare sulle polities circostanti. Ok, i tuoi vicini hanno adottato il tuo stile di tombe, ma ti mandano tributi? Puoi esigerli? Puoi esigere ostaggi? Parteciperanno al tuo fianco in caso di guerra?

Per alcuni la Corte di Wa aveva una presa forte sui territori limitrofi. Per altri si trattava di una “federazione tribale” più o meno stabile. Secondo Sasaki (e la sottoscritta), il modello che meglio descrive la situazione è quello proposto da Tambiah per descrivere il Sud-Est Asiatico: il modello a mandala o galattico.

Secondo Tambiah, le varie polities del territorio (paesi, regioni, città, ecc), non sono “legate” (bounded) al centro, bensì “orientate verso il centro” (center-oriented). In altre parole, la polity centrale esercita un’attrazione su un certo numero di “satelliti” minori. Tale controllo si affievolisce man mano che ci si allontana dal centro.

I satelliti ripropongono al loro interno una riproduzione del modello centrale, ma sono a costante rischio di scissione.

Questo è verificato nel caso dei kofun a serratura: in certe regioni li vediamo comparire, poi sparire e poi riapparire più tardi. Per spiegarlo col modello di Tambiah, la classe dirigente di quella polity sarebbe finita nell’orbita Yamato e avrebbe preso a replicarne gli schemi. Si sarebbe poi allontanata dalla sua sfera di influenza, per riavvicinarsi infine anni dopo.

Lo sviluppo di clusters di kofun e il declino dei grandi kofun a serratura sono spesso interpretati come un segno che, se da una parte le tombe monumentali sono riservate a un gruppo sempre più ristretto di individui, dall’altro un numero sempre maggiore di persone ha il potere e i mezzi di permettersi un tumulo, sia pure di forma e taglia subalterna. E’ un segno del consolidamento del potere della Corte di Wa sul resto delle regioni.

Questo rafforzarsi dell’autorità Yamato, insieme con l’indebolirsi della minaccia straniera nel VII° secolo hanno certamente contribuito (tra le altre cose) a rendere i kofun monumentali desueti.

Nonostante certe regioni siano rimaste autonome (il nord-est resterà virtualmente incontrollabile fino al XII° secolo!), un nuovo tipo di Stato sta nascendo, uno fondato su leggi scritte, burocrazia, annali.

Con il tramonto dei grandi tumuli sorge l’epoca storica della parola scritta (e con buona pace di Fomenko, sì, abbiamo documenti scritti antecedenti al X° secolo cristiodio). L’epoca di Himiko si conclude, lasciando il posto all’epoca della Corte.

E i kofun?

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Sono sempre lì, quasi venti secoli dopo, e ancora non possiamo scavare queste tombe, non possiamo studiarle, perché i kofun monumentali continuano a svolgere la loro funzione: sono ancora e sempre fonti di unificazione, identità e legittimazione.

Magari un giorno le cose cambieranno, e noi cinici potremo fiondarci a scoperchiare sarcofagi e analizzare le ossa di dei dimenticati.

Nel frattempo ci tocca pazientare.

MUSICA!


Bibliografia

CLASSEN Henry J. M., “The internal dynamics of the Early State”, in Current Anthropology, Vol. 25, No. 4 (Aug. – Oct., 1984), pp. 365-379

Département culturel du bureau de la culture et du paysage de la ville de Sakai, Shikkoku, hakugin no buki, Recueil des lectures sur la culture de la ville de Sakai n° 6, 31 mars 2014, Sakai, p.200

EGAMI Namio, Kiba minzoku kokka, Chukō shinsho, Tōkyō,  1967

HIROSE Kazuo, Zenpōgōen-fu no seikai, Iwanami shinsho, Tōkyō, 2010

SASAKI Ken’ichi, “The Kofun era and early state formation”, in FRIDAY Karl, Routledge Handbook od Premodern Japanese History, Routledge, London, 2017, p.68-80

SHIRASHI Taichirō, Kofun, Yoshikawa kōbunkan, Tōkyō, 1989

TAKASHIMA Hideyuki, Kodai tōkoku chiikishi to shutsudo bungaku shiryō, Tōkyōdō shuppan, Tōkyō, 2006

TAMBIAH Stanley Jeyaraja, “The galactic polity in Southeast Asia”, in Culture, thought, and social action, 3–31, Harvard University Press, Cambridge, 1973

Foto del kofun a gradoni

Farmacopea creativa: il muschio alla Corte di Heian

Sulle montagne dell’Himalaya vive un caprioletto. E’ piccolo, poco più di mezzo metro al garrese, non ha corna ma ha due zanne da vampiro che scendono giù oltre il muso. Non è un cervo, ma un Moschidae. Vive felice nella boscaglia, si nutre soprattutto di foglie, sta da solo sul suo territorio e gira soprattutto di notte.
Quando è stagione e il Mosco maschio ha voglia di scopare, la ghiandola sotto la sua pancia secerne pallette dall’odore pungente e caratteristico. Se gli va bene, una femmina le trova e s’arrapa.
E’ la fine del X° secolo, e il mosco non sa che gruppi di sicari professionisti stanno scalando le montagne alla sua ricerca. Chi vorrà mai attentare alla vita di un animale che per definizione si fa sempre e solo i cazzi suoi?
La risposta è: Fujiwara Michinaga, l’uomo più potente del Giappone.

Un mosco himalayano. Notare i dentini.

Nato nel 966, Michinaga è il cadetto di un potentissimo clan aristocratico. Dopo la morte intempestiva di suo fratello maggiore, Michinaga diventa capo del clan e si adopera affinché la sua famiglia resti alla guida dell’Impero per le generazioni a venire. Per cominciare, fa in modo che le sue figlie diventino spose imperiali e che i futuri imperatori siano scelti tra i pargoli delle madri Fujiwara. In questo modo il capo del clan sarà sempre nonno o zio materno del Figlio del Cielo.
In una società in cui la famiglia materna è dominante nei primi anni dell’infante, questo significa che il capo del clan sarà sempre l’uomo più potente del Paese. Di fatto, Michinaga amministra l’Impero come se fosse suo, tanto da usare le strutture burocratiche della propria famiglia invece che le istituzioni governative stabilite dai Codici.
C’è tantissimo da dire su Michinaga e il suo tempo, ma oggi parleremo di un aspetto molto preciso: i cosmetici.
Se c’è una cosa su cui i nobili di Heian erano assolutamente fissati, era il protocollo. Dovevi avere un certo tipo di carro, un certo abito, abilità in un certo tipo di musica, danza, poesia, ecc. E’ importante sottolineare che questa roba per l’alto aristocratico di Heian non era “contorno alla politica”, era LA politica!
In un contesto del genere, cosmetici, medicine e profumi erano importantissimi, oggetto di prestigio, scambio politico e dono diplomatico tra la Corte giapponese e quella cinese.
Tra questi prodotti ricercatissimi e uber-lussuosi, c’era anche il muschio.
Cos’è il muschio e a che serve?

Intanto chiariamo: con “muschio” qui non si intende la borraccina del Presepe. Si tratta di pallette pelose, contenenti una sostanza simile al grasso e molto odorosa, rilasciate dal nostro piccolo caprioletto himalayano via una sacca che si trova tra il pene e l’ombelico.
Si tratta di roba molto rara: per ottenere 1Kg di muschio sono necessari 30 o 40 moschi. Piuttosto che andare a caccia di minuscoli pallini per le valli del K2, i cacciatori di solito ammazzano il nostro caprioletto vampiro per strappargli la sacca del muschi da sotto la pancia. Estratto fresco, il muschio ha un odore insopportabile e deve essere ulteriormente trattato per poter essere veduto.
Come si può intendere, questo complicato processo fa del muschio una sostanza pregiatissima. Per avere un’idea di quanto prezioso fosse, basta un esempio dal diario di Michinaga, in cui racconta di alcuni doni ricevuti dal Figlio del Cielo in persona il terzo giorno della seconda luna del secondo anno dell’era Chōwa, ovvero nel 1015:

[Sua Maestà] mi consegna 8 pezze di broccato, 23 pezze di saia, 100 once di chiodo di garofano, 5 ghiandole di muschio, 100 once di pigmento blu e 3 libbre di Nardostachys.

Pallette di muschio in tutto il loro splendore!

Come si evince, una sola palletta di ‘sta roba era cosa da principoni. Ma cosa ci facevano i nobili con queste frattaglie essiccate?
Le sostanze appaiono spesso nelle fonti, ma senza troppi dettagli riguardo al loro uso. Ad esempio, negli Engishiki (i regolamenti dell’era Engi) si stabilisce che, tra le vettovaglie previste per il pellegrinaggio della principessa consacrata di Ise, dovessero esserci delle dosi di shimi (四味). Non è spiegato di cosa si tratta, letteralmente significa “quattro sapori/essenze”, ma pare chiaro che il muschio fosse un ingrediente fondamentale.
Il muschio compare anche nello Honzō wamyō, un’opera enciclopedica sulle “cose viventi” compilata nel 918. Anche in questo caso, non sappiamo di preciso come questa sostanza era utilizzata.
Una luce ci arriva però dallo Ishinpō, il più antico trattato medico giapponese. E’ stato scritto da Tanba Yasuyori nel 984 basandosi su trattati medici della Cina dei Sui e dei Tang.
Il primo riferimento al muschio appare nel sesto capitolo del primo rotolo (sono trenta in tutto) e si capisce che il gustosissimo palloccolo di sugna era previsto per delle pillole. Il capitolo non parla della funzione del farmaco, ma si concentra sulle precauzioni tecniche per manipolare il materiale: è fondamentale che il farmacista non abbia attorno signore, bimbetti o donne incinte, che si sa mandano radiazioni gender e sciupano la carica yang degli elementi.
Nel terzo capitolo del ventiseiesimo rotolo abbiamo finalmente un uso pratico: le pillole di ghiandole sono usate per profumare la persona!
E siccome vi voglio bene, qui l’utilissima ricetta!
Tre once (circa 42 grammi) di:

  • Chiodo di garofano
  • Menta coreana (Agastache rugosa)
  • Psychotria reevesii (un tipo di rubicaceae)
  • Nerdostachys
  • Basilico (tanto per gradire)

Un’oncia (circa 14 grammi) di:

  • Angelica anomala
  • Angelica polymorpha
  • Cannella
  • Noce di Betel

E infine mezza oncia (circa 7 grammi) di muschio!

Il muschio conta per poco meno del 3% del prodotto completo (circa 275 grammi di mappazzone). Dovete macinare tutto, filtrarlo attraverso un panno di seta fine, mischiarlo a del miele e dargli 1000 martellate. No, non scherzo. Occhio a non perdere il conto, che poi è la fine.

Michinaga si compiace mentre l’olezzo muschiato gonfia il suo abito di Corte

Dopo questo processo, potete plasmare delle pillole della taglia di un nocciolo di giuggiola e farle sciogliere sulla lingua, una a botta durante il giorno e tre a botta durante la notte (perché di notte è più facile strozzarsi) per un totale di 12 pillole al giorno.
Questo portentoso preparato, oltre a favorire la carie dei denti, dovrebbe profumarvi l’alito e, sul lungo periodo, il corpo. L’effetto è crescente: dopo 5 giorni le vostre ascelle dovrebbero olezzare di cannella e bestia morta, e dopo 30 dovreste profumare così tanto da appiccicare l’odore addosso al prossimo con un semplice abbraccio. Che mi pare una splendida idea.
A chiosa, ciò dovrebbe far bene a “tutte le malattie” (tranne che al tartaro, immagino), basta astenersi dal mangiare roba agra come cipolle e aglio. Siam messi male, io senza aglio non vivo.
Un altro rimedio di sicura efficacia è spiegato nel quindicesimo capitolo: mettete in un sacchetto zenzero, muschio e zolfo, e sarete protetti dai serpenti e dai morsi in generale! Ma fate attenzione: dovete tenerlo sulla destra se siete uomini e sulla sinistra se siete donne (non vi confondete che sennò non funziona).

Un serpente

Infine, sappiamo che il muschio era un componente fondamentale di un rimedio cinese molto apprezzato in Giappone: la “neve di porpora”. Questo prodotto era usato un po’ in tutti i casi di febbre, sia essa puerperale, da infreddatura, da dissenteria, ecc.
To be fair, in questo caso il muschio probabilmente aveva effetti benefici, in quanto il suo odore pungente, mischiato ad altri aromi, può avere un effetto rinfrescante e alleviare la sofferenza del malato.
In Giappone il muschio aveva un uso soprattutto nei profumi. Secondo Von Verschuer in Le commerce extérieur du Japon, la maggior parte della medicina isolana si affidava più a piante locali che non a complicate importazioni cinesi. Siamo onesti, spesso o prendevi un malanno leggero o morivi, tanto valeva andare al creatore senza spendere una fortuna.
Michinaga si era assicurato il controllo quasi esclusivo degli scambi col Continente. Il muschio, come altri prodotti di stralusso-che-levati, era molto importante per il protocollo di Corte, ma anche come moneta di scambio. Poteva essere usato per acquisire roba davvero utile. Gente come Michinaga doveva nutrire e vestire un numero esorbitante di gente tra servi, intendenti, figli, nipoti, nipotini, amanti, guardie, falconieri, cuochi, paggi, mezzadri, ecc. Tre pallette di muschio potevano diventare una notevole quantità di riso o miglio, per fare un esempio.
Potevano anche essere usati come doni politici, per sugellare e rinforzare alleanze.
Infine, il muschio essendo un materiale di straordinaria rarità, era un elemento di bling. E’ importante essere ricchi sfondati, ma è ancora più importante apparire come ricchi sfondati, oggi come al tempo di Michinaga.
E per soddisfare questi bisogni, la domanda spingeva i suoi tentacoli oltre l’Oceano, fin nelle remote valli himalayane. Non so voi, ma per me è buffo pensare che un povero bestio sia freddato sull’Himalaya perché in Giappone un vecchio maneggione doveva darsi il deodorante. E questo, secoli prima della Globalizzazione che fa tanto arrabbiare Diego Fuffaro.
A chiosa, sapete quanto ci vuole a ricercare una cazzata del genere? GIORNI. Se qualcuno a voi caro decide di buttarsi nella ricerca umanistica, fategli leggere questo articolo finché non rinsavisce.

MUSICA!


Bigliografia

ELLERMAN J. R., MORRISON-SCOTT T. C. S., Checklist of Paleartic and Indian mammals, 1758 to 1946, British Museum, Londres, 1965, p. 353-354
FUJIWARA no Michinaga, Midō Kanpakuki, Chōwa 1/5/20 – Chōwa 2/2/3
HERAIL Francine, Histoire du Japon, POF, Paris, 1986, p.136-143
KURUTA Katsumi, HAYASHI Yuzuru, Engi-shiki, Yoshikawa kōbunkan, Tōkyō, 1938, p.124-125
MAKINO Tomitarō, HONDA Masaji, Genshoku makino shokubutsu daizukan, Hokuryūkan, Tōkyō, 1982
NAGASHIMA Washitarō, Honzō wamyō, Nihon koten senshuukan, Tōkyō, 1926
SAKAI Cécile, STRUVE Daniel, TERADA Sumie, VEILLARD-BARON Michel, Les rameaux noués, VON VERSCHUER Charlotte, « Le coffret de toilette (tebako) de la fille de Fujiwara no Chikataka », Institut des Hautes Etudes Japonaises, Collège de France, 2013, pp. 153-176 ; p 163, 164, 167
SCHROCKIO Luca, Historia Moschi, ad Normam Academiae Naturae Curiosorum, Augsburg, 1682, p.1-17
TANBA Yasuyori, trad. HSIA Emil C. H., VEITH Ilza, GEERTSMA Robert H., The essentials of medicine in ancient China and Japan, vol I et II, Leiden-E.J.Brill, Pays-Bas, 1986, p.313/241
TANBA Yasuyori, Ishinpō, Renmin weisheng chubanshe, Pékin, 1993, p.15-19 ; p.599-610
UCHIDA Seinosuke, Genshoku dōbutsu daizukan, Hokuryūkan, Tōkyō, 1981, n° 293 p. 135
VON VERSCHUER Charlotte, Le commerce extérieur du Japon, des origines au XV° siècle, Maisonneuve & Larose, Paris, 1988, p.52-63
WISEMAN Nigel, FENG Ye, A practical dictionary of Chinese Medicine, Paradigm Pubns, 1998, p.945

Siti internet

http://www.hi.u-tokyo.ac.jp/english/db/db_use-e.html

http://www.arkive.org/himalayan-musk-deer/moschus-leucogaster/

http://www.treccani.it/enciclopedia/muschio/

Classici Militari: Le Tre Strategie di Huang Shih (2)

Bentornati in questi lidi di fastidio e mestizia, per un nuovo articola sulle Ricette di San Attila. La scorsa volta avevamo parlato della Strategia Superiore di Huang Shih. Oggi affronteremo il resto di questo Classico.

La strategia mediana

Zhang Liang, stratega degli Han Occidentali a cui Huang Shih avrebbe dato il libro

In questa sezione, il nostro cita un testo tradotto come Il potere strategico dell’esercito. Questo testo non ci è arrivato, e non siamo nemmeno sicuri che sia mai davvero esistito. Ad ogni modo, Huang Shih lo usa per dare savi consigli su come gestire un esercito.

Per prima cosa, ripete (come altri Classici) che il potere decisionale dell’armata in campagna risiede solo e soltanto nel generale. E’ lui che decide quando e come avanzare o ritirarsi, se attaccare o aspettare, ecc. La corte deve occuparsi di politica e non di tattica!

In secondo luogo, l’esercito è una grande famiglia che ha posto per tutti: i savi, i coraggiosi, gli avidi e i deficienti. Perché? Perché sono quattro categorie di uomini mossi da emozioni e aspirazioni differenti.

Un uomo savio trae gioia dai risultati che riesce a ottenere, l’uomo coraggioso trae gioia dall’esercitare la propria volontà, l’avido is in for the money e il deficiente non ha nessuna paura di morire. Queste quattro categorie sono governate dalle loro emozioni. Puoi ragionare con gli uomini, ma se sei capace di manipolare le loro emozioni sei capace di far fare loro più o meno qualsiasi cosa.

Sulla stessa onda, devi tener conto che un ufficiale competente non viene arruolato e tenuto con un semplice salario, né con polpose ricompense e basta. Puoi comprare un buon artigiano, ma quando chiedi a un uomo di rischiare la pellaccia per te, non puoi aspettarti che lo faccia solo per i quattrini. Uno uomo da bene non si fa ammazzare per un capo carogna.

Se il sovrano manca di virtù i suoi ministri si ribelleranno, e se manca di awesomeneness finirà per perdere autorità. Questo vale per ogni gradino della scala sociale, con una piccola differenza: se qualcuno tipo un ministro o un alto ufficiale possiede troppa awesomeness, il rischio è che ciò provochi timori, invidia o diffidenza, tutta roba dannosa. Devi tener gente di talento ma, well, non troppo talento.

Alto funzionario Han

Come nell’Arte della Guerra, viene ribadito quanto sia importante per un generale conoscere il nemico. C’è un caveat però: non permettere ai tuoi ufficiali di parlare dei punti di forza dell’avversario a tiro d’orecchio del resto dell’esercito. E questo per ovvie ragioni!

In altre parole, evitate di fare le stesse stronzate dei Taira sulle rive del fiume Fuji.

Sempre parlando di accorgimenti, non mettere gente benevolente a gestire le finanze. Tendono a spendere troppi quattrini (magari dietro scuse frivole come “ma i soldati hanno fame!”) e finiscono sempre per affezionarsi ai ranghi più bassi. E non vuoi amministratori con crisi esistenziali quando devi ordinare a duemila fantaccini terrorizzati di marciare allineati e coperti dritti nelle fauci dei mongoli.

Altro accorgimento importante: prima di ogni cosa, lancia una bella caccia alle streghe. Niente sciamani, medium, indovini e baggianate simili nel tuo esercito! Non devono essercene tra i soldati e soprattutto non devono essercene al servizio dei tuoi ufficiali. Ci manca solo che la gente si faccia venire le paranoie per la luna in Leone o perché qualche Dulcamara ha letto brutte cose nelle frattaglie di montone.

Se fai le cose a modino e riesci a eliminare tutti i tuoi nemici, prendi cura di riunire tutti i ministri che hanno reso ciò possibile e tagliarli fuori dal potere. Devi ricompensarli, ovviamente, seppellendoli di ricchezze, terre e belle manze, ma non lasciarli con le mani in pasta. Ci deve essere ricambio, o rischi che qualcuno si monti la testa.

Allo stesso modo devi congedare l’esercito e scalzare il generale dalla sua posizione. Dagli una carica prestigiosa, dagli terre da amministrare, dagli poppute donzelle o quello che ti pare per farlo contento, ma strappagli il potere delle armi. Se è un buon generale è più che probabile che legami solidi e profondi si siano creati tra lui e i suoi ufficiali giù lungo la gerarchia fino ai soldati, e questa cosa, per quanto utile in guerra, è troppo pericolosa in pace.

Tieni conto che un sovrano che abbia voglia di restare in sella non gioca a carte scoperte e non gioca ad armi pari, non coi suoi nemici, non coi suoi alleati, non con i suoi fedeli assistenti.

La strategia inferiore

Edizione delle Tre strategie

La solidità del tuo controllo sulla popolazione e l’assistenza di uomini savi e competenti è proporzionale al beneficio che la plebaglia e il Paese in generale traggono da te. Un capo poco popolare non può considerarsi davvero stabile. Anche perché uomini competenti potrebbero avere riserve nel servire un capo simile. Chi non ha subordinati capaci non ha una seggiolone solido.

Una volta trovati collaboratori capaci, è importante ottenerne la sottomissione fisica e ideologica. La prima te la assicuri via un sistema appropriato di regole e ricompense, per la seconda Huang Shih consiglia… Musica!

No, non vuol dire che devi ballare il valzer col tuo Ministro dell’Agricoltura.

Al lettore odierno può parere bizzarro veder comparire il termine “musica” in un contesto simile, ma la musica era una componente imprescindibile della formazione del buon Confuciano. Ad ogni modo, l’autore specifica che non parla qui di pifferi e mazurche, ma di un senso di armonia e ordine che deve pervadere e unire ogni aspetto del Paese. Questo equilibrio armonico non deve essere volto a compiacere il capoccia, ma a dare pace e piacere ai sudditi, che sudditi contenti fanno un paese stabile.

I Confuciani sono una banda di dannati hippies!

E’ fondamentale che l’attenzione dei dirigenti sia rivolta verso l’interno. Un capo ambizioso che sguinzaglia armate sterminate alla conquista di territori distanti finirà prima o poi per esaurire le riserve di energia e pazienza dei suoi. La prima preoccupazione di un sovrano deve essere sulla propria base, sulla stabilità, sicurezza e virtù. Questo perché il libro è stato scritto da un Confuciano, e mannaggia all’Inferno se i Confuciani son fissati con ‘sta storia della virtù!

Un capo destinato a sopravvivere deve possedere 5 qualità: aderenza al Tao, virtù, benevolenza, giustizia e decoro (ovvero un comportamento appropriato).

Un capo deve peraltro badare alle ramificazioni che ogni suo atto può avere. In particolare, quando ricompensi un uomo da bene, questo riverbera in modo positivo incoraggiando zelo e attirando buoni collaboratori. Ricompensare un cialtrone, per contro, aliena i buoni soggetti e tira una valanga di conseguenze negative.

La credibilità è tutto. La plebaglia deve credere in te. Quando il sovrano o lo stato perdono legittimità e fiducia, non c’è modo di tenere la barca pari. E’ responsabilità del sovrano evitare che ciò accada, e per prima cosa uno deve evitare il lassismo. Lascia che un uomo disobbedisca, e cento altri si sentiranno in diritto di fare lo stesso. Lascia che un crimine impunito, e cento altri criminali si metteranno all’opera. Come detto nei precedenti Classici, devono esserci punizioni severe, e i sudditi devono credere in essere, devono saperle inevitabili, rapide e cattive.

Occhio a non pestare a caso sulla gente, però. In una situazione di diffuso scontento uno potrebbe aver la tentazione di combattere il fuoco col fuoco. Schiaffare populisti arrabbiati ad amministrare plebaglia arrabbiata. E’ una pessima idea che può solo aggravare la situazione. I tuoi ufficiali devono essere uomini dal comportamento specchiato e la tua amministrazione deve seguire la legge. Uomini capaci da soli non possono combinare niente se il sistema non segue.

Ogni trasgressione deve essere punita alla svelta e senza pietà. Come fanno i gattini. Prendi esempio dai gattini.

Hai bisogno di amministratori incorruttibili e ufficiali giusti, ma gli uni e gli altri non possono essere comprati o costretti nel tuo servizio. Da bravo Confuciano, l’autore sottolinea che solo adottando una condotta appropriata il sovrano può attirare a sé gli uomini di cui ha bisogno per governare. Anche perché uomini davvero degni non s’impelagano in un paese condannato al tracollo, sono mica deficienti…

Le armi sono considerate strumenti infausti in questo Classico, ma si concede talvolta il loro impiego è necessario. Se è il caso, devono essere usate presto, senza esitazione e full force. Temporeggiare è disastroso.

Inoltre, devi stare attento a non lasciare famiglie potenti accaparrarsi posti di potere. Questi gruppi cercheranno di succhiare via l’autorità del sovrano e accaparrarselo. Devono essere tenute sottomesse e sotto stretto controllo. Personalmente ho sempre avuto una predilezione per il sistema degli ostaggi: la gente tende a essere più tranquilla quando hai i loro eredi chiusi in cantina.

Sii quindi molto cauto con i tuoi subordinati, ma non essere geloso di loro: se sono capaci e valenti, spingi avanti la loro carriera (ma considera l’evenienza di chiudere in cantina i suoi bambini…).

Infine, tieni a mente la plebaglia. Piaccia o no, è la base dello Stato. Se danneggi mille plebei per il beneficio di un solo suddito, stai piantando i semi del disastro. Viceversa, se eliminando un solo uomo porti beneficio a mille altri, non dovresti esitare.

Questo è l’ultimo consiglio di Huang Shih e la fine del sesto Classico.

Al prossimo giro attaccheremo l’ultimo: Domande e risposte tra Tang Tai-zong e Li Wei-kung.

MUSICA!

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Bibliografia:

Ralph D. SAWYER, The seven military classics of ancient China, Basic Books, Boulder, 1993, pag.568

Ralph D. SAWYER, The art of the warrior, Shambala, Londra, 1996, pag.304

Classici Militari: Le Tre Strategie di Huang Shih

Continua la nostra serie sui grandi Classici Militari o anche “Strategie di Suor Germana: 101 Ricette per Conquistare il Mondo”.

Zhang Liang rigeve il rotolo da Huang Shih, Ogata Gekko, 1892

Oggi parleremo delle Tre strategie di Huang Shih-kung, un testo detestato dalla scuola confuciana per la sua dubbia paternità storica e perché non sfrangia abbastanza le scatole su quanto il buon esempio del sovrano irradi virtute all’ingiù fino alla plebe.

Le Tre strategie è un testo di difficile attribuzione. Divenne famoso quando fu associato al nome di Zhang Liang, un funzionario che aiutò a rovesciare la dinastia Qin (221-206 a.C.) e a portare al potere la dinastia Han (206 a.C.- 220 d.C.).

Secondo la storia, Zhang Liang stava scappando a gambe levate (dopo aver partecipato all’equivalente cinese di un’Operazione Valchiria) quando incontra un vecchio. Da buon vecchio cinese, il tipo non si presenta ma offre uno pseudonimo, Huang Shih (Roccia Gialla), e rifila al nostro rivoluzionario burocrate un pamphlet sulla guerra, il governo e tutto il resto.

Secondo la tradizione, tale pamphlet sarebbe da attribuire a nientemeno che il Taigong in persona! Prima di schiattare, il celebre pensatore avrebbe lasciato una serie di “ultimi consigli” poi arrangiati in un testo.

Per altri, il signor Sasso Giallo avrebbe scritto il libro di sua mano, infarcendolo di non troppo celata influenza taoista.

Secondo i Confuciani si tratterebbe di una porcheria inventata e inutile. Dove sono le virtù? E i riti? A un certo momento si dice perfino che far la messa agli antenati non basta per un buon governo! Ah!

Infine, Sawyer cita il punto di vista dello storico Hsu Pao-lin, secondo il quale si tratterebbe di un testo del periodo Han. Se l’incidente di Zhang Liang è vero, il libro donatogli da messer Ciottolo Biondo non sarebbe stato le Tre strategie, ma i Sei insegnamenti segreti (Taigong liu tao).

Questo breve Classico ebbe un certo successo in Giappone, Impero dominato da feroci gatti guerrieri (chiunque vi dica il contrario mente). Arte di Daniel Navarro.

Le Tre strategie si apre, sorpresa, con la prima strategia, quella definita “superiore”. Come in altri classici, più che un discorso organico sulla gestione dello stato o l’organizzazione dell’esercito, il testo si presenta come una serie di punti e consigli.

Molti di questi non sono nuovi a chi ha letto i precedenti articoli: se un governante vuole restare tale, deve tenere in pugno il popolo. Ciò significa per un verso fare in modo che il proprio volere penetri attraverso gli strati della società, e per un altro, conoscere detta società. Un governante che non ha l’appoggio del popolo non può dirsi stabile (specie in mancanza di grandi mezzi di controllo come può esserlo uno stato pre-telecomunicazioni).

Oltre al popolo, un sovrano necessita gente capace. Possiamo considerare la gente capace come lo stomaco e il cuore di uno stato, mentre il popolo come i suoi arti. Se tutto è proporzionato e in armonia, la macchina è inarrestabile.

Ovvio, puoi e devi manipolare il popolo affinché ti dia l’appoggio necessario. La manipolazione prende moltissime forme, ma si basa sulle solite due leve primordiali: ciò che la gente teme e ciò che la gente vuole. Nella loro forma più semplice: punizioni e ricompense.

Il governo deve essere capace di conoscere fatti e dettagli dei conflitti che oppongono gruppi o singoli. Per coloro che hanno lamentele da fare, lo stato dovrebbe saper mostrare indulgenza. Per contro, dovrebbe anche prender cura di stroncare chi accumula troppa forza o chi si mostra un po’ troppo volitivo, chi ha troppa iniziativa e arroganza.

Il che non vuol dire stroncare ambizione o avidità, al contrario: coloro che sono ambiziosi o hanno desideri particolari possono essere usati.

Infine, mostra sempre magnanimità verso coloro che si sottomettono senza troppo chiasso. Vuoi incoraggiare altri, in futuro, a far lo stesso, giusto?

Sono sporchi e puzzano, ma senza glebani niente esercito, e senza esercito niente divertimento.

Sempre al soggetto di trattar bene la tua gente, è da notare che la plebaglia è un po’ come uno stagno: più la rimesti e più impantani la situazione. Se il tuo paese è principalmente agricolo, fai attenzione alle stagioni. Se sei contadino non puoi posporre il fieno e non puoi rimandare la semina. C’è un momento per lavorare e se salti l’occasione il raccolto è perso prima di poter dire “ocazzo!”.

Ergo cerca di non spiaccicare di tasse i tuoi glebani e non turbare i loro ritmi più dello stretto indispensabile. Quando fai una guerra o quando richiedi corvées, tieni conto del momento.

Bon, non passare con un cingolato sulla plebaglia è l’inizio, ma per assicurarti davvero il controllo su di essa devi anche saper scegliere gli ufficiali e funzionari capaci di gestirla.

Difatti il popolo è la radice e i funzionari sono il tronco di uno stato.

Uno stato debole o instabile non è in grado di portare a buon fine una guerra. Non solo, uno stato instabile facilmente attira le mire ghiotte di qualche vicino esuberante. Una base solida e un’amministrazione funzionante e leale sono indispensabili per un regno sicuro.

Da un punto di vista tattico, la Strategia Superiore pare essere smaccatamente difensiva: l’autore invita a lasciare l’iniziativa al nemico e limitarsi a reagire dopo averlo osservato. Evita di attaccarlo se riposato e fai leva sulle sue debolezze. Ad esempio, se è forte, puoi cercare di indurlo all’arroganza.

Oh, e il controspionaggio è sempre una buona misura! Più cazzate gli fai pervenire, più è alta la probabilità che se ne beva una.

Ma se l’autore non scende in dettagli tecnici come il buon Sun Zi, ci tiene ad affrontare il tema de cosa fare dopo una battaglia. Diciamo che hai vinto. Quando hai ottenuto qualcosa dalla guerra, sia questo qualcosa bottino o terre o buoni sconto, non tenertelo per te! Non sei niente senza un esercito, e il tuo esercito non resterà saldo se non ha niente da vincere. Quello che ottieni deve essere ripartito di conseguenza tra ufficiali e soldati. In certe situazioni puoi costringere degli uomini a morire per te senza nessuna buona ragione (heilà Zar Nicola Due!), ma è molto più pratico se i tuoi soldati hanno una buona ragione per restare (a parte l’evenienza di essere fucilati per diserzione).

Parlando di esercito, come fare ad accalappiarsi dei buoni ufficiali?

Gli uomini degni verranno a te se avrai rispetto di ciò che è appropriato. Se poi li pagherai bene, saranno perfino disposti a combattere per te. Insomma, per il decoro verranno a te, per la grana o il rango moriranno per te.

Ergo se pianifichi di entrare in guerra, per prima cosa dovresti preoccuparti di offrire benefici e allecconire la tua carne da cannone i tuoi prodi combattenti.

E’ importante scegliere i tuoi ufficiali con cura, e una cura ancora più grande va nella scelta del generale. Le Tre Strategie non scende troppo in dettaglio sulle caratteristiche che fanno un buon generale, ma ribatte un collaudato concetto della storia militare: i soldati obbediranno più volentieri a un ufficiale superiore pronto a eseguire lui stesso gli ordini che dà, pronto a patirne in prima persona le conseguenze. Ergo niente cibo prima dei tuoi soldati, niente mantello pesante se loro hanno freddo, eccetera. Il contrario di quello che è stato fatto nella Prima Guerra Mondiale, per intendersi.

Solo se il generale e gli ufficiali superiori seguono questa condotta l’esercito sarà unito, e va da sé che se un esercito è unito, le probabilità di sopravvivenza degli uomini che ne fanno parte sono notevolmente accresciute.

In particolare, un generale deve essere calmo e posato, deve saper giudicare dispute, accettare critiche, distinguere tra i diversi consigli, conoscere i costumi del paese e degli uomini che comanda, oltre che avere buone capacità tattiche e geografiche.

Se il tapino ha la brutta tendenza di angariare gente che non se lo merita, l’intero morale potrebbe essere compromesso.

Differenze in equipaggiamento e addestramento dovrebbero pure esser prese in conto

Come per lo stato, la base di una buona riuscita militare è l’amministrazione dell’esercito. Gli ordini devono essere chiari, non discussi né revocati, e le punizioni o ricompense rapide e comprensibili.

E’ importante che ci sia chiarezza e armonia, dal generale al fantaccino, dacché il primo detiene il potere strategico, ma è la massa dei secondi che vince o perde una battaglia. Di conseguenza, non puoi permetterti di avere un generale impiastro né una truppa ribelle.

E’ importante che il generale tratti gli uomini come lui stesso vorrebbe essere trattato, e che li conduca di persona. E’ importante che non sia indeciso, che i suoi ufficiali non siano arroganti e che i piani, per quanto complessi, non destino dubbi.

Quindi diciamo che hai attirato buoni ufficiali e motivato i tuoi con promesse di bottino e terre e un buon salario. Diciamo che il tuo generale è un figo e che la tua situazione politica è solida. Sei in misura di menare una campagna militare. Cosa fare ora?

Conoscere il nemico, ovviamente. Che domande. Non avete letto gli altri articoli?

La cosa più importante è determinare lo stato logistico delle tue vittime del sovrano senza virtù che il Cielo ti impone di castigare: granai, armerie, magazzini, punti di forza e debolezza, situazione geografica e difensiva.

In particolare, fai attenzione ai movimenti. Se l’esercito del nemico sta trasportando granaglie invece di rifornirsi a tappe lungo la via, significa che stanno attraversando un periodo di penuria. Più è lunga la linea di rifornimento logistico, più vuoti sono i suoi granai. Per avere conferma basta fidarsi dell’aspetto dei suoi fantaccini: puoi contare le loro costole? Good!

Questa situazione è chiamata “stato vuoto”: la gente è povera, la plebaglia e la classe dirigente non sono unite e lo stato non è in grado di sostenere un serio attacco da fuori.

Osserva anche il loro sovrano. Se è crudele e autoritario, la gente e i funzionari saranno spaventati, i legami di solidarietà tra loro saranno deboli, ognuno sospetterà il proprio vicino o sarà pronto a buttarlo in pasto agli oppressori per salvarsi la pelle. Questo tipo di situazione viene definito “stato perduto”.

Un altro segno di debolezza è dato dall’amministrazione: se gli uomini che fan carriera sono scelti non per le loro capacità burocratiche, ma per la loro capacità di prevaricare o adulare, o per la crosta di ricchezza e bling di cui si ricoprono, la struttura sociale è tarlata.

Un altro segno di declino: se i funzionari formano partiti e la corruzione è rampante, o se le stesse famiglie si accalappiano gli stessi seggioloni in lunghi lignaggi di politicanti di mestiere concentrati solo sul mantenimento della loro posizione (ring a bell?).

I funzionari non sono gli unici figuri che devi osservare: i parenti del sovrano e le famiglie nobili sono pure importanti. Sono potenti e forti? Il sovrano può o non può permettersi di calciorotarli, degradarli, farli fuori?

A seconda della presa che un governante ha sui suoi baroni e sulla propria famiglia, puoi determinare la solidità reale della sua autorità.

Un ultimo fattore da tenere in considerazione è la proporzione popolazione/funzionari. Se i secondi appaiono troppo numerosi rispetto alla prima, probabilmente lo sono. E se lo sono, costituiscono un grave fattore di instabilità. Per un verso il carico sulla plebaglia sarà eccessivo, e per altri versi la concorrenza tra funzionari sarà tanto spietata quanto meschina. In altre parole, costoro saranno probabilmente più impegnati nel farsi le scarpe a vicenda che nell’amministrare con rigore e buonsenso il paese.

Tutto ciò è buono e giusto, e molto di questo segue quasi verbatim i consigli dei precedenti classici. Nella prossima puntata saranno trattate le altre due grandi strategie, quella Mediana e quella Inferiore.

Fino ad allora, spero stiate prendendo nota, e in caso di conquista del mondo non dimenticate i citare Sawyer nei ringraziamenti!

MUSICA!

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Bibliografia:

Ralph D. SAWYER, The seven military classics of ancient China, Basic Books, Boulder, 1993, pag.568

Ralph D. SAWYER, The art of the warrior, Shambala, Londra, 1996, pag.304

Classici Militari: Wei Liao-tzu (2)

Ci tengo a precisare che non sono morta ^_^

Immagino quale immenso dolore vi abbia provocato il silenzio sul blog per ben 3 settimane. Diavolo, temevo che mi restasse qualcuno sulla coscienza! Del tipo, apro l’Ansa e trovo un suicidio bombarolo con “le sue ultime parole sono state: non saprò mai quanti denti in bocca aveva Minamoto no Yoshitsune!”.
Così, in attesa che la mia vita ritorni in carreggiata, ho deciso di deliziare il mio vastissimo pubblico con un articolo della serie più popolare in assoluto: i Classici Militari! O, come li chiamano certi lettori, le ricette di Suor Germana, se Suor Germana fosse consigliere alla Difesa.

E poi dai, la prima puntata del Wei Liao-zu è del 14 febbraio dell’anno scorso, andava terminata prima o poi.

Quindi a voi, la seconda e ultima puntata sul quinto Classico!

Riprendiamo questo calva appassionante lettura con una sezione dedicata a disciplina, punizioni, premi e quant’altro. L’autore comincia facendo notare che la tortura, ampiamente usata, può portare a false confessioni e testimonianze. Anzi, un eccesso di sevizie spinge quasi di certo la persona a confessare le cose più bizzarre.

Questo fatto è confermato anche dal recente rapporto americano sulla tortura (The Senate Intelligence Committee Report on Torture: Committee Study of the Central Intelligence Agency’s Detention and Interrogation Program, lo trovate su Amazon). Se è possibile cavare informazioni a qualcuno con questo metodo, è molto più probabile ottenere dati falsi, dacché la persona soggetta all’interrogatorio tenderà a dire non la verità, ma quello che pensa che il suo aguzzino voglia sentirsi dire.

L’autore mette in guardia anche dal rischio conseguente di una falsa testimonianza: chi è sotto tortura cercherà di deflettere l’attenzione e implicare qualcun altro. Dieci uomini arrestati ne coinvolgeranno cento altri, e se si conta che il numero di prigionieri in un Paese va sull’ordine delle migliaia, ci si rende conto presto dell’effetto valanga che certi metodi possono avere. Io arresto Tizio, che implica Caio, che implica Sempronio, e via di questo passo tra gente arrestata o gente che scappa per paura di essere interrogata, ho scombinato l’equilibrio del villaggio o del quartiere o della famiglia, ecc. Un metodo sbagliato può essere una fonte di pubblico disordine, e il pubblico disordine è la cosa peggiore che possa capitare.

Essere cinese può risultare faticoso. Da sempre.

Ora, se indagini e tortura possono essere mezzi per stabilire la verità, le due leve per influenzare il comportamento dei tuoi sudditi o soldati restano sempre le stesse: punizioni e ricompense. Per implementare queste ultime devi avere prima di tutto una conoscenza ben dettagliata del tuo surplus e, ovviamente, avere avere un surplus. Tutto ciò dovrà essere gestito da ufficiali burocratici, dacché in Cina non si fa niente senza i cazzo di burocrati.

Ma i burocrati non bastano. Questo sistema non può essere attuato da semplici ordini e consegne e rapporti: per realizzarlo occorrono riti. I riti sono ciò che regolano le società, scandiscono la vita degli individui, plasmano la visione del mondo, e sono pertanto il più grande strumento del potere fin dalla notte dei tempi. Questo è vero, sotto forme differenti, per tutte le società, anche quelle che si professano laiche. Un rituale unisce, ordina, gerarchizza, motiva, che piaccia o meno. Insomma, No, no, we can’t live without Gods (cit., e se nessuna la indovina sarò molto triste).

Insomma, i riti sono importantissimi. Ma bastano a dominare i plebei?

No.

Non puoi governare chi ha fame e non puoi governare chi ha freddo (pare naturale, ma ricordate che gli yankees sono diec’anni che provano a controllare l’Afghanistan).

L’autore poi parte in un rant su come lusso, decorazioni e arte in generale siano una forma di decadenza borghese e uno spreco di risorse. E osserva che l’avidità e l’ambizione sono per definizione senza limiti: se un uomo pensa che può avere di più, vorrà sempre di più e “il mare non basterà a calmare la sua sete”. Il che è vero, anche se l’idea di strizzare dal popolo ogni singola goccia di decadente frivolezza è un’antia agghiacciante.

I coniugi Ceausescu, anche loro strenui oppositori della decadenza borghese altrui

La parte tattica del Wei Liao-tzu segue molto da vicino quanto discusso nei precedenti classici: l’arte della guerra è l’arte dell’inganno, non lasciare al nemico l’iniziativa, circondati di uomini sinceri, preoccupati del morale, ecc. Non vale la pena ripeterlo, sono i fondamentali, li trovate anche negli altri 4 Classici precedenti.

Now, parlando di punizioni e ricompense, cosa dovresti fare a un comandante responsabile di mille uomini che si arrende, molla le truppe o abbandona la difesa?

Ma è logico: lo uccidi, stermini la sua famiglia, cancelli il suo nome da ogni registro, sfasci la tomba dei suoi antenati, esponi le sue ossa nel mercato e rendi schiavi i suoi figli! (E gli spari al cane e rubi la sua Bibbia, ri-cit.)

Se il tipo è solo a capo di una centuria, puoi limitarti alla sua esecuzione, lo sterminio della famiglia e l’asservimento dei marmocchi. Notate che l’envergure della punizione è direttamente proporzionale al rango e la mansione.

I marmittoni non sono immuni da punizioni definitive. Poniamo caso che una squadra vada in battaglia. Se catturano o uccidono dei nemici, devono essere ricompensati. Se perdono degli uomini senza compensare con la cattura o morte del nemico (in egual numero almeno), devono essere puniti e, secondo le circostanze, uccisi e le loro famiglie sterminate. I loro istruttori passano pure per la corte marziale, perché dopotutto la colpa è anche loro. Non so se si è capito, ma l’autore ha una grande fede nel potere di controllo esercitabile col terrore.

In breve, la tua gente deve aver più paura di te che del nemico. Un po’ come quando i francesi spararono sui propri disertori durante la battaglia di Ligny.

Ma veniamo ai dettagli pratici: l’organizzazione dell’esercito

L’unità base secondo il Wei Liao-tzu dovrebbe essere la squadra, composta da 5 uomini, ognuno responsabile dei propri compagni. Dieci squadre fanno un plotone e venti una compagnia, sempre secondo il principio della reciproca responsabilità. Se ad esempio qualcuno è a conoscenza di un crimine di un suo compagno ma non lo denuncia, l’intera squadra, plotone o centuria dovrà subire le conseguenze.

Questo modello di responsabilità reciproca e collettiva vale anche per gli ufficiali, a partire dai responsabili della doppia squadra di 10 su su fino ai generali. L’idea è di terrorizzare tutti al punto dallo spezzare ogni altro legame che non sia quello di obbedienza militare. Niente amici, niente fratelli, niente padri e figli o complicità: tutti devono seguire la legge e prestare fedeltà ad essa soltanto.

L’autore si sposta poi sul soggetto dell’organizzazione dell’accampamento e dei diversi Corpi. La preoccupazione principale è di evitare andirivieni non supervisionati e superflui contatti tra le varie unità. Non solo chiunque dovrebbe avere un lasciapassare ufficiale per spostarsi fuori dall’area assegnata alla sua squadra, plotone o compagnia, ma i posti di controllo dovrebbero essere ogni 120 passi lungo le strade del campo! E questo draconiano controllo si estende anche alla bassa manovalanza di cuochi, stallieri e quant’altro, che possono spostarsi sempre e solo in squadre, mai da soli o in coppie. L’autore arriva fino a dire che chi taglia attraverso una strada o calpesta le linee di demarcazione delle varie sezioni dovrebbe essere giustiziato. L’autore del Wei Liao-tzu è un po’ un maniaco della pena di morte.

Questa visione psicotica del campo deriva dal numero che i cinesi mobilitavano quando decidevano di fare la guerra a qualcuno, e dal fatto che buona parte dei soldati era costituita da coscritti analfabeti, spaventati e scontenti.

Per prevenire confusione, l’autore raccomanda di distinguere i diversi Corpi con colori diversi e i diversi reparti con specifici emblemi. Ovviamente, se perdi il tuo emblema sarai ucciso, che ci mancherebbe altro.

E’ ovvio a tutti tranne che ai produttori di Hollywood e ai romanzieri di ciarpame, che un soldato ha pochissime chances di sentire quello che il suo comandante dice. Ergo segnali sonori e visivi, come tamburi, gong o bandiere, sono vitali, e i soldati devono essere addestrati a rispondere ad essi. Questo significa che tamburini e colleghi non sono esenti dalla sete di sangue del sistema: impara a suonare, che alla prima stecca ti muoro!

Ora, per chi avesse avuto la sventura di leggere Best served cold di Abercrombie, vi ricorderete quella tristissima scena in cui i nostri schierano l’esercito in attesa del nemico. E quando questo arriva, al momento previsto e dalle vie previste (una botta di culo cosmica), il capoccia si volta verso la protagonista e chiede:

“Bello, ora che si fa?”

Ecco, parrà strano, ma NON FUNZIONA COSI’. Non schieri i tuoi uomini senza avere un piano, non assembli l’esercito senza avere degli obbiettivi e una strategia. Checché ne pensi l’inimitabile Pietro Aliprandi, un assedio non è lanciato con “bueno, domani partiamo ad attaccare Tizio”.

Come sottolinea l’autore (e francamente, ce n’era bisogno? A legger certi libri, par di sì), piani prima, azione dopo.

Non solo la strategia deve essere chiara e la tattica pianificata: deve esserci unità d’azione. Il generale supremo, investito dall’Imperatore, è uno. Non possono esserci due fonti ultime di autorità o di legittimità nell’esercito. E indovinate cosa succede a chi scavalca il generalissimo e dà un ordine contrastante?

Ovvio, lo muorono.

E’ anche importante tener conto del fatto che un esercito, specie un grande esercito, non si muove come una valanga, tutto unito tutto insieme e tutto verso la stessa destinazione. Tra un Corpo e l’altro possono correre chilometri, giorni di viaggio.

Non voglio perdermi in considerazioni sulla concentrazione di forze, sarebbe fuori tema, ma l’autore sottolinea l’importanza della coordinazione tra le varie parti e il tempismo. Per ottenere ciò, deve esserci una catena di comando capillare e precisa, per assicurare l’arrivo delle istruzioni giù per la gerarchia fino ai cinque tapiri della squadra di base.

Come Sun Zi, l’autore sottolinea che soldati disposti a morire per la vittoria tendono a vincere e di conseguenza a vivere. E, ovviamente, quando pensi di far guerra a qualcuno devi conoscere le tue forze e le tue debolezze, come anche le forze e le debolezze dell’avversario.

Se il territorio del nemico comporta piccole città e vaste terre, occupa le terre. Al contrario, se ha poche terre e grandi città, arrota i denti sulle grandi città.

Nel caso tu abbia ampi spazi poco abitati, concentrati su pochi punti strategici (a meno che tu non sia in Russia, nel cui caso lascia perdere e torna a casa).

In ogni caso, riduci al massimo distruzioni e saccheggio e mostrati magnanimo con la gente e con gli ufficiali che sceglieranno di unirsi a te. In altre parole, “questi non sono nemici, sono contribuenti!”. Again, a meno che non tratti dei russi, allora lascia perdere.

Ricorda che quando vuoi incastrare qualcuno, devi dargli almeno l’illusione di avere qualcosa di vincere o qualche possibilità. In quel modo, invece di pensare a una nuova tattica o combattere con ardore, si troverà a esaurire le sue risorse per tenere posizioni svantaggiose, minando il morale dei propri soldati.

Come altri Classici cinesi, l’autore sottolinea l’importanza della predominanza della sfera civile su quella militare. Gli affari militari non sono che il braccio armato del Buon Governo, e senza buone basi nella sfera civile ogni impresa è votata al disastro. O, per parafrasare l’autore, la sfera civile permette di distinguere pro e contro, la sfera militare serve a mettere in atto le decisioni prese, attaccare o difendere.

E’ importante che l’esercito sia in buon ordine e il generale capace di ispirare un terrore reverenziale, il tutto senza essere brutale o affrettato.

L’autore conclude con una piccola parentesi sulla corte marziale.

Ammazza disertori e ritardatari, e le loro famiglie anche, se sono complici in qualche maniera. E fin qui niente di strano.

A quanto però non basta: i soldati devono essere scapitozzati anche se il loro ufficiale viene fatto fuori, o se il loro ufficiale diserta. Odd. Suppongo sia per incoraggiare i soldati a impacchettare e consegnare un ufficiale traditore. Certo, i soldati possono sfuggire al boia se si sono distinti in servizio e sono passati subito sotto gli ordini di qualcun altro che ha assicurato la cattura e/o dipartita di detto traditore. In quel caso non sono uccisi. Sono solo schiaffati per tre anni di servizio alle frontiere. Fistia, fare il soldato in questo esercito faceva schifo.

Insomma, stringendo, è cosa buona e giusta massacrare anche la metà dei tuoi stessi uomini se è per distillare un’armata più disciplinata, più preparata e più obbediente. Può sembrare stupidamente crudele, ma ricordiamo il contesto: la Cina non ha mai avuto carenza di manodopera e capitale umano.

Infine, ricorda che perdere animo distrugge un esercito, ma piani sbagliati distruggono un Paese.

E si conclude così anche questa puntata dei Classici.

Non sono una lettura emozionante, ma restano la base della tattica e sono un buon capitale per chi vuole raccontare storie di guerra.

That’s all for now!

MUSICA!

Classici Militari: Wei Liao-tzu

La serie sui Classici Militari continua, con un altro gioiellino non troppo celebrato: il manuale del buon Maestro Wei Liao, consigliere e stratega del mitico Qin Shi Huang, sovrano del regno di Qin. Siamo in pieno periodo dei Regni Combattenti (475 a.C.-221 a.C.), il crogiolo pulsante di morte e massacro che ha per sempre segnato la storia della Cina e fonte di ispirazione per millemila opere, saggi, romanzi, pièces teatrali e quant’altro.

Perché ricordate: la Guerra è principio e fine di ogni cosa, che vi piaccia o meno.

Ma torniamo a noi. Il Maestro Wei è un allievo legista. BRAVO!

Purtroppo il signor Wei non fu mai comandante, e il libro in questione è puramente teorico. Tuttavia ebbe un discreto impatto, quindi ve lo propino lo stesso.

Quello che contraddistingue il libro di Wei dal resto dei Classici visti finora è l’enfasi posta sullo sforzo umano nell’esito di una guerra. Vaticini, momenti o stagioni sono importanti, ma alla fine tutto dipende dalle opere umane. Quanto avrai curato le tue fortificazioni, quanto avrai addestrato i tuoi, ecc. Sopra ogni cosa, non fidarti degli auspici. Agisci.

Una buona conoscenza della realtà e buon calcolo sono le cose fondamentali. Cosa ti serve per quale impresa (quale terreno e materiale), quanti uomini sono necessari, e pertanto quanto cibo dovrai impegnare. Alla fine la guerra resta un cruento picnic: la logistica vince.

Per quanto riguarda gli affari militari, è capitale che restino sconosciuti e segreti.

Un Paese deve avere una buona agricoltura per essere prospero. Come spiega Bouthoul nel suo Polémologie (se non lo avete letto fatelo), per fare la guerra è necessario avere, di partenza, un surplus.

Un popolo ben nutrito deve essere mantenuto in ordine affinché tutto funzioni. Un Paese ben nutrito e ben governato è incline a vincere ancora prima di essere entrato in guerra, e ciò è importante, perché se si vince senza combattere la vittoria è del sovrano, altrimenti sarà una vittoria del generale.

Ergo il sovrano non deve in alcun modo dichiarar guerra per un rancore personale, ma solo se, tutto considerato, è già sicuro di poter vincere. Nell’ideale, non si combattono guerre giuste, solo guerre vinte.

Ovviamente dovrai reagire se scoppia del casino, o difenderti se sei attaccato,l ma non ingaggiarti in una lunga campagna se non sei sicuro del suo esito.

Per quanto riguarda il generale, non è sottomesso né al Cielo, né alla Terra, né agli uomini. Deve essere un uomo composto, impossibile da far infuriare, puro d’animo e incorruttibile. Non scegliere qualcuno incline all’emozione, quale che essa sia, perché potrà essere manipolato o fare errori.

Ricorda che in un esercito ordine e disciplina sono i due sine qua non a prescindere: limiti e regole sono le pietre miliari di qualsiasi gerarchia armata. Quando le regole sono chiare, lo saranno anche i castighi. Ordine significa coordinazione e unione, le due ali che ti porteranno la vittoria.

Ora, tieni conto che la vita dei soldati ha un valore. Se uccidi uno dei loro al prezzo di cento dei tuoi, sei un balordo e una calamità per il Paese. Ho come l’impressione che nel ’14-’18 qualcuno se lo fosse scordato.

Sai cos’altro danneggia un esercito? I disertori. Ne avrai di sicuro se il generale dà ordini ma ufficiali e soldati si urlano addosso. Se non c’è armonia e coerenza il tuo esercito farà acqua da tutte le parti. Disertori, spreco di vite e di materiale, sono tutte cose che devi trovare il modo di evitare.

Un ufficiale Qin, ripreso dall’esercito di terracotta

Nessuno vuole morire o saltare in un mucchio di gente incazzata e alabarde. Ma se gli ordini sono chiari e le regole ben inculcate, le truppe saranno manovrabili. E i due strumenti che ti aiutano a imporre ciò sono, guarda un po’, ricompense e punizioni.

Ma come? Stabilendo degli esempi. Con un debole puoi mettere in guardia cento forti. Uccidi un uomo, e altri cento non oseranno disobbedire. Crudele, ma ho già detto che Wei era un legista?

Forgia degli uomini pronti a morire, e vivranno: saranno gli inavvicinabili soldati di un Egemone.

Un comandante deve quindi conoscere divieto, perdono, grazia ed eccessivo rigore.

L’Arte Militare è fondamentale per un Paese che voglia essere indipendente. E per ottenere ciò occorre che la popolazione sia coscrivibile alla svelta. Il piano di leva deve essere già pronto, in modo che alla chiamata ogni tot di gente dia un soldato e che tali soldati siano già pronti all’impiego.

Questa può sembrare una bischerata, ma non lo è, specie in un mondo pre-industriale. Imporre una leva generale è molto difficile, e spesso si è optato per l’elaborazione di una classe di guerrieri specializzati. Spesso, non sempre. Dopotutto la leva obbligatoria è un sistema di controllo e consolidamento del proprio potere, e i cinesi lo sapevano.

In ogni caso ricorda: se il tuo esercito non può vincere, la colpa non è dei soldati.

Devi preparare la tua popolazione in primis: fai in modo che sia chiaro che senza agricoltura non si mangia e senza esercito non si scala la gerarchia. Che la gente si spintoni per i campi o la lancia! Peraltro, se i tuoi ordini sono credibili nel tuo stato, è probabile che anche i tuoi vicini ne tengano conto.

Cerca e impiega la gente di valore. Anche se vengono da terre nemiche. Anzi, privarli dei suoi uomini di talento è cosa buona e giusta.

Ci sono tre modi per vincere una guerra: Tao, imponenza e forza.

Spezzare il ch’i del nemico e incapacitarlo a combattere, è una vittoria via il Tao.

Impiegare un esercito ben regolato e coordinato, ben equipaggiato e addestrato, è una vittoria via l’imponenza.

Massacrarli, prendere i loro territori col sangue e l’acciaio e tornarsene a casa, è una vittoria via Forza.

Un generale combatte via il popolo, che combatte via il ch’i. E’ questo animo che devi preservare, perché chi lo perde sarà sconfitto.

Ci sono cinque cose da discutere prima di ogni azione:

La strategia; chi nominare generale; come quando invadere; come rinforzare le proprie difese; mobilizzazione dei tuoi e future sanzioni per loro.

Discusso ciò, il generale deve poter conquistare i suoi uomini, senza per contro essere conquistabile dal nemico. Deve capire le masse e unirle, dare ordini chiari ed evitare di cambiarli in continuazione. Metti da parte gli errori minori o i dubbi poco importanti, gli ordini devono essere coerenti e sicuri.

Per fare ciò lo Stato deve aver in principio stabilito la buona forma (i riti, come dice Sorai, uniscono e coordinano il popolo) e le virtù fondamentali. Questo non solo favorisce l’unità, ma anche lo sviluppo di fiducia, amore e senso di vergogna. Gli ufficiali sono gli arti dell’esercito, e devono essere disposti a morire per onore, perché solo in quel caso i soldati li seguiranno.

Pasci il tuo popolo, regolalo, dagli un senso della gerarchia ma anche riti che uniscano le diverse comunità. Stesso vale per le unità base del tuo esercito. Devono essere coesi come fratelli. Verso le compagnie e i loro diretti ufficiali, devono nutrire il rispetto e l’affetto che un legista e confuciano nutre per un amico.

Quanto al sovrano, è sua responsabilità che lo Stato sia solido e sicuro. Il che necessita tre cose: agricoltura, fortezze, esercito.

Se non hai abbastanza scorte o equipaggiamento ben tenuto, non partire in guerra. Se salari e ricompense non sono conseguenti, la gente non è motivata. Inoltre una massa di soldati sarà debole senza un corpo d’élite selezionato.

Lo Stato di un Buon Sovrano arricchisce il popolo. Lo stato di un Egemone arricchisce gli ufficiali. Uno stato che a stento sta a galla fa la fortuna solo degli alti ufficiali. E uno stato in via di decadenza è un festino per un pugno di grassatori e basta. Nell’ultimo caso, la rovina e solo questione di tempo. Cheers!

Per puntare al meglio hai bisogno della forza motrice universale di una qualsivoglia società: la buona volontà degli uomini. E la puoi ottenere solo in un modo: ricompense appropriate, pene e premi credibili e affidabili.

Questo è un leader credibile. Prendi esempio.

Nel caso di una campagna, il generale deve dare l’esempio al resto dei soldati. Ergo niente parasole se fa caldo, niente vestiti imbottiti nel freddo, ecc. Come abbiamo già visto, è importante che un capo militare dia l’idea di essere disposto a fare quello che ordina agli altri di fare.

Il dubbio è la radice della debolezza. Il dubbio divide, apre falle, e abbiamo visto come la forza deriva dall’unità. Un generale in campagna non può permettersi di dubitare o esitare. E il legismo del signor Wei rifà capolino: c’è qualcosa che gli uomini temono più di qualsiasi altra. Quella paura massimante deve essere il generale. Se temono il generale, disprezzeranno il nemico, e se temono il nemico disprezzeranno il generale.

Non si tratta solo dei soldati. I comandanti suoi sottoposti devono fidarsi, ma averne timore, e a loro volta ispirare alle masse questi stessi sentimenti.

Un buon generale deve essere quindi amato e temuto.

La guerra ha costi e rischi. Evita, se puoi, di attaccare per primo. Lascia la prima mossa ai nemici. Lasciali muovere, osservali, conoscili. Intanto, assicurati che il tuo esercito sia ben organizzato, in modo che non si aprano falle improvvise alla morte di qualcuno: che ci sia sempre un ufficiale di riferimento.

Quando parti in campagna, taglia le strade del nemico, cerca di dividere il loro esercito, e trai vantaggio dalle loro debolezze.

Per far ciò, cel va sans dire, hai bisogno di un buon sistema di intelligence, che ti tenga anche aggiornato su ogni debolezza, difetto o ritardo del nemico. Un buono stratega non deve lasciarsi sfuggire nessuna occasione.

In caso tu debba difenderti, ricordati sempre di proteggere le mura esterne e gli avamposti di confine. Se il nemico avanza, non lasciare granai indifesi, raccogli le provviste in modo che non possa nutrirsi alle tue spalle.

Per quanto riguarda la difesa delle mura, non si tratta solo di piazzare un piantone ogni tot passi. Per dare un’idea di quanto manpower assorbe una roba del genere, cito qui la ricetta del signor Wei:

per ogni dieci piedi di camminamento, avrai bisogno nel complesso di dieci persone, artigiani e cuochi esclusi.

Non risparmiare su difesa e fortificazioni, perché ti offrono una posizione estremamente vantaggiosa rispetto all’attaccante.

Se i cittadini sanno che i rinforzi arriveranno, avranno il fegato e l’animo di difendere le mura. Se l’aiuto non è così sicuro, sarà sempre possibile prendere a calci i borghesi per difendere la loro città, ma il loro morale sarà sottoterra, e nessuna politica illuminata potrà tirarlo su.

Che le tue truppe d’élite diano l’esempio. Quando il back-up arriva, che quelli dentro facciano una sortita per poter prendere il nemico a tenaglia.

Immagine dimostrativa

Se vuoi incutere timore, non far cambiamenti frequenti. Non interferire con le occupazioni stagionali dei tuoi sudditi. Sii in grado di reagire con prontezza per cogliere le occasioni. Buona parte della tua difesa dipenderà da come riuscirai a manipolare la tua apparenza esterna. Devi essere lungimirante e preparato, e cauto, il che significa non sottovalutare i piccoli numeri. Quanto ai grandi numeri, devi avere la saggezza di manipolarli e controllarli. Infine, hai bisogno del supporto delle masse, e lo puoi ottenere solo delegando ad altri.

Guardati dall’eccesso: è il Sommo Male. Sii sincero: se segui i tuoi desideri finirai per avere una visione distorta. Parimenti, accetta le critiche. Mantieni i piedi per terra e mena una vita parca. Circondati di gente intelligente.

Tutto è molto bello, ma quando gli eserciti marciano e i timpani rullano, come comportarsi?

Durante la campagna, fai in modo che i tuoi uomini seguano le regole ed evitino prepotenze e saccheggi. In questo modo contadini e burocrati passeranno sotto la tua coppa senza darsela a gambe, il che può velocizzare molto il processo di assorbimento di un nuovo territorio.

Il savio Wei fa peraltro un’osservazione molto attuale: un paese con un esercito spropositatamente grande è un paese che punta a proteggere il proprio territorio ma anche a condurre guerre. Uno stato con un esercito discreto è in grado di difendersi. Uno stato con un esercitucolo di quattro gatti sottopagati sarà costretto ad appoggiare i suoi vicini e alleati in qualsiasi idea balzana, perché la sua esistenza nella rete di alleanze è troppo precaria.

Rings any bell? Se la risposta è “no”, forse non viviamo nello stesso continente.

Devi incentivare il tuo esercito. Vale l’investimento.

Ho sempre trovato divertente l’idea “sono pacifista ergo niente esercito”, come se il non avere un esercito decente prevenisse qualcun altro dal fare casino, o come se l’esercito fosse una chissà quale bomba a orologeria di ferocia e brutalità pronta a scatenarsi.

Forse non ho la purezza d’animo per capire, forse sono una brutta persona.

Ad ogni modo, la prima puntata sul Wei Liao-tzu si conclude qui. Questo saggio è relativamente ponderoso, e richiederà un secondo episodio.

Nel frattempo, MUSICA!

Classici Militari: Wu-Tzu

Abbiamo concluso L’arte della guerra, ma i classici militari non sono finiti!

Oggi parliamo del Wu-tzu, che prende il nome dal suo autore. Costui, anche chiamato Wu Ch’i, è finalmente una figura storica di cui si sa qualcosa di concreto, tipo le date: si pensa sia vissuto tra il 440 a.C e 361 a.C. La sua bibliografia è raccontata nel Shih chi, e nonostante sia trattato come uno dei più grandi strateghi di sempre, il quadro non è molto lusinghiero. E infatti a me va a genio.

Era un uomo di gran talento e un confuciano convinto, eppure uccise sua moglie (e tanti saluti alla Benevolenza), ignorò i riti funerari di sua madre per tener fede a un voto (salutate Pietà Filiale, che ci lascia per giammai ritornare) e altre amenità. Wu era anche noto per la disciplina draconiana che imponeva nel suo esercito. Poco vale che lui stesso rispettasse le regole imposte: fu freddato proprio per eccessiva severità. Dato il contesto, non oso immaginare…

Questo è un guerriero Song, molto posteriore al periodo. Perché ve lo faccio vedere? Perché il primo manoscritto del Wu-tzu che abbiamo è di epoca Song, e la loro divisa è molto più facile da trovare rispetto a quella dei guerrieri del IV secolo a.C.!

Come anche gli altri classici, si parla prima di tutto dello Stato e del posto degli affari militari nel quadro generale.

Gli affari militari non sono una festa. Eppure sono necessari. Chi non ha un esercito ben equipaggiato e addestrato, né uno stato maggiore che sappia il fatto suo, si espone a grandi rischi e si rende inerme. Dovesse combattere, anche se i suoi uomini fossero valorosi e determinati, si farebbe macellare. Chi coltiva la Virtù ma tralascia gli affari militari, è votato all’estinzione, con buona pace dei pacifisti (ba-dum tsh!).

Se ti attaccano e non puoi difenderti, non sei Virtuoso. Se uccidono i tuoi e non sei in misura di proteggerli, non sei Benevolente. Sei un bischero.

Ora, ricordo che l’esercito cinese è un esercito di leva. Ergo il primo passo, è ottenere la buona volontà del popolo.

  • Se lo Stato non è in armonia, non potrai mettere in campo i soldati;
  • se l’esercito non è in armonia, non potrai manovrarli in formazione;
  • se le formazioni tra loro non sono in armonia, non potrai avanzare;
  • se manca coesione durante la battaglia, non potrai ottenere una vittoria decisiva.

Ergo, prima di tutto ci vuole armonia e stabilità sociale. Fatto ciò, puoi anche dedicarti a grandi piani (che Wu Ch’i consiglia comunque di confermare via divinazioni, sia mai che le ossa di cervo e il fegato di pecora non siano d’accordo!). Masse e ufficiali combatteranno bene solo se saranno sicuri che il sovrano ha rispetto della loro vita.

La Via della Guerra significa tener presente il passato e non dimenticare i precedenti. Oltre alla memoria, è necessaria Giustizia, o meglio, “legittimità”. Poi ti servono dei piani, per evitare i danni e ottenere profitto. Infine servono limiti per poter stabilire il senso del dovere.

Lo stile di vita dei capi è importante. Se non mostrano virtù e si crogiolano nel lusso, finiranno per cadere.

In definitiva, un sovrano deve governare i suoi secondo la buona forma, dare il buon esempio e coltivare il loro senso di vergogna. Il senso di vergogna è indispensabile, e più ne hanno, più saranno efficaci e obbedienti in guerra. Un uomo con poco senso di vergogna può essere incline a disertare, uno con un forte senso di vergogna si butterà con l’areoplano su un incrociatore americano. Cinico, ma è così che funziona: lo stigma sociale domina il mondo!

Poi, come anche Sun Zi diceva, il problema di una guerra non è vincere una battaglia. E’ appunto, vincere una guerra. Ottenere una cifra enorme di vittorie non è proprio di un Egemone, è segno di qualcuno che finirà per sfiancare i suoi e dilapidare le sue risorse. Quelli che hanno preso il potere con molte battaglie sono, tutto sommato, molto meno numerosi di quelli che dopo molte battaglie hanno finito per spomparsi e perdere.

Chi ha detto Carlo XII di Svezia?

 

Di solito ci sono 5 ragioni del perché si guerreggia: per fama, per profitto, per odio atavico, per via di disordini interni, per fame. Ovviamente a seconda del movente dell’esercito nemico, dovrai usare modi diversi per contrattaccare. Mostra giustizia se l’esercito è mosso da sete di giustizia e fama; se sono mossi dalla fame avranno un esercito che punta tutto sul numero, e in quel caso dovrai usare deferenza; se si muovono per odio, puoi trovare il modo di dissuaderli a parole; usa l’inganno se il loro movente è il profitto; manipola i centri di potere per soggiogare quelli che lasciano un paese in disordine.

 

La struttura gerarchica è fondamentale per l’ordine e deve essere preservata. Pertanto, esiste un certo protocollo per quando gli esponenti di diverse funzioni e classi hanno a che fare tra loro. Questo protocollo è la buona forma, e deve essere rispettata. Riti, direbbe Sorai (parlerò anche di lui un giorno).

Allo stesso tempo la gerarchia non è tutto. Un sovrano ha bisogno di gente di talento. A seconda delle caratteristiche e delle capacità degli individui, il sovrano dovrà assegnarli nelle unità dove possano meglio servire. In particolare, le truppe d’élite dovrebbero essere costituite da cinque unità distinte, che comprendono:

  • chi ha forza e coraggio
  • i temerari fanatici
  • quelli capaci di arrampicarsi e traversare in fretta territori accidentati
  • gli ufficiali che per una ragione o per un’altra hanno perso la loro posizione e vogliono mostrare il loro valore
  • quelli che si sono ritirati davanti al nemico e che vogliono riscattare il loro nome.

Il buon soldato è coraggioso, forte e veloce. Se ne trovi, compattali in un’unità speciale, curali e onorali. Prenditi cura delle loro famiglie, allettali con ricompense e intimidiscili con punizioni.

In quanto sovrano, non aver paura di circondarti di uomini migliori di te. Anzi, attento al contrario: se i tuoi ministri sono meno fighi di te, preoccupati!

In generale, ci sono 8 condizioni del nemico in cui ingaggiar battaglia.

  • Quando fa estremamente freddo e tira vento, quando li hanno tirati in piedi presto e marciano mezzi addormentati, incuranti di tutto;
  • Quando fa estremamente caldo, si sono alzati tardi e avanzano assetati e affamati, focalizzati sul raggiungere un obbiettivo distante;
  • Quando sono in campo da tanto tempo, hanno finito i rifornimenti, il malcontento serpeggia tra i ranghi e nel popolo, e i soldati si lasciano impressionare da auspici nefasti senza che gli ufficiali possano faci niente;
  • Quando hanno finito i rifornimenti, il tempo è nuvoloso e piovoso e non hanno nessun posto in cui rifornirsi;
  • Quando sono pochi e su terreno svantaggioso, con soldati e bestie malati o stanchi, e fuori portata dei rinforzi;
  • Quando la tappa è lontana e sta imbrunendo, uomini e ufficiali sono spaventati, sono stanchi e/o a digiuno, e stanno riposando dopo essersi tolti l’armatura;
  • Quando i generali sono deboli, gli ufficiali irresponsabili, la coesione labile, mancano di back-up e sono spaventati;
  • Quando non sono ancora in formazione o il loro campo non è ancora completo, e sono in terreno difficile, con valli strette.

 

Per contro, ci sono 6 condizioni in cui devi evitare la rissa a tutti i costi:

1- Se il territorio è vasto e la gente del nemico prospera;

2- Se hanno un buon sovrano che fa un ottimo lavoro;

3- Se le ricompense sono credibili, le punizioni giuste, e ambedue eseguite con buon tempismo;

4- Se sono meritocratici;

5- Se hanno un grosso esercito ben equipaggiato (Duh!);

6- Se hanno buone alleanze coi vicini.

In generale, attacca il tuo nemico quando è disorganizzato. La disorganizzazione, che sia ristretta all’esercito o estesa all’intero Stato, è una debolezza fatale.

Sfrutta i loro punti deboli. Se sono stanchi, se hanno fame, se non sono ancora riusciti a insediarsi, se il loro esercito non si è ancora raggruppato dopo una lunga traversata, o è in disordine, se sono in una posizione svantaggiosa, se il loro generale è separato dai soldati, se hanno paura…

Attaccali con le tue truppe d’élite per un primo shock, per poi continuare l’attacco con le tue truppe regolari.

 

Ma parliamo del tuo esercito, come fare a controllarlo? Ci sono dei principi. Fai muovere il tuo esercito attraverso il terreno che gli è più congeniale, riforniscilo in cibo e armi, in modo che le bestie da traino siano ben pasciute, i carri ben tenuti e le armi di buona qualità. Premia chi avanza, punisci chi si ritira.

Per quanto riguarda i soldati, la cosa più importante è il controllo.

Ovviamente, il numero è importante. Ma se i tuoi non credono in punizioni e ricompense e non scattano a ordini e segnali, c’è poco da fare. I tuoi devono rispettare la buona forma quando sono in quiete e incutere timore quando sono in azione. Se hai stabilito il controllo, manterranno l’ordine anche se tagliati gli uni dagli altri. Faranno fronte comune in guerra e in pace. Il controllo dà unione, l’unione è potere. Un esercito sotto controllo è quindi chiamato “esercito di padri e figli” (ovvero, ufficiali e soldati sono come padri e figli).

 

Se il tuo esercito è in marcia, non sfiancare soldati e animali: c’è un tempo per avanzare, per fermarsi, per bere e per mangiare. Se li stanchi, li affami o li asseti, non potranno eseguire prontamente gli ordini e non potrai stabilire il controllo.

 

Come diceva anche Sun Zi, in battaglia, chi combatte determinato a morire vivrà, mentre chi cerca di sopravvivere finirà per farsi ammazzare. Quando vuoi dar battaglia, devi far credere ai tuoi che non ci sia alternativa né via di fuga, “come in una nave che affonda o intrappolati in un edificio in fiamme”. Tranciare attraverso i ranghi nemici deve apparire come l’unica possibilità.

Ciò che uccide un uomo è la sua incapacità, e ciò che lo sconfigge è l’inatteso e o lo sconosciuto. Pertanto è fondamentale che i tuoi soldati siano addestrati e vigili. Inversamente, cerca di prender il nemico di sorpresa. Aspetta riposato lo stanco, aspetta nutrito l’affamato. Schierati e cambia il tuo schieramento prima di attaccare. Disperdi i tuoi e riuniscili. Ingannalo, prendilo alla sprovvista.

E per quanto riguarda gli armamenti, il signor Wu scende nei dettagli.

I soldati bassi, in mancanza di carri armati, sono di solito buoni lanceri e alabardieri, mentre quelli alti, in mancanza di corpo dei bersaglieri, sono di solito buoni arcieri o balestrieri. Prendi qualcuno di forte per portare le insegne e qualcuno di fegato per portare i tamburi.

E quelli deboli? Schiaffali in logistica, potranno rendersi utili lì. Per supervisori and the likes, prendi gente intelligente.

L’organizzazione militare deve essere stabilita in primis nella sfera amministrativa: villaggi e distretti devono già essere organizzati con milizie e squadre, in modo da poter reagire alla svelta e potersi difendere reciprocamente.

 

In caso di avanzata, evita di attraversare le bocche di valli profonde e strette o di passare ai piedi di alte montagne. Peraltro, considera la direzione del vento prima di attaccare. Ne sa qualcosa Taira no Masakado, sorto e abbattuto su un soffio di vento.

Tornando all’esercito, come prendersi cura di carri e cavalleria?

Da notare che con “cavalleria” non si intende un corpo d’azione, quanto tutta quella torma di gente che si sposta a cavallo o impiega cavalli. In altre parole, “cavellerizzi” o “cavallari” più che cavalieri: all’epoca di Wu C’hi la tattica si riposava su fanti e carri.

Un cavallo non è una bestia facile da tenere. A parte buona erba e acqua, necessita controllo, perché non deve mangiare troppo né troppo poco (un cavallo sopporta meglio la fame dell’indigestione). Deve esser tenuto caldo in inverno e fresco in estate, deve essere spazzolato (e bada a pettinargli bene la coda se non vuoi una coppiola nel petto), e soprattutto i suoi zoccoli devono essere curati. In guerra, i cavalli devono essere schermati con protezioni agli occhi e alle orecchie. Inoltre, devono essere addestrati al pari dei soldati.

Non prendi un cavallo da fattoria e lo schiaffi al fronte, anche perché al cavallo puoi insegnare di tutto, ma una volta che ha imparato una cosa, è quella. Insomma, non lo risetti!

Devi fare in modo che cavalli e uomini sviluppino un certo legame gli uni con gli altri. Inoltre, se hai tanti uomini e poche bestie, è meglio sfiancare dei fantaccini facendogli portare roba che stancare gli animali e trovarti senza some al momento del bisogno. Un cavallo vale più di un soldato semplice, in certi tipi di eserciti.

Buono, tutto bello, tutto giusto, ma per quanto riguarda il generale?

Il generale in capo non può essere un militare puro. Bisogna che abbia abilità legate alla sfera civile. Il coraggio è necessario, ma non è sufficiente. Deve esser capace di portare avanti 5 aspetti fondamentali:

  • regolazione (poter controllare una grossa massa di gente),
  • preparazione (esser pronto a ingaggiare il nemico anche se costui non è presente in quel momento),
  • impegno (attaccar battaglia senza preoccuparsi per la propria vita),
  • cautela (non abbassare mai la guardia),
  • semplificazione (non esagerare con limiti ed ordini).

 

I punti vitali in guerra sono 4:

  • morale (ch’i): quando l’intero esercito è ben ordinato in base alle capacità di ognuno e ben schierato;
  • terreno: quando sai piegare la situazione a tuo vantaggio, ad esempio trovarti in una posizione in cui pochi uomini possono tenerne in scacco tanti altri;
  • affari: saper gestire le spie, riuscire a tormentare i tanti coi pochi e minare la solidità e la coesione dello stato maggiore nemico;
  • forza: quando i tuoi mezzi sono adeguati, i tuoi spostamenti veloci, i tuoi animali in salute e i tuoi ufficiali preparati.

 

Un generale deve incutere rispetto nei suoi e timore negli altri, in modo da diminuire il morale nemico e vedere i suoi ordini eseguiti in fretta e con precisione.

Inoltre, i segnali sonori e visivi devono essere ben conosciuti, distinguibili e rispettati. Allo stesso modo lo devono essere punizioni e ricompense.

Devi riuscire a conoscere il generale nemico e sfruttare le sue debolezze. Se è avido, corrompilo, se è indeciso sfiancalo e disorientalo, ecc. Se i loro ufficiali sono ricchi e ben pasciuti e i loro soldati miserabili, puoi dividerli. Se le truppe non si fidano dei loro ufficiali e sono dubbiose, puoi spingerle in rotta. Ecc.

Se non conosci il generale, seleziona degli uomini di fegato dai tuoi ranghi inferiori e costituisci una forza leggera che lo assilli e lo spinga a reagire, in modo da osservare i suoi movimenti. Potresti scoprire che il generale è uno sveglio. Allora evita di affrontarlo. Se caricano a pecorone berciando e correndo, ogni unità per cazzi suoi, il generale è un idiota: approfittane! I nemici possono esser tanti, ma se il boss è un cretino, loro sono nella merda.

E come fare in modo che il caos non si diffonda nella tua truppa? Facile. Uccidi chi disobbedisce.

Funziona, finché qualcuno non ammazza te.

 

Bene, ma poniamo caso che i nostri nemici abbiano lasciato gole e precipizi dietro di loro, che abbiano le montagne sulla loro destra e un fiume sulla sinistra, che le loro fortificazioni siano forti e ben difese, il loro esercito forte e numeroso, che siano dei mostri in tattica e abbiano un sacco di riserve.

In questo caso devi dividere i tuoi, tipo in cinque, e avanzare via strade diverse, in modo da confondere il nemico. Intanto sprona le tue spie: deve esserci un punto debole, devi conoscere i suoi piani!

Tenta prima l’approccio diplomatico. Consiglio: se uccidono i messaggeri, è possibile che non siano inclini a ottemperare alle tue richieste. In quel caso costringili a ingaggiarti in cinque battaglie diverse. Se vinci in una di esse, non inseguire gli sconfitti. E se perdi, battitela il prima possibile in modo da tirarteli dietro. Se ti inseguono, è possibile attirarli in un’imboscata.

 

E puta caso ti siano addosso, sei senza vie di ritirata e i tuoi soldati sono terrorizzati.

Se i tuoi sono più numerosi, dividili e attaccalo su due fronti. Se i tuoi sono pochi, non attaccarlo apertamente, ma tormentalo in continuazione per impedirgli di riposare.

 

E puta caso te lo trovi davanti al naso in una valle stretta, loro sono in tanti e i tuoi sono in pochi.

Intanto non attardarti mai su montagne, pantani e valli. Se poi doveste trovarvi muso a muso, manda avanti arcieri e balestrieri, cerca di tenere il nemico a distanza e prendere prigionieri. Interroga i prigionieri e cerca di conoscere il nemico meglio che puoi, perché è l’unico modo che hai di cavartela.

 

Ma puta caso che siete serrati da alte montagne, incontri il nemico e non osi attaccarlo ma non puoi ritirarti.

In una valle stretta un grande numero non è molto utile. Metti in avanguardia le tue truppe di shock e gli ufficiali migliori. Apposta carri e cavalieri più indietro. Difficilmente il nemico oserà avanzare. Allora metti in riga i tuoi stendardi e ritirati con ordine dalla valle. Appena cavato d’impiccio, accampati. Prendi fiato, mentre carri e cavalieri tormentano il nemico senza posa in modo da dissuadere un attacco e impedirgli di riposare.

 

Perfetto. Ma puta caso ti trovi bloccato in un vasto pantano, affondi e non hai barche né zattere.

Per cominciare, manda delle sentinelle sulle alture più vicine. Poi cerca di conoscere meglio che puoi natura e profondità dell’acqua. Se pone problema a te, pone problema anche al nemico. Se il gaglioffo ti attacca, cerca di sfruttare la palude a tuo vantaggio (tipo attaccandolo quando metà dei suoi sono in traversata).

 

Ora, avete presente quei film in cui la cavalleria catafratta carica sotto la pioggia battente?

Ecco, salvo certi terreni d’eccezione, è una pessima idea. La pioggia rammollisce il terreno. Carri e cavalli affondano, avanzano con difficoltà, specie con centocinquanta chili di tizio armato sulla groppa.

E questo ci porta al penultimo “puta caso” della serie:

se piove per giorni e ti impantani, ser sotto attacco da tutti i lati e il morale è a terra, che fare?

Intanto non dovresti trovarti impantanato con dei carri perché, per cominciare, non si impiegano carri in clima di pioggia e mota. In secondo luogo, cerca di tenerti sulle alture.

 

Come difenderti da gruppi di cavalieri veloci e selvaggi che lanciano raids sui tuoi territori?

Adotta una posizione difensiva. Non farti tirare in una battaglia, ma aspetta la fine della giornata, quando saranno stanchi e carichi di bottino e pronti a ritirarsi. Approfitta del fatto che in ritirata saranno concentrati sul correre, e fagliela pagare.

 

E una nota finale per quando prendi una città: occupa i centri di potere, ma non distruggere alberi o case, non metterla al sacco. Mostra benevolenza alla popolazione in modo da ottenere il loro sostegno. Allo stesso modo, sii magnanimo verso chi si arrende.

 

Infine, è fondamentale individuare e assumere gente di talento, onorarla, senza tralasciare di stimolare chi ancora non ha compiuto nulla di memorabile.

 

In chiusura del libro, Wu nota come un uomo disposto a morire può terrorizzarne mille altri. I russi che davano la caccia al buon Symo Haya potrebbero confermarlo.

Se tu riuscissi a prendere i tuoi cinquantamila soldati e trasformare ognuno di loro in quell’assassino feroce pronto a tutto, allora il nemico avrebbe un grosso problema.

 

Il Wu-Tzu è probabilmente un testo spurio, ma resta uno dei sette pilastri fondamentali degli studi tattici asiatici.

Prossimamente, parleremo di un altro Libro Imperdibile, il Wei Liao-tzu. Nel frattempo, ripassate gli appunti, orientate le catapulte, ferrate i cavalli e MUSICA!

 

Classici Militari: Bing Fa o l’Arte della Guerra (3)

[Questo post doveva uscire il 9 di agosto. Chiedo scusa per il ritardo, non ho idea di cosa sia andato storto.]

 

Benvenuti nella terza e penultima puntata dedicata al più famoso dei Classici Militari, l’Arte della Guerra!

Per chi si fosse perso le prime appassionanti puntate, rimando ai miei articoli,

Questo e Questo.

Riprendiamo da dove avevamo lasciato, le Disposizioni militari!

Un soldato Sung. No, non sono sicura che fossero davvero vestiti così. Fichez-moi la paix!

Il primo consigli che il nostro Sun Zi dà è “prima di tutto, renditi inconquistabile”, poi aspetta pazientemente che il nemico scopra un fianco. Ora, “essere inconquistabile dipende da te”, mentre “essere conquistabile” (AKA, scoprire il fianco) dipende dal nemico. Ovvero, se sei davvero bravo puoi rendere te stesso invincibile, ma anche il nemico può fare la stessa cosa.

Chi non può vincere assume un atteggiamento difensivo, chi può vincere attacca.

Questa frase contiene una grande verità, ovvero che c’è una sola cosa che trattiene un popolo dall’attaccarne un altro: non conviene.

Beninteso, questa frase non è da intendersi il modo puramente materiale. Un sacco di guerre inutili sono state combattute, anche guerre che era chiaro dall’inizio non avrebbero portato nessun vantaggio reale. Dovete pensare con la testa di chi quella guerra decide di farla (o non farla). Cosa per quella gente costituisce un vantaggio o meno?

Poco importa quanto stupida, insensata, inconcludente o controproducente sia: la guerra viene fatta perché si crede sinceramente e fermamente che conviene.

Conviene per i soldi, per la terra, per la razza ariana o per avere un posto in paradiso, ma conviene. Se non conviene non si fa.

A riprova: la guerra nucleare non conveniva a nessuno e non l’hanno fatta.

Per chi scrive fantasy: due popoli devono avere delle buone ragioni per essere alleati o nemici, per essere in pace o in guerra. Se uno dei due ha un livello tecnologico ridicolmente arretrato rispetto a quell’altro, sarà un suo subalterno. Se non ha un esercito sarà un suo subalterno. E se non lo è ci deve essere una buona ragione, dire che è così e basta non è sufficiente.

 

Tornando a noi, chi si limita a un atteggiamento puramente difensivo, pur avendo magari un vantaggio iniziale, non può vincere una guerra. Solo chi è capace di attaccare può preservarsi e ottenere una vittoria definitiva.

Ottenere una grande vittoria militare, celebrata dal popolo, non è il pinnacolo dell’eccellenza. Per Sun Zi dire che chi ottiene una grande vittoria è “eccellente”, equivale a dire che chi vede il sole o la luna ha una vista sopraffina. La vittoria di un uomo eccellente è conquistare chi è facile da conquistare. Chi davvero eccelle nell’Arte della guerra fa in modo di combattere un nemico che ha già perso in partenza.

La vera eccellenza comincia col mettersi in una posizione in cui non puoi essere sconfitto, il tutto senza tagliarti la possibilità di attaccare.

In parole povere, i campioni prima creano le condizioni per vincere, poi combattono una guerra vinta. I mediocri combattono prima e cercano la vittoria poi.

E, come ogni cosa cinese, chi vuole ottenere l’eccellenza deve possedere il Tao.

Ci sono più interpretazioni per cosa diavolo significhi il termine nello specifico: per alcuni si tratta della padronanza dei principi essenziali all’arte militare, per altri della padronanza delle virtù confuciane, che rendono un uomo equilibrato, previdente e amato, nonché virtuoso. Ci tengo a sottolineare l’ultima, dato che i Cinesi avevano un approccio piuttosto pratico e tautologico al Fato: se sei virtuoso, il Cielo ti favorirà e vincerai. Se vinci, vuol dire che il Cielo ti favoriva, ergo sei virtuoso.

Insomma, chi vince ha ragione.

Parlando di metodi militari, ce ne sono cinque:

  1. misurazione
  2. stima delle forze (Che tipo di forze? Che materiali?)
  3. calcolo degli effettivi
  4. considerazione e paragone delle forze
  5. vittoria (si prega di non barare e non saltare direttamente a quest’ultima!)

Il terreno dà luogo alla misurazione; la misurazione dà luogo alla stima delle forze; la stima dà luogo al calcolo, che dà luogo alla considerazione e paragone. Fai tutto bene, e avrai la vittoria in tasca. Ma potresti accorgerti che “far tutto bene” è più facile a dirsi che a farsi.

 

Potere strategico

Come comandare un grande numero di uomini? Non è diverso dal comandarne pochi. Il punto è saper dividere e configurare.

Peraltro, ci sono due metodi che permettono di vincere il nemico: quello Ortodosso e quello Eterodosso. Come si combatte il vuoto col pieno, se ingaggi battaglia con un nemico che usa tattiche ortodosse, devi rispondere con altre eterodosse. Chi è capace di sfruttare tattiche eterodosse, ha risorse inesauribili e la vittoria in pugno.

I componenti di una battaglia possono essere sempre gli stessi, ma i modi di combinarli sono infiniti (un po’ come le regole in narrativa). Parimenti ortodosso ed eterodosso si combinano all’infinito in possibilità illimitate.

 

Per quanto riguarda la vera battaglia, la mischia…

C’è una strana idea tra numerosi scrittori, supportata da quel maiali di Hollywood, secondo cui la battaglia è di norma un mucchio selvaggio con buoni e cattivi mischiati insieme che menano a destra e a sinistra. L’Eroe sta da solo, in mezzo al nemico, fulgido esempio per gli uomini, rigorosamente senza elmo.

E’ una stronzata.

Ci sono scrittori che non sanno descrivere le battaglie, e poi c’è l’Aliprandi…

Diversi tipi di eserciti combattono in modi diversi. Un esercito come quello di Sun Zi si muoverà in maniera diversa dalle bande guerriere di Yoritomo e Ichi-no-Tani, e in modo ancora diverso dalle troppe dell’Operazione Anaconda.

La battaglia può parere caotica, o lo può diventare, ma la prassi non cambia: quale che sia la forma, lo stile, il tempo, chi mantiene il controllo vince. Perfino in una battaglia a bande come quella di Ichi-no-Tani, i combattenti sapevano chi erano i loro alleati, quali erano gli obbiettivi, da dove dovevano passare, dove ritrovarsi e quando disperdersi.

Questo è ancora più vero quando a muoversi è un vero esercito. Può parere caotico, ma non può esserci disordine. Una mischia hollywoodiana è un cazzo di disastro, una catastrofe tattica che costerà la vita a un numero altissimo di uomini per un risultato risibile. A bloody mess.

Il che in un libro ci può stare benissimo, beninteso. Ma se pensi che quello sia il modo standard di combattere sbagli: quello è il modo standard di prendere un fracco di legnate (e probabilmente perdere la guerra).

 

Tornando a Sun Zi, il nostro spiega che il caos simulato è fonte di controllo: inganna il nemico fingendo disordine e spingilo a fare ciò che tu vuoi che faccia. Parimenti, fingere paura porta coraggio, fingere debolezza porta forza.

Caos e ordine sono un problema di numeri, coraggio e paura sono un problema di configurazione strategica delle forze, forza e debolezza dipendono da come hai spiegato le tue forze.

Il punto è disporsi in una configurazione tale che il nemico risponderà nella maniera che a te conviene. Offri qualcosa che vale, e cercherà di prenderla. Fagli vedere truppe ben ordinate e coordinate, e aspetterà. Il punto è sempre lo stesso: un comandante deve dirigere i suoi, e deve dirigere i loro. Spingi il nemico ad agire (o non agire) secondo quello che tu vuoi. Non lasciare mai che sia lui a guidare le danze.

La leva della vittoria è la strategia, non gli uomini in quanto tali. Chi vuole vincere deve cercare gli uomini adatti a servire la strategia, non viceversa.

 

Vuoto e Sostanza

Come spesso nel manuale, Sun Zi comincia con lo specificare le basi per chi fosse così tonno da non conoscerle: chi arriva prima sul terreno di battaglia sceglie come installarsi, può riposare e sarà in vantaggio. Chi arriva dopo avrà corso, sarà stanco e molto probabilmente non avrà molta scelta su dove schiaffarsi.

Come detto prima, se vuoi farli avvicinare, offri qualcosa da desiderare. Se vuoi frenarli, sbandiera qualcosa da temere.

In generale, cerca di sovvertire la condizione del nemico. Se è ben nutrito, affamalo; se è riposato, stancalo; sistemati in modo che debba correre a cercarti, precipitati dove non ti aspetta.

E sempre per la Fiera dell’Ovvio: il modo più semplice di viaggiare è attraverso un territorio non occupato. Se vuoi prendere una posizione di colpo, attacca posizioni non difese. Se vuoi occupare una posizione imprendibile, scegline una che il nemico non attaccherà.

Tutto questo per dire: se sei bravo ad attaccare, non sapranno cosa e come difendere; se sei bravo a difenderti, non sapranno dove attaccarti.

Ad esempio, vuoi ingaggiare un nemico che si trincera dietro spalti troppo tosti?

Costringilo a uscire attaccando qualcosa che deve proteggere.

Al contrario, non hai bisogno di spalti per difenderti, se sei in grado di menomare i suoi movimenti.

Devi essere flessibile e pronto a rispondere all’evenienza. Sapere quali sono le loro condizioni, ma non lasciare che sappiano, ad esempio, quale campo di battaglia hai scelto per il big showdown, così dovranno prepararsi su numerosi fronti e posizioni. Stirali il più possibile.

D’altro canto, puoi ben dirigere, raggruppare e disporre il tuo esercito (senza disperderti e stiracchiarti in mille posizioni) solo se conosci il posto e il giorno in cui conta farti il mazzo.

Peraltro, devi anche avere una chiara idea di cosa vinci e cosa perdi, e per far questo devi sapere bene con chi hai a che fare. Sun Zi consiglia di incoraggiare il nemico, in modo da farlo muovere e poter osservare il suo comportamento, quali sono le sue forze, cosa ha e cosa gli manca.

Tu, per contro, devi evitare il più possibile di assumere una forma discernibile, perché figurati: anche il nemico sta facendo lo stesso gioco, e le sue spie ti stanno studiando alla stessa maniera. Questo ti permetterà di adattarti (“come acqua”) al nemico, evitare suoi “pieni” e colpirlo nei suoi “vuoti”.

Combattimento

Il combattimento è la parte più difficile di una guerra.

Il primo che dice “Ma va’'” finisce nell’angolo in ginocchio sui ceci.

Dicevo, la cosa più difficile in combattimento è volgere lo svantaggio in vantaggio.

Di per sé, il combattimento tra due eserciti è portatore di vantaggi. Il combattimento tra masse, invece, è un casino.

Un esercito ridotto e leggero è più rapido e meglio manovrabile di una massa di coscritti coi bagagli. Ma è anche più vulnerabile.

Sun Zi sconsiglia di lasciarsi impedimenta e armi pesanti dietro per correre avanti: solo una piccola parte dell’esercito (i più forti) riusciranno ad arrivare in condizioni di combattimento, seguiti da una massa sempre più scompaginata di bagagli e gente esausta e demoralizzata. E un esercito che non ha un solido rifornimento è un esercito nei guai.

 

Il primo passo per vincere una guerra non è caricare a testa bassa prima degli altri, ma conoscere i piani dei tuoi avversari e preparare le alleanze che ti permetteranno di essere in vantaggio. Questo vale in particolare se prevedi una spedizione, poiché dovrai impiegare delle guide locali, ed è bene avere un’idea chiara di da che parte stanno.

 

Riguardo ai rifornimenti, quando saccheggi un territorio, dividi il ricavato tra le tue truppe. Sempre dividere i profitti! La gente è più disposta a morire per te se può guadagnare dal rischio.

 

Una cosa che spesso piaga i romanzi e i film, è la totale assenza di una catena di comando e di strumenti di segnalazione. L’eroico generale urla ordini, la soldataglia esegue, gente si scambia commenti da una parte all’altra del campo, e alla fine tutto pare una versione per ritardati della ricreazione delle elementari.

In una battaglia vera c’è casino. Tanto casino. Il fracasso di un mucchio di gente più o meno corazzata, urlante e esagitata è allucinante. Se poi ci sono artiglierie coinvolte è anche peggio.

Come fare allora a dire alla gente quello che deve fare?

Tamburi, gong, trombe, timpani… gente di posti diversi ha inventato strumenti diversi che potessero sovrastare il casino generale con un messaggio chiaro, udibile e comprensibile per lo meno dal sergente di turno. Allo stesso modo, bandiere, gonfaloni, insegne, ecc. Non sono lì per decorazione. In uno scontro si può perdere l’orientamento. Sei finito in un mucchio di nemici, ti hanno suonato come una zampogna, sangue e cervello ti colano dalle orecchie e te la fai talmente addosso che non ti ricordi nemmeno come ti chiami. Ma le insegne si vedono. Il gonfalone della tua squadra si muove, si ritira. Sai che dovete tornare indietro. E l’addestramento sovviene quando il ragionamento falla. Una sequenza di suoni conosciuti, e le tue budella sanno se vuol dire “ritirata”, “carica” o “è l’ora del tè”.

Strumenti e segnali coordinano un esercito. Uomini coordinati sono uomini uniti, e uomini uniti sono uomini che fanno un buon lavoro. Le probabilità di un temerario pazzoide che corre avanti piantando i suoi, o di un disertore che scappa per i campi sono ridotte al minimo se gli uomini sono coordinati e uniti.

Ovviamente in una battaglia notturna userai fuochi per segnalazione. Sun Zi consiglia anche di aumentare il numero di strumenti sonori. Dato che la tua carne da cannone non vede a un palmo dal naso, almeno fatti sentire.

 

Un altro elemento è fondamentale in un esercito, ed è quello che Sun Zi chiama il ch’i, qualcosa che in questo contesto si avvicina al nostro animus. Secondo lui, il ch’i è di solito ardente al mattino, e progressivamente più indolente lungo alla giornata, per toccare il suo minimo al tramonto. E’ ovvio che l’interesse è attaccare quando il ch’i dei nemici è basso.

Personalmente al mattino ho la testa nel culo e al tramonto potrei abbarcarti tre steri di legna senza sudare, ma sono cinesi, sono mattinieri.

 

Sun Zi ribadisce una carrellata di consigli: non avvicinarti ad alte montagne, non affrontare gente che ha le colline alle spalle, attento a non farti tirare in una finta ritirata, non attaccare truppe animose e non farti fregare da truppe disordinate messe lì come esca. Non metterti tra i piedi di un esercito che sta tornando a casa, e se ti trovi a dover assediare qualcuno, lasciagli sempre una via di ritirata (la prenderanno, e passeranno dove TU hai deciso di farli passare). Ugualmente, non pressare troppo un invasore esausto.

Quest’ultima pare strana. Suppongo che il rischio sia, pressandolo troppo, di rinfocolare il suo morale e ricompattare i suoi uomini. Lascia malinconia, malcontento e sconforto fare il loro lavoro.

 

I nove cambiamenti (che a esser fiscali sarebbero dieci)

Ci sono delle cose che un generale deve o non deve fare:

  • Non accamparti in luoghi che intrappolano. In genere questo si interpreta per terreni bassi, magari in mezzo ad alture, con acqua, pantani: sono zone che si possono facilmente inondare (magari piove molto, o qualche furbo rompe di proposito un argine), e rendono l’avanzata di uomini e carri penosa
  • Riunisciti coi tuoi alleati in un punto centrale, accessibile da diverse direzioni e magari da diverse strade vere e proprie.
  • Non restare su terreno isolato.
  • Pianifica in anticipo per quanto riguarda il terreno circondato.
  • Su terreno fatale dovrai combattere.
  • Certe strade non devono essere seguite.
  • Certi eserciti non devono essere attaccati.
  • Ci sono città che non devono essere assediate.
  • Ci sono posizioni per cui non si combatte.
  • Ci sono degli ordini del sovrano che devono essere ignorati. Pare ci sia un frammento qui, che aggiunge precisione. Se il sovrano ti ordina di seguire quelle strade, o attaccare quegli eserciti, città o posizioni di cui si è appena parlato… lascialo perdere. Sta col culo sul trono a centinaia di kilometri da dove tu sei. Si fotta.

Che poi tutto riviene a un oculato bilancio di cosa vinci e cosa perdi. Non combattere mai per perdere.

 

Non fidarti del fatto che non verranno: sii preparato (che è quello che i latini esprimevano con si vis pacem, para bellum).

 

Il capitolo si chiude con una nota sul generale. Ci sono cinque tratti di carattere che presentano un rischio, per lui e per il suo esercito:

  1. Chi è determinato a morire può essere ucciso;
  2. chi è determinato a sopravvivere può essere catturato;
  3. chi s’incazza facile può essere insultato;
  4. Chi è ossessionato dalla propria immagine può essere coperto d’infamia;
  5. chi ama la gente può esser perturbato.
  6. Questi cinque tratti sono catastrofi in potenza: valuta bene il tuo generale prima di mandarlo in giro con ottocentomila fantaccini.

 

Meditate sulle savie parole del Maestro. Perché per ora è tutto, alla prossima puntata altre chicche!
E ora, MUSICA!

 

Classici Militari: Bing fa, o l’Arte della Guerra (2)

[ACHTUNG: Questo articolo è stato programmato in anticipo, quando uscirà io sarò in Kazakistan e non so se avrò accesso a internet. E’ possibile che non possa regolare i commenti o correggere, portate pazienza. Sarò di ritorno in Europa verso il 26 luglio. Fate i bravi.]

 

Bentornati alla seconda puntata sul nostro classico più celebre. Qui Sun Zi entra un po’ più nello specifico.

Let’s not waste any time but dive in!

Il terreno è una componente imprescindibile delle operazioni militari. Facciamo quindi una rapida carrellata:

Le montagne.

Se devi attraversare delle montagne, mine de rien, segui le valli e cerca di mantenerti su terreno difendibile (certi commentatori hanno interpretato questo come “terreno yang”, ovvero a solatio). Se il nemico tiene le vette, evita di salire a cercarlo (può darsi che in futuro scriva un articolo sulla guerra in montagna nello specifico).

 

I fiumi.

Dopo aver attraversato dell’acqua, allontanatene. Evita, finché puoi, di combattere nei pressi di un fiume. Se ad attraversare è il nemico, non saltargli addosso mentre è nell’acqua, ma aspetta che la metà dei suoi sia passata. Infine, non “contrariare le correnti”. Questo è stato interpretato con “non accamparti a valle del nemico”. I rischi sono molti, tra cui: il nemico potrebbe aver limitato in qualche modo il flusso e rilasciartelo sul muso tutto di un botto, o il nemico potrebbe avvelenare l’acqua.

Sta anche attento all’acqua che scorre. Se è un fiume di montagna, e porta bolle e schiuma, è probabile che ci siano appena state forti piogge più a monte, e quindi rischia di esserci una piena o comunque un aumento nel flusso. Se devi attraversare, è meglio che l’acqua sia limpida e calma.

 

Le paludi.

Paludi e pantani sono una brutta faccenda, e devi cavartene fuori il prima possibile, non restarci a nessun patto. Nel caso sfortunato in cui dovessi combattere in una palude, cerca di stare su un terreno dove cresce dell’erba, meglio se con degli alberi alle spalle.

 

Le pianure.

Cerca di sistemarti su un terreno facilmente percorribile dai carri. Nell’ideale, sarebbe bene avere terreno più alto sul dietro dell’ala destra, terreno fatale sul davanti (dove vuoi stroncare il nemico) e terreno difendibile alle spalle.

Infine, un esercito apprezza trovarsi in terreno elevato, assolato e possibilmente dove sia possibile rifornirsi di cibo. Pertanto è consigliabile di prediligere il lato a solatio quando si ha a che fare con colline and the likes.

 

Ci sono delle configurazioni orografiche da cui devi cavarti il prima possibile, anzi meglio, non avvicinartici nemmeno.

  1. Gole ripide con torrenti di montagna;
  2. Pozzi Celesti (depressioni profonde circondate su quattro lati da montagne);
  3. Prigioni Celesti (valli ripide incassate tra montagne su tre lati, il genere di posto in cui se entri sei facilmente imbottigliato);
  4. Reti Celesti (zone con una vegetazione molto fitta e impenetrabile);
  5. Fosse Celesti (zone di terreno molle e pantanoso);
  6. Spaccature Celesti (questa parla da sé, passaggi simili a coltellate nelo Pianeta, in cui manovrare è impossibile e che sono facilmente dominate da chiunque sia in alto).

Te stanne alla larga, ma cerca di spingerci il tuo nemico.

Quando ti trovi a dover attraversare una zona e avere sui fianchi gole e montagne, o foreste dense, paludi, zone troppo lussureggianti, fai prima battere ammodo l’area dai i tuoi esploratori, perché è più che probabile che il nemico ti abbia preparato un party di benvenuto a sorpresa.

Se i nemici sono vicini ma si tengono calmi, è perché stanno cercando la buona occasione di piazzarsi su un terreno favorevole, per esempio delle alture. Se invece ti sfidano quando sono lontani, è possibile che lo abbiano già occupato e vogliano farti arrivare stanco e sfibrato là dove comoda a loro.

Sono sicura che sentivate il bisogno di articoli come questo!

Un comandante deve essere vigile. Se vedi gli alberi muoversi, i nemici stanno arrivando, e sono tanti. Se gli animali sono spaventati, sono nei paraggi. Parimenti, uccelli che spiccano il volo tutti insieme indicano un’imboscata (o forse no? Gli Heike sulla Fuji avrebbero qualcosa da ridire in proposito, ma di questo ne parleremo un’altra volta!).

Se vedi ostacoli troppo flagranti piantati nell’erba alta, stai attento: potrebbe essere un trucco (se sono troppo visibili, potrebbero essere una finta).

Se vedi colonne nette di polvere alzarsi nel cielo, sono dei carri. Se la polvere è bassa e confusa in una nuvola caotica, si tratta di reparti di fanteria. Se sono sbuffi sparsi, sono fuochi di bivacchi. Se vanno e vengono, dispersi e intermittenti, vuol dire che si stanno accampando.

Non fidarti dei loro inviati o dei loro ambasciatori. Se parlano con deferenza ma i preparativi fervono, stanno per avanzare; se berciano aggressivi e avanzano in fretta e furia, prevedono di ritirarsi. Se cercano la pace senza porre condizioni, stanno meditando una qualche infamia (cit.). Se invece il nemico ti manda i suoi con offerte e regalini, vuole un time out per riposare.

E bada: se metà del suo esercito avanza e l’altra metà resta indietro, sta cercando di prenderti all’amo. Se invece si avvicina con truppe ben motivate e animose, ma si limita a tenere le posizioni senza sfidarti, stai attento: ti sta fregando in qualche maniera.

 

Osservare gli uomini del nemico è anche una parte importante. Se si appoggiano sulle loro armi quando sono in piedi, probabilmente hanno fame. Se quelli che prendono l’acqua per prima cosa bevono, i soldati hanno sete. Se non avanzano quando c’è un possibile guadagno, vuol dire che sono stanchi (o che si aspettano una fregatura).

Osserva il loro campo. Se ci si radunano gli uccelli, vuol dire che è vuoto. Se li senti vociare la notte, vuol dire che sono spaventati. Soldati indisciplinati, che brontolano, fanno troppo rumore o obbediscono con riluttanza, sono segno di un generale che non ha polso. Se le loro insegne si muovono per tutti i versi, vuol dire che sono nel caos. E se gli ufficiali sono incazzati, significa che sono stanchi.

Se uccidono i loro cavalli o li vedi mangiare molta carne, è probabile che siano a corto di cereali e rifornimenti (per loro e per le bestie). E bada se non rimettono a posto pignatte e utensili da cucina o non ritornano al campo: se non si preoccupano di quell’equipaggiamento, vuol dire che sono esausti e che probabilmente stanno preparando un attacco disperato.

Se nel suo esercito i soldati si radunano in piccoli gruppi per parlottare tra loro, vuol dire che il generale non ha il supporto dei suoi soldati.

Osserva anche il generale in questione! Se assegna ricompense troppo spesso, vuol dire che è nella merda fino al collo coi suoi. Parimenti, se impone tante punizioni.

E sai qual è il pinnacolo di stupidità in quel che riguarda il generale? Qualcuno che prima si mostra brutale, e poi ha paura dei suoi.

Per vincere, non è indispensabile che i tuoi siano di più. Se sei bravo, sai come dirigere il tuo esercito e come manipolare quello nemico, e quindi vincerai anche avendo uno svantaggio numerico. Però questo implica un ottimo controllo sui tuoi.

Se punisci i tuoi soldati prima che si siano legati a te, non riuscirai a sottometterli del tutto, e se non sono del tutto sottomessi, saranno difficili da manovrare. Allo stesso tempo se esiti a punirli dopo che si sono legati a te, li perderai di nuovo e non potrai usarli. Sun Zi consiglia di comandarli col civile e unirli col marziale (più avanti ci saranno indicazioni più precise, non preoccupatevi). Gli ordini devono essere chiari ed eseguiti con perizia. E’ uno dei modi per prendere il controllo della gente e tenerselo.

 

Tornando al terreno, Sun Zi specifica le diverse configurazioni.

Ci sono sei tipi di terreno.

  1. Terreno accessibile: è il terreno in cui sia tu che il nemico potete avanzare con facilità. Cerca di arrivarci per primo, occupa alture e lati a solatio, e consolida le vie di rifornimento. Solo dopo dai battaglia.
  2. Terreno sospeso: dove avanzare è facile e ritirarsi è difficile. Avanza e attaccali solo se sono impreparati, perché se lo sono e devi ritirarti, sei nei guai.
  3. Terreno di stalli: dove non conviene avanzare né a te né a lui. Cavati di lì, non c’è niente da vincere. Anche se il nemico ti fa intravedere un’apertura, è probabilmente un trucco, non fidarti. L’unico caso in cui potrebbe essere interessante di combattere su un terreno del genere, è se loro attaccano, magari mandandoti contro una metà del loro esercito.
  4. Terreno angusto: tipo grandi valli. Devi arrivarci per primo e avere il tempo di occuparle e disporre i tuoi. Se quando arrivi i nemici sono già lì, non seguirli: è una trappola. A meno che tu non sia sicuro che non hanno avuto il tempo di disporsi, allora puoi rischiarti a corrergli dietro.
  5. Terreno scosceso: tipo gole, montagne, valli molto ripide. Occupa le alture e i lati a solatio, e aspetta il nemico. Se il nemico è già lì, dispiegato o meno, vattene subito, il gioco non vale la candela.
  6. Terreno ampio: è un terreno in cui le vostre possibilità sono eguali e non conviene a nessuno dei due combattere, perché non conviene mai combattere una battaglia equa.

 

Ci sono anche sei tipi di esercito fottuto, perché ai cinesi piace la simmetria!

  1. Eserciti in fuga: quando il loro potenziale strategico è uguale al tuo e ti ostini ad attaccarli (battaglia equa) è molto probabile che vada a finire in una brutta ritirata-.
  2. Esercito lasso, in cui la truppa è forte ma gli ufficiali sono deboli;
  3. Esercito cedevole, quando gli ufficiali sono forti ma la truppa è debole;
  4. Esercito sgretolato, quanto gli alti ufficiali sono gente focosa e incazzosa e ingaggiano il nemico ad glandus segugi senza che il generale sia sicuro delle loro capacità;
  5. Esercito caotico, quando il generale è molle e debole, incapace di dare ordini chiari o di comandare, quando ufficiali e truppa non hanno compiti costanti e quando sono disposti a cazzo.
  6. Esercito in rotta (or soon to be), quando il generale è un idiota incapace di conoscere il proprio nemico, attacca i tanti coi pochi, i forti coi deboli e non è capace di costituirsi un’avanguardia decente.

 

Per vincere devi conoscere il terreno, conoscere il nemico, capirlo, prevedere gli spostamenti (quali saranno rapidi, quali lenti e penosi). Chi non ne è capace perde.

E vi ricordate quando si parlava dell’evenienza di ignorare il sovrano?

Se hai un’occasione di vittoria, saltaci sopra, non farla passare solo perché il Boss ti ha detto di evitare il combattimento. Forse dovrai pagare una volta tornato a casa, ma intanto il tuo paese avrà vinto. E al contrario se gli odds sono contro di te e il Boss ti dice di attaccare. Un generale non deve combattere per la gloria o rifiutare la ritirata per la vergogna, un generale combatte per il suo paese e per il suo popolo, et advienne que pourra.

L’enfasi è messa sul conoscere il terreno E il nemico. Se sai di poter attaccare ma non sei sicuro di ciò che loro possono o non possono fare, o se sai cosa possono o non possono fare i loro ma non sei sicuro dei tuoi… well, sei a metà strada per quanto riguarda la vittoria. Sapere cosa loro possono e non possono, e sapere cosa i tuoi possono e non possono, ma non conoscere il terreno, è anche una scommessa. Sei sempre a metà strada, not even near!

Se vuoi una vittoria sicura, devi conoscere te stesso, conoscere il nemico, conoscere il clima ed il terreno.

Ma come fa un generale a prendere e tenere il controllo e il supporto delle sue truppe?

Tratta i tuoi soldati come se fossero i tuoi bambini, e ti seguiranno. Ovviamente questo si applica se tratti i tuoi bambini come Sun Zi trattava ai suoi, non come una mamma chioccia farebbe oggigiorno. Infatti non bisogna viziarli. Se li tratti bene ma non puoi impiegarli, se li ami ma non riesci a comandarli, se non riesci a imporre ordine e disciplina, sono come mocciosi viziati, e non servono a niente. Sono inutili al Paese e a loro stessi.

Poi eh, a tutti capita di avere un figlio speciale…

A Sun Zi piacevano le liste, e infatti eccone un’altra: i nove terreni!

  1. Terreno dispersivo: quando i veri capi e capetti combattono sui loro territori (combattendo in casa, è possibile che gli uomini siano meno motivati e inclini alla diserzione o a preoccuparsi di casa e famiglia). Non ingaggiare il nemico.
  2. Terreno leggero: quando entrano un territorio nemico ma senza spingersi a fondo (come quando combattono in casa, visto che non sono lontani e la ritirata pare facile). Non fermarti.
  3. Terreno conteso: il terreno è vantaggioso per quelli che lo occupano per primi, è il terreno che entrambi volete mangiarvi. O lo occupi per primo, o non attaccare un nemico installato.
  4. Terreno attraversabile: terreno in cui sia tu che loro possono passare. Non lasciare che le tue forze restino isolate.
  5. Terreno centrale: terreno circondato dal nemico su tre lati ma non ancora occupato, ovvero una posizione centrale che darà un vantaggio significativo a chiunque la prenda per primo (probabilmente un punto in cui s’incrociano grandi arterie e che pertanto dà accesso facilitato a diversi territori). Cerca alleanze coi capi circostanti.
  6. Terreno pesante: quando sei nel cuore del territorio nemico (i tuoi soldati sono isolati, lontani da casa, in zona ostile, e questo scoraggia la diserzione e favorisce determinazione e coesione). Se sei in casa loro, rifornisciti saccheggiando.
  7. Terreno insidioso: mine de rien, terreno circondato da montagne/paludi/foreste, ecc. In cui la via è difficile da contendere. Cavati di lì alla svelta!
  8. Terreno accerchiato: in cui l’ingresso è complicato e il ritorno circonvoluto, in cui in pochi possono tendere facilmente imboscate ai tanti. Puoi cavartela con una buona strategia.
  9. Terreno fatale: dove sopravvive solo chi combatte con tutta la forza possibile (si vedrà più avanti come le truppe combattono meglio su “terreno mortale”, perché non hanno ritirata, non hanno scelta, e l’unica salvezza e tritare una vita attraverso i nemici). E’ il terreno in cui si da’ battaglia.

 

E’ importante minare il più possibile le forze nemiche. Per esempio, trovando il modo di impedire alla sua retroguardia di raggiungere l’avanguardia, alle diverse parti del suo esercito di supportarsi a vicenda, all’alto di soccorrere il basso. Impedisci che si crei fiducia tra i bassi e gli alti ranghi. Non lasciare che si riuniscano, o per lo meno che si riuniscano con ordine. Ma come fare se i nemici sono compatti, leali, ben organizzati, ben armati, altissimi, purissimi, levissimi? L’unico modo per costringerli ad ascoltarti, è mettere le grinfie su qualcosa che amano.

 

Non sfiancare i tuoi soldati, fai che siano ben nutriti e non esagerare in nessun modo. Per il nemico, devi avere un piano, ma non lasciare che sia prevedibile.

E per strizzare il massimo dai tuoi uomini, ficcali in una posizione da cui non ci sia via di scampo. Se non hanno nessun modo di darsela a gambe, combatteranno con ogni oncia di animo. La gente combatte al suo massimo solo quando non ha altra scelta. Il non aver scelta favorisce anche la coesione. Terroni e Pulende remeranno insieme se sono sulla stessa barca e stanno andando ai pesci.

No?

Ok, concordo che Sun Zi si mostra un po’ ottimista qui. In effetti questa è più una scommessa che una sicurezza. I tuoi possono compattarsi e combattere come leoni, o sgretolarsi e farsi macellare come agnelli. Ma può valer la pena rischiare. Conoscendo bene i tuoi uomini, dovresti essere in grado di prevedere con relativa sicurezza come andrà a finire.

 

Attento ad aruspici e altre forme di divinazione: falciano il morale. Estirpali.

 

Ma come deve essere un generale?

Prendete penna e calamaio, e il primo che scrive “brava persona”, in ginocchio sui ceci.

Un generale deve essere calmo e difficile da comprendere, giusto e autodisciplinato, capace di stupire i suoi ufficiali e i suoi soldati, che NON deve tenere informati di quello che vuol fare. Gli altri non devono essere in grado di prevederlo o indovinare la sua strategia e il suo modo di gestire gli affari. Non deve essere anticipato, né dai nemici né dai suoi.

La combo perfetta è ottenere la fiducia dei tuoi, senza che siano peraltro in grado di leggerti e prevedere le tue mosse. Se non sei prevedibile, non avranno nessuna scelta se non obbedire ai tuoi ordini e sperare in bene, come un gregge di pecore col pastore.

Per questo un generale non deve dubitare di se stesso.

Rompi le regole. Concedi ricompense non previste dalla legge, imponi ordini extra-governativi. Dai ordini, ma non spiegarli. Alletta i tuoi con la promessa di profitto, e lasciali all’oscuro di quello che rischiano.

Rispetto al nemico: attacca ciò che amano. Non fissare il giorno della battaglia, sorprendili. Ingannali sempre e fagli sempre capire il contrario di quello che vuoi fare.

 

L’Arte della Guerra ha una sezione dedicata solo agli attacchi incendiari.

This is gonna be fun!

Ci sono cinque cose che si possono bruciare: uomini, provviste, convogli di rifornimenti, armerie, formazioni (o accampamenti).

Ovviamente un attacco incendiario è una faccenda delicata, e richiede un equipaggiamento specifico nonché condizioni atmosferiche/ambientali particolari. Bisogna che la stagione sia secca, e che ci sia vento. Sun Zi consiglia delle date in cui, all’epoca, si sapeva si sarebbe alzato il vento. Inoltre nota che i venti che si alzano di giorno hanno tendenza a persistere, mentre quelli che si alzano la notte sono più effimeri.

Inoltre il fuoco è vivo e mutevole. A seconda di che verso prende, dovrai reagire in un modo o in un altro. Ci sono cinque situazioni che possono verificarsi:

  1. Riesci ad appiccar fuoco nel loro campo: attaccali!
  2. Il campo brucia, ma si tengono tranquilli: frena, non attaccare!
  3. Se reagiscono con prontezza e si dispongono in una posizione a te svantaggiosa, lascia perdere.
  4. Nel caso l’attacco possa essere lanciato da fuori senza appoggio di infiltrati interni, bada bene a scegliere il momento opportuno.
  5. Non attaccare sottovento un incendio!

I tuoi devono d’altro canto essere addestrati per reagire in modo appropriato nel caso fossi tu a subire un attacco del genere.

 

Infine, ricordiamo chi ottiene una vittoria tattica ma non riesce a farla fruttare in una vittoria strategica, è votato al disastro.

Seguono una serie di consigli ribaditi, tra cui: non cominciare guerre perse, e non cominciare guerre per rabbia od orgoglio. Un generale non deve mai lanciare una battaglia perché frustrato o incazzato, solo quando conviene alla strategia generale. La rabbia può tornare gioia, ma un esercito distrutto non può essere rimesso insieme.

Un buon sovrano e un buon generale sono coloro che capiscono e rispettano la guerra e la morte, e le maneggiano con la cautela necessaria. Fare una guerra lunga e infruttuosa è stupido e crudele verso il popolo.

 

Ma parliamo di qualcosa che è spesso sorvolato nella narrativa dilettantesca: lo spionaggio,

E’ un settore molto bistrattato in romanzi e film. I movimenti del nemico paiono sempre una sorpresa. Vero che una cannonata out of the blue è un colpo di scena inatteso, ma fa apparire il tuo eroe come un idiota che non sa impiegare spie ed esploratori.

Ecco quindi qualche rapido ragguaglio sulla faccenda.

Per vincere bisogna sapere in anticipo. E qui entrano in scena le spie.

Ce ne sono di cinque tipi, perché il cinque è un buon numero:

  1. Spie locali (gente del posto);
  2. Spie interne (funzionari del governo)
  3. Agenti doppi (spie del nemico che impieghi per i tuoi fini);
  4. Spie sacrificabili (sono usate per diffondere disinformazione nel campo nemico, fornisci loro false informazioni e fai in modo che le rifilino alle spie del nemico);
  5. Spie vive (quelle che vanno e vengono con rapporti).

Infiltrarsi è un’arte

I tuoi rapporti con le spie devono essere i più stretti e riservati, e le ricompense accordate loro le più grandi. Per impiegarle bene, però, devi essere capace di saggezza, rettitudine, perspicacia e intuizione. Difatti come tu cerchi di ingannare il nemico, il nemico cercherà di ingannare te.

Se una missione viene rivelata prima di essere iniziata, vuol dire che qualcuno ha parlato. Uccidi le spie coinvolte e gli uomini che hanno informato.

Trova le spie nemiche che hanno infiltrato i tuoi ranghi. Cerca di vincerle alla tua causa col profitto, perché tramite loro potrai impiegare le spie locali e interne migliori, puoi spandere meglio falsità e impiegare meglio le spie vive. Sii molto generoso con gli Agenti Doppi, perché moltissimo dipende da loro!

 

A questo proposito consiglio caldamente di leggere la lunga parte dedicata alla battaglia della Scogliera Rossa in Epopea dei Tre Regni (il romanzo, non il film di Woo, eh). Un magnifico dispiego di spionaggio e controspionaggio!

 

E’ tutto per questa puntata! Fate i bravi fino al mio ritorno.

Musica!