Genpei 2.2: più dell’onore poté il digiuno

E’ ora di riprendere dopo lungo oblio la nostra saga sulla sanguinosa Guerra di Genpei, il lungo conflitto che mise fine al potere dell’aristocrazia civile e portò alla nascita del Bakufu di Kamakura, il «Governo della Tenda», noto in occidente come «shogunato».

Rapido riassunto: uno scazzo dinastico degenera in lotta armata nel 1180 e catalizza conflitti e ostilità latenti che si scatenano uno dopo l’altro effetto-domino fino a scatenarsi in un tripudio di sangue e merda generalizzato.

Siamo agli inizi del 1183, la guerra dura da tre anni, la carestia infuria, il paese è roso da rivolte e faide. Kyūshū è in fiamme, e perfino lo Shikoku, il Molise del Giappone, è un vespaio.

Tre contendenti emergono dalla bolgia di sberle e legnate nei denti:

  • I Taira, sotto la guida del nuovo capo Munemori (il patriarca Kiyomori è morto da poco), padroni della Capitale e padroni del traffico marittimo. Nella loro base di Rokuhara, sono ufficialmente il clan più potente del Paese e controllano l’Imperatore.
  • Minamoto Yoritomo, basato in Sagami, erede del ramo principale del clan e alla testa di una vasta coalizione di bande della piana del Bandō. Tra costoro spiccano gli Hōjō, i Miura, i Sasaki, i Chiba, i Takeda di Kai.
  • Minamoto Yoshinaka, il più giovane del mazzo, abile tattico la cui base principale è in Shinano ma che si trova ormai comodamente installato nel governo provinciale di Echigo, a sua volta a capo di una sostanziosa coalizione di bande dell’Hokuriku. Per ora, Yoshinaka non ha ancora perso una battaglia (a differenza di Yoritomo, che salvo un colpo di culo formidabile, sta prendendo un fracco di legnate).

Considerato lo stato disastroso del paese, Yoritomo tenta di trovare un compromesso coi Taira. E’ una buona proposta, e tutti ne convengono. Ma Munemori ha daddy issues e rifiuta per principio. Ciliegina sulla torta, la missione Taira di «pacificazione» (termine tecnico giapponese per indicare brutale repressione di ogni qualsivoglia dissenso), inviata in Hokuriku per stanare Yoshinaka, fallisce miseramente.

E qui ci ritroviamo. In un paese incendiato da siccità, carestia e odio.

005

I tre centri di potere: Heian per i Taira, Kamakura per Yoritomo, la capitale provinciale di Echigo per Yoshinaka

I Taira sono cinti dal casino: Kyūshū, Shikoku, e ora anche i monaci di Kumano, nel Kii, rilanciano la rivolta. Questi ultimi ce l’hanno coi Taira per via della distruzione dei templi di Nara.

Alla fine del nono mese dell’anno precedente, i rivoltosi di Kumano avevano occupato Shishigaseyama e dichiarato il loro aperto supporto a Yoritomo.

004

In rosso, nel centro, la provincia dove si trova la Capitale, tenuta dai Taira;
Contrornate in arancione, le provincie toccate da disordini e rivolte;

In verde barrato nel nord, il territorio controllato da Kiso Yoshinaka;
In aranciano barrato nell’est, il territorio controllato (più o meno bene) da Minamoto Yoritomo

Tra i sostenitori di Yoritomo in Kumano spicca un certo Tanabe Tanzō. Il suo nome non è nuovo nelle fonti: in molti sospettano che sia lui il delatore che ha avvertito i Taira della lettera del Principe Mochihito, all’origine della guerra. Questo dato non è confermato in tutte le fonti, quindi prendetelo con le molle.

Quello che sappiamo con relativa sicurezza è che è nato nel 1130 e che a questo punto riveste una funzione importante nell’amministrazione monacale di Kumano. Suo padre si chiamava Tankai, ma il Sonpi bunmyaku suggerisce che Tanzō fosse in realtà un figlio naturale di nientemeno che Minamoto no Tameyoshi (il nonno di Yoritomo, e ve lo dico perché questa faccenda è peggio di Beautiful e mi diverte incasinarvi le idee).

Tanzō è legato ai Taira e si occupa della marina militare nella provincia di Kii. Come altri in Kumano, il rogo dei templi di Nara è un momento di rottura critico, e Tanzō si ribella.

Questo tradimento gli viene perdonato, ma la frattura è insanabile: nel nono mese, Tanzō raggiunge Yoritomo e diventa de facto il nuovo ammiraglio dei Minamoto. Di certo i ribelli si rendono conto che, se vogliono sconfiggere i Taira, clan padrone del mare, hanno bisogno di una flotta un minimo decente.

Nel frattempo anche Yoshinaka sta consolidando la propria posizione, espandendo la sua sfera di influenza fino in Ecchū.

Munemori si ritrova quindi con rivolte ad ovest e due poteri ostili che dall’Est strisciano con lentezza inesorabile verso la provincia di Yamashiro e la Capitale Fiorita. Si può consolare con l’ida che Yoshinaka e Yoritomo si odiano, e hanno altrettanta probabilità di attaccare i Taira che di sbranarsi tra loro.

Minamoto no Yoshinaka (il tizio più in alto), attorniato da altri tostissimi guerrieri, dal pennello di Utagawa Kuniyoshi (1848)

Il 1182 e 1183 sono contraddistinti da lavori politici più che fati d’arme: la carestia infuria e senza cibo e foraggio gli eserciti non vanno da nessuna parte.

Secondo Kamo no Chōmei (1155-1216), nulla cresce per due anni. Vi riporto il brano in intero per dare un’idea dell’orrore che regnava in Giappone in questo periodo.

Alcuni disertarono le loro terre e se ne andarono in altre provincie, e altri lasciarono le loro case e si accamparono sulle colline. Vari tipi di preghiere furono recitate, ma le cose non migliorarono. E poiché la gente della Capitale dipendeva in tutto dalle terre d’attorno, quando nessun contadino veniva più con il cibo, come potevano costoro continuare la loro solita esistenza? Anche se gli abitanti portavano i loro beni sulla via e supplicavano la gente di comprarli come mendicanti senza vergogna, nessuno li degnava di uno sguardo, e se mai c’era qualcuno disposto a barattare il denaro era tenuto a poco, ma non c’era modo di convincerli a separarsi dai cereali. Gli accattoni riempivano le strade e il loro clamore era assordante.

Così il primo anno passò, e fu già difficile da vivere, sperammo in un miglioramento in quello seguente, ma fu peggio, dacché si scatenò una pestilenza, e le preghiere della gente non servirono a nulla. Man mano che i giorni passavano, gli abitanti si sentivano come pesci quando l’acqua gocciola via, e cittadini rispettabili che di solito indossavano cappelli e scarpe ora andavano scalzi a mendicare casa per casa. E mentre guardavi sconvolto tali scene, costoro si accasciavano e morivano sulla strada. E contro i muri e lungo le vie potevi vedere ovunque i corpi di coloro che erano morti di fame. E non c’era nessuno per portarli via, un fetore terribile colmava le strade, e la gente passava distogliendo lo sguardo. Le strade normali erano già in terribile stato, ma nei bassifondi presso il fiume non c’era nemmeno spazio per far passare carri o cavalli.

I manovali poveri e taglialegna e gente così, quando non poterono più tagliare legna da ardere e nessuno li aiutava, presero a distruggere le loro capanne e a portarne i pezzi in città per venderli. E ciò che un uomo poteva trasportare non era abbastanza da procurargli il cibo per sopravvivere un giorno.

Ed era sconvolgente vedere frammenti con lacca rossa o foglia d’oro e d’argento ancora attaccati spuntare in questi mucchi di legna. E questo è perché quelli che non potevano procurarsi nient’altro facevano irruzione nei templi di montagna e rubavano immagini e utensili e li facevano a pezzi per venderli come legna da ardere. Squallidi e degenerati sono i tempi in cui si compiono simili azioni.

Un’altra cosa molto triste era che coloro che avevano figli che amavano molto invariabilmente morivano prima di loro, perché si privavano di tutto per dare ai loro figli e figlie ciò di cui avevano bisogno. E così i figli sopravvivevano sempre ai genitori. E c’erano infanti che continuavano a succhiare il seno della madre, non capendo che era già morta.

Testimonianze come questa sono ciò che a mio parere restituisce alla Storia lo spessore e la nitidezza che il tempo tende a offuscare. Spesso quando studiamo eventi remoti, i protagonisti appaiono impersonali, personaggi di un racconto più che non persone in carne ed ossa.

Testimonianze come questa riportano a galla l’umanità delle persone. Oggi come allora, i genitori amano i figli. Oggi come allora, quando una situazione terribile si protrae, legami e strutture si sfaldano, e gente che aveva famiglia, vita, lavoro, si trova sola, per la strada, a crepare in solitudine. Oggi come allora, catastrofi climatiche possono privare qualcuno di tutto, e non c’è niente che puoi fare se non pregare dei che non ascoltano e cercare di sopravvivere un giorno in più, perché magari domani pioverà, magari domani arriveranno dei viveri, magari domani sarà diverso.

Gaki, spettri dominati da una fama atroce e insaziabile. Le loro pance sono dilatate come quelle dei morituri, le loro bocche sono sproporzionatamente grandi, ma il loro collo è troppo stretto per inghiottire anche un sorso d’acqua, e il cibo si muta in fuoco non appena tocca le loro labbra. Il Gaki è la personificazione del tormento di qualcuo che sta morendo di fame.
La simpatica scenetta in questione è ripresa dal Gaki sōshi, del Museo di Nara

Uno potrebbe pensare che una situazione del genere ponga necessariamente fine a una guerra che è cominciata come scazzo dinastico tra alti dignitari. Ma nonostante le grandi campagne militari siano per la maggior parte fuori questione, il fermento continua, in particolare a Kamakura, dove la Rivoluzione non dorme mai!

-Siamo praticamente padroni del Bandō.- Dice Yoritomo, durante una riunione. -E’ ora di regolare i conti con mio cugino Yoshinaka.

-”Praticamente” padroni.- Nota qualcuno. -Un sacco di bande di Hitachi non hanno risposto all’appello. Se ci spingiamo a nord, ci scopriamo ad est.

-Non ho cugini famosi in Hitachi, possiamo prendere il rischio. Invece ho un cugino famoso in Hokuriku.

-Per ora Yoshinaka non si è mostrato ostile.

-E’ nella natura stessa dei cugini di uccidersi a vicenda prima o poi.

-Giusto.

-Quindi, se non ci sono altri parenti problematici da fare a pezzettini, io direi di mettere su una spedizione di taglia ridotta e-

-Capo!- Un piantona arriva di corsa. -Capo, hai mica uno zio in Hitachi?

-Oh no.

Pin by Heather Nolin on Just Because | Family quotes, Monday ...

Vi presento Minamoto no Yoshihiro, che chiameremo il Sire di Shida per evitare confusione tra tutti gli Yori e gli Yoshi del clan Minamoto.

Il Sire di Shida è terzo figlio di Minamoto no Tameyoshi e fratello minore del padre di Yoritomo. «Shida» altro non è che il nome della sua base principale, nella provincia di Hitachi.

003

La provincia di Hitachi, nel sud potete notare il distretto di Shida

Il Sire di Shida non era mai stato amico del padre di Yoritomo. Fin da ragazzo, il suo fratello preferito era il secondogenito, Yoshitaka. I due sembrano inseparabili sin dall’infanzia: servono insieme alla Capitale e si trasferiscono insieme in Hitachi a fine turno. In questa remota provincia orientale, i due restano uniti, uno il supporto dell’altro. Cosa che non piace per nulla al padre di Yoritomo: Hitachi è nel cuore del Bandō, una provincia produttrice di cavalli e una zona strategica importantissima. Il nostro teme che i due fratelli possano unire le loro forze per rovesciarlo.

Che belle le famiglie disfunzionali, non trovate?

Nel 1155, il figlio maggiore di Yoshitomo (e fratello maggiore di Yoritomo) risolve la situazione spacciando suo zio Yoshitaka.

Annientato dalla perdita del fratello, il Sire di Shida si ritira nel suo territorio e resta fuori dalla guerra. Per più di 20 anni, si occupa della sua terra, senza mai cercare il conflitto con il governatore Taira della provincia. Perché dovrebbe, dopotutto? Non sono stati i Taira ad assassinare suo fratello.

Anche dopo l’inizio della ribellione, il Sire di Shida resta fuori dai giochi.

Ma nel 1183, con la guerra in stallo e il mondo in fiamme, il Sire di Shida decide di agire.

Forse teme il crescente potere di suo nipote Yoritomo, un uomo per cui non può avere che diffidenza e ostilità. Forse teme che Yoritomo trascini il clan nell’ennesima guerra persa, dannandoli tutti. Forse è irato col nipote che mostra scarsissima considerazione a suo riguardo. Forse vuole unirsi alle forze di Yoshinaka. Non lo sappiamo.

Toujours est-il, il Sire di Shida decide di agire.

Il 20 del secondo mese del 1183, il Sire di Shida lascia la propria base nel sud di Hitachi e comincia la lunga marcia passando via Shimotsuke verso Kamakura, dove conta sorprendere e spacciare suo nipote Yoritomo.

La congiura viene però scoperta: Yoritomo raccatta i suoi e va incontro a suo zio, incontrandolo a Nogi no miya. E proprio mentre il Sire di Shida si prepara a dare battaglia, uno dei suoi tradisce e prende le parti di Yoritomo.

001

Il teatro delle operazioni

Segue una battaglia ferocissima. Così feroce che la memoria del macello è sopravvissuta nei toponimi del luogo, noto come Jigokuzawa (la palude dell’inferno) o Todorokizawa (la palude del fracasso).

Nonostante gli sforzi, il Sire di Shida perde: sconfitto, può solo ritirarsi precipitosamente e rifugiarsi sotto la protezione di Kiso Yoshinaka.

La Battaglia di Nogi no miya può sembrare aneddotica: ok, sono due parenti che si scannano tra di loro provocando la morte di centinaia di poveri stronzi che non c’entrano niente. Che c’è di nuovo?

Da un punto di vista politico questa battaglia segna un cambiamento importante nell’equilibrio del Bandō: fino a questo punto Hitachi era rimasta potenzialmente ostile a Yoritomo. Alcune bande della provincia si erano unite alla causa di Yoritomo, ma la loro lealtà era condizionata. Con la sconfitta del Sire di Shida, Yoritomo non solo ha eliminato un grosso notabile locale e possibile competitore, ma ha messo le mani su un ricco patrimonio. Per 30 anni il Sire di Shida è stato fuori dalle beghe politiche e si è dedicato solo a curare le proprie terre. Ora il frutto di tanto lavoro finisce dritto nelle rapaci zampine di Yoritomo, che usa subito il nuovo capitale per ricompensare i suoi e assicurarsi la fedeltà dei capetti di Hitachi. Con Nogi no miya, Yoritomo mette al sicuro la propria retroguardia.

Non solo, ma Yoritomo si assicura una vittoria di cui ha davvero bisogno. Con il nuovo lustro e i nuovi mezzi, può sperare di fare i conti con Yoshinaka.

Stando allo Heike monogatari, Yoritomo non riesce a strappare a suo cugino una vera e propria sottomissione, ma riesce a confinarlo nell’Hokuriku, sloggiandolo dalla provincia di Kōzuke, e a fargli inviare suo figlio come ostaggio a Kamakura.

Il primo round tra i due si conclude così con un netto vantaggio per Yoritomo.

Yoritomo

Yoritomo mentre medita nuove infamie

Mentre i Minamoto regolano conti tra di loro, i Taira ritentano di pacificare l’Hokuriku. Con minacce e pedate rimettono insieme un esercito, e il 17 Koremori riparte.

Dallo Heike monogatari:

Avendo ricevuto l’autorizzazione di esigere rifornimenti, una volta passata la barriera di Ōsaka saccheggiarono lungo la strada tutti gli uffici e le magioni, senza rispettare i prodotti delle tasse né i beni pubblici, e dacché al loro passaggio portavano via tutto ciò che trovavano, in Shiga, Karasaki, Mitsukawajiri, Mano, Takashima, Shihotsu e Kahizu, la popolazione non poteva resister loro e fuggì per monti e valli.

L’esercito messo insieme è un mostro mastodontico di migliaia e migliaia di uomini, Uesugi ipotizza anche 40.000! Si tratta di un miscuglio mal accozzato di vassalli dei Taira e coscritti strappati alle provincie obtorto collo. La coesione è bassa e il morale ancora più basso.

Koremori divide l’armata in due parti : una deve avanzare attraverso Tsuruga, a nord del lago Biwa, via il passo Konome. L’altra attraversa il passo Tochinoki, da Ōmi a Echizen. Il 26 fanno giunzione in Echizen senza troppi intoppi.

Intoppi che cominciano il giorno dopo, quando i Taira incocciano nel castello di Hiuchi, protetto da 6.000 cavalieri secondo lo Heike monogatari, tenuto da un ramo filo-Minamoto dei Fujiwara settentrionali e dal superiore monastico Saimei del tempio Heizen (pure pro-Minamoto).

La montagna è dietro, la montagna è davanti. Davanti alla fortezza scorrevano i fiumi Nōmi e Shindō. Alla confluenza dei due, [i difensori] avevano stabilito una diga di enormi alberi abbattuti, rinforzata da una prodigiosa quantità di graticci, così che a est come a ovest l’acqua era salita fino ai piedi dei monti e si sarebbe detto un lago.

Insomma, i grandi eserciti difficilmente possono scorrazzare in giro inosservati: i difensori sapevano che sarebbero arrivati e hanno creato un troiaio paludoso che Alberto I del Belgio levati.

L’acqua è un’ottima difesa, ma non bisogna mai fidarsi dei preti: nottetempo Saimei sgattaiola fuori e scocca ai Taira una freccia. E’ cava. Al suo interno i nemici trovano un messaggio arrotolato. E’ una lettera di Saimei in persona.

“Questo lago non è sempre stato qui. E’ solo l’acqua dei torrenti di montagna ostruiti da un po’. Al calar della notte, inviate i vostri valletti d’arme e fate loro distruggere i graticci. Le acque scenderanno in poco tempo. Appena i vostri cavalli potranno toccare, attraverserete. Quanto a me, li colpirò alle spalle.”

George Washington Treason - Laughshop.com

“People gather, scatter, they go left and right following their interests. That is not surprising.” (Masakage Yamagata ci insegna la politica, dal film Kagemusha)

Il giorno dopo, fangosi ma invitti, i Taira avanzano su Hiuchi, che viene prontamente abbandonato dai difensori.

Sembra che la pacificazione dell’Hokuriku, a questo giro, sia partita proprio bene.

Ma i Taira non hanno contato su Yoshinaka, che dopo l’umiliazione politica impartitagli da Yoritomo ha un sacco bisogno di ripulire il proprio onore col sangue di qualcuno.

Nella prossima puntata, la Battaglia di Kurikara!

MUSICA!

Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Genpei 2.0

Genpei 2.1


Bibliografia

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, 2004, New York

FUKUDA Toyohiko, SEKI Yukihiko, Genpei kassen jiten, Yoshikawa kobunkan, 2006, Tokyo

KAMO NO CHOMEI, Trad. Sadler A. L., Ten foot square hut, Charles E. Tuttle Company, 1993, Sidney

ROYALL Tyler, The tale of the Heike, Viking, 2013, New York

SIEFFERT René, Le dit des Heiké, Verdier, 2012, Lonrai

SOUYRI Pierre-François, Histoire du Japon Médiéval – Le monde à l’envers, Tempus, 2013, Paris

UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō

 

 

Chi sono i samurai?

Chi frequenta la Fortezza avrà intuito che la sottoscritta ha una fastidiosa tendenza alla pignoleria. Negli Studi Umanistici ci fanno una testa così sul lessico e la scelta dei termini, e hanno ragione: a seconda il contesto la stessa parola può voler dire cose molto diverse. Se lo scopo del linguaggio è comunicare informazioni e concetti, è indispensabile chiarire fin da subito cosa si intende con cosa e in che contesto.

Potete immaginare quanto soffro ogni volta che apro un articolo di giornale e vengo assalita da valanghe di buzzwords tirate dentro ad glandus segugi.

Il punto è che usare le parole a cazzo è una pestilenza che, a mio modesto parere, sta facendo danni reali al nostro cervello. Invece di scambiare argomenti articolati, le discussioni si limitano a un palleggio di termini impropri che arrivano accompagnati dal loro bel pacchetto di concetti associati d’ufficio. Per usare un linguaggio meno tecnico, non è un confronto di punti di vista, quanto una sassaiola fatta a pallate di fango.

Oggi, nel mio piccolo, ho deciso di prendermela con una parola che mi provoca regolare ulcera: samurai ().

Priorità nella vita!
Arte dello straordinario artista contemporaneo Noguchi Tetsuya

Cosa vuol dire “samurai”?

Cominciamo col fare un distinguo importante: esistono termini usati dai contemporanei ed esistono termini usati dagli storiografi per descrivere a posteriori un fenomeno passato.

In diversi periodi della Storia giapponese samurai è stato usato per descrivere cose diverse.

Oggigiorno viene spesso impiegato in modo più o meno appropriato per descrivere il “guerriero giapponese”.

Tre problemi qui:

-Il termine originariamente non ha nessuna connotazione militare;

-per secoli non c’è stata nessuna definizione legale di “guerriero” come categoria sociale;

-cos’è un “guerriero”?

Cominciamo dall’ultima. Che cos’è un guerriero?

Tecnicamente, qualcuno che fa la guerra. L’immagine che la parola evoca è spesso quella del cavaliere pesante o del vichingo feroce, del combattente professionista formato dalla gioventù al mestiere delle armi. Ma “fare la guerra” comprende molto più del caricare lancia in resta o partecipare di persona a un combattimento. Peraltro gran parte dei “guerrieri” antichi praticavano altre attività economiche a parte il farsi ammazzare.

Non solo, ma che dire di tutti quelli che non sono combattenti d’élite? Se guerriero è “chi fa la guerra”, questo include fanti, esploratori, ingegneri, facchini…

Non voglio dilungarmi in questo articolo sul concetto di guerriero: il punto è che spesso la gente butta in giro la parola “guerriero” senza davvero porsi il problema del suo significato.

Passiamo al secondo punto: le definizioni contemporanee e quelle a posteriori.

C’è stato un periodo della Storia giapponese in cui i guerrieri erano in effetti una categoria sociale chiaramente e legalmente definita. Tuttavia la guerra e il mestiere delle armi (anche come professione esclusiva e vocazione) sono molto più antichi.

Il “guerriero” inteso come militare di professione la cui vocazione principale è la via delle armi esiste da prima della parola samurai.

Di recente abbiamo concluso una lunga serie di articoli su Taira Masakado e le ribellioni che squassarono l’Impero giapponese verso la metà del X° secolo. Taira Masakado era senza dubbio un guerriero e qualcuno che considerava la “via dell’arco e della freccia” come parte essenziale della propria identità. Non si sarebbe mai definito un samurai, tanto che l’appellazione gli viene appioppata da Friday come provocazione (vedi Taira no Masakado: the first samurai, di Karl Friday).

Usare samurai prima della nascita del Bakufu è problematico, ed è per questo che molti storiografi preferiscono il termine meno controverso di bushi (武士).

Ma cos’è un bushi?

Secondo il Progressive waeichū jiten, il dizionario giapponese-inglese di default sul mio Ex-word, il bushi è un guerriero. Questo ci lascia col problema accennato più in alto: tutti i bushi sono guerrieri, ma non tutti i guerrieri sono bushi. Cos’è davvero un bushi?

Secondo il dizionari giapponese-giapponese Kōjiten, il bushi è un guerriero professionista che si campa la vita col mestiere delle armi. Definisce questi individui come appartenenti a una specifica classe sociale che sarebbe esistita dall’epoca di Heian (794-1185) a quella di Edo (1603-1867).

Minamoto Tametomo separa due lupi, dal pennello di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861)

Per non zavorrarci troppo, diciamo che con “guerriero” si intende in questo contesto l’arciere pesante a cavallo, antenato diretto dei samurai.

Questo tipo di combattente è necessariamente un professionista e predata l’epoca di Heian: nel 701 la Corte pubblicò un vastissimo corpus di leggi penali e civili (i famosi Codici, Ritsuryō), in cui si parla di unità di cavalleria e arcieri pesanti a cavallo.

Possiamo quindi dire che il bushi esisteva di certo già dal 701?

Hum…. dipende.

Se anche prendiamo Heian come riferimento, i militari dell’VIII° secolo non usavano la parola bushi per parlare di loro stessi. Il termine corrente all’epoca era mononofu o tsuwamono (), il cui kanji è lo stesso usato nei Codici per indicare i soldati di leva (quindi gente che non pratica le armi come professione, ma coscritti contadini) o musha (武者) (che indica più specificatamente “persona di guerra”).

Nello stesso periodo troviamo spesso il termine samurai come sostantivo del verbo saburau, ovvero “servire”. Come accennato, non ha nessunissima connotazione militare e indica semplicemente il servitore al servizio di un nobile.

Ricordiamo che prima del 1185 l’Impero giapponese è governato da un’aristocrazia strettamente civile che esercita la propria autorità tramite istituzioni burocratiche o legami personali di clientelismo. La carriera militare era considerata come molto inferiore rispetto a quella civile e riservata a gente che non poteva diventare letterato.

Secondo Okuda il significato di samurai sarebbe cambiato dopo la salita al potere dei militari alla fine della Guerra di Genpei (1180-1185): i bushi impiegavano guerrieri di basso rango come servitori, ergo il samurai passa da “servitore di un nobile” a “servitore di un nobile guerriero” a “servitore guerriero” e “guerriero/vassallo”.

Il samurai nel senso di guerriero non esiste prima del XIII° secolo. Ora lo sapete. Se volete riferirvi a chiunque prima di questa data, usate bushi o vi vengo a tirare le orecchie.

Fuoco e legnate durante i disordini di Heiji, propdromi della grande guerra civile tra Taira e Minamoto

Quindi per parlare di gente come Masakado basta usare bushi e son tutti contenti, no?

Sì, ma con cautela.

In storiografia contemporanea bushi è spesso usato per descrivere il guerriero feudale, ovvero qualcuno che andava in giro a scapitozzare dopo il XII° secolo, durante e dopo la Guerra di Genpei.

La Guerra di Genpei è un avvenimento cardinale della Storia giapponese: lo è a posteriori per gli storiografi e lo è stato per i contemporanei. La Guerra di Genpei ha cancellato il mondo di prima e ne ha creato uno nuovo.

Abbiamo una testimonianza interessantissima di questo evento grazie a Jien (1155-1225), un monaco poeta e storiografo che poté godersi lo sgretolamento del potere aristocratico, il collasso della dittatura Taira, la guerra civile e la nascita dello shōgunato sotto Minamoto Yoritomo e sua moglie Hōjō Masako. Il nostro ha parlato delle sue impressioni nel Gukanshō, dove descrive gli avvenimenti in questi esatti termini: il vecchio mondo è morto si entra ormai nel “mondo dei guerrieri” (musha no yo).

E’ molto comodo avere un evento storico così chiaro e distinto per orientarsi e con cui definire un “prima” e un “dopo”.

In realtà i bushi che hanno rivoluzionato il Giappone nel 1185 non sono apparsi nel 1180 ma sono il frutto di un’evoluzione graduale. E questo ci porta al secondo contenzioso del termine bushi!

Il bushi è il guerriero feudale, e costituisce la nuova classe dirigente dal 1185. Ok, ma da quando possiamo trovarli?

E soprattutto: cosa si intende con “guerriero feudale”?

Come accennato prima, il termine “feudale” è stato coniato a posteriori dagli storiografi. Si tratta di una parola usata per descrivere la Storia europea che è stata poi estesa alla Storia giapponese.

Verso la fine del Periodo Meiji (1868-1912), gli storiografi giapponesi avevano assorbito le nuove idee politiche e metodologiche dei ricercatori occidentali. Il Giappone stava furiosamente riacchiappando il ritardo tecnologico e occidentalizzando il Paese, e questo influenzò anche il modo di raccontare la Storia: si cerca di trovare similitudini e parallelismi con la vicenda europea e il punto comune tra le due realtà sembra essere il periodo feudale. Il sottinteso politico era che il Giappone era essenzialmente diverso dal resto dell’Asia, aveva una società più civilizzata e più vicina a quella occidentale, e per questo era riuscito a sfuggire alla brutale colonizzazione.

Il bushi doveva diventare l’equivalente del cavaliere medievale, nella storiografia e nell’immaginario nazionale.

Uno dei nomi più significativi agli inizi del XIX° secolo è quello di Asakawa Kan’ichi, uno strenuo difensore del parallelismo bushi-cavaliere. Secondo lui i bushi avevano origine nello sviluppo di una classe di proprietari terrieri nell’VIII°-IX° secolo. Col X° secolo questi notabili avrebbero cominciato ad armarsi e offrire i propri servigi a i più prominenti tra loro in cambio di protezione, per sopperire al vuoto delle istituzioni di Corte. Costoro sarebbero presto maturati in una vera e propria classe sociale, sottomessa a una Corte di aristocratici civili che si vuotava poco a poco del proprio potere reale.

Secondo Asakawa (ripreso anche da Samson), la classe guerriera si sarebbe evoluta per sopperire ai buchi di un sistema militare inefficace che non riusciva a proteggere i notabili locali e l loro famiglie (interpretazione molto vicina a quella offerta per lo sviluppo del Feudalesimo in Europa, nato dal crollo dell’Impero Romano).

I due fattori chiave dietro questo fenomeno sarebbero quindi da una parte un sistema militare scassato e il proliferare degli shōen, latifondi privati esenti da tasse e spesso immuni dalla legislazione ordinaria, che avrebbero minato in modo irreparabile l’autorità pubblica nelle provincie.

Okuda condivide questo punto di vista: i guerrieri del Bandō avrebbero creato una rete di legami personali parallela a quelli istituzionali per difendersi dall’inettitudine dell’autorità pubblica e dalla rapacità degli interessi privati.

Per chi ha seguito la rocambolesca vicenda di Masakado, è innegabile che i guerrieri orientali erano spesso piccoli proprietari terrieri e allevatori, e spesso si mettevano sotto la protezione di un notabile locale più importante: Taira Masakado interviene ad esempio per difendere gli interessi del suo gregario Fujiwara Haruaki, che sta avendo problemi con i funzionari provinciali inviati dalla Corte.

E’ anche innegabile che nelle provincie, specie quelle orientali, la legge ufficiale era applicata fino a un certo punto.

Allo stesso tempo è anche chiaro che i Codici hanno giocato un ruolo importante nella vicenda di Masakado: come sottolinea Hall, i Codici restarono in vigore e furono applicati (con più o meno zelo) fino almeno al X° secolo (quando furono affiancati ai Regolamenti dell’era Engi, i celeberrimi Engishiki).

Ishimoda Shō è quello che meglio ha elaborato la teoria secondo cui i bushi sarebbero stati un’evoluzione necessaria all’indebolimento delle istituzioni e avrebbero sviluppato la propria influenza fino a sbocciare, verso la fine di Heian, in una situazione in cui questa classe militare provinciale esercitava il proprio controllo su una vasta massa contadina ridotta, de facto, in servitù.

L’interpretazione di Ishimoda sottintende che questo processo di feudalizzazione sarebbe particolare al Giappone e distinguerebbe il popolo giapponese dal resto dei popoli orientali, facendone uno tradizionalmente capace di evolvere e superare vecchie istituzioni in nome della praticità.

Prima di progredire con questo appassionante discorso, i più svegli si saranno detti:

Spetta un secondo, ma hai sfrangiato le gonadi finora con la definizione di “guerriero”, e mo’ butti in giro il termine “feudale” così, a crudo?”

Right-oh!

Secondo il ponderoso tomo di storiografia comparata Les féodalités, Bournazel e Poly ripropongono la definizione di Sirinelli:

[FR]

Il s’agit de l’ensemble des institutions et des relations – juridiques ou autres – permettant la dévolution et l’exercice de ce que l’on appelle le pouvoir ou l’autorité, mais replacées de surcroit au sein des sociétés, des valeurs et des cultures qui les sous-tendent. Les systèmes politiques ainsi entendus incluent donc l’analyse des grandes constructions institutionnelles, mais également l’étude de leur soubassement social et culturel : le socle économique ou les rapports sociaux, assurément, mais aussi […] les idéologies, les cultures politiques, les représentations et les valeurs.

[IT]

Si tratta di un insieme di istituzioni e relazioni – giuridiche o meno – che permettono la devoluzione e l’esercizio di ciò che chiamiamo il potere o l’autorità, e collocate inoltre in seno alle società, ai valori e alle culture che le sottintendono. Il sistema politico così inteso include quindi l’analisi delle grandi costruzioni istituzionali, ma anche lo studio della loro base sociale e culturale : le fondamenta economiche o i rapporti sociali, di certo, ma anche […] le ideologie, le culture politiche, le rappresentazioni e i valori.

In altre parole il “feudalesimo” è caratterizzato da un certo tipo di istituzioni e relazioni, ma anche da cultura, rappresentazioni, strutture economiche ecc.

Ora, qualche sventurato a cui sia capitato di assistere a una “dotta discussione” di certi “appassionati” sulla storiografia avrà sentito buttare in giro termini come “marxismo” o “marxismo culturale”. Si tratta di un certo modo di studiare e interpretare la Storia che pone particolare accento sulla struttura economica di una società (per dirla in termini molto banali, tutto il resto è “sovrastruttura” e dipende direttamente dal sistema economico). L’”ossatura” della società è determinata essenzialmente dai rapporti di produzione.

Questo modo di vedere la Storia, che gli “appassionati” di cui sopra tirano fuori come se fosse una qualche recente moda appena sfornata dalle femministe della terza ondata, data in realtà degli anni ’50 e ’60 specie per ciò che riguarda la storiografia giapponese (e, a chiosa, l’ondata corrente del femminismo è la quarta e non la terza, ma quando si parla a vanvera capita di sbagliarsi).

Già negli anni ’60 lo storico francese Georges Duby aveva fortemente criticato questo approccio. Uno dei problemi era che la corrente marxista tentava di porsi in una maniera realista e pragmatica, ma gli uomini, gli esseri umani che costituiscono le società, non sono né realisti né pragmatici. I sentimenti (e i conseguenti comportamenti) degli individui e dei gruppi sociali rispetto al loro ruolo nella società non sono dettati dalla realtà economica, ma dall’idea che detti individui e gruppi sociali hanno della realtà economica!

Gli esseri umani non vivono nella realtà, vivono in un’idea, un racconto di realtà.

Che certamente ha a che fare con la realtà oggettiva, ma è comunque filtrata, interpretata e influenzata. La struttura economica è certamente fondamentale nell’evoluzione di una società nelle sue mille declinazioni (cultura, politica, guerra, arte, ecc.), ma è solo uno dei vari fattori in gioco.

In altre parole, una società è feudale non solo se la sua struttura economica è feudale, ma se le sue idee, se la sua visione è feudale.

Cosa si intende con “feudalesimo” in questo contesto?

A differenza degli europei, i giapponesi non hanno un termine indigeno che descriva la struttura feudale. “Feudalesimo”, hōken, è un termine tradotto e preso alla storiografia occidentale. E’ la traduzione dei concetti di feudalism o Lehnwessen. Come in Europa questi concetti sono associati al cavaliere, in Giappone sono stati legati al bushi.

Maki Kenji propone una lettura più “orientale” di hōken, proponendolo come traduzione di fengjiang, “fondare un feudo”, impiegato in Cina quando l’Imperatore concedeva delle terre a dei potenti, delegando loro l’autorità imperiale su quei territori. Per Kenji, il tratto determinante dell’hōken non è molto la sua relazione con una classe guerriera, ma la decentralizzazione del potere: hōken è da concepire in opposizione alla società centralizzata prevista dei Codici, gunken.

Se però torniamo un attimo a Jien, possiamo notare che ciò che più ha sconvolto i contemporanei durante il cambio di regime nel 1185 non è stata la decentralizzazione, quanto il carattere essenzialmente militare di questa nuova aristocrazia (soldati al potere? Pofferbacco, che cosa eterodossa!).

Ad ogni modo e quale che sia la declinazione che si dà al termine, è chiaro che il bushi è parte essenziale della faccenda. In altre parole, il feudalesimo giapponese non è necessariamente definito dal ruolo che il bushi gioca in esso, ma il bushi è una creatura feudale.

Chiedo scusa, ma DOVEVO USARE ‘STA STRONZATA o il pensiero mi avrebbe perseguitata fin nella tomba!

Negli anni ’50 gli storiografi cominciarono a rimettere in dubbio la centralità del guerriero nella società feudale. Questa nuova corrente toglieva il focus dai guerrieri per metterlo sul potere distante esercitato dai signori assenteisti sui loro latifundia nella provincia. Secondo Shimizu Mitsuo, i guerrieri locali non sarebbero la forza innovatrice descritta da Ishimoda Shō, ma un elemento classico, strumenti del potere che mantenevano il controllo dell’aristocrazia sui mezzi di produzione.

Tornando alla rivolta di Masakado come esempio, è innegabile che i vari capi e capetti armati esercitavano la loro autorità in nome e per conto della Corte.

Insomma, mentre in Europa il feudalesimo è accompagnato da un indebolimento dell’autorità centrale, in Giappone la Corte rimase saldamente in sella fino al disastro della Guerra di Genpei. In altre parole, il cavaliere feudale europeo sarebbe figlio dell’anarchia (o della debolezza istituzionale), mentre il bushi giapponese sarebbe l’evoluzione continua di un governo a modo suo forte e stabile.

E’ fuor di dubbio che la Corte mantenne il monopolio sulla legittimità del potere ben dopo la creazione del Bakufu di Minamoto Yoritomo.

L’interpretazione corrente della storiografia giapponese è una sorta di compromesso tra la visione frammentata di una provincia ingovernabile e quella di un Governo forte e continuo che esercitava la sua autorità attraverso i guerrieri. Secondo la versione più accreditata oggigiorno, ci sarebbe stata sì una spaccatura netta tra Capitale e provincia, ma la Corte avrebbe mantenuto il monopolio sulla legittimità e i guerrieri avrebbero esercitato il controllo sui provinciali ma senza porsi in opposizione diretta al potere aristocratico. Insomma, per un paio di secoli guerrieri locali e aristocratici civili avrebbero governato insieme in una struttura di potere comparabile a un leviatano sociale a due teste.

D’altro canto si è presentato un altro problema alla storiografia giapponese: quella delle particolarità regionali.

Per lunghissimo tempo intere popolazioni sono state del tutto scordate dagli storici (gli Ainu, gli Hayato, la gente delle Ryūkyū, ecc.). Ma se anche uno decidesse di sbattersene allegramente, i Wa stessi avevano strutture sociali, tratti culturali e caratteristiche linguistiche marcatamente differenti anche all’interno della sola isola di Honshū.

La creazione del Bakufu, di cui parleremo con calma in articoli appositi, potrebbe essere interpretata, ad esempio, come l’esportazione verso le regioni occidentali di forme di controllo e amministrazioni tipiche della società guerriera orientale.

Insomma, possiamo stabilire che in Giappone si sono verificate contingenze in cui la società ha tratti “feudali”, ma il termine “feudale” stesso è talmente problematico che oggigiorno viene spesso evitato. Gli si preferiscono altre formulazioni, come “società guerriera” o “rapporti di dipendenza”.

Tornando a noi, chi sono i bushi?

Il bushi è un individuo che può combattere come arciere montato a cavallo e che esiste in una rete sociale fatta di rapporti di dipendenza definibili come “feudali”.

In altre parole: l’arciere pesante a cavallo esiste almeno dal VII° secolo, il bushi si sviluppa a partire dal IX°-X° secolo. E ancora nemmeno l’ombra di un samurai!

Sia chiaro, a questo stadio non esiste ancora nessuna “classe guerriera”.

Nella sua accezione più banale, una classe sociale è un insieme relativamente omogeneo di individui che condividono la stessa situazione socioeconomica.

Da un punto di vista generale dell’Impero, per buona parte dell’epoca di Heian i bushi non hanno omogeneità culturale e non condividono la stessa posizione socioeconomica. I Codici delineano una società in cui non esiste una classe guerriera: i militari professionisti (gli arcieri pesanti a cavallo, soprattutto) sono individui della classe dei magistrati di distretto, della classe piccola aristocrazia o cadetti della classe nobiliare senza reali prospettive nella carriera civile.

Possiamo semmai parlare di “proto-classe” per quello che riguarda alcune regioni (vedi le particolarità regionali succitate). Ma in generale il Giappone non ha, nel X° secolo, una classe guerriera.

Questa si evolve nei secoli come sottocultura parallela alla cultura civile della burocrazia di Corte. Alcuni dei primi esempi di legami di dipendenza tipici della “società guerriera” possono essere trovati nel X° secolo, ma non abbastanza da poter parlare di classe.

In parole povere: dati questi presupposti, fino alla Guerra di Genpei, non si può davvero parlare di samurai.

A posteriori, possiamo vedere nei disordini del X° secolo le remote origini di quello che sarà un giorno il samurai. Come accennato nella conclusione della Rivolta di Masakado, il X° segna l’inizio, il primissimo embrione della società guerriera. Si parla in questo caso dell’evoluzione dei bushi.

La distinzione è importante perché gli uomini che si ribellarono nel Bandō, quelli che servirono nelle guerre di Hōgen e di Heiji e quelli che si ammazzarono nella guerra di Ōnin non sono gli stessi ed è bene esserne coscienti se si è interessati a capire le loro storie e i loro percorsi.

E dopo questa appassionante lungagnata ci do un taglio, che prevedo una lunga diatriba ricca di suspence su cosa significa il termine “feudale” e non voglio rovinarvi l’hype!

MUSICA!

(Non è metal, ma nell’attesa che i Sabaton si svitino i pollici dal culo vi cuccate questa, perché Gatsu daze! piace per forza, try try try!)


Approfondimenti

La banda di guerra

L’evoluzione del sistema militare dai Codici al X° secolo

La rivolta di Masakado (puntata 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10)

La guerra di Hōgen

La guerra di Heiji

La guerra di Genpei (puntata 1, 2, 3, 4, 5, 6, ongoing)

 

Bibliografia

FRIDAY Karl, The first samurai, Hoboken, John Wiley & Sons, 2008

FUKUDA Toyohiko, Taira Masakado no ran, Tōkyō, Iwanami shōten, 1981

KAWAJIRI Akio, Taira Masakado no ran, Tōkyō, YoshikawaKōbunkan, 2007

RABINOVITCH Judith N., Shōmonki, The story of Masakado’s Rebellion, Tōkyō, MonumentaNipponica, Sophia University, 1986

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira, Shōmonki, Mutsuwaki, Hōgenmonogatari, Heijimonogatari, Tōkyō, Shōgakukan, 2002

AMINO Yoshihiko, Shōen no kōzō, Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2003

HALL John Whitney, Government and Local Power in Japan, 500 to 1700, Center for Japanese Studies Univesity of Michigan, 1999

HERAIL Francine, Gouverneurs de provinces et guerriers dans Les Histoire qui sont maintenant du passé, Paris, Institut des Hautes Etudes Japonaises, 2004

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Cambridge, Harvard University Press, 1995

FRIDAY Karl, Hired swords, Stanford, Stanford University press, 1992

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, New York, Routledge, 2004

KASAYA Kasuhiko, Samurai no shisō, Tōkyō, Nihon KeizaiShinbun, 1993

KAWAJIRI Akio, Yuregoku kizoku shakai, Tōkyō, Shōgakukan, 2008

KITAYAMA Shigeo, Ōchi seijishiron, Tōkyō, Iwanami shōten, 1970

MOTOKI Yasuo, Bushi no seiritsu, Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 1994

MURAI Yasuhiko, Heian Ōchō no bushi,Tōkyō,Daiichi Hōki Shuppan, 1988

SOUYRI Pierre-François, Nouvelle histoire du Japon, Paris, Librairie Académique Perrin, 2010

SOURY Pierre-François, Le monde à l’envers, Paris, Maisonneuve &Larose, 1999

BARTHELEMY Dominique, La chevalerie : De la Germanie antique à la France du XIIe siècle, Paris, Librairie Académique Perrin, 2012

BLOCH Marc, La société féodale, Paris, Albin Michel, 1994

BOURNAZEL Eric, POLY Jean-Pierre (sous la direction de), Les féodalités, Paris, PUF, 1998, (cf. p. 715-750, Pierre Souyri, « La féodalité japonaise »)

BOUTRUCHE Robert, Seigneurie et féodalité, Paris, Aubier, 1968

LOT Ferdinand, La fin du Monde Antique et le début du Moyen Age, Paris, Albin Michel, 1989

 

 

Illustri Sconosciuti: Taira Masakado (3.3): I vincitori e gli immortali

Sono tempi di migragna qui alla Fortezza, ma il bello di essere in dottorato in Sotria è che, quale che sia il merdaio in cui ti trovi, sei costretto a leggere di gente messa peggio e mortamale.

Case in point: siamo finalmente giunti al gran finale della rocambolesca avventura di Masakado, il Ribelle del Bandō!

Per chi si fosse perso le puntate precedenti (recuperatevele, sono obbligatorie, poi vi ci interrogo), la grande rivolta delle ere Jōhei e Tengyō (935-940) parte come scazzo familiare tra Masakado, notabile locale senza funzione o rango, e i suoi zii e cugini, gente con funzioni amministrative e appigli politici.

Per anni questi ultimi tentano di cancellare Masakado della faccia della Terra, e per anni Masakado li riempie di calci nel culo, senza però prendersela con i rappresentanti della Corte. Masakado bada bene a non compiere azioni che possano essere percepite come aperta ribellione nei confronti dello Stato.

Dopo anni di guerriglia e un numero imprecisato di villaggi rasi al suolo, il nostro è riuscito a eliminare i suoi avversarsi, tranne l’infingardo cugino Sadamori.

Il teatro del dramma

Taira Sadamori, funzionario alla Corte e abile oratore, è alla fine riuscito a farsi dare ragione dal Governo (che ha voltato gabbana già varie volte, riguardo alla faccenda) e, in compagnia del cugino Tamenori e del brigante rispulizzito Fujiwara Hidesato, è di ritorno nel Bandō per la resa dei conti.

Per la precisione, siamo in questa zona qui

Dopo questo ennesimo tira e molla della Corte, Masakado decide di prendere l’iniziativa: in meno di niente conquista l’intera fetta nordorientale di Honshū con l’intenzione di costringere il Governo a scendere a patti.

Governo che, ricordiamocelo, si trovava alle prese con una cruentissima piaga occidentale: il pirata e pazzoide piromane Fujiwara Sumitomo.

Dopo deliberazione, la Corte decide di scendere a patti con quel manico omicida di Sumitomo e di spedire un esercito contro Masakado.

E oggi riprendiamo le fila di questo disastro noto come i Disordini delle ere Jōhei e Tengyō!

Masakado distribuisce labbrate, dal pennello di Tsukioka Yoshitoshi (1839-1892)

Come accennato, la Corte decide di scendere in guerra contro Masakado.

Di certo vi sarà capitato migliaia di volte di vedere film o leggere libri in cui gli eserciti semplicemente appaiono in giro, di solito direttamente sotto il balcone dei protagonisti. Gli eroi stanno discutendo di come difendersi dal cattivo di turno e puf, una sentinella arriva di corsa urlando “siamo sotto attacco!”.

E’ un cliché che io odio con la rovente passione di mille bombe atomiche. E’ una cosa stupida da morire e una totale mancanza di rispetto per l’intelligenza dello spettatore/lettore.

Senza nemmeno entrare nel merito di trasporti, tempo di percorso, vettovaglie e terreno da attraversare, poche società pre-industriali hanno potuto contare su un vero e proprio esercito permanente. Non solo, anche concedendo che tale esercito esista, una spedizione non è qualcosa che si organizza in due ore.

Secondo i Codici, il corpus di leggi ultimato nel 701 e ancora in vigore nel X° secolo, per mobilitare una banda di gente armata superiore a 20 individui era necessario un Editto Imperiale.

La faccenda doveva essere prima sottoposta al Consiglio di Stato, che creava una commissione deliberativa. La commissione studiava la situazione e sottometteva un rapporto al Consiglio. Dopo aver letto il rapporto e se non c’erano ulteriori questioni da ponderare, il Consiglio scriveva un Editto che veniva poi sottoposto al Figlio del Cielo (era rarissimo che il Figlio del Cielo non ratificasse subito le decisioni del Consiglio).

A questo punto l’affare passava al Ministero degli Affari Militari, che valutava l’investimento in armi, uomini e fondi, nonché quali unità impiegare e quando. Si trattava più di un preventivo che di un piano strategico vero e proprio.

Il rapporto dettagliato del Ministero veniva poi rigirato di nuovo al Consiglio di Stato, che doveva quindi decidere se agire e in che modo.

In altre parole, ci volevano mesi solo per decidere se lanciare una spedizione, quali mezzi impiegare e quali uomini incaricare delle operazioni. E questo presupponendo che i membri del Consiglio o del Ministero fossero inclini a darsi una mossa: come si evince dai vari diari degli alti dignitari di Heian, la burocrazia dell’epoca era ulteriormente rallentata da un fanatismo nevrotico per il protocollo e dall’assenteismo dilagante.

Sì, perché oltre a tutte le normali pastoie che un sistema burocratico porta con sé, la Corte di Heian era piagata anche da millemila dettami magico-religiosi.

E’ morto qualcuno nella tua famiglia o nei dintorni? Non puoi recarti alla cittadella perché sei impuro.

E’ l’anniversario della morte di un imperatore? Gli affari di stato sono sospesi per scaramanzia.

Non solo: certe direzioni erano considerate nefaste in certi giorni, sicché talora roba importante e urgente (come la nomina dei governatori delle provincie) era rallentata di giorni e settimane perché il Ministro della Destra non poteva andare verso l’ufficio, o perché il Ministro della Sinistra aveva un oroscopo deludente.

Insomma, una qualsiasi decisione del Governo centrale richiedeva tempo, tanto tempo.

Che fare quindi se, ad esempio, nello scorso mese hai perso ogni controllo su un terzo del Paese?

C’erano loopholes grazie a cui la Corte poteva muoversi con un pochettino più di celerità.

Intanto c’era una grande tolleranza per la regola dei “20 uomini”. Nella pratica, se smuovevi 100 uomini per uccidere un ribelle e garantire l’arrivo regolare delle carovane di tributi, eri pressoché impunito.

C’è anche il fatto che in questo periodo è ormai sviluppata la banda di guerra come unità tattica. Questo offre un’interessante zona grigia per quel che riguarda la regola dei 20 uomini. Se ad esempio io mobilito 15 dei miei gregari, sono all’interno della regola. Poi magari ognuno di quei gregari si porta dietro 3 fratelli, 6 cugini e 8 gregari armati. Ma quelli sono i loro uomini, no? E magari ognuno di quegli uomini è accompagnato da altri guerrieri a piedi o a cavallo, e via di questo passo.

Se però il lassismo non dovesse bastare, la Corte disponeva di Ordini di Persecuzione e Cattura, che davano via libera al ricevente di tale documento di mobilitare ogni mezzo disponibile per poter perseguire e catturare (o uccidere) la persona oggetto dell’Ordine stesso.

Chi viene investito di questo Ordine non solo può smuovere ogni mezzo a sua disposizione per eseguirlo, ma può anche esercitare punizioni e ricompense sugli uomini a lui sottoposti e può pretendere appoggio e rifornimenti da parte dei funzionari delle provincie specificate nell’Ordine.

Masakado aveva ricevuto un ordine del genere, ma i funzionari provinciali avevano fatto resistenza passiva e non avevano offerto alcun aiuto (anzi) nella caccia al gaglioffo Sadamori.

A questo giro l’Ordine viene conferito a Sadamori e a Fujiwara Hidesato.

Mentre quindi la Corte prende il tempo di mettere insieme un esercito ufficiale, nella provincia Hidesato riceve la benedizione imperiale per prendersela con Masakado.

Masakado che, pur avendo preso un terzo del paese in meno di niente, non ha avuto il tempo (né probabilmente l’intenzione) di unire i guerrieri locali sotto il proprio controllo o creare una struttura amministrativa alternativa. La propria fama di ottimo guerriero e capo benevolente è l’unica cosa che tiene insieme il suo esercito, composto da un’accozzaglia di bande eterogenee e spesso nemiche tra loro.

E’ il terzo anno dell’era Tengyō (940), la fine del primo mese, che per noi corrisponde agli inizi di marzo. Masakado ha dovuto congedare il grosso del suo esercito (è la stagione dei lavori agricoli) e si è ritirato in Shimōsa, dove si trovano le sue basi, con un migliaio di armati.

Appostati in Shimotsuke, Hidesato e Sadamori decidono di agire: radunano un esercito di 4000 uomini e partono contro il ribelle.

I cerchietti segnano la posizione delle capitali provinciali, ormai disertate dai funzionari salvo scribi, segretari e altri sbalterni

Come accennato a inizio articolo, gli eserciti non compaiono in giro a cazzo di cane, e il primo giorno del secondo mese Masakado viene avvertito che bande nemiche stanno marciando contro di lui. Masakado raduna i suoi e si dirige a sua volta verso Shimotsuke. L’avanguardia del suo esercito viene affidata a due dei suoi capibanda più importanti, tali Tsuneakira e Katsutaka.

Sono questi due matti a incocciare in Hidesato e Sadamori per primi. Dallo Shōmonki:

Qui Tsuneakaira, che si era guadagnato nomea di essere un uomo che da solo ne valeva mille, non deve far altro che osservare i nemici. Ora, senza informare il Nuovo Imperatore [Masakado, sulla diatriba riguardo al “nuovo imperatore”, vedere la settima puntata], avvicina la banda dell’ōryoshi Hidesato e l’attacca. Hidesato, che da lungo tempo ha esperienza della guerra, con facilità sconfigge e incalza l’esercito di Harumochi [Fujiwara Harumochi, alleato e generale in seconda di Masakado]. Il generale in seconda [Harumochi] e i soldati sono presi alla sprovvista dai tre guerrieri [Hidesato, Sadamori e Tamenori] e sono dispersi nella landa nelle quattro direzioni. Coloro che conoscono la via fuggono dritti come frecce scoccate. Coloro che non conoscono la via girano in tondo come ruote di carro. Solo pochi sopravvivono, molti sono quelli che muoiono.

E’ la prima sconfitta che Hidesato infligge a Masakado.

Perché Tsuneakira decide di attaccare senza prima chiedere al suo capo?

Ci sono molti fattori in gioco.

Tanto per cominciare Friday dice che probabilmente la superiorità numerica della gente di Hidesato rispetto all’avanguardia sotto Harumochi non era poi così schiacciante come lo Shōmonki vorrebbe farci credere. Dopotutto Masakado è all’apice del suo potere e, con tutto l’Ordine imperiale, Hidesato non ha ancora provato di essere all’altezza della situazione. Da come la faccenda è presentata nel Fusō ryakki, sembrerebbe in effetti che il grosso della truppaglia di Hidesato fosse composta da gente a piedi, mentre Tsuneakira era alla testa di arcieri pesanti a cavallo. Questo potrebbe avergli dato un’immeritata impressione di superiorità. Il che sarebbe ironico visto che il suo capo Masakado ottenne una delle sue più famose vittorie proprio con l’uso intelligente di arcieri a piedi contro gonzi a cavallo.

Un altro fattore è l’indipendenza di cui godevano i capibanda. Senza telefoni o radio, era impossibile chiedere il parere del capoccia per ogni decisione. La strategia generale e la tattica globale erano decise in anticipo, ma la guerra resta un affare imprevedibile e i capibanda dovevano poter prendere decisioni sul momento per evitare un disastro o sfruttare una ghiotta opportunità.

A difesa di Tsuneakira, se fosse riuscito subito a gettare scompiglio nella banda di Hidesato, avrebbe inflitto un danno di immagine gravissimo al partito lealista.

Purtroppo per lui, Hidesato non era una pera cotta come Sadamori, e il vecchio brigante riempie di legnate Tsuneakira, Harumochi e tutto il resto dell’avanguardia.

Quello che resta della gente di Harumochi ripiega precipitosamente, inseguita da Hidesato.

Verso le tre del pomeriggio, i fuggiaschi riescono a raggiungere il villaggio di Kawaguchi, dove si trova Masakado con il grosso dell’esercito ribelle.

Il più famoso guerriero del Bandō riveste le proprie armi e, sciabola in pugno, cavalca incontro a Hidesato alla testa dei propri uomini.

Il Nuovo Imperatore lancia un grido e tosto va, spada alla mano, si batte di persona. Sadamori leva gli occhi al cielo e dice:

“La banda privata è tale il fulmine sopra le nubi. I soldati del governo sono come gli insetti sul fondo della latrina. Eppure, se io non ho dalla mia parte la legge, il governo ha dalla sua parte il Cielo. I tremila soldati [ai nostri ordini] non saranno codardi, non diserteranno.”

L’esercito di Hidesato ha la superiorità numerica a questo punto, ma Masakado li prende a capocciate nei denti con furia inaspettata. La battaglia dura fino a notte, ed è solo ad altissimo prezzo che Hidesato riesce a prevalere. Al calar del buio, i ribelli si ritirano e i lealisti possono piantare il campo e leccarsi le ferite.

Tira una brutta aria. Quella che doveva essere una vittoria folgorante è stata strappata a stento. Masakado è in ritirata e in svantaggio, ma il suo onore resta intatto. Gli uomini sono stanchi e preoccupati e gli alleati che si sono uniti a Hidesato possono da un momento all’altro mollarlo e cambiar campo.

Hidesato non è felice della situazione. E’ un volpone e un buon tattico, ma non un mago, non può fare miracoli.

-Non preoccuparti.- fa Sadamori.-Sarò una pera cotta sul campo, ma ho un’arma che finora non mi ha mai deluso.

-E sarebbe?

-Le chiacchiere!

Così Sadamori riunisce gli astanti e li alletta con dolci parole [amaki], organizza i ranghi e raddoppia i loro numeri, e il tredicesimo giorno del secondo mese la potente banda giunge al confine di Shimōsa.

Mai sottovalutare il potere delle chiacchiere.

A me Sadamori sta sulle scatole (credo si sia inteso), ma resta un uomo assolutamente interessante. Non è un buon tattico, e nello Shōmonki non ci fa nemmeno una bella figura come essere umano, ma è un uomo intelligente. Non è un buon arciere, le sue armi sono le parole. Con la sola forza del proprio ingegno è riuscito a sopravvivere e restare in cresta in un mondo crudele fatto di violenza e sopraffazione. E’ riuscito a non farsi macinare né da suo cugino (un guerriero mille volte migliore di lui) né dall’indifferente e opportunista Corte di Heian. E ora, là dove l’astuzia e l’abilità bellica di Hidesato non bastano, l’arguzia e le capacità retoriche di Sadamori salvano la spedizione. E’ un momento degno del miglior Martin (vi ricordate quando Game of Thrones era ben scritto e ricco di dialoghi ben costruiti? Sì, lo rimpiango anche io).

Dal canto suo, Masakado decide di aspettare riposato un nemico stanco e costringe Hidesato e Sadamori a inseguirlo nel proprio territorio, mentre lui aspetta accampato sul lago Hiroe, nel distretto di Sashima. Ormai gli resta una banda di appena 400 fedeli. Harumochi e il Principe Okiyo, i suoi alleati più importanti, non compaiono nelle fonti a questo punto. Forse hanno preferito scappare.

E’ una brutta situazione per tutti in realtà: ogni giorno che passa le diserzioni dall’esercito di Masakado aumentano. Allo stesso tempo Sadamori e Hidesato non sono messi molto meglio: l’8 l’esercito ufficiale si è messo in marcia dalla Capitale. Il generale Tadabumi ha ordine di reclutare uomini in diverse provincie. Se Hidesato e Sadamori si fanno sorprendere da Tadabumi, saranno costretti a cedergli i propri uomini e la propria fetta di merito. Non solo: con ogni giorno che passa il rischio di diserzioni aumenta anche per loro! I loro alleati o sottoposti possono decidere di tornare a casa ai loro campi, o unirsi direttamente all’esercito di Tadabumi.

Hidesato ha scommesso tanto sulla testa di Masakado, se Tadabumi gli soffia la gloria non avrà di che ricompensare i propri uomini e la sua carriera di capo guerriero sarà conclusa in un gran mucchio di niente.

Il nostro ha bisogno di provocare uno scontro. Cerca di attirare Masakado in campo aperto appiccando fuoco alle sue residenze.

Funziona: Masakado decide di rischiare il tutto per tutto sulle pendici del monte Kita, nel distretto di Sashima.

In alto a sinistra, il Monte Kita

Il 14 del secondo mese del terzo anno dell’era Tengyō (aprile 940), alle tre del pomeriggio, Masakado viene raggiunto da Hidesato e Sadamori.

E’ piovuto poco, la terra è arida. Il vento soffia forte sulle pendici dell’altura, trascina nugoli di polvere smossa dagli zoccoli dei cavalli, dai sandali dei guerrieri a piedi. Masakado ha scelto di piazzarsi spalle al vento per dare un vantaggio ai propri arcieri, come nella prima battaglia dei Disordini, l’agguato di Nomoto.

Fa piazzare i mantelletti per riparare le sue linee, ma le folate glieli scuotono. Alcuni vengono rovesciati dalla bufera. A sud, gli uomini di Hidesato lottano per piazzare i loro, ma il vento e la polvere rendono l’impresa difficile. L’esercito lealista decide di non accanirsi sulle difese e avanzare verso i ribelli. Dopotutto i nemici sono in terribile svantaggio numerico, cosa può andare storto?

Fedele alla tradizione di pessime scelte tattiche, Sadamori, al comando del corpo centrale, tenta una manovra furba cambiando l’angolo di attacco. Questo crea disordine nella formazione, e Masakado ne approfitta.

Carica a capofitto nel cuore dell’esercito nemico, taglia attraverso la truppa di Sadamori come una palla di cannone. Sadamori cerca di difendersi, ma le sue frecce sono deviate dal vento. 80 dei suoi guerrieri di spicco mordono la polvere in pochissimo tempo, ridotti a puntaspilli dalla banda ribelle. Gli alleati, i soldati provinciali, gli amici del bel tempo e gli avventurieri sono presi dal panico. Davanti alla carica furibonda del più celebre guerriero del Bandō, quasi tremila guerrieri rompono in una fuga a rotta di collo. L’esercito di Sadamori e Hidesato si disintegra.

Hidesato, Sadamori e Tamenori battono in ritirata. Delle migliaia di uomini che si erano uniti a loro dietro lo stendardo imperiale, ne restano solo 300. Il vantaggio numerico è andato, il morale è annientato, Masakado è alle loro calcagna ed ha vinto di nuovo.

Ma in guerra tutto l’ingegno e il valore non valgono quanto una buona botta di culo.

I tre compari raggiungono una posizione dove il vento gira. Ora è Masakado a trovarsi col vento contrario. Hidesato coglie immediatamente l’occasione, l’ultima, e dà battaglia.

La collera del Cielo […] coglie [Masakado] […]. Il Nuovo Imperatore è colpito da una freccia guidata dal Cielo, tale Chiyō che solo crollò al suolo combattendo sul campo di Zhoulu. [Chiyō è un eroe mitico cinese, capo delle Nove Tribù Li, morì combattendo contro Huangdi, l’Imperatore Giallo, nel 2500 a.C., NdTenger].

Una freccia.

Una freccia fortunata che prende il capo nemico in faccia e lo stende secco sul campo di battaglia.

Quando il corpo di Masakado schianta nella polvere, i suoi sono presi dal panico e dalla disperazione, e fuggono. Sul colle polveroso restano poche centinaia di lealisti stremati e il cadavere del più celebre guerriero orientale.

La Storia non si fa coi se e coi ma, e qualsiasi what if è pura speculazione e fantasia. Tuttavia è indubbio che Masakado era a un soffio dal vincere anche quella battaglia, e uno non può che pensare: cosa sarebbe successo in quel caso?

Forse sarebbe riuscito finalmente a uccidere Sadamori, forse no. Di certo Hidesato e Sadamori non sarebbero riusciti a rimettere insieme una banda armata degna di questo nome. Che avrebbe fatto allora Tadabumi, il generale inviato dalla Corte?

Si sarebbe impantanato in una serie di operazioni militari o avrebbe cercato un compromesso?

Per averlo studiato, posso dire con relativa sicurezza che, a mio modesto parere, Masakado non aveva alcuna intenzione di creare un regno indipendente. Masakado, per quel che ho potuto capire, voleva costringere la Corte a reintegrarlo nella società. Voleva essere lasciato in pace coi suoi cavalli, i suoi gregari e la sua famiglia.

Forse avrebbe trattato con Tadabumi, forse no. Quel che è certo è che la Storia avrebbe avuto un decorso molto diverso se Masakado avesse vinto.

E’ impressionante pensare che, in quell’istante, il futuro dell’Impero fosse legato a una sola freccia, a un solo tiro di un solo arciere.

Quale arciere?

Non lo sapremo mai.

La testa del Nuovo Imperatore fu spedita alla Capitale il 25 del quarto mese (probabilmente conservata nel sale). 197 alleati di Masakado morirono sulle pendici del Monte Kita. I vincitori recuperarono dal campo di battaglia 300 mantelletti, 199 faretre, 51 sciabole e dei “documenti di tradimento” di misteriosa natura.

La testa di Masakado esposta alla folla

Nel decreto di Persecuzione e Cattura contro Masakado l’Imperatore aveva offerto l’immunità ai ribelli che si sarebbero arresi senza combattere, e in diversi lo fecero. Quanto ai capi della rivolta (Harumochi, il principe Okiyo, i fratelli di Masakado), furono uccisi alla spicciolata nei mesi che seguirono.

E’ la fine della rivolta, è il tempo dei castighi e delle ricompense.

I tre a ricevere maggiore beneficio furono Fujiwara Hidesato, Taira Sadamori e Minamoto Tsunemoto (il primo a dare l’allarme sulla ribellione).

Minamoto Tsunemoto fu promosso al quinto rango inferiore minore, entrando così a far parte della chiusissima casta dell’alta aristocrazia. Fu nominato keigoshi (ufficiale di persecuzione e cattura nelle regioni occidentali) e poi aggiunto minore del Governo Militare di Kyūshū. Poco tempo dopo, fu uno degli ufficiali che servirono sotto Ono no Yoshifuru nella repressione della rivolta del pirata Sumitomo. Fu lui a inaugurare una tradizione militare che doveva contraddistinguere la famiglia: Tsunemoto è l’antenato dei Seiwa-Genji, il ramo principale coinvolto nella Guerra di Genpei e che produsse il primo grande shōgun Minamoto Yoritomo.

Taira Sadamori era stato quello che più aveva sofferto della guerra. Suo padre era stato ucciso, sua moglie brutalizzata, le sue basi messe a ferro e fuoco, i suoi contadini sterminati, i suoi gregari decimati. Come compensazione ricevette il quinto rango superiore maggiore e fu nominato vicedirettore dell’Ufficio dei Cavalli. Qualche anno dopo fu nominato chinjufu shōgun nell’Est e, in vecchiaia, governatore di Tanba e Mutsu. Da lui discendono due lignaggi illustri:

  • gli Hōjō, tra cui Hōjō Masako, moglie di Yoritomo e una delle personalità politiche più importanti della Storia del Giappone

  • i Taira di Ise, ovvero il ramo di Taira no Kiyomori in persona, il Religioso Ministro che portò per la prima volta i guerrieri all’apice della gerarchia di Corte.

Ad ultimo, Fujiwara Hidesato è quello che raccolse i premi più gustosi, un po’ perché si era dimostrato il guerriero migliore e un po’ perché era un delinquente pericoloso ed era bene tenerselo buono. Il nostro fu elevato da bandito dell’est a niente meno che quarto rango di corte, con allegato un bel pacchetto di terre “ereditabili per sempre”. Divenne poi governatore di Shimōsa. La sua stirpe di pendagli da forca rimase radicata nel Bandō, e a sua volta risalta fuori nella Guerra di Genpei.

In altre parole, ritroviamo nei Disordini di Jōhei e Tengyō non solo il primo grande esempio di ribellione orientale, ma le origini dei 2 lignaggi guerrieri più importanti della Storia Giapponese. La Guerra di Genpei, su cui abbiamo una serie ongoing, fu una rivoluzione, un cambiamento epocale che trasformò profondamente e per sempre il Giappone, la sua cultura, la sua Storia, la sua struttura più profonda. La Guerra di Genpei è ciò che catapulta il Paese sotto il “Governo della tenda” dopo sei secoli continui di dominio incontrastato dell’aristocrazia civile.

E questo evento epocale ha origine sulle pendici del Monte Kita, sulle sponde del lago Hiroe, sulle rive del Mare Katori. La Rivolta di Masakado è la fornace in cui i Taira e i Minamoto furono forgiati.

Epilogo: l’immortalità dei perdenti

Forse l’eredità più duratura fu lasciata da Masakado stesso.

Dopo che la sua testa arrivò alla Capitale Heian (odierna Kyoto) fu esposta (primo caso documentato di esposizione di teste, a chiosa).

Stando a una leggenda, gli abitanti del quartiere furono colpiti da una serie di terribili sventure, presto attribuite allo spettro irato di Masakado. Per cercare di calmarlo, il ribelle fu elevato a divinità col nome di Kanda Myōjin. Kūya stesso, un celebre monaco del X° secolo, avrebbe eretto una stele a memoria del guerriero sconfitto. La nicchia in questione è ancora visibile.

Secondo un’altra leggenda narrata nel Zen-Taiheiki, la testa era stata appesa ai rami di un albero a un incrocio di Kyoto. I giorni passavano, ma la testa non si decomponeva: lo spirito irato del guerriero non poteva abbandonarla. I suoi occhi erano aperti, i suoi denti digrignati, e la notte la si poteva sentir ringhiare: “dove sono le mie membra, dov’è il mio corpo? Che mi raggiungano, per continuare a combattere!”

Un giorno la testa si scosse dall’albero e volò verso i resti del proprio corpo, abbandonato nell’Est, schiantandosi sul bordo di una risaia nel villaggio orientale di Shibazaki, che è oggi il quartiere di Ōtemachi in Tokyo. Terrorizzati, gli abitanti del luogo gli costruirono un cenotafio e fecero di Masakado il loro nuovo “dio delle risaie” (Kanda Myōjin).

Nel 1307 il monaco Shinkei avrebbe costruito un tumulo per la testa di Masakado, per proteggere gli abitanti della zona dalla vendetta dello spettro.

Masakado/Kanda continuò a essere trattato con riguardo, tanto che nel 1603 Tokugawa Ieyasu in persona fece spostare il santuario presso al castello di Edo per ottenere la protezione del terribile spettro. Ieyasu era un uomo di rara intelligenza e si guardò dal toccare il tumulo della testa, che restò ad Ōtemachi.

Nel 1923 degli archeologi ritrovarono il tumulo, con al suo interno una camera funeraria vuota.

Stiamo parlando del Giappone Moderno, il Giappone Potenza Mondiale, libero da superstizioni e arcaismi ridicoli. Il primo ministro dell’epoca autorizzò la distruzione del tumulo: al suo posto sorse il Ministero delle Finanze.

Nei due anni che seguirono il ministro delle finanze e 14 impiegati morirono di subitanee e strane malattie o in incidenti bizzarri. Decine di altri impiegati finirono feriti o si ammalarono.

Lo spettro di Masakado era tornato.

Guerrieri combattono contro Masakado e il suo esercito di spettri, dal pennello di Yoshikazu (attivo tra il 1850 e il 1870)

In realtà il tumulo distrutto era una tomba del 7° secolo che nulla aveva a che fare col noto guerriero, ma non ha importanza, perché la leggenda del Nuovo Imperatore era riaffiorata nella memoria degli abitanti di Tokyo.

I fantasmi non sono cose che esistono a prescindere, sono creati dai vivi. La cosa bella dei fantasmi è che, una volta che i vivi li hanno evocati, esistono. No, non ci sono anime con le catene che vanno in giro. Ma c’è il pensiero fisso, il timore, l’ossessione paranoica, il senso di colpa e vulnerabilità che avvelenano ogni ora della giornata. Di fatto, l’effetto degli spettri è reale, ed era molto reale per gli impiegati del ministero delle finanze di Tokyo.

La situazione divenne talmente drammatica che il governo decise di trasferire il ministero nel 1927, ricostruire il tumulo e fare una grande cerimonia per calmare lo spirito.

Sì, sul serio.

Nel 1927.

E non è finita.

Nel 1940 una folgore colpì il nuovo ministero delle finanze, bruciando quello e altri 9 ministeri adiacenti.

1940, ovvero 1000 anni esatti dalla morte di Masakado.

A quanto pare il Nuovo Imperatore non era ancora contento. Una nuova cerimonia fu eseguita per cercare di calmarlo, ma Masakado non è un uomo, Masakado è lo spettro che si annida nella cuore di un Paese in guerra.

Nel 1945 Tokyo fu bombardata, ma il tumulo di Masakado rimase intatto, un monumento beffardo ritto nelle rovine fumanti dell’Impero del Giappone.

Gli americani si installarono nel quartiere e decisero di spianare tutto per farci un bel parcheggio.

Di certo uno spettro del lontano passato giapponese non può tener testa al moderno bulldozer di un calvinista occidentale, giusto?

Sbagliato.

Il bulldozer urtò il tumulo e si rovesciò, uccidendo il conducente sul colpo.

Pensa te l’ironia: sei sopravvissuto alla guerra, sei nell’esercito d’occupazione di un paese che odi, e proprio quando stai per goderti un po’ di sana demolizione vieni assassinato dal fantasma di un guerriero morto più di mille anni prima.

I residenti spiegarono della leggenda e della maledizione di Masakado agli americani, che decisero che erano tutte cazzate superstiziose ma che ad ogni buon conto non valeva la pena verificare. Il monumento è sempre lì.

I’M STILL HERE BITCHES!

Sono andata a trovare Masakado due volte durante il mio soggiorno a Tokyo, con un mazzo di fiori. Entrambe le volte ho dovuto aspettare il mio turno, perché la fila dei fedeli con offerte è sempre lì.

Tutto intorno si costruisce, ma la stele non sarà toccata: è un cubo alberato nel mezzo dei cantieri

Tutto attorno sorgono grattacieli di grandi firme, e i loro impiegati sono tenuti a presentare doni a Masakado ogni tanto, per evitare di attirare la vendetta dello spettro sull’azienda. Chi non lo fa rischia di essere additato o mutato in capro espiatorio se gli affari vanno male. Quindi, in modo tipicamente giapponese, nessuno ammette di crederci davvero, ma tutti continuano a tenersi buono l’iroso guerriero che non si sa mai.

Trovarmi davanti al suo cenotafio mi ha fatto un grande effetto.

Ho studiato a lungo la vita di Masakado, al punto che ho quasi l’impressione di conoscerlo. Negli anni dei miei studi mi sono trovata davanti a ostacoli molto tosti. Poter portare dei fuori al monumento del ribelle è stato un traguardo.

Mi dispiace che sia morto in quel modo. I personaggi storici sono sempre così lontani per noi che talvolta ci appaiono come personaggi inventati, protagonisti di favole. Ma erano esseri umani, volevano bene e odiavano, temevano e speravano, prevaricavano e cercavano di sopravvivere.

Se solo Masakado potesse vedere, dopo mille anni e più, la fila di gente che continua a rendergli omaggio…

Chissà se questo lo avrebbe consolato. Non posso saperlo perché alla fine è impossibile conoscere davvero i morti (o i vivi, se è per questo).

Ma mi fa piacere aver visitato il monumento, e mi fa piacere vedere i grandi capitalisti che continuano a portare doni a Taira Masakado, il Nuovo Imperatore, la cui memoria continua a infestare la vita dei vivi con molto più vigore della memoria di mille imperatori legittimi prima e dopo di lui.

E’ ironico e un po’ tragico: un uomo che voleva solo vivere in pace è diventato un Immortale suo malgrado.

MUSICA!


Puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata

Ottava puntata


Approfondimenti

Il pirata Sumitomo

Breve storia del sistema militare giapponese, dalle origini a Masakado

La banda di guerra


Bibliografia

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira,Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

FUJIWARA Tadahira, Teishin kōki (Notes journalières de l’ère Teishin), Iwanami shōten, Tōkyō, 1956

KAWAJIRI Akio, Shōmonki wo yomu (Lire le Shōmonki), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2009

KAWAJIRI Akio, Taira Masakado no ran (La révolte de Taira Masakado), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2007

KAWAJIRI Akio, Yuregoku kizoku shakai (Une société aristocratique tremblante), Shōgakukan, Tōkyō, 2008; L’ère des zuryō

KITAYAMA Shigeo, Ōchi seiji shiron (Essai historique sur la politique de la Cour), Iwanami shōten, Tōkyō, 1970

In lingua occidentale

HERAIL Francine, La Cour et l’administration du Japon à l’époque de Heian, Genève, DROZ, 2006

HERAIL Francine, La Cour du Japon à l’époque de Heian, Hacette, Paris, 1995

HERAIL Francine, Gouverneurs de provinces et guerriers dans Les Histoire qui sont maintenant du passé, Institut des Hautes Etudes Japonaises, Paris, 2004

HERAIL, Francine, Aide-mémoire pour servir à l’étude de l’Histoire du Japon des origines à 1854, lieu de publication inconnu, date de publication inconnue

HALL John Whitney , Government and Local Power in Japan, 500 to 1700, Center for Japanese Studies Univesity of Michigan, 1999,

RABINOVITCH Judith N., Shōmonki, The story of Masakado’s Rebellion, Tōkyō, Monumenta Nipponica, Sophia University, 1986

PIGGOT Joan R., YOSHIDA Sanae, Teishin kōki, what did a Heian Regent do?, East Asia Program, Cornell University, Itacha, New York, 2008

FRIDAY Karl, Hired swords, Stanford University press, Stanford, 1992

FRIDAY Karl, The first samurai, John Wiley & Sons, Hoboken, 2008

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, New York, 2004

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, Cambridge

BRYANT Anthony et MCBRIDE Angus, Early samurai, AD200-1500, n.35, Osprey publishing, Oxford, 1991

PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

FAURE Eric, Histoires japonaises de moines, de maîtres du Yin-Yang et de guerriers, L’Harmattan, Paris, 2003

Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (3.1) – Il Nuovo Imperatore

Questo blog, come avrete certo notato, è gestito col rigore e la puntualità di un bordello ambulante durante la Guerra dei Trent’Anni. Quindi tra recriminazioni su film e appassionanti diatribe sulla forma dei buchi del naso nelle statue di Bodhisattva, ci sono un paio di serie che stagnano da mesi e mesi.

Una di questa è la disgraziata vicenda di Taira Masakado, che mi accingo a resuscitare dal passato perché prendere a calci i cavalli morti è il passatempo preferito qui alla Fortezza.

Risultati immagini per kicking dead horse meme

Nella puntata precedente abbiamo parlato di come Masakado, dopo l’ennesimo tradimento da parte della Corte, abbia deciso di cambiare le regole del gioco: intervenendo in favore di un gregario, il nostro ha espugnato la capitale provinciale di Hitachi e preso prigioniero il vicegovernatore e il disgraziato messo imperiale che si trovava nei paraggi.

Ora Masakado ha ufficialmente superato il limite da faida privata a rivolta contro lo Stato.

Un atto del genere di solito comporta una totale perdita di ogni diritto e protezione: una volta che sei stato dichiarato ribelle, chiunque ha il diritto di ucciderti e può aspettarsi una lauta ricompensa in cambio.

Ciò funziona soprattutto se l’autorità della Corte è riconosciuta come legittima e affidabile.

Purtroppo la Corte sta avendo qualche problemino da questo punto di vista, mentre Masakado è all’apice della propria popolarità. Masakado è il prototipo di quello che, in un’ottica feudale, è il buon signore.

E’ un guerriero di fegato che non chiede ad altri cose che non sia disposto a intraprendere in prima persona.

E’ un uomo temperante e ragionevole, che non ama gli spargimenti di sangue fine a se stessi e che non rischia la vita dei propri uomini alla leggera.

E’ un buon tattico, capace di rovesciare situazioni disperate.

E’ un buon patrono, qualcuno pronto a muovere il Mondo per proteggere i propri gregari, qualcuno che non svende i suoi per un vantaggio politico.

Masakado è anche un lontano discendente dell’Imperatore Kanmu e amico personale del principe imperiale Okiyo.

Masakado è riuscito a vincere contro nemici più numerosi e potenti di lui.

Insomma, Masakado riunisce in sé il fascino tradizionale del condottiero di ascendenza nobile con l’aura romantica dell’eroe perseguitato, il buonsenso del buon amministratore con la foga e il genio tattico del prode guerriero.

https://i0.wp.com/rekishi-memo.net/img/tairanomasakado_ran_bushi_01b.jpg

Masakado era anche molto liberale nella distribuzione di mazzate sui denti
Utagawa Kunisada (1786-1865)

Per molti notabili dell’Est, Masakado è un colpaccio di marketing come pochi se ne sono visti prima!

Dal canto suo, Masakado sa di non poter davvero far la guerra all’Impero intero. E da parte loro, gli imperiali non possono tollerare di lasciare impunito qualcuno che una bella mattina piglia e rade al suolo un intero complesso provinciale.

Lo scontro è inevitabile.

Masakado opta quindi per una nuova strategia: prendersi il resto del Bandō.

Ci sono varie teorie su quale fosse il vero scopo di Masakado in quest’avventura, ma ci ritorneremo con calma.

Immagine correlata

La pianificazione è tutto

E’ il 940, Masakado ha preso Hitachi e ci ha lasciato dei funzionari subalterni con l’ordine di mandare avanti l’ordinaria amministrazione e non fare i furbi.

Meno di un mese dopo i fatti di Hitachi, Masakado marcia verso la capitale provinciale di Shimotsuke. Il suo esercito sta crescendo: capibanda accorrono dai quattro angoli del Bandō, pronti a combattere per il nuovo eroe, erodendo i già traballanti eserciti provinciali.

Il governatore provinciale di Shimotsuke non prova nemmeno a resistere: aspetta Masakado senza tirare in ballo manco un soldato e subito gli consegna i sigilli provinciali, le chiavi dei magazzini, i registri ufficiali e la password per Netflix.

Masakado ringrazia e gli offre una scorta per tronarsene alla Capitale da bravo bambino. Quanto ai gregari del governatore, non restano per vedere se Masakado avrà per loro la stessa cortesia: raccattano le famiglie e fuggono.

Perché la guerra è guerra, e dopo un ribaltone seguono sempre purghe e vendette.

Promemoria

L’autore dello Shōmonki, sempre molto sensibile alla sofferenza della popolazione civile, non racconta di roghi e stupri a questo giro. Si accenna a dei disordini, ma la presa di Shimotsuke pare molto meno cruenta di quella di Hitachi.

Ad ogni modo il nuovo esercito ribelle non ha freni, spinge avanti e un paio di settimane dopo è davanti alla capitale provinciale di Kōzuke, che cade senza combattere esattamente come Shimotsuke.

E’ una guerra lampo senza precedenti. Le istituzioni si sgretolano come castelli di sabbia davanti all’ondata di marea di Masakado e dei suoi.

Questa velocità fulminante non deve però far credere che la rivolta armata faccia l’unanimità dei consensi: Masakado ha tani nemici. Stabilire un solido controllo sul territorio il prima possibile è vitale per impedire ogni possibile contro-insurrezione.

Masakado se ne rende conto, e prima di continuare nella provincia successiva, s’installa negli uffici di Kōzuke e nomina dei funzionari che possano riempire la nicchia ecologica lasciata dagli imperiali.

Molti di quelli al seguito di Masakado erano guerrieri della classe dei magistrati di distretto: piccola aristocrazia locale tagliata fuori da una buona carriera nell’amministrazione. Hanno preso dei grossi rischi per star dietro a Masakado, e Masakado deve dar loro qualcosa in cambio.

E ciò che qualcuno di quella classe vuole è una funzione.

Prestigio, potere e una rendita, una via di fuga da una posizione mediocre e subalterna da cui non c’è scampo. Una funzione è un premio ambito.

Concedendola, Masakado non solo rinforza il proprio controllo sulle regioni, ma rinforza il legame che ha creato coi capi ribelli.

Mentre i nostri sono riuniti a discutere di ciò, una donna si presenta alla capitale provinciale.

E’ una profetessa, ed è venuta a portare un messaggio del Gran Bodhisattva Hachiman.

Profetessa profetizzante

Nello Shōmonki non si dice da quale santuario viene la donna. Se davvero il fatto è accaduto, la signorina doveva essere una aruki-miko, una sacerdotessa itinerante. Si trattava di donne nomadi che si guadagnavano da vivere eseguendo riti, divinazione o, all’occasione, prostituendosi.

Le donne-sciamane sono un pilastro della società giapponese dalla notte dei tempi: come accennato in passato, la prima volta che una fonte storica nomina il regno di Wa, questo è sotto il controllo di una regina-sciamana.

Nel milieu dei guerrieri queste donne erano particolarmente importanti e i loro servigi molto ricercati. Non è difficile capire perché: la via dell’arco e della freccia è una via brutale e crudele, divinazione e preghiera sono un conforto necessario per molti.

Ad ogni modo la nostra ha un messaggio dalla parte di Hachiman-daibosatsu:

Io [chin, 朕, pronome personale che solo l’Imperatore ha diritto di usare, NdTenger] conferisco la dignità imperiale a mio figlio [onshi, 蔭子, “mio figlio”, termine usato solo dai dignitari superiori al quinto rango, NdTenger] Taira Masakado. Il certificato di rango [iki, 位記] è stato redatto dallo spettro Ministro della Sinistra di secondo rango maggiore, Sugawara Ason. Il Bodhisattva Hachiman detiene gli ottantamila eserciti. Conferisco così la dignità imperiale. Subito siano suonati i trentadue brani e che ciò sia rapidamente messo in opera.

C’è tanto da spacchettare in questo brano.

La miko usa a tratti il linguaggio riservato all’altissima aristocrazia e all’Imperatore.

In secondo luogo, lo spirito fa riferimento a un “certificato di rango”. Si tratta qui dei documenti rilasciati agli aristocratici per attestare della loro posizione. Tuttavia questo tipo di documento non si applicava all’Imperatore, che era Pronipote Divino e non certificava proprio niente.

Yanase interpreta questi elementi come un indizio che il fatto non sia davvero avvenuto. Rabinovitch si spinge ancora più avanti suggerendo che si tratti magari di un’aggiunta volutamente satirica.

Un’altra possibilità è che il fatto sia capitato davvero, e che sia stato orchestrato da Masakado o dal suo compare Okiyo.

Pensateci: Masakado è in disperato bisogno di legittimità (come ogni nuovo capo). E’ discendente di Kanmu, ma basterà?

Ed ecco che arriva una profetessa. Una profetessa di provincia che si rivolge a gente di provincia. Magari ha sentito parlare degli alti aristocratici, ha sentito nominare i diplomi di rango, ma non è abbastanza addentro alla cultura di Corte da sapere che non esiste un diploma di rango per l’Imperatore.

C’è però dell’altro: un chiaro riferimento a Sugawara Michizane.

Nel 901 Sugawara Michizane era Ministro della Destra (la terza carica più importante della Corte), in un’epoca in cui solo i Fujiwara facevano grandi carriere. Michizane non era membro della famiglia, ma era un brillante letterato e un amico personale dell’Imperatore Daigo.

La cricca Fujiwara non può però tollerare la sua presenza, e in un complotto infame anche per gli standard dell’epoca, riescono a far esiliare Michizane a Kyūshū, dove morirà un paio d’anni dopo.

Questa storia è così straordinaria che merita un articolo a sé: basti sapere che la macchia di questa lurida congiura non andò mai via e rovinò la vita di molti membri del clan Fujiwara (e non solo). Lo spettro vendicatore di Michizane fu uno dei più pericolosi, crudeli e duraturi fantasmi della Storia Giapponese.

https://data.ukiyo-e.org/japancoll/images/p875-gekko-the-god-of-calligraphy--sugawara-no-michizane-9265.jpg

Michizane scaglia accidenti dalla cima di una collina
Ogata Gekkō (1859-1920)

Il fatto che Michizane, il terribile spettro nemico dell’Impero, compaia in questo brano, potrebbe indicare che si tratta non tanto di un fatto reale, ma di un artificio letterario, un accenno a ciò che il futuro ha in serbo per Masakado e i ribelli della sua risma.

Allo stesso tempo, sapete chi era funzionario in Hitachi durante le prime fasi della faida tra Masakado e i suoi parenti?

Sugawara Kanemochi, il figlio di Michizane.

Il mondo è piccolo alle volte, eh?

La carriera di Kanemochi era stata annientata dalla caduta di suo padre e, invece di diventare membro del Governo Centrale, il nostro era stato spedito a fare il funzionario di mezza tacca nel selvaggio Bandō. Kawajiri nota che Kanemochi arrivò in Hitachi quando ancora aveva la ventina. E’ probabile che, esiliato e senza amici, abbia stretto legami con la famiglia Fujiwara locale (quella di Haruaki, per cui Masakado ha marciato in Hitachi l’undicesimo mese del 940).

Secondo Kawajiri non è da escludere che l’autore dello Shōmonki abbia voluto qui puntare allusivamente il dito a Kanemochi, magari suggerendo che il nobile decaduto era il secondo complice di Masakado (il primo era il principe Okiyo).

Sarebbe un altro elemento a favore della teoria per cui l’episodio della veggente non è che un brano romanzato, frutto del pennello dell’autore.

Firday nota anche che il culto di Hachiman (protettore del lignaggio imperiale) non era ancora diffuso nell’Est ed era più una roba da gente della Capitale. Se davvero la messinscena ha avuto luogo, perché scegliere il nome di una divinità a stento conosciuta dal tuo pubblico?

Le stranezze narrate dallo Shōmonki non si fermano con l’ipotetica profetessa. Stando alla fonte, dopo l’oracolo la banda di Masakado avrebbe creato per lui il titolo di shinnō, “Nuovo Imperatore”.

Fermiamoci qui un momento.

Da quando lo Stato di Yamato comincia a strutturarsi nessuno, e ripeto nessuno, ha mai cercato di soppiantare l’Imperatore.

Mai.

La gente ha congiurato per scegliere il Principe di Sangue, ha deposto sovrani, ha fomentato liti di successione (tra le cause remote della Guerra di Genpei c’è una disputa di questo genere), Imperatori sono stati assassinati, o imprigionati, o presi in ostaggio.

Più tardi, l’istituzione shogunale ha usurpato il potere secolare degli Imperatori (lasciandogli quello spirituale e la legittimità ultima).

Ma nessuno, mai, ha cercato di soppiantare la Casa Imperiale.

Non importa se credi davvero che l’Imperatore sia divino o no, la Casa Imperiale deve restare.

Una delle ragioni di ciò è che essere Imperatore è una grandissima e cosmica rottura di coglioni. Come dio vivente, il sovrano ha una vita strettamente regolata da rituali e cerimonie (che includono, talvolta, starsene seduto digiuno e immobile per 12 ore, o altre robe buffe così).

In secondo luogo tutti avevano più o meno chiaro che, senza una Casa Imperiale come fonte di legittimità condivisa, il Paese sarebbe scoppiato in una guerra civile totale. Era nell’interesse di tutti mantenere un certo grado di ordine.

Diventare ministro o reggente è quindi molto più interessante, in quanto dà accesso al potere effettivo senza tirarsi dietro tutti il fardello religioso e senza distruggere il delicato equilibrio che teneva iniseme la società giapponese.

Se questa storia dello shinnō fosse vera, Masakado sarebbe l’unico esempio di usurpatore imperiale nella lunga storia di rivolte e rivoluzioni che hanno falcidiato il Giappone.

E’ la ragione per cui condivido la posizione della maggioranza degli storici nel dire che, probabilmente, ‘sta storia del Nuovo Imperatore è una bufalata a reazione.

https://i0.wp.com/aikido.dojodubrochet.be/files/2010/06/Kwaidan111.jpg

Un esempio di quanto faccia schifo la vita da Imperatore: Antoku, qui in braccio a sua nonna. Ma di lui parleremo nella serie su Genpei.

E’ possibile che questa storia sia pura e semplice propaganda della Corte. Dopotutto la Corte ha deciso di trattare con quel macellaio di Sumitomo e di combattere contro Masakado, un uomo che fino a poco prima era rimasto nei limiti della legge e aveva dato prova a più riprese di estrema buona volontà.

Come giustificare una scelta del genere se non argomentando che Masakado è in qualche modo peggio di Sumitomo? E visto che sono ribelli tutti e due, cosa c’è di peggio di un ribelle? Un ribelle blasfemo.

E’ anche possibile che si tratti di un caso di projection: Masakado inizia a mangiarsi territorio e ad ammassare eserciti nella regione del Bandō.

Sapete chi l’aveva fatto prima di lui?

L’imperatore Tenmu, quando ancora si chiamava Ōama ed era stato tagliato fuori dall’eredità imperiale. Tenmu fu uno dei più grandi imperatori della Storia. Non è da escludere che la rivolta di Masakado abbia destato reconditi ricordi nella testolona dei nobili della Capitale.

Infine può anche darsi che “nuovo imperatore” fosse un soprannome, un nomignolo affibbiato per scherzo o per adulazione dagli uomini di Masakado. Dopotutto il nostro non sarebbe il primo capo militare autocratico a dotarsi di un nomignolo (Attila, Piccolo Padre, gli esempi abbondano).

E’ un film più storicamente accurato di Vikings

Mentre è in Kōzuke, Masakado prende anche l’occasione di scrivere una lettera al suo ex-patrono, il Ministro degli Affari Supremi Fujiwara Tadahira (anche se alcuni ritengono che il messaggio sia per il figlio di Tadahira, Morouji).

La lettera è riportata per intero nello Shōmonki.

C’è molta discussione sulla veridicità di questo documento, ma, riassumendo l’annosa diatriba, è molto probabile che sia autentico.

Se lo è, si tratta dell’unico documento in cui Masakado ci parla. L’unica traccia sopravvissuta della sua “versione dei fatti”.

Oso rivolgermi a Voi.

Sono ormai molti anni che non posso valermi del Vostro consiglio. Desidero incontrarvi, ho urgenza di parlarvi. Ve ne sarò molto grato se vorrete accordarmi la vostra considerazione.

Anni fa fui convocato a seguito di una lettera di denuncia di Minamoto Mamoru e i suoi [acerrimi nemici di Masakado, sono loro a scatenare la prima ondata di ostilità, NdTenger]. Timoroso di questa convocazione, mi recai tosto alla Capitale, e appena arrivato ricevetti degli ordini e mi dissero:

“Masakado, hai già ricevuto molte benedizioni. Pertanto, abbiamo deciso di lasciarti tornare a casa.”

Sono tornato al mio villaggio natio senza por tempo in mezzo. In seguito, scordati i lontani fatti di guerra, ho tolto la corda al mio arco e ho vissuto in pace.

Tuttavia il vecchio vicegovernatore di Shimōsa, Taira no Yoshikane, mise insieme diverse migliaia di uomini e decise di attaccarmi. Non potendo voltar le spalle e fuggire, mi sono difeso. A causa di Yoshikane moltissime persone furono uccise, ferite o catturate. Ciò è stato riportato in dettaglio dalla lettera inviata all’amministrazione centrale dal governatore di Shimōsa.

La Corte inviò dunque alle diverse provincie l’ordine di perseguire Yoshikane e i suoi, ma finì lì. Nel frattempo arrivò un messaggero che mi comunicò che ero stato convocato di nuovo. Ciò mi riempì di inquietudine, e alla fine non andai alla Capitale. Spiegai in dettaglio la situazione all’inviato imperiale Anaho no Tomoyuki e la cosa morì lì.

Non stavamo ricevendo nessuna nuova dalla Capitale e io ero affranto e inquieto, quando, quest’estate, Taira no Sadamori in persona arrivò in Hitachi portando con sé un ordine imperiale dove venivo convocato. In seguito, i diversi governi provinciali mi mandarono le loro deposizioni ufficiali. Il suddetto Sadamori era sfuggito alla cattura e, senza farsi scovare, era tornato alla Capitale.

Vista la situazione, il Governo avrebbe dovuto arrestarlo e svolgere un’indagine completa sul suo conto. Ma al contrario gli fu concesso un ordine imperiale che gli dava ragione. Ditemi se questi non sono tradimento e menzogne!

Non solo, il Terzo Controllore della Destra, Minamoto no Sukemoto no Ason, mi portò una lettera con ordini e istruzioni in cui era scritto:

“A seguito della lettera di denuncia del precedente vicegovernatore di Musashi, Tsunemoto, è stata decisa una seconda convocazione per poter indagare sulle colpe di Masakado.”

Mentre aspettavo l’arrivo degli inviati imperiali, Tamenori, il figlio del vicegovernatore di Hitachi Fujiwara no Korechika no Ason, abusava senza vergogna della propria autorità e si divertiva a calunniare il prossimo. A seguito delle lamentele di uno dei miei guerrieri, Fujiwara no Haruaki, mi recai in Hitachi per approfondire questa faccenda.

Nel frattempo Tamenori e Sadamori, agendo di concerto e alla testa di più di 3000 guerrieri d’élite, requisirono arbitrariamente le lame e le armi delle armerie, piantarono i mantelletti e mi sfidarono in combattimento.

A quel punto, dopo aver ravvivato il morale dei miei guerrieri e dei miei soldati, ho annientato l’esercito di Tamenori.

Risultati immagini per swag cat gif

Mi spiace, temo di aver spianato il tuo esercito in meno di niente.

Non so quanta gente sia morta in quel frangente o durante l’occupazione della provincia. Non occorre dirlo: molti sopravvissuti furono catturati e decapitati da me.

Il vicegovernatore Korechika finì per scrivere una confessione dacché, non avendo saputo dare un’educazione a suo figlio, la cosa era degenerata in rivolta armata.

Anche se non era mia intenzione in principio, ho rovesciato la provincia. La punizione non sarebbe stata leggera, ma sarebbe stata la stessa per aver preso una o cento provincie.

Mentre continuavo a interpellare la Corte, ho finito per catturare tutte le provincie del Bandō.

Ho preso la libertà di considerare il mio lignaggio e, alla fine, sono un discendente alla quinta generazione dell’Imperatore Kashihabara [Kanmu, NdTenger]. Se dovessi conquistare metà del Paese, non si direbbe forse che era nel mio destino ?

In tutti i documenti storici ci sono storie di uomini che hanno preso il Mondo grazie alla forza delle armi. Già il Cielo mi ha accordato il dono dell’abilità militare. Considerato ciò, chi dei miei pari potrebbe mai essermi eguale?

E nonostante tutto la Corte, invece di ricompensarmi, continua a mandarmi lettere di rimproveri. Riflettendo sulla mia vita, ciò mi dà molte ragioni di provar vergogna. Bell’onore mi son guadagnato…

Se poteste dedicare un pensiero a questa mia situazione, ne sarei molto felice.

Ormai sono passati decenni da quando, al tempo della mia giovinezza, servii la casa dell’augusto sire il gran Ministro. Tutte queste cose sono successe e non ho pensato che era un periodo in cui eravate Reggente e Ministro del Paese. Mi dispiace, le parole mi mancano.

Anche se può sembrare che mi stia preparando a conquistare il Paese, come potrei mai dimenticare Voi, il mio vecchio patrono. Se voleste tener ciò in considerazione, ne sarei felice. Questo soltanto mi preme davvero tra le mie diecimila preoccupazioni.

Masakado scrisse col più gran rispetto,

Secondo anno dell’era Tengyō, dodicesimo mese, quindicesimo giorno.

La lettera è… interessante.

Nel lungo papello Masakado esprime tutta la propria frustrazione. “Non ho fatto che difendermi, sono venuto alla Capitale, mi avete rimandato a casa ma poi continuate a tenermi questa storia sul collo!”

Passa alla sua versione dei fatti, al profondo senso di tradimento da parte della Corte: “Sapete dove ve le dovete infilare le vostre convocazioni ufficiali?”

Procede con velate minacce, nota che potrebbe, in teoria, mangiarsi un pezzo dell’Impero: “Ho un esercito e un’ascendenza imperiale, e non ho paura di usarli!”

Allo stesso tempo il nostro non manca mai di rispetto a Tadahira, anzi, gli chiede scusa: “tutto ‘sto casino proprio quando sei ministro, mannaggia!”

Masakado non si mostra mai ostile verso il suo ex patrono, anzi. Gli chiede perdono, aiuto e consiglio. Il tutto mentre si mangia le provincie dell’Est una dopo l’altra, manco non l’avesse fatto apposta.

Nel messaggio Masakado dichiara senza mezzi termini di voler parlare con Tadahira e di essere disponibile a seguire il suo consiglio. Questo lascia supporre che lo scopo della lettera fosse sì minacciare l’aristocrazia, ma lasciando intendere che era disposto a trattare.

Scrivere a Tadahira è un palese tentativo, dalla parte di Masakado, di aprire un canale di comunicazione con la Corte.

E qui arriviamo allo scopo finale dell’intera faccenda.

Per alcuni Masakado è semplicemente un capo ribelle che ha deciso di mangiarsi un pezzo d’Impero.

Dissento. Secondo me lo scopo di Masakado quando si è preso all’anima di papparsi l’intero Bandō era quello di diventare una minaccia tale da costringere la Corte a trattare.

Mettetevi nei suoi panni: da anni Masakado ha dovuto fare i conti con attentati alla sua vita e alle sue terre, ha cercato di ragionare, ha cercato di difendersi, ha cercato l’intervento delle autorità competenti, e niente ha mai funzionato.

E’ mia ferma opinione che con la rivolta Masakado volesse prendere di forza ciò che la Corte gli ha negato finora: riconoscimento e protezione. C’è chi per farsi sentire prende in ostaggio il telecomando, Masakado ha preso in ostaggio una regione. Non vuole restare come capo indipendente, vuole che il suo valore e la sua posizione siano riconosciuti.

Questa è ovviamente la mia conclusione: non per forza ho ragione.

Quale che fosse il recondito disegno di Masakado, a Kōzuke il nostro procede a nominare funzionari responsabili per le provincie di Shimotsuke, Kōzuke, Hitachi, Shimōsa, ma anche Awa, Kazusa, Sagami e Izu.

Izu non fa tradizionalmente parte del Bandō, ma un anno prima uno dei fratelli di Masakado aveva fomentato qui una rivolta, che a questo punto viene inglobata nella più grande presa dellì’Est, perché in guerra e in cucina tutto fa brodo.

E Musashi?

Non compare nello Shōmonki a questo punto, ma compare nei decreti sulla rivolta, il che lascia supporre che Masakado l’abbia messa sotto il suo diretto controllo.

Non che il nostro abbia abbandonato la sua dolce Shimōsa, al contrario! Stando allo Shōmonki e al Fusō ryakkki, il nostro decide di costruire una sua “capitale” qui, nella sua prediletta base di Iwai.

Masakado procede poi, secondo lo Shōmonki, a nominare tutti i membri del governo in una replica dell’organigramma della Corte: consiglieri, auditori, Ministri della Sinistra e della Destra, ecc. Per ultimo, nomina un Dottore del Calendario.

Chi è un Dottore del Calendario? E’ il tizio che fa gli oroscopi e che stabilisce quali giorni si può fare cosa.

Questa carica, a Corte, era la carica cardinale. Nessuno faceva niente senza consultare prima un astrologo esperto.

Come fa notare Fukuda, il Dottore del Calendario sarebbe stato il primo funzionario nominato da qualcuno che ha l’intenzione di ricreare una copia della Corte di Heian. Senza di lui non si organizza nulla, e la sua presenza è indispensabile a legittimare gli atti.

Come mai qui è buttato lì alla fine, come a tappare una dimenticanza?

Non si può scusare la cosa con “magari nell’Est non sapevano ‘sta faccenda degli oroscopi”: Okiyo è un principe imperiale e Masakado ha servito alla Capitale da giovane.

E’ possibile che non abbiano trovato nessuno con il giusto curriculum in tempo, o è possibile che si tratti dell’ennesima interpolazione apocrifa volta a dimostrare l’illegittimità simbolica delle decisioni prese in Kōzuke.

Immagine correlata

E il resto della campagna militare per prendere il Bandō?

Non c’è nessuna campagna militare.

Mentre Masakado è a Kōzuke, i funzionari delle restanti provincie abbandonano sigilli, registri e mutande sgommate e ritornano alla Capitale con le sottane in mano. A Masakado non resta che finire il tour del ribaltone, installare i nuovi collaboratori e poi tornare in Shimōsa.

Qui il nostro si prepara a resistere alla contro-rivolta, la spedizione armata che di certo gli toccherà combattere.

E’ da notare che, a parte l’occupazione militare e l’insediamento di nuovi funzionari, Masakado non prende altre disposizioni. Non c’è nessuna riforma creativa del sistema di governo, nessun ragionamento approfondito su come l’autorità funzioni o come la si possa manipolare.

Con tutta la morte e la distruzione, con tutta la mirabolante impresa militare, non c’è mai una rimessa in causa dello status quo.

Quella di Masakado è una rivolta, non una rivoluzione.

https://i0.wp.com/syuppanbi.com/wp-content/uploads/2016/07/NY007-1_SUZ2311-1.png

La rivolta di Masakado, di Kato Toshiro

Bisognerà aspettare un paio di secoli prima che qualcuno si ponga seriamente il problema di una forma di autorità diversa da quella Imperiale tradizionale. Bisognerà aspettare l’arrivo della power couple del millennio: Minamoto Yoritomo e Hōjō Masako.

Nel suo piccolo, Masakado ha dimostrato quanto labile sia il controllo reale dell’aristocrazia sulla regione che, ricordiamolo, è il cuore pulsante del potere militare giapponese.

Ma che dire del controllo di Masakado? Cosa ci vorrà per scalzare il miglior capobanda dell’Est?

Ci vorrà un bandito e una folata di vento favorevole. Perché come sa chi studia Storia Militare: tutti i piani del mondo non valgono una genuina botta di culo.

MUSICA!


Puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata


Bibliografia

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira,Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

FUJIWARA Tadahira, Teishin kōki (Notes journalières de l’ère Teishin), Iwanami shōten, Tōkyō, 1956

KAWAJIRI Akio, Shōmonki wo yomu (Lire le Shōmonki), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2009

KAWAJIRI Akio, Taira Masakado no ran (La révolte de Taira Masakado), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2007

KAWAJIRI Akio, Yuregoku kizoku shakai (Une société aristocratique tremblante), Shōgakukan, Tōkyō, 2008; L’ère des zuryō

KITAYAMA Shigeo, Ōchi seiji shiron (Essai historique sur la politique de la Cour), Iwanami shōten, Tōkyō, 1970

In lingua occidentale

HERAIL Francine, La Cour et l’administration du Japon à l’époque de Heian, Genève, DROZ, 2006

HERAIL Francine, La Cour du Japon à l’époque de Heian, Hacette, Paris, 1995

HERAIL Francine, Gouverneurs de provinces et guerriers dans Les Histoire qui sont maintenant du passé, Institut des Hautes Etudes Japonaises, Paris, 2004

HERAIL, Francine, Aide-mémoire pour servir à l’étude de l’Histoire du Japon des origines à 1854, lieu de publication inconnu, date de publication inconnue

HALL John Whitney , Government and Local Power in Japan, 500 to 1700, Center for Japanese Studies Univesity of Michigan, 1999,

RABINOVITCH Judith N., Shōmonki, The story of Masakado’s Rebellion, Tōkyō, Monumenta Nipponica, Sophia University, 1986

PIGGOT Joan R., YOSHIDA Sanae, Teishin kōki, what did a Heian Regent do?, East Asia Program, Cornell University, Itacha, New York, 2008

FRIDAY Karl, Hired swords, Stanford University press, Stanford, 1992

FRIDAY Karl, The first samurai, John Wiley & Sons, Hoboken, 2008

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, New York, 2004

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, Cambridge

BRYANT Anthony et MCBRIDE Angus, Early samurai, AD200-1500, n.35, Osprey publishing, Oxford, 1991

PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

Genpei 2.0: La morte di Kiyomori e l’alba della Seconda Fase

Bentornati in questi lidi di sconforto e mazzate nei denti. E’ ora di riprendere il nostro lungo e deprimente viaggio attraverso i terribili anni della Guerra di Genpei! Yay!

La volta scorsa avevamo lasciato i Taira in controllo della Capitale, i templi bruciati, e Yoritomo alla testa del neonato Bakufu di Kamakura.

Ma riprendiamo le fila ammodo.

Taira no Kiyomori tormentato dagli spettri del proprio passato, opera di Tsukioka Yoshitoshi

A cavallo tra il 1180 e il 1181, Taira no Kiyomori, Religioso Ministro e capo del clan, comincia a dar segni di ranticosa vecchiaia. Non gli resta tantissimo da campare, il clan sta per perdere la sua chiave di volta.

-Bon.- Fa Kiyomori. -Almeno ho stabilito la mia famiglia alla guida del Paese e dell’Impero.

-Sì, circa.- Nota la moglie. -Le regioni orientali sono in mano ai Minamoto e il Nord-Est è in mano ai Fujiwara di provincia, ma a parte questo siamo a cavallo.

-Ah, ma sono sicuro che le cose si aggiusteranno! Dopotutto abbiamo la Capitale, io sono nonno del nuovo imperatore, stiamo tranquilli. Yoritomo è solo un uomo dopotutto.

-A dire il vero si sono ribellati anche Takeda Nobuyoshi in Kai e Kiso Yoshinaka in Shinano.

-Ma sono parenti di Yoritomo. Una volta che incantoniamo Yoritomo-

-Si sono ribellati per cazzi loro. E poi Yoshinaka e Yoritomo si odiano. E Yoshinaka è un guerriero tostissimo.

-Vabé, ma intanto teniamo la regione centrale del Kinai, che è l’importante…

-Famiglie del clan Minamoto si sono ribellate anche in Mino e Owari. E Ōmi. Ōmi è così vicina che confina con Yamato.

-Boia come sei negativa! Almeno abbiamo la Capitale! Ora che abbiamo sbolognato tutti quei frati mentecatti la nostra posizione-

-Abbiamo bruciato i templi e ora l’aristocrazia ci odia più di prima, mentre il popolo pensa che ci siamo tirati addosso la sfiga degli dei. Ah, e i frati di Kumano nella provincia di Kii si sono messi a far casino a loro volta perché siamo degli indegni peccatori. E anche Kii confina con noi. Ōmi a nord e Kii a sud, siamo un sandwich di grane.

-Ōmi confina proprio per poco però, dai…

-Oh, hai ragione, parliamo del confine Ovest! I Genji di Kawachi si stanno agitando.

-A vabé, sai che c’è? Chi ha risorse ha armi e chi ha le armi vince. Visto che controlliamo i traffici via nave nel mare interno e col Continente non abbiamo di che preoccuparci, finché c’è commercio c’è speranza!

-Ah, non hai sentito le novità da Kyūshū? I Kikuchi si sono ribellati in Higo e hanno attaccato il Governo Militare.

-Occristo, dimmi che almeno in Shikoku si tengono calmi e non fanno danni…

-I Kōno si sono ribellati nella provincia di Iyo. Ah, e ti dice niente il nome Mareyoshi?

-Uh, fammi pensare…

-E’ il fratello minore di Yoritomo, in Tosa.

-Vabé, ammazziamolo a prescindere almeno quello è una preoccupazione in meno.

-Già fatto.

-Oh, bene!

-Male. I suoi vassalli sono scappati in Izu, da Yoritomo.

-Hai finito?

-Ci sarebbero voci sulle provincie di Settsu e Wakasa…

-Ma quanti cazzo di Genji ci sono in giro per il Paese?

-Escono dalle fottute pareti.

-Possano morire tutti ammazzati…

-Forse dovremmo cercare di ragionare da adulti invece di partire in quarta con fuoco, acciaio e sangue-

-GIAMMAI E MAIPOI, se la violenza non risolve un problema è perché non ne stai usando abbastanza!

In blu lo Yamato, in violetto le provincie principalmente toccate da infide attività sovversive

Insomma, i Taira hanno una mandria di gatte da pelare, e la priorità è mettere sotto controllo la Capitale e il Kinai.

Il settimo mese del quinto anno dell’era Jijō, i Taira mettono a punto un nuovo sistema militare capace di mantenere il controllo e la protezione della Capitale: lo Shōkanshoku.

Il capo dello Shōkanshoku è, de facto, un comandante militare avente autorità su tutti i guerrieri della zona e sulle istituzioni legate alla logistica. Alla testa del nuovo sistema viene messo Taira Munemori.

Munemori è figlio di Kiyomori. Suo fratello maggiore Shigemori era erede e figlio prediletto, ma un malanno provvidenziale lo stende nel ’79. Secondo alcune malelingue, Shigemori sarebbe morto di esaurimento nervoso dopo gli innumerevoli contrasti col padre sul come gestire la crisi. Pare che Shigemori avesse questa stupida idea di evitare una guerra civile. Bah.

Ad ogni modo, morto il noioso fratello maggiore, Munemori si ritrova erede del capofamiglia, e ora comandante in capo della forza militare del Kinai.

Questo bell’uomo è Taira no Munemori, dal pennello di Fujiwara Gōshin

E’ interessante notare come questo nuovo Shōkanshoku sia in rottura drastica con la realtà precedente del Kinai e si avvicini a ciò che sarà, di lì a pochi anni, il sistema shogunale. Secondo Uesugi, non è da escludere che Yoritomo stesso abbia preso ispirazione dallo Shōkanshoku per completare e perfezionare il Bakufu di Kamakura. In altre parole, lo Shōkan diventa per il Kinai ciò che lo shogunato sarebbe stato per il Giappone intero.

E’ interessante notare come forme di controllo simili siano state concepite allo stesso tempo da uomini nemici. Si può dire che Yoritomo sia stato il primo a comprendere la necessità rivoluzionaria di nuovi strumenti per la conservazione e l’esercizio del potere, e spesso viene detto che una delle ragioni del tracollo Taira è proprio la loro incapacità di immaginare strutture nuove. I Taira, a differenza dei Minamoto, si sarebbero inseriti nelle istituzioni di Corte, soppiantando l’antica aristocrazia civile, invece di creare qualcosa di originale adattato ai tempi e ai bisogni della classe guerriera. Questa critica è senza dubbio corretta. Ma è anche vero che i Taira non erano del tutto ciechi in questo settore, come lo dimostra lo Shōkanshoku.

Guerriero in armatura pesante parziale, con pugnale e due capocce negli appositi retini (sono trendy, smart, ecofriendly e prodotti da cooperativa equosolidale!)

Ultimata la riforma, i Taira si preparano a una nuova spedizione punitiva nel Bandō, sotto il comando diretto di Munemori. Poco prima della partenza, però, Kiyomori si ammala.

E’ l’inizio della primavera e Kiyomori, il primo guerriero a riuscire a scalare la piramide del potere e stabilirsi come uomo più potente del paese, è roso dalla febbre. Secondo lo Heike monogatari, il vecchio è incapace di inghiottire una goccia d’acqua e il suo corpo sprigiona il calore di un falò, al punto che la semplice vicinanza del malato è insopportabile per i comuni mortali.

Andarono ad attingere l’acqua della fonte di Senju sul monte Hiei e la versarono in un recipiente di pietra che gli fu posto sulla fronte per rinfrescarlo L’acqua si mise a fremere e in un istante bolliva. Sperando di dargli sollievo, dell’acqua fu versata su di lui. Quasi fosse stato di pietra o di ferro incandescente, l’acqua sfrigolava senza sfiorarlo. Quando per miracolo l’acqua riusciva a raggiungerlo, s’incendiava, e un fumo nero invadeva la residenza e si levava in volute di fiamme.

Secondo i redattori dello Heike monogatari (e senza dubbio secondo molti contemporanei), la maledizione sarebbe stata una conseguenza della blasfemia mostrata da Kiyomori nel bruciare i templi di Nara e nel distruggere il Grande Buddha.

Il 2 duel secondo mese, Kiyomori trovò il fiato di confidare alla moglie le sue ultime volontà.

Il solo rimpianto che ho, è di non aver visto la testa mozzata del condannato di Izu, del Luogotenente della Guardia Yoritomo. Quando sarà finita per me, che non sia costruito né santuario né torre, che non sia celebrato un servizio funebre! Che sia subito inviata una spedizione laggiù, che la testa di Yoritomo sia spiccata e che sia piantata davanti alla mia tomba! Ecco il servizio funebre che desidero!

Ah, mi ricorda mia nonna. Quella che morì dicendo alla nuora “sparisci di qui, brutta puttana”…

Kiyomori morì il 4, dopo una crisi convulsiva, a 64 anni.

Non si può dire che fosse morto di vecchiaia, piuttosto che il suo destino si era compiuto d’un tratto, di modo che i grandi scongiuri e gli scongiuri segreti rimasero vani, che la luce dei Buddha e degli Dei gli venne meno e che i Guardiani Celesti gli negarono protezione. Che potevano allora le forze umane? Miriadi di guerrieri che per fedeltà avrebbero sacrificato la loro vita per la sua sedevano in ranghi serrati vicini e lontani, ma non potevano respingere di un solo istante i demoni assassini dell’Impermanenza, invisibili ai loro occhi, contro i quali nessuna forza prevale.

[…]

Di quest’uomo, che aveva diffuso la propria gloria e il proprio nome su tutto l’Impero e imposto il proprio potere, il corpo, ridotto in fumo effimero, si era dissipato nel cielo della Capitale, e i suoi resti, appena più duraturi, erano tornati alla terra mischiati alla sabbia della spiaggia.

E’ la fine di un’era per i Taira, ma non hanno tempo di osservare il lutto: senza por tempo in mezzo, lanciano una spedizione punitiva contro i ribelli di Mino.

La spedizione comincia bene, con la rapida capitolazione della base di Gamakura, ma informatori avvertono della presenza di ribelli nella vicina provincia di Owari.

I Taira avanzano verso il confine di Owari, sul guado Sonomata, sul fiume Nagara. Questo fiume segna il confine tra Mino, Owari e Ise. E’ l punto di contatto tra l’Ovest e l’Est del paese, un nodo logistico fondamentale.

Il secondo mese, i due eserciti si avvicinano da una parte all’altra del Sonomata. Da un lato Shigemori e Koremori, dall’altro Minamoto Yukiie e Gien.

E’ il 10 del terzo mese, la notte cala sul fiume.

Secondo lo Engyōbon Heike monogatari, i Taira avrebbero avuto 30.000 cavalieri, contro 6.000 dei Minamoto. I Gyokuyō modera i termini specificando che i Minamoto non erano 6.00 (figuriamoci!), ma 5.000.

Ora, è chiaro che questi numeri son fuori d’ogni grazia (anche perché se ci fidiamo della struttura classica di una banda di guerra, 30.000 cavalieri significherebbero almeno 60.000 uomini in tutto, probabilmente molti di più, roba che nemmeno i cinesi). Quello che bisogna trarne è che i Taira sono in schiacciante superiorità numerica.

Come sa chi legge i Classici Militari, quando un uomo con Schiacciante Superiorità Numerica incontro un uomo senza Schiacciante Superiorità Numerica, il secondo (salvo eccezioni di cui parleremo) è un uomo morto. Oh, spoilers.

I Minamoto lo sanno. Cercano di ovviare con un attacco notturno a sorpresa, ma i Taira mangiano la foglia e li tritano.

Al di là dello svantaggio numerico, diversi fattori giocano contro i Genji.

Per cominciare, combattere a cavallo di un fiume non è una cosa agevole, né lo sarà mai (ricordiamo cosa successe ai Francesi, che pure avevano una tecnologia abissalmente superiore).

Inoltre pare che i due comandanti Minamoto fossero in competizione tra loro per chi fosse il duro più duro del contado, sputtanando del tutto coordinamento e catena di comando.

I Taira vincono a mani basse, raccattando quasi 400 teste trofeo.

I ribelli sono costretti a ripiegare, ritirandosi quietamente da Mikawa e Tōtōmi. I Taira vorrebbero braccarli, ma non hanno i mezzi di farlo: ridendo e scherzando, il raccolto si annuncia ‘nammerda per via del tempo di merda, e si prepara una delle carestie più tremende della Storia del Giappone. A malincuore, i Taira sono costretti a ritirarsi, lasciando l’Est in mano ai ribelli.

Anche perché l’Est non è l’unico problema: disordine e scontri stanno scoppiando ovunque, sempre più grandi, sempre più numerosi.

Bisogna rendersi conto che i guerrieri giapponesi hanno una spiccata tendenza all’odiarsi tra loro. Il timore della condanna della Corte è grosso modo l’unica cosa che trattiene le propensioni stragiste nei nostri emici.

Ovvio, con Kiyomori al Creatore e il potere dei Taira traballante, dispute private tra vicini e cugini divampano nell’intero Paese. La lotta per il potere di due grandi clan polarizza gli scazzi locali, precipitando l’Impero in uno stato di fermento quasi totale.

Tra la carestia incombente, i danni materiali, i dissapori politici e la scarsità di uomini e mezzo, la Guerra di Genpei entra in quella che Farris definisce la “seconda fase”: un braccio di ferro logorante in cui nessuno dei contendenti ha il fiato sufficiente a vincere, né il buonsenso necessario ad abbozzare.

Con tre anni e passa di guerra ancora da incignare, i guerrieri del Paese si preparano a dare il peggio di loro!

MUSICA!


Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Bibliografia

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, 2004, New York

ROYALL Tyler, The tale of the Heike, Viking, 2013, New York

SOUYRI Pierre-François, Histoire du Japon Médiéval – Le monde à l’envers, Tempus, 2013, Paris

UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō

Come non si fa (2): la Battaglia dei Bastardi (Game of Thrones)

Prima che a qualcuno parta un embolo, lasciate che ve lo dica: a me Game of thrones piace, e l’ultima serie in particolare mi piace pure. Non solo, trovo che mediamente la serie sia migliore dei libri. Ad esempio, sono stata molto grata del fatto che gli sceneggiatori abbiano dato un senso alla gita campestre di Brienne e Pod, o che abbiano scorciato di brutto tutta la menata su quei mongoli a rotelle degli Ironborns.

Oggi però non voglio parlare della storia nel suo insieme, bensì voglio concentrarmi su una scena in particolare, la scena clou dell’ultima serie, la Battaglia dei Bastardi.

Trattandosi di un post puramente tecnico, cercherò di fare meno spoilers possibili, ma qualcuno ci potrebbe sempre scappare. Ergo siete avvisati.

Cominciamo con gli aspetti positivi di questa scena:

-Sul lato visivo, c’è poco da dire. La fotografia è bella, il ritmo è buono, la musica anche. E’ una scena divertente da vedere, a differenza di quell’altra merda stellare in Vikings.

-Certi spunti erano ben trovati. Mi fa piacere che finalmente si comincino a vedere degli sforzi per far apparire le battaglie più verosimili (manovre, trucchi, movimenti coordinati, etc.) e meno burine.

Cosa intendo per “burine”? Intendo quando due gruppi incasinati si corrono addosso a cazzo di cane con musica epica e scatenano un mischione molto virile di gente che mena a caso facendo facce molto maschie e scuotendo le villose barbe. L’ultima battaglia del film del Signore degli Anelli, per intendersi. Le scene così le odio.

Nel caso in esame c’è chiaramente il tentativo di mostrare dei professionisti coordinati, e ciò è bene.

Purtroppo però restano dei problemi.

Partiamo dalla situazione: Gianni Neve deve scannarsi con Ramsay. Ramsay è spalleggiato dagli Umbers e di Karstarks, due delle maggiori case del Nord, e vanta più del doppio degli effettivi rispetto a Gianni.

La notte prima dello scontro, Gianni e Capitan Cipolla convengono che devono indurre Ramsay a inseguirli e scavare trincee laterali per proteggere i fianchi.

Primo problema: scavare una trincea è un lungo lavoro, e un lavoro faticoso. Gianni SA da giorni che la lotta sarà impari, avrebbe dovuto adoperarsi almeno dalla mattina prima a scavare delle difese.

Secondo: le trincee sono, appunto, faticose e lunghe da fare. Probabilmente Gianni e i suoi farebbero prima e meglio a piantare in terra pali appuntiti, o legare legni aguzzi tra loro per creare dei proto-cavalli di frisia. E’ più rapido, il legno non manca, e probabilmente costa molta meno fatica.

Ad ogni modo tutto ciò si risolve in nulla perché troviamo subito il problema numero tre.

Dove sono ‘ste trincee?

Peraltro, visto che il grosso dell’esercito di Gianni è fatto di wildlings, forse sarebbe stato meglio tentare di attirare Ramsay in una zona boscosa, più che non sfidarsi su un pratino più o meno pianeggiante. Questo però non è un difetto stricto sensu, in quanto nessuno dei tizi coinvolti è un tattico collaudato. Plus, esigenze di tempo, e ok.

Veniamo a quello che però è un problema: l’equipaggiamento.

Pochissimi portano l’elmo. E non dico i wildlings, ma anche i cattivi. L’elmo è il pezzo di armatura che qualcuno si procura prima di tutto. Perché in tv la gente deve sempre andare in giro a pera con la capoccia scoperta?

Plus, com’è che nell’esercito di Gianni quasi nessuno porta uno scudo? Uno scudo non è roba particolarmente complicata da fare, è utilissima, e richiede poco o punto metallo.

E parlando di pochissimo sforzo e metallo: qualcuno poteva dare una cazzo di clava al gigante?

E’ una bestia di quindici metri che spacca la gente in due e spappola cavalli a cazzotti, e non serve quasi a nulla! Non ha nemmeno un effetto psicologico sui nemici!

Nel cerchio rosso, il personaggio più sprecato della serie

Ci voleva tanto a tirare giù un abete e metterglielo in mano? E’ come andare in battaglia con un Merkava senza munizioni! Ok, va bene, puoi spiaccicarci qualcuno passandoci sopra coi cingoli, ma non stai davvero approfittando delle potenzialità di questo gioiellino!

Ma torniamo alla tattica.

I nostri sono schierati. Da una parte Gianni, che ha soprattutto fanteria, un po’ di arcieri e un po’ di cavalieri, dall’atra Bolton, che ha il doppio della gente. Entrambi hanno piazzato gli arcieri in prima fila.

Ok, è una scelta difendibile. Io li avrei messi dietro, ma hey, va bene anche così.

Storia a parte, ci troviamo all’inizio con un Gianni Neve da solo, al centro del campo di battaglia, a tiro delle frecce Bolton. Siccome ormai è lì, Gianni decidere di caricare i Boltons da solo.

Ora, vi parrà strano, ma questa scena non mi pare del tutto folle. Gli arcieri Bolton stanno tirando a campana, e Gianni è esposto. Ha due scelte: ritirarsi, o avanzare, dacché le due scelte lo tolgono dalla “fascia bersaglio” dei dardi.

Peraltro, è realistico il fatto che la carica duri poco, ed è verosimile che Gianni riesca a saltare di sella prima di restare incastrato sotto il cavallo.

Il problema in questo frangente non è tanto Gianni, quanto la sua cavalleria.

In primis, prima lo lasciano correre avanti allo scoperto e solo dopo si svegliano “oh cazzo, già, è il comandante, ‘ndiamo a ripigliaccelo!”. Meh.

Quello che però ha di buono questo passaggio è che i cavalieri cavalcano lancia in resta e “lunghi”, con staffe basse, come facevano, con ogni probabilità, i catafratti europei. Un bel dettaglio. Anche contando che, nell’urto della lancia, il cavaliere deve spingere avanti il bacino stendendo le gambe, per scaricare la botta sulle spalle del cavallo e non sui suoi lombi (le zampe anteriori del cavallo sono quelle che portano meglio il peso e le botte).

A sinistra, un fotogramma del film. A destra, miniatura sul romanzo di Yvain o Il cavaliere del leone, Chrétien de Troyes (XIII° secolo). Notare, a destra, i piedi spinti avanti rispetto al centro di gravità del cavaliere.

Tornando a noi, la cavalleria Bolton carica.

Perché?

La cavalleria Snow sta entrando nella portata degli arcieri. A meno che la portata dei tuoi archi non sia 20m scarsi, non sarebbe meglio scompaginarli un po’ prima di buttare le tue truppe d’élite nel gioco?

Nevermind, le due cavallerie si schiantano l’una contro l’altra, e Gianni Neve nel mezzo sblocca la Modalità Eroe e diventa invulnerabile.

No, sul serio, la battaglia è figa e tutto, ma Giovanni Neve che passeggia in giro mentre il resto del mondo lo schiva in automatico proprio non si può vedere. C’è perfino un momento in cui si ferma per diversi secondi di sguardo intenso!

Comunque, mentre Gianni se ne va in giro invulnerabile a cavalli e tizi, i Boltons decidono di tirare altre frecce.

Su un mischione?

Perché?

Ok che Ramsay è tanto kattyvo, ma falciare i propri cavalieri è da fessi e basta!

Un cavaliere è un guerriero d’élite. E’ estremamente costoso, al punto che interi sistemi politico-economici sono stati costruiti attorno ad esso, per rendere possibile il suo addestramento ed equipaggiamento. Basti pensare che in epoca feudale l’indennizzo da versare al signore per la morte di un suo féal era moltiplicato nel caso il tizio fosse stato un guerriero montato.

Non solo: Gianni Neve ha, bene o male, lasciato entrare un putiferio di wildlings. I Boltons avranno bisogno di uomini per dar loro la caccia e controllare il Nord. Perché dovrebbero sterminarsi la cavalleria da soli?

Dico sterminarsi perché, a un certo punto, i cavalli spariscono. Quindi i fatti sono due: o i cavalieri di Gianni e di Ramsay si sono annientati vicendevolmente (nonostante quelli di Ramsay fossero il doppio in numero e, si suppone, meglio nutriti e riposati), o Ramsay è riuscito a spacciare tutti i suoi guerrieri migliori a botte di “esigenza di trama”.

E parlando del campo, questa è la situazione:

Il cavaliere sulla sinistra funge da riferimento: ‘sti mucchi sono alti il doppio di un uomo a cavallo!

Ora, ok che avete tritato mille cavalieri e spicci, ma ‘sti mucchi da dove escono?

I mucchi di cadaveri hanno di solito 2 origini: gente che muore contro un ostacolo architettonico; qualcuno che sposta i cadaveri. Non è la prima, visto che siamo in pianura, e non è la seconda visto che nessuno ha l’agio di farlo.

Ne deduco che sia andata così.

Anyway, Ramsay, tutto felice del fatto che ora l’intero Nord non ha più un solo cavaliere nell’esercito, manda la fanteria: i suoi e gli Umbers, che dovrebbero essere a cavallo ma sono a piedi perché boh, sticazzi.

Gli Umbers caricano e spariscono. No, davvero.

Con Umbers…

Senza Umbers…

Errore di editing, son sicura, ma comunque…

Quando ricompaiono, scalano i mucchi di morti e scendono nella fossa insieme ai wildlings. Buonsenso vorrebbe restassero sulla cresta per ributtare sotto chiunque cerchi di scappare. Ma no, il capoccia degli Umbers deve scendere nel merdaio e ritrovarsi così pigiato che tra lui e Thormund parte un match di testata nel muso.

Frattanto, i fanti dei Boltons accerchiano per benino Gianni e i suoi, che li lasciano fare perché…

Boh. Perché dargli fastidio sarebbe stato scortese.

Accerchiati i dodo, i Boltons iniziano la fiera dello spiedino. E niente da dire qui, la manovra è bella e fatta bene, e visualmente è molto carina. Però, giusto per fiscaleggiare, direi che le lance sono tenute troppo in avanti.

Niente impedirebbe ai wildcosi di agguantarle e sfasciare la linea. Niente a parte la buona creanza, ovviamente.

Devo dire però che la prima linea con la spada è molto caruccia, offre scenette memorabili.

Knock knock… oh shit…

Ho sinceramente apprezzato la parte in cui Gianni Neve viene pesticciato nella merda e nel sangue. E’ realistica e ben fatta. Un po’ lunghetta, magari, e la musica struggente stona con il realismo crudo del momento, ma hey, bella comunque.

Quello che invece mi ha fatto cascare le braccia è l’arrivo dei rinforzi.

Tre osservazioni e poi giuro smetto di scassare le palle:

  • Per arrivare a Winterfell, i cavalieri del Vale devono aver attraversato un territorio molto vasto. Vista la celerità con cui arrivano dopo l’appello di Sansa, si suppone che abbiano usato la King’s Road, che se s’impelagavano per bozzi e grottoni ciao. Insomma, c’è un esercito di diverse centinaia di cavalieri in armi che avanza sulla via maestra, com’è che non c’è stato un solo fesso che li ha visti ed ha avvertito Ramsay?
  • I cavalieri del Vale arrivano a battaglia iniziata (quasi finita) e attaccano subito. Si suppone che siano arrivati in un rush di marce forzate per fare in tempo. I loro cavalli dovrebbero essere esausti, i loro uomini stanchi. Sembra poco probabile che possano passare sopra una fanteria perfettamente organizzata (e notevolmente lenta di reazione! Secondo me Ramsay ha pochi sergenti…) manco fossero una schiacciasassi sui marshmellows. Sarebbe stato meglio, a parer mio, se la vittoria dei rinforzi fosse da attribuire più a un effetto psicologico (panico e fuga della fanteria), ma tant’è…
  • Tanti complimenti a Sansa che prima sfrangia la minchia a Gianni “non hai chiesto il mio parere per i piani di battaglia”, e poi se ne esce “oh sì, avevo 1000 cavalieri di scorta nascosti nel culo, non te l’ho detto perché ci tenevo a farti una sorpresa!”. Se Gianni avesse saputo che i rinforzi stavano per arrivare, forse, forse avrebbe potuto organizzarsi diversamente. E forse quella piaga di tuo fratello Rikon sarebbe ancora in vita. Ma bon, era un personaggio marginale in ogni caso.

 

E poi well, c’è la fine, con Ramsay rimasto praticamente solo dopo aver tirato il suo intero esercito nel tritacarne. Non che non sia mai successo nella Storia, ma bon, m’è parso un pochettino cliché.

E questo è quanto. Sì, la battaglia è uno spasso da guardare! Sì, rispetto alla media delle battaglie in tv è comunque buona. Però ecco… secondo me c’è ancora del margine.

Parlando di clichés, m’importa ‘n cazzo se l’ha già detto in diecimila, ma Lyanna Mormont spakka!

MUSICA!

Archeologia sperimentale e ardimento: la Nave Drago di re Harald

Haugesund è un cittadina in Norvegia. Non molto grande, non molto piccola, un trentamillaio circa di abitanti, affacciata sullo stretto di Karsmund nel Rogaland.

Niente di che come posto, non fosse che qui, nel marzo del 2010, seguendo il sogno dell’imprenditore Sigurd Aase, parte uno dei progetti più fighi di sempre: la costruzione di un drakkar oceanico!

Gatti vichinghi. Le corna sono photoshoppate: i veri gatti vichinghi non hanno corna sull’elmo.

Senza entrare nel dettaglio della storia e della struttura delle navi scandinave (materiale che richiede almeno un articolo completo), “drakkar” è un termine generico per “nave scandinava”. Data la propensione marittima e perniciosa della gente del nord, possiamo capire come queste navi siano state oggetto di ricerca e studi.

Un esempio archeologico straordinario è dato dalle celeberrime e spettacolari navi conservate a Oslo: l’elegante esemplare di Oseberg, la spartana di Gokstad e la tenace di Tune.

La seconda è sempre stata la mia preferita. Lunga 23 metri e larga 5 e spicci, questa bellezza era una cacciatrice, sulla pista di pesca, guerra e saccheggio. Ma poteva attraversare l’oceano?

La nave di Gokstad in tutta la sua famelica bellezza

La grande nave di Haugesund, costruita in solida quercia (sì, le navi erano di quercia, non d’abete come vorrebbero farci credere quei mentecatti di History Channel mortacci loro!), supera in taglia della Gokstad, con 35 metri di lunghezza, un albero di 8 metri e una capacità di carico di 95 tonnellate. Il nome di questa belva è Draken Harald Hårfagre, in memoria di Harald Bellachioma, noto per essere stato il primo re di Norvegia e per essere morto pluriottantenne nel suo letto (un’impresa che non tutti i capi scandinavi potevano vantare, nel X° secolo).

La Draken Harald Hårfagre e la sua vela di seta

Il nuovo drakkar può mettere ai remi 50 persone, proprio come le navi che, di media, componevano la flotta da guerra norvegese dopo che un sistema di leva marittima fu implementato verso la metà del X° secolo.

Tutto molto bello, ma un esperimento non è niente senza una metodologia precisa (capito Thomas Morton?). Come è nata ? Non abbiamo manuali sulla costruzione di navi. Abbiamo dei reperti archeologici, ma a parte i tre tesori al museo navale, si tratta di frammenti incompleti.

Quella che però abbiamo è una tradizione vivente di costruttori di barche. Nonostante ci siano ovvie differenze tra le barche costruite oggi da costoro e quelle che hanno raggiunto la Groenlandia, molte delle tecniche usate sono rimaste più o meno inalterate. In particolare, la caratteristica principale delle barche moderne e di quelle antiche è la tecnica con cui sono state costruite, un sistema detto “clinker“, in cui le assi della chiglia si sovrappongono l’una sull’altra come le tegole di un tetto.
voilà! Dopo due anni di lavoro la Draken Harald Hårfagre è pronta a solcare il mare e perpetrare la tradizione di archeologia sperimentale norvegese (tra cui citiamo uno deglii uomini più ganzi di sempre, quel matto di Thor Heyerdahl).

Sigurd Aase sorride perché ha investito i suoi soldi in trappole mortali per solcare i mari in nome della ricerca storica. Sii intelligente, fai come Sigurd Aase.

E’ importante notare che la Draken Harald Hårfagre non è una ricostruzione. Ci sono state ricostruzioni fedeli di reperti, nel passato, come la danese Stallone del Mare(la Havhingsten fra Glendalough), che ricrea una delle navi di Skuldelev, sito irlandese. La Havhingsten è un mirabile esempio di archeologia sperimentale, ma non è abbastanza sicura da prendere il mare (oggi è considerato come socialmente inappropriato quando ti affoga la ciurma in piena traversata).

La Havhingsten alla carica!

La nave norvegese, per contro, è equipaggiata con strumenti moderni, in caso di necessità.
La Draken Harald Hårfagre è finalmente messa in acqua nel 2012. La prima parte (il vascello) è a posto, manca il resto (la ciurma). Fino al 2012 nessuno, nemmeno quel matto di Thor Heyerdahl, aveva provato a manovrare una nave di questo tipo e di queste dimensioni. I partecipanti hanno quindi dovuto imparare a remare, far vela, manovrare. Per due anni la nave ha quindi costeggiato le spiagge norvegesi, mentre i suoi marinai prendevan la mano.

La ciurma, sotto il comando del Capitano Ahlander, conta 32 persone tra uomini e donne. Metà di costoro sono marinai collaudati, l’altra metà è composta da volontari (molti di quali studenti universitari e ricercatori, noti per l’eccellente forma fisica e le prodezze atletiche).

La nave non ha un “sottocoperta”: lo spazio sotto il ponte è così scarso che a stento basta per le provviste. Una tenda permette ai partecipanti di riposare al riparo, più o meno. Può ospitare 16 persone e i turni sono precisi: 4 ore di lavoro, 4 ore di riposo.

Una confortevole crociera sull’Oceano! (foto dalla Pagina Facebooc dell’impresa, vedi Bibliografia)

Nel 2014 la Draken Harald Hårfagre ha finalmente avuto il suo primo battesimo oceanico, con una traversata da Haugesund a Liverpool (Merseyside per la precisione).

Immagino il drakkar arrivare sulle onde, scudi alle fiancate, manco a dire “oh, hey, vi siamo mancati?”.

Il viaggio non è stato facile: i prodi marinai sono stati per mare per circa 3 settimane, in un tempo di merda. Nei pressi delle Shetland una bufera spezza l’albero come un grissino e lo schianta sul ponte.

I nostri decidono che forse è meglio avviare il motore: va bene l’archeologia sperimentale, ma se non sopravvivi per raccontare l’esperienza, l’intera faccenda è inutile.

Dal 17 luglio al 5 agosto 2014, la Draken Harald Hårfagre resta in porto. Quando riparte, gli indigeni sono, per la prima volta, tristi di vederla andar via. Ah, come cambiano i tempi!

Sul serio, se lo sarebbe immaginato un sassone che un giorno una nave vichinga sarebbe stata salutata con “so fare thee well my, own true love“?
La nave riparte sulle note della triste canzone The leaving of Liverpool, e via, per nuove avventure! E’ ora di tornare sui luoghi tanto visitati dai simpatici antenati: l’isola di Man, le Orkneys, le Shetland e le Ebridi. Prima di lasciare il porto di Stornoway, il Capitano assicura ai giornalisti che i vichinghi “hanno preso quest’isola un tempo, e noi torneremo!”
No so gli scozzesi, ma io comincerei a preoccuparmi.

Il 23 aprile del 2016, i prodi marinai della si sono riuniti di nuovo per la cerimonia della Testa di Drago, ovvero la cerimonia in cui la testa mitologica veniva montata sulla prua della nave (sì, le “teste” iconiche delle navi vichinghe non erano fisse, ma venivano montate in caso di lungo e periglioso viaggio).

Il drago apre gli occhi! (foto dalla Pagina Facebook, vedi Bibliografia)

Il 26 la Draken Harald Hårfagre è partita verso l’Ovest!

Quasi subito, una delle sartie si spezza. La nave ripara nelle Shetland, per rinforzare l’attrezzatura.

Il 2 maggio i nostri sono a Torshavn, nelle Isole Faroe. La traversata dalle Shetland non è stata facile, con onde alte e vento forte. La nave ha tenuto, ma la ciurma è esausta. Il Capitano ha deciso di fare una pausa ed evitare di ritrovarsi in mezzo a una bufera, in alto mare, con una ciurma di gente scoppiata.

La rotta per l’Islanda (foto dal sito dell’impresa, vedi Bibliografia)

Il viaggio è di nuovo in corso in questo momento e la nave si trova sulla via per l’Islanda (potete seguire lo spostamento sul loro sito).

Addio alle Faroe (foto dalla Pagina Facebook, vedi Bibliografia)

Questa impresa non solo ci permette di studiare da vicino lo svolgimento di un viaggio del genere, ma pompa linfa vitale nella ricerca storica di un periodo difficile da esplorare. Tutti coloro che hanno preso parte a questo bellissimo progetto hanno la mia più sincera stima.

Vi invito a seguire le vicende della nave da vicino.

Questo è tutto e TO GLORY AND VALHALLA!

MUSICA!
(Then place me on a ship of OAK, History Channel, QUERCIA!)

BTW, se qualcuno si stesse chiedendo “perché non Tyr, hanno un album su Eric il Rosso, ci stava a ciccio di sedano, la ragione è: da quando li ho visti live mi stanno sul cazzo da morì. E sì, la loro musica mi garbava anche.


Bibliografia

Il sito ufficiale dell’impresa

Un ritratto dettagliato della nave

L’arrivo in Merseyside

La partenza da Merseyside

La nave a Stornoway

L’arrivo nelle Faroe

La cerimonia della testa di Drago

La pagina Facebook della nave

Il canale YouTube dell’impresa

La pagina wiki della nave

Il sito informativo di Avaldsnes

Sulla tecnica del clinking

Sulla tradizione di fabbricazione di barche in Norvegia

Il museo danese dove si trova la Stallone del mare

Il museo delle navi vichinghe di Oslo

Valhalla rising: roba troppo profonda

Ho un sogno. Il sogno di vedere, un giorno, un film di vichinghi ben fatto. Un film dove non ti strappi gli occhi per i costumi a cazzo, non piangi per la scelta delle locations, non ti senti male davanti a tattiche di battaglia troppo cretine.

Esistono film del genere per altri periodi storici. Perché tutto quello che va dalla fine dell’Impero Romano alla Guerra dei Trent’anni deve essere trattato così a cazzo di cane? Non c’è una ragione logica!

Un giorno voglio sedermi davanti a un film di scandinavi incazzati senza dovermi prendere a schiaffi dall’inizio alla fine. Insomma, sto aspettando che qualcuno realizzi questo film (peccato solo per le corna, il resto è tutto storico).

Qualcuno mi ha consigliato la visione di Valhalla rising. Non la solita americanata alla Hiastory Channel, mi ha detto. E’ un regista danese, Nicolas Winding Refn, è un figo, davvero! E dopotutto le recensioni per questo film sono quasi tutte positive. Quindi perché no? Questa potrebbe essere la risposta a quel vuoto nel mio cuore. Potrebbe essere il bel film sui vichinghi che ho cercato per tutta la vita!

O forse no…

Dai primi secondi già capisco che non è il caso. Di botto, compare un testo su come all’inizio c’era solo l’uomo e la natura, e poi sono arrivati i cristiani a guastare la festa. Che già mi fa imbizzarrire un pochettino, dato che la frase è semplicemente stupida. L’ultima volta che l’essere umano è stato in contatto diretto e solitario con la natura, senza tutte quelle brutte cose chiamate “cultura” e “religione” e “morale” eccetera, è stato… no, non è mai stato. Ogni singola civilizzazione di Homo sapiens conosciuta è caratterizzata da suddette brutture. L’Uomo non vive con la Natura, non ci ha mai vissuto, vive con la visione che ha della Natura. Siamo animali culturali, è una caratteristica intrinseca della nostra specie.

Quindi raccattate le vostre massime neopagane su come “più prima era più meglio” e andate a farvi una passeggiata. L’unica cosa che cambia e che è davvero discriminante è il livello tecnologico, ovvero gli strumenti che le società hanno per fottere il proprio futuro.

Ma torniamo al film. Apriamo con un paesaggio di montagne scozzesi, truci uomini barbuti e il nostro protagonista chiuso in gabbiotto di legno.

Stringo i denti. Sono davanti a uno di quei film. Avete presente, no? Quei film che vogliono comunicare l’atmosfera cruda e cupa che regnava in questo periodo crudele della Storia.

E lo fanno annerendo le facce e le mani degli attori perché sì, la gente d’i ‘mmedioevo e gio’ava coi carbone tutte le mattine!

Niente urla “storicamente accurato” come facce annerite a caso…

No, sul serio, questa cosa mi dà un nervoso matto! Come vedere i tizi che tagliano le corde dei prigionieri invece di slegarle.

Qualcuno starà già dicendo “Oh Tengy, ma come mai scassi le gonadi con questi particolari?”

Perché i particolari sono importanti! I dettagli pratici sono ciò che dà profondità a un’ambientazione! Quando leggi in Historia mongolorum che i mongoli spulciavano i loro bambini e mangiavano il parassita tipo scimmie, sai che si trattava di gente abituata a fare la fame e sopportare prove fisiche ed emotive terrificanti. Non hai bisogno che qualcuno te lo dica.

Quando metti un attore con la faccia annerita, la mia domanda è : Perché? A che scopo? Cos’ha fatto questo tizio per essere così sudicio? Perché non si lava?

Per chi ha risposto “perché nel Medioevo la gente non si lavava”, FILA IN CAMERA TUA! Sei in punizione finché non cambio idea!


Tornando al film, diventa presto chiaro che non ci sta nemmeno provando a essere storico. O a seguire un senso logico normale. C’è un capo scandinavo di non si sa dove e non si sa quando che si diverte a organizzare incontri di lotta tra energumeni e scommettere soldi con un altro tizio.

Va bene, mi dico, magari questo film non vuole essere davvero un film storico, ma più un’esperienza, un viaggio psicologico tipo Il settimo sigillo di Bergman. I due film sembrano affini anche come contenuto: la fede, lo scopo nella vita, la morte, ecc…

Insomma, posso apprezzare un film anche se questo non sta raccontando una storia come le altre. Basta che mi stia raccontando qualcosa!

Mi armo di apertura mentale e pazienza, e vado avanti.

E all’inizio l’atmosfera è anche bella. I paesaggi sono spettacolari, gli angoli interessanti, la fotografia è splendida.

Solo che dopo 20 minuti uno comincia a chiedersi se ci sia altro, oltre all’atmosfera. E quando il primo evento della storia si manifesta, uno rimpiange che il film non sia solo 1h30 di silenzio e riprese da National Geographic.

Il ritmo di questo film è lentissimo. E lo dice una a cui i film dal ritmo lento piacciono. Ma qui 2/3 del tempo è occupato da facce truci che fissano il vuoto con aria intensa. O paesaggi. E ok, gran parte dei paesaggi sono anche belli, ma insomma, dopo un po’ è come guardare le diapositive di vacanze di zia Ludmilla.

Il protagonista di questa roba è un lottatore orbo da un occhio (come Odino! Get it?! E’ simbolico e significa roba!!!111!), tenuto al guinzaglio e usato per scazzottate e scommesse. Wow. Era dai tempi di Conan il Barbaro che non vedevo tanta fantasia.

Insomma, il nostro amico è muto, ma ha visioni (come Odino 2 il ritorno! Figo no?!). Mentre all’inizio questo sembra un fattore intrigante e interessante, presto ci rendiamo conto che le visioni non servono nessun particolare scopo. Vede che farà il bagno in un certo posto, e wow, fa il bagno in un certo posto! Vede che partirà per mare, e wow, parte per mare!

Non c’è nessuna reazione a seguito della visione (“ah, accadrà, che bello!” o “Oh no, devo fare in modo che non succeda!”). Lui le vede e dopo un po’ capitano. Più che visioni sono mini-spoilers.

Un bel giorno One-eye fa il bagno in un posto, e trova una punta di freccia. Una punta affilatissima, come prova sulla propria pelle (ciao, sono il tetano, piacere di conoscerti!). Con questa cosina riesce a tagliare il grosso collare di cuoio che ha addosso, liberarsi e tranciare la pancia di un uomo adulto (ovvero attraverso pelle, grasso e addominali).

Ok, qualcuno mi spiega il simbolo della freccia? Perché deve essere simbolico. Fisicamente è una stronzata completa, quindi o ha un senso simbolico o non ha senso e basta.

Il nostro e il bimbetto che si occupava di lui incontrano poi un gruppo di cristiani e insieme decidono di partire per Gerusalemme a fare i crociati! Yay!

A partire da questo momento comincia un profondo viaggio interiore ed esteriore, al cui traguardo troveremo la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.

Ovvero 42.

Cominciamo con ordine. Intanto One-eye uccide il suo padrone e tutti i suoi uomini. E lo fa fuori campo, perché di certo la sua vendetta non è importante per la storia.

Dopo che questo Terminator delle Highlands ha finito, capita su dei… tizi con delle croci tatuate, che hanno appena ucciso gente non meglio specificata (pagani, si suppone), bruciato i loro corpi (con del napalm immagino, dato che non c’è un solo albero in vista) e preso le loro donne prigioniere. Le signore sono mostrate un paio di volte, legate nude nell’erba. Non si sa che fine fanno né che scopo abbiano nella faccenda se non “la produzione voleva tot secondi di tette”.

I nostri decidono di imbarcare One-eye e il suo marmocchio in una crociata gerusalemmita perché dai, chi non vuole un pagano violento e dalla dubbia lealtà che ha appena sterminato un piccolo clan scozzese? Non portarselo dietro sarebbe come non portare spacciatori al compleanno del cuginetto dodicenne!

Insomma, i nostri montano su una barchetta da otto rematori e partono per Aurocastro, ma finiscono in una bonaccia infernale correlata da nebbione. Potrebbero remare, ma sia mai che si sciupi la manicure, meglio svaccarsi da una parte e morire lentamente di sete.

Il tempo passa, i minuti di film filano via lenti come la corrente dell’Ankh. I vichinghi crociati (sì, vabé, soffro) decidono che si tratta di una maledizione. Chi potrà essere quello che porta sculo?

Hum…

Potrebbe essere il sinistro pagano orbo e muto, miscredente e peccatore.

O il fanciullo indifeso. Sì, deve essere il fanciullo!

Cercano di farlo fuori, ma One-eye interviene e l’ammutinamento si placa.

Passa altro tempo, e a un certo momento One-eye decide di bere l’acqua fuoribordo. Tanto morto, per morto…

E cos’è cosa non è, ma i nostri non sono più in mare! Sono in mezzo a un fiume e non se ne erano nemmeno accorti!

E mica un fiume a caso! Un fiume di quella che si capisce essere l’America del Nord.

Ma porco Giuda impestato, FILM!

Va bene, con calma…

Questi, andando alla deriva a cazzo di cane, hanno attraversato l’Oceano. Boh, sì, anche io l’altra volta mi sono addormentata sul regionale e sono finita a Ulan Bator. Per tornare non vi dico, c’era anche lo sciopero dei cammellieri!

In secondo luogo, bada te la fortuna: non solo hanno attraversato l’Atlantico senza una sola bufera e un mare piatto come l’olio, non solo non hanno beccato nessuno scoglio, ma sono anche capitati su un estuario proprio il giorno di Opposite Day, quando la corrente va verso monte!

E lo so, i grandi fiumi hanno una risalita di marea, bla bla bla, no! Questo non è il Missisipi, santi numi!

Ma va bene, è simbolico. Simboleggia che nei momenti bui della tua vita, quando ti sembra di stagnare e morire lentamente, non dovresti uccidere bambini. Se nei tuoi momenti peggiori riesci a resistere alla tentazione di sgozzare fanciulli e buttarli a mare, allora arriverai in un mondo disabitato dove selvaggi assatanati ti uccideranno.

Forse il messaggio è che dovresti uccidere il bambino…

Per alcuni commentatori, il bambino simboleggia il Cristo, ma la cosa rende tutto ancora più confuso. Sono i cristiani che vogliono spacciarlo. Ok, quindi perdono la fede, o ne travisano il messaggio… E One-eye lo salva. Quindi Odino salva Gesù quando qualcuno travisa il Vangelo? O tipo, se sei in dubbio sull’interpretazione dell’omelia, chiediti “che vorrebbe Odino in questa situazione?”. E’ questa? Perché “stupra, brucia e saccheggia” sembra essere la soluzione più probabile…

Boh, in ogni caso arrivano a una specie di sito funerario indiano, e il capoccia dei crociati decide che questi selvaggi avranno un assaggio di ciò che possono fare gli Uomini di Dio!

Oibò, che sarà mai? Lo abbiamo visto massacrare, rapire, bruciare… Peraltro, questi fanno il culo a bande armate scandinave, di certo della gente rimasta al neolitico dovrà penare per venire a capo di tali baldi guerrieri!

O forse no.

La prima cosa che il capoccia fa è così tosta, ma così tosta, ma così tosta che nemmeno Lilin ha osato descrivere cotale tostaggine nel suo romanzo fantasy!

Fa una croce con due pezzi di legno e la pianta in un pantano. Aaaaaaah!

E grosso modo basta.

Uno della banda sparisce, un altro si prende una freccia, e i nostri continuano a pacciugare in tondo nella mota come un branco di ippopotami narcolettici. Ma lo fanno in modo molto maschio e intenso, eh!

Insomma, dopo una sfilarata di primi piani e facce truci che guatano nel vuoto, il capoccia decide che è ora di andare a fare il mazzo ai selvaggi.

-Senti coso.- fa uno -Non abbiamo mangiato nulla da giorni, siamo quattro stronzi e un marmocchio, e siamo anche armati ammerda.

(Nella miglior tradizione del filmaccio pseudostorico, tutti hanno spade, nessuno ha elmi, e solo il capo ha qualcosa che forse vuole essere un’armatura, ma che nei fatti pare la casacca metal che mettevi a diciotto anni per andare al concerto dei Blind Guardian)

-Non temere!- fa il capoccia -Con questa pozione magica resisteremo ancora e sempre all’invasore!

-Ma siamo noi l’invasore.

-Bevi!

-Potrebbe trasformarmi in rospo o in cul di monaca!

-Smetti con le citazioni nerd! Potremmo andare avanti giorni con le citazioni nerd e nessuno le chiappa mai!

Insomma, bevono. E parte un montaggio che mi ha fatto rivalutare l’arte di Lory del Santo e del suo inverecondo The Lady.

Cioé… Boh?!

Uno va a giocare col fango, One-eye fa pile di sassi, un altro s’ingroppa un tizio a caso… Ridono, pacciugano, salutano il corteo di elefanti rosa, sono tristi e disperati…

E poi la botta passa. E niente, hanno il down e sono tutti di cattivo umore.

Va bene, tolto il fatto che lo spezzone è molto maschio e intenso, a che cosa è servito?

Ok, sarò onesta. In realtà questo lungo segmento mi ha spinta a pormi delle gravi domande sulla mia esistenza. Tipo “cosa stai facendo della tua vita?” o “perché non ti cerchi un hobby serio?” e “la conqui l’avrà ricomprato lo zucchero? O toccava a me?”

Forse è simbolico per dire che quando sei davanti a qualcosa di sconosciuto e mortale, prenderti una ciucca non è una buona idea. Wow, ci voleva von Nicolas qua, da sola non ci avrei mai pensato.

Bon, dopo questo intermezzo utilissimo, il disperso ritorna. I selvaggi l’hanno coperto d’argilla e gli hanno fatto i disegnini addosso. Perché si annoiavano. E adesso riesce a sentire One-eye!

Non lo so gente. L’idea che One-eye stesse parlando e che fossero gli altri e non poterlo sentire era anche bella, ma non ha un impatto sulla trama e non si sa che fine fa ‘sto tizio imburrato, quindi prendetelo come aneddoto.

Uno dei cristiani decide che si è rotto le scatole di stare in questo film e attacca One-eye, che ammazza lui e altri due di cui non sappiamo il nome, così, per compagnia. Poi spiega, tramite il bimbetto (che adesso ha un legame telepatico con lui, perché sì) che il grande piano è: fanculo, torniamo a casa.

No, siamo precisi.

Il grande piano è: attraversare a piedi colline infestate di selvaggi, raggiungere il mare, costruire una nuova barca e tornare a casa!

A parte il fatto che per tornare da qualche parte devi sapere dove ti trovi per cominciare, ma perché costruire un’altra barca? Perché la passeggiata? Non potete rimettere in acqua la barca su cui siete venuti?

Si vede di no. E’ simbolico. Vuol dire che se ti trovi in un posto di merda, la soluzione più semplice ed evidente è da evitare.

Tipo, hai un problema di droga? Potresti andare in comunità a spurgare, oppure potresti spurgare facendoti paracadutare sull’Himalaya da un pilota con una gamba di legno alla guida di uno Zero della Seconda Guerra Mondiale dopo esserti dipinto di viola cantando l’inno nazionale inglese.

Insomma, One-eye, il bimbetto e altri due vanno via. Il capoccia dei crociati no, perché lui è pazzo e vuole costruire la Nuova Gerusalemme. A me non pare pazzo, mi pare stia facendo stupidaggini a caso come il resto del gruppo, ma tant’è. Il capoccia viene infrecciato e muore.

Il mio stato d’animo a questo punto del film. E’ simbolico.

Dei due che hanno seguito One-eye, uno è ferito, si siede su un sasso e stira le zampe; l’altro ci ripensa e torna indietro, uscendo dal film.

One-eye e il bimbetto arrivano alla costa (evviva?), ma One-eye riconosce le rocce. Grazie alla vedenza sa che morirà su queste rocce!

E infatti degli indiani arrivano e lui si fa ammazzare su quelle rocce, senza nemmeno regalarci un’ultima scena d’azione.

Il bimbetto viene abbandonato sulla costa brulla e deserta, dove suppongo morirà di fame e di sete.

Fine della storia.

Sentite, sarò anche capra io che non capisco il genio, ma questo film non ha né capo né coda ed è così pretenzioso da far passare Donnie Darko per un lavoro umile e autoironico. Io non sono per nulla contraria a film psicologici o astratti o simbolici. Ma di questa roba francamente non so che fare. Ogni interpretazione che ho trovato in giro può anche filare, finché non la applichi alla totalità delle scene.

Secondo alcuni, la scelta finale di One-eye è dettata dal suo desiderio di proteggere il marmocchio.

Ahem. Eh?!

Va bene, diciamo che sia così… cosa lascia supporre a One-eye che la sua azione convinca i nemici a risparmiare il bimbetto? Che, glielo ha suggerito il regista? E il marmocchio appare per ultimo solo su una costa desolata, tra rocce e oceano. In quale pianeta un’immagine simile si traduce con “andrà tutto bene, easy-peasy lemon-sqeezy, fa una barca e torna a casa”? Almeno il film Ran si chiude su un’immagine di Buddha, che può lasciar supporre una possibilità di salvezza per il personaggio. Valhalla rising? Boh.

Per altri il film è un esercizio di stile, e questo lo posso anche capire. E’ bello da vedere. Le immagini, la luce, gli angoli sono molto gradevoli per l’occhio, almeno fino all’ultimo terzo. Ma a parte ciò, boh.

Per altri ancora “tutti possono interpretarlo, ognuno deve vederci qualcosa di suo”. Sì vabé, io domani rovescio il caffé sul muro, poi sta all’inquilino interpretare la mia arte.

Per altri simboleggia la fine della religione pagana e l’inizio di quella cristiana (ma se i cristiani muoiono tutti?). O il sacrificio di One-eye sarebbe da ricollegarsi a quello di Cristo. Solo che, secondo la dottrina, Cristo si è sacrificato per una ragione (purificare l’umanità). One-eye si sacrifica per…? Per far finire il film? Apprezzo, ma non è un granché come idea.

Per altri ancora si tratta di una critica del colonialismo o un qualche invito a tornare alle origini. Ok, non so che abbiano visto, ma i neolitici di questo film sono altrettanto brutali e superstiziosi dei nostri amici cristiani.

Forse il film vuol dire che gli uomini sono bigotti e violenti dappertutto? Va bene, ma c’era bisogno di un sub-plot di capetti scandinavi in guerra coi cristiani, scommesse e poppute schiave norrene per stabilire ciò?

Per altri infine è un film che solo pochi possono capire. Non una roba da plebei.

Ok, eletti della cinepresa, parlatemi come parlereste a una bambinetta scema. Spiegatemi questo film. Perché il “se non lo capisci è perché sei scemo” ha anche un po’ rotto il cazzo, scusate il francesismo.

A me è piaciuto un sacco The Babadook. Ad altri ha fatto schifo. Io posso spiegare (vedi commenti) le mie ragioni con un’interpretazione che si confà a la totalità del film. Non è la sola interpretazione possibile, beninteso, ma è coerente per l’intera storia.

Le succitate spiegazioni non chiarificano un sacco di aspetti di Valhalla rising.

Ma hey, il limite deve essere mio. Dopotutto è noto che io sono una grande appassionata di film Hollywoodiani! Non vivo senza, guarda!

E parlando di film Hollywoodiani, in questa intervista Refn afferma che:

-non si tratta di un film di vichinghi (che sono brutti e da plebei).

-cito “è concepito come un viaggio nello spazio, come se foste sul tetto di casa vostra guardando il cielo, osservando le stelle, una sera d’estate.” Ok. No. Cioé… no. Vai via.

-Uno dei suoi film preferiti, che ci tiene a citare, è Avatar. Quello dei puffi alti 2 metri, in 3D. E con questo mando un bacino a tutti i commentatori che “voi plebei guardate troppi filmacci burini di Hollywood”.

Secondo la mia sentenziosa opinione, questo film non vuol dire niente. E’ un esercizio di stile punto e basta. Usa per ragioni estetiche dei concetti spesso impiegati in discussioni e ragionamenti, e li mette uno di fila all’altro. Guerriero, Odino, cristiani brutty&kattyvy, viaggio, America, trogloditi assassini, religione…

Tutti concetti usati per parlare di cose serie, e buttati qui con la pala. Ma siccome lo stile è figo e il tono pretenzioso abbelva, la gente cerca di leggerci dentro chissà che cosa. Un po’ come quando cerchi di vedere facce nelle macchie di umido.

Il settimo sigillo è una storia surreale con un chiaro contenuto simbolico. Ma quello che capita ha comunque senso all’interno della storia! Le ragioni e le azioni dei personaggi sono logiche anche se poste in un quadro simbolico. Il cavaliere sta giocando a scacchi con la Morte, ma lo fa con uno scopo, e quando rovescia i pezzi lo fa per una ragione logica e precisa.

Dove sta il senso in questo film? Sono pochi e devono combattere molti. Quindi bevono una droga che non serve a un cazzo. E sorpresa, non serve a un cazzo.

I tizi sono bloccati dalla bonaccia ma non usano i remi.

Il capo dell’inizio vuole combattere i cristiani, quindi gestisce una bisca in mezzo al nulla.

E via così!

Se i personaggi fossero stati memorabili e ben caratterizzati, forse sarebbe stato diverso. Ma a parte One-eye, il bimbetto e forse il capoccia dei crociati, nessuno di loro si distingue. Sono così intercambiabili che fino alla fine non ero nemmeno sicura di quanti fossero. Non hanno nemmeno un nome!

Un’altra cosa: l’unica cosa che potrebbe davvero farmi imbizzarrire nell’ambientazione del Settimo sigillo è la pandemia di Peste Nera. La storia si svolge dopo una crociata, quindi al più tardi nel XIII°, mentre la grande epidemia è di circa un secolo dopo. E’ un grosso anacronismo. Ma per il resto la faccenda fila abbastanza, e i personaggi sono tanto interessanti da catturare la tua attenzione fino alla fine. La morte, il cavaliere, la famigliola…

Valhalla rising quando si ambienta? Si parla di cristiani che vengono a menare pagani in Scandinavia, il che lascia presupporre forse il X° secolo. Ma poi si parla di crociate e Gerusalemme, quindi roba posteriore al Concilio di Clermont (1095), un’epoca in cui la Scandinavia può ritenersi cristianizzata (almeno proforma) e i pogrom anti-pagani pressoché conclusi. Allo stesso tempo si capisce che la Groenlandia e l’America del nord non sono ancora state scoperte. Peccato che Erik il Rosso approdò in Groenlandia nel 985 e suo figlio Leif arrivò in Vinland pochi anni dopo (Leif morì nel 1020).

Quindi quando si ambienta questa storia? Perché parlare di “vichinghi crociati” può far fisiologicamente male al cervello!

Paesaggi  
Atmosfera  
Gore iniziale  
Quadro storico del tutto inesistente  
Trama fantasma  
Lentezza abominevole  
Facce truci in luogo di trama e personaggi  
Scene inutili  
Completa assenza di logica nell’intera faccenda  
Droga  
Costumi da cavarsi gli occhi con un cucchiaino  
La punta di freccia in titanio!  
Morti a caso di personaggi a caso  
Il finale  
Snobismo intellettuale de noartri (Ask me what it means! Ask me what it means!)  

Al di là di tutte le cazzate, io lo so cos’è questo film. E’ il prequel di Pathfinder. Tre hurrà per Refn.

Conclusione?

Guardate questo film.

Perché?

Perché mi sentirò meglio sapendo che ho arrecato questa sofferenza a qualcun altro. E’ sbagliato e moralmente deprecabile, ma è la verità.

Scherzi a parte, se vi è piaciuto questo film, bene per voi. Ma bon, io ho sofferto. E non poco.

Un casto bacio sulla fronte a chi indovina tutte le citazioni!

MUSICA!

Vita da campo: Coudekerque-Branche 2015

-Oy.- qualcuno mi scuote -Sono le otto, sorgi e brilla.

Apro un occhio. Ho un freddo cane, umido fin nelle ossa e ho dormito solo tre ore. Sarà una bella giornata. Metto il naso fuori dalla tenda. Il parco di Coudekerque. Poche anime sono intorno alle buche del fuoco a ravvivare le braci.

Quest’anno ci hanno piazzati in un posto diverso dal solito. In quest’estate di merda non ho potuto partecipare a nessun raid, sicché Coudekerque 2014 è l’ultimo campo che ho fatto. Mi dà una strana sensazione, è come se non fosse passato un anno, è come se fossero passate solo poche settimane.

Mi vesto ed emergo. L’aria è pungente, ma il cielo è sgombro. Durante un campo. Non succede praticamente mai. Deve essere un segno. Buono o cattivo non lo so, ma di certo un segno.

Mi siedo sulla panca insieme agli altri. Pane e formaggio per colazione, e un canestro colmo di pani al cioccolato. No, non è storicamente accurato. Noi almeno ne siamo coscienti, a differenza di quei ritardati di History Channel. Il trucco sta nel far sparire gli anacronismi prima dell’arrivo della gente.

-Che orari abbiamo oggi?

Bothvar poggia un foglio sul tavolo, lo liscia con la manona.

-Nove e mezza, sfilata.

-E la lizza?

-Niente lizza.

Aggrotto le sopracciglia. Per una volta che arrivo a un campo in qualcosa di vagamente simile a “buona forma fisica”, ci tolgono la lizza? Sono venuta per farmi rovinare di botte, non per giocare al soldatino di piombo.

-Ci meniamo qui al campo e facciamo divulgazione storica.

Sarà interessante. La gente è sempre curiosa, e almeno avremo l’occasione di spiegare che no, Vikings non è accurato e che no, non esistono asci vichinghe bipenni.

-Non ho sentito cannoni stamani.- riempio il corno d’acqua -I Cechi del diciassettesimo non hanno portato l’artiglieria?

-I Cechi non sono venuti.

Cade il silenzio sulla tavola. Il disappunto è palpabile. I Cechi sono l’anima del campo, coi loro moschetti, la loro energia e la loro inesauribile riserva alcolica. Non è un vero Coudekerque senza di loro!

-I fondi per le Giornate del Patrimonio sono stati tagliati.- il capo ripiega il programma -Siamo tutti a un terzo degli effettivi.

Devo aspettare la sfilata per rendermene conto. Noi siamo numerosi, ma siamo gli unici. Franchi e Spartani mancano, come anche i Cosacchi e i moschettieri di Gustavo Adolfo. I Romani ci sono, ma i loro ausiliari galli sono la metà dell’anno scorso, e i napoleonici sono un terzo di quelli che c’erano nel 2014. A parte noi e il settore medievale, gli unici che si sono presentati in forze sono i tizi del ’39-’40, con un dispiego di veicoli ancora più massiccio che gli anni scorsi. Questa situazione mi rattrista un po’.

Ci mettiamo in marcia. Insieme a noi camminano altri vichinghi dell’associazione Les Temps Anciens. Sono una simpatica banda di gente gagliarda e hanno una ragazza combattente. E’ la prima che incontro in Francia da quando ho cominciato, almeno nella mia epoca. La sua arma d’elezione è una lancia. Accanto a me cammina una nuova recluta, l’Affrancato. E’ il suo secondo campo, e il suo elmo normanno è ancora liscio e lucido senza nemmeno un’ammaccatura.

Fanciulle combattenti! (Foto di Michel Langrenez)

La città è deserta, perché nessuno si alza alle nove di sabato mattina. Qualcuno si affaccia quando lo svegliamo a suon di chiasso. Dietro di me camminano una banda di allegri compagni del XIV°, muniti di corni. Dopo i primi dieci minuti di marcia e squilli mi dico che prima o poi finiranno il fiato. Dopo venti minuti mi chiedo se sia vietato scatenare una rissa multiepoca durante la sfilata. Dopo quaranta minuti sono sorda e ho raggiunto l’atarassia.

La sfilata si snoda attraverso lavori in corso e strade semideserte. E’ più lunga dell’anno scorso, ma io non mi scompongo: ho fatto i miei esercizi ‘stavolta, l’armatura non mi pesa! Per lo meno, non per i primi tre quarti d’ora, poi la scoliosi mi riacchiappa. L’unica persona che ama il free-fight vichingo più di me è la mia osteopata.

Dopo aver attraversato parcheggi e cantieri ritorniamo senza fretta verso il punto di partenza. Davanti alla fattoria del parco ci schieriamo tutti in buon ordine. Vedo che gli alleati sono numerosi, e anche i soldatini della Wehrmacht. Accanto a loro, quelli della prima guerra mondiale, con le loro belle divise azzurre e un pugno di gente col pantalone zuavo rosso vivo. Pensare che davvero li mandavano in trincea vestiti così è buffo e tragico allo stesso tempo.

E proprio mentre mi sto trastullando con tristi pensieri (le mie vertebre bidone, l’assenza dei Cechi, l’Inutile Strage), un raggio di gioia fa capolino tra le nuvole: il sindaco non c’è! E’ a protestare per il taglio di fondi alla Giornata, il che vuol dire niente discorso, il che vuol dire birra. Rapida, dissetante birra!

Yay, sfilata finita, dov’è la mia birra? (Foto di Michel Langrenez)

Il “bicchiere dell’amicizia” è uno spettacolo da vedere. Una via di mezzo tra un crocevia della Storia e un bar di assetati. Mi pigio nella calca di gente di tutte le epoche. Alcuni dei miei compagni si sono accalappiati un tavolo e stanno parlando di fashion.

-Hai visto il fodero della sua spada? E’ una riproduzione fedelissima, roba di classe!

-Ah, ma gli stivali nuovi del Tale? Voglio in nome dell’artigiano, sono magnifici e anche stagni.

-Pensavo di farmi una tenuta da guardia variaga.

I variaghi, maledetti i servi di Bisanzio! Tutti vogliono essere Rus o variaghi, solo perché avevano vestiti fighi da morire e bellissime armi. Civette. Che ne è della sana e brutale sobrietà occidentale?

Che poi io non dovrei parlare, la mia armatura è chiaramente un modello orientale d’importazione.

I campi multiepoca sono in assoluto i migliori e i più ricchi in sense of wonder (Foto di Michel Langrenez)

Forse è il campo a essere più piccolo, ma quest’anno la partecipazione del pubblico pare intensa. Ritagliamo una lizza con pioli e corda e facciamo un po’ di dimostrazioni, a coppie o a squadre. Lo spallaccio destro della mia armatura si è staccato dopo che i lacci di cuoio hanno ceduto, ma non me ne preoccupo,. Nessuno sta cercando davvero di uccidermi, alla fine. Anche perché combattiamo in stile occidentale, ovvero niente colpi sugli avambracci o sotto i ginocchi, e niente brutalità gratuita. Che per come la vedo io è un po’ come andare dal vinaio per bere succo di frutta, ma pazienza.

Cominciamo con un giro di duelli. Quest’anno me la cavo meglio dell’anno scorso. Sono più forte e non ho lo stomaco in guazzabuglio. Sarà che a parte qualche sorso di palinka non ho bevuto praticamente niente, o che il mio stress è arrivato al punto massimo ed ha sconfinato nel “eh, fanculo”. Stringo lo scudo, carico. Sono più bassa e più sega ella stragrande maggioranza dei miei avversari, se non accorcio la distanza e non prendo l’iniziativa il gioco finisce subito.

Il capo all’opera, sulla destra. Combattere contro di lui è un po’ come farsi martellare in terra a mo’ di piolo (Foto di Marine Marcinow)

L’unico vero problema è che la mia armatura è troppo buona. Non mi accorgo per niente quando qualcuno mi colpisce. Il tipo deve dirmelo, o urlarmelo, perché puoi tarmi un colpo d’accetta nella pancia e non ci fare minimamente caso. Sull’elmo li sento di più, non fosse che per il fatto che ti par d’essere il batacchio di una campana di Notre Dame, ma funziona solo in duello. In gruppo tutti martellano sulla capoccia di tutti. Se tu prendessi una batteria di pentole, la schiaffassi in un bidone di metallo e la buttassi giù per le scale, avresti meno casino. C’è poi anche il fatto che quando c’è chiasso il centralinista nel mio cervello sfancula tutto e archivia ogni input sotto “rumore di fondo”.

Uno dei miei avversari è un tizio della compagnia vicina, quelli dei Tempi Antichi. Ha uno scudo che fa il doppio del mio, un tondo che lo copre dalle ginocchia al mento. E io non posso scalzargli le rotule. Potrei picchiarlo sulla capoccia, ma fa due spanne più di me. Checcazzo, odio le regole occidentali.

Mi ritrovo davanti a Einar. Prendo l’ascia danese questa volta. Lui ha scudo e spada. Colpisco in alto, per agganciare lo scudo. Lui deflette, attacca. Paro indietreggiando. Einar carica, ma si protegge male, vedo la sua pancia coperta di maglia. Gli punto l’ascia contro lo stomaco e lo spingo indietro con tutta la forza che ho, gli assesto un colpo sul fianco, un altro sull’elmo. A questo giro ho vinto io, e quasi non ci credo. Non avrei dovuto colpire in affondo, è pericoloso, è stato un riflesso. Einar non se ne lamenta, è uno sportivo.

Al secondo giro ha vinto Einar. (Foto di Marine Marcinow)

Dopo i duelli ci mettiamo in formazione. Tre scudi davanti e tre armi d’asta dietro. Io mollo lo scudo e la spada per un’ascia danese. E’ così leggera che mi sembra di avere per le mani un balocco di gomma. E’ troppo leggera, non mi piace.

Questo genere di scambi vanno alla svelta. Non ci sono abituata e ho difficoltà a coordinarmi coi miei compagni. Picchio l’ascia sullo scudo di un avversario, oltre la spalla di un compare. Aggancio il bordo, tiro. La mia ascia s’impiglia nella cinghia dello scudo. Il tipo tira, ed è più pesante di me. Cerco di liberare la lama ma di colpo sono sola. La mia squadra è tutta a terra. Oibò. Mi fanno fuori in pochi secondi.

Si riprova. A questo giro sono colpita da una pertica che fa ufficio di lancia nella nostra compagnia. Il tipo me lo deve urlare, perché con questa ferraglia addosso non sento niente.

Riformiamo, riproviamo, ma la schiena sta cominciando a darmi davvero tanta noia. Decido di lasciar perdere dopo altri 2-3 scambi. Mi sembra di avere dei chiodi nelle vertebre, la spalla sinistra mi brucia. Forse non dovrei fare questo sport, ma allo stesso tempo che ci guadagno a star riguardata? Non si guarisce dalla scoliosi, finirò vecchia gobba in ogni caso, tanto vale essere una vecchia gobba con dei bei ricordi da raccontare all’ospizio delle Mummie Indigenti.

Non siamo solo rudi predoni: le nostre ragazze sono abili artigiane e bravissime gioielliere. (Foto di Marine Marcinow)

Il campo è piccolo e chi è venuto sembra più in vena di calma e chiacchiere che di giochi e zuffe come l’anno scorso. C’è qualcosa di malinconico in tutto ciò, ma sono felice di essere venuta.

Il settore ’39-’40 è il più grande. I loro veicoli invadono la piana, dalle jeep ai cingolati ai camion. Un gruppo di napoleonici balocca con una mitragliatrice montata su un fuoristrada. Un soldato della Wehrmacht rivestito un’armatura della Prima Guerra Mondiale. I suoi ufficiali hanno intravisto un tizio del XIII° in lamellare e gli hanno ordinato di difendere l’onore del XIX° secolo. Ha un coperchio di marmitta per scudo e una pala per arma. Aspetto speranzosa in attesa della singolar tenzone, ma il tizio del XIII° si allontana senza accettare la sfida. Peccato.

Uno dei gioiellini in mostra. (Foto di Michel Langrenez)

Torno sui miei passi. C’è uno strano attruppamento intorno alle nostre tende. Accelero il passo. Pompieri e paramedici. Sono in mezzo alla lizza, chini su qualcosa o qualcuno. Ahia, brutto segno. Abbiamo ripetuto l’exploit di due anni fa? Ai tempi Einar fermò una dane axe con il pugno e si aprì la mano dalla nocca giù tra le ossa per 3-4 centimetri.

Quando mi accosto vedo le gambe di qualcuno steso a terra, poi il suo gambézon. E’ il gambézon dell’Affrancato. All’ospedale al suo secondo campo, che fortuna!

Mi avvicino. Il Cerusico è con loro, l’Affrancato si tiene una compressa sull’occhio sinistro. Merda.

-Cos’è successo?

Ygritte è lì accanto.

-Un colpo di lancia.- dice, scura in volto -La mia lancia.

Incidente classico. Lei lo ha colpito sullo scudo. Lui ha parato male e piegato il polso. La punta è scivolata sul legno dritta nella sua faccia. Per sua fortuna la lancia non è appuntita e Ygritte ha avuto la prontezza di deviare: alla fine il ferro non ha colpito il bulbo, ma il lato dell’orbita.

Abbiamo avuto un’incidente del genere anni fa, durante un duello. Il tizio con il long sax è scivolato e ha mulinato le braccia d’istinto. La punta del coltellaccio ha centrato l’occhiale dell’elmo di un compagno. Il Cerusico lo ha caricato su una jeep del ’45 e sono sbarcati all’ospedale vestiti da vichinghi. Una bella scena: un gigante con la faccia gonfia e un danese che apre il discorso con “mia stia a sentire, SONO UN MEDICO”.

Anche in quel caso siamo stati fortunati, il compare se l’è cavata con un terribile occhio nero.

-Quanti danni?- chiedo.

-Niente danni.- il pompiere alza appena la testa -L’occhio c’è ancora, è andata bene.

-Due anni fa abbiamo avuto una mano tranciata in due.

-E l’anno scorso una bambina si è aperta le mani con un opinel.

Aggrotto le sopracciglia.

-Eri qui l’anno scorso?

Il tizio sogghigna.

-Oh no, vi conosciamo per fama.

Gli hanno raccontato anche del naso aperto l’anno scorso. A quanto pare quando li briffano sottolineano “e poi ci sono questi tizi della compagnia Mykrfrl… Myrikrfrfrrr… Quelli col capo che sembra Sandor Clegane e con il corvo sulla bandiera, quelli! Tienili d’occhio”.

Quest’anno però non siamo noi, aha!

L’ambulanza arriva, i paramedici aiutano il ferito a rimettersi in piedi.

-Occhio a dove metti i piedi.- gli dice il suo capo.

-Riguardati.- fa un’altra.

-E’ stato un incidente.- rincara un terzo -Dovresti chiudere un occhio.

L’Affrancato non risponde.

-Su con la vita!- gli urlano dietro -Sarai guarito in un batter d’occhio!

Che cari. Con amici così, chi ha bisogno di nemici?

La notte scende sul campo. A tavola discutiamo di spese e equipaggiamento quando dall’altra parte della strada, nell’altra metà del campo, qualcuno inizia a sparare. E continua a sparare. Che combinano?

Attraverso la strada che taglia il campo. I lampioni sono spenti nel viale dall’altra parte. Nel buio distinguo delle sagome nascoste dietro gli alberi. Alcune hanno i pennacchi di napoleone, altre no, le si distingue appena.

Uno scoppio e una lingua di fuoco. Uscivano dalla canna di un moschetto. Un’altra fiammata risponde tra gli alberi, insieme al triste chink di chi è obbligato ad avere armi neutralizzate. Un’altra salva di fucilate tanto forti che le orecchie mi fischiano. Cavolo, deve essere deprimente avere canne piene di piombo quando i tuoi avversari possono sparare a salve. Io forse mi risolverei a fare BUM con la bocca piuttosto che sentire lo scattare del cane e nient’altro.

Una salva arriva da sinistra.

-Che fate!- urla una voce nel buio -Siamo dei vostri!

-Ops.

Fuoco amico! Ti ammazza lo stesso, ma con molta contrizione.

I botti continuano. La polvere da sparo è divertente. Ho sempre avuto un malsano debole per il fuoco e le esplosioni. A volte penso che mi piacerebbe praticare un periodo storico dove si spara. Poi mi ricordo che spesso queste compagnie non si picchiano in corpo a corpo. Se non posso arrivare a tiro di cazzotto non è divertente.

Botti e fumicaggine! (Foto di Michel Langrenez)

Intorno a un falò, altri soldati dell’Imperatore bevono insieme a gente del Secondo Impero. Molti sono facce conosciute. C’è anche il compagno Slivovitz. Non è il suo vero nome, ma non ricordo come si chiama. Ha vinto il soprannome durante una rievocazione di Austerlitz. A quanto pare della gente aveva portato della slivovitz, e il giorno dopo lui ha avuto qualche problema con il drill.

Artiglieria! Ho già detto che i campi multiepoca sono i migliori? (Foto di Michel Langrenez)

-E il sergente mi urlava Ma stai fermo!”.- racconta -E io lì che dicevo, ma sei te che giri, sergente, giri giri giri…

Insomma, è stato un campo molto tranquillo, niente assalto al campo degli Alleati, niente mirabolante impresa. Sono anche rimasta sobria per la totalità del tempo, che non mi succedeva da quando avevo 14 anni.

Un po’ mi dispiace, un po’ mi dico che andava bene così. Dopo tutte le mazzate nei denti degli ultimi mesi, un po’ di bonaccia mi ha anche fatto bene.

Peraltro ho scoperto che lo spallaccio alla fine è utile, anche se non stanno cercando di ucciderti per davvero. Sono tornata a casa con un livido così grosso che per due settimane non sono riuscita a dormire sul fianco. La prossima volta porterò dei lacci di ricambio!

Continuo a non capire com’è che la rievocazione non sia più popolare. Ma hey, ognuno ha diritto di sciupare la sua esistenza come meglio crede.

MUSICA!

Ringrazio un sacco Michel Langrenez e Marine Marcinow, che mi hanno lasciato usare le loro fotografie. Sono splendide!

Illustri sconosciuti: Fujiwara no Sumitomo

Il sole è tornato, la fine dell’anno si appropinqua, e sto navigando nella merda senza terra in vista. Ergo mi sono detta che poteva essere à propos dedicare il primo articolo di giugno a un altro navigatore sventurato: Fujiwara no Sumitomo.

E’ uno di quoi momenti…

Sumitomo è considerato il capo di una delle principali rivolte dell’epoca di Heian e uno dei più acerrimi nemici della Corte. Eppure, per ragioni a me ignote, Sumitomo non se lo fila nessuno. Granted, non è simpatico come altri grandi ribelli della storia giapponese, ma resta degno di nota. A tutti piacciono i pirati no? Eppure, a parte essere citato di sfuggita in diversi saggi nel capitolo “Immagino sia obbligatorio accennare a questo tizio”, ho scovato solo DUE saggi specializzati su di lui. Bizarre, bizarre.

Il contesto

La zona del Mare Interno

Prima metà del X° secolo. Il Giappone attraversa un periodo di carestie ricorrenti ed epidemie disastrose. Malnutrizione e povertà sono conseguenze immediate di questi fenomeni, seguite a ruota da fuga dalle campagne, insubordinazione civile, aumento del crimine.

Il Mare Interno, vicino alla regione della Capitale, beneficiava di una situazione più stabile e di un’agricoltura più sviluppata rispetto ad altre zone come le lande orientali, con un tenore di vita mediamente più alto. Ciò nonostante, la zona annoverava anche le famiglie più povere del Paese, pigiate sulle coste a vivere di sale e pesca.

Il Mare Interno era anche un centro importantissimo per il commercio domestico e internazionale. Il porto di Hakata era un punto d’approdo per mercanti del Continente. Beninteso, il commercio internazionale era scarso e strettamente controllato dal Governo. L’arrivo e permanenza dei mercanti stranieri era supervisionato dal Dazaifu, il Governo militare di Kyūshū, situato nel nord dell’isola. Qui si faceva un inventario della mercanzia e lo si spediva alla Corte, che aveva diritto di prelazione. Una volta che i sacrés ci-devants avevano finito di fare la spesa, i mercanti potevano trattare con altri sudditi.

Con l’inizio del X° secolo gli scambi col Continente furono ridotti. Le provincie di Buzen e Nagato continuarono a fare un po’ di commercio nero, finché nel 911 il Governo non diede un giro di vite a cattivo: ridusse il numero di navi straniere autorizzate ad attraccare e proibì ai propri sudditi di lasciare il Paese.

Ora, il Mare Interno è sempre stato un posto da pirati, che potevano allungarsi lungo il fiume Yodo fin nella provincia di Yamashiro, ma queste bande non avevano mai rappresentato una minaccia seria. Troviamo un sacco di riferimenti alla loro esiziale presenza nel IX° secolo, ma siamo onesti: la Capitale non aveva né mura né fortificazioni degne di questo nome. Se queste bande fossero state numerose e capaci, i danni sarebbero stati molto maggiori.

Come si può immaginare, dopo la stretta sul commercio estero, il Mare Interno era diventato ancora più importante, un centro pulsante di commercio domestico. Ora, trasporti e traffici erano gestiti da clan locali legati per clientelismo a delle famiglione di Corte, tipo i Fujiwara. Come tutto il resto della vita economica, amministrativa e politica del Paese, durante l’epoca di Heian i legami di dipendenza personale presero un posto sempre più grande. In altre parole, via queste famiglie locali, il commercio e i trasporti erano di monopolio degli alti aristocratici. Secondo Matsuhara una delle ragioni di conflitto che spingevano gli uomini al saccheggio e alla pirateria era proprio questa offensiva del settore privato nella vita economica del Mare Interno.

Questa zona e la penisola di Kii erano il territorio di caccia favorito di questi gruppi. Impiegavano navi da pesca e da trasporto, robette a vela singola e remi, con una capacità di circa 27 tonnellate quando andavano bene.

Ve lo dico subito: la marina giapponese fa e farà piangere i gattini fino al XIII° secolo almeno. Ora, notiamo un cambiamento tra il IX° e il X° secolo, non riguardo alle navi, ma riguardo alle ciurme : mentre nel IX° la maggior parte era composta da criminali occasionali che lavoravano nei trasporti, più una massa di pescatori e morti di fame, quelli del X° erano, almeno in parte, dei toneri.

Cosa sono i toneri?

Energumeni della provincia impiegati dal Governo, di solito nelle sei Guardie. Queste bande, più addette alla prevaricazione e il casino gratuito che al mantenimento dell’ordine pubblico, erano in teoria incaricate di gestire la sicurezza e la logistica della levata delle tasse destinate alle Guardie. Costoro, come la maggior parte degli uomini in questo periodo, erano invischiati in una rete di clientelismo, che complica sempre le cose.

Il clientelismo e i legami di dipendenza privata generano impunità, e l’impunità è una minaccia all’ordine pubblico. Sicuro come la morte, questi uomini delle provincie erano spesso in conflitto con le autorità locali, forti della protezione dei loro patroni privati.

Nei primi due decenni del X° secolo la Corte aveva cercato di risolvere il problema di questi toneri turbolenti prima assegnandogli dei lotti di risaie per rimetterli all’agricoltura, poi scaricando il barile sulle spalle degli zuryō (governatori di provincia dalle competenze militari accresciute). Nessuna delle due strategie funzionò.

E’ in questo contesto che emerge Sumitomo, uno dei più scellerati nemici dello Stato. O così pare.

Sumitomo era un rampollo di nobile famiglia, i Fujiwara, no less. Suo padre Yoshinori era nipote dell’Imperatrice, cugino del giovane imperatore Yōzei e di Tadahira. Fujiwara no Tadahira fu uno dei politici più influenti del periodo e, ai suoi tempi, l’uomo più potente del Giappone (nonché Reggente degli imperatori Suzaku e Murakami).

Alberi genealogici! Tutti amano gli alberi genealogici!

Yoshinori non apparteneva al ramo dominante, ma seguì una carriera più che onorevole: ottenne il quinto rango, fu funzionario della Casa dell’Imperatrice, Ciambellano e governator della provincia di Suō.

Tutto molto bello, non fosse che nel frattempo il capo dei Fujiwara d’allora, padre di Tadahira, fece deporre l’Imperatore Yōzei. Pare che il sovrano fosse un matto da catena e che ci fosse un omicidio di mezzo. Ad ogni modo Yōzei e sua madre furono messi da parte.

Una decina d’anni dopo (895), Yoshinori fu spedito a Kyūshū come Aggiunto minore del Dazaifu con la missione di cacciare dei pirati coreani. Secondo Shimomukai, Sumitomo, che all’epoca doveva avere una decina d’anni, lo accompagnò in missione per farsi le ossa.

Le cose non finirono bene: Yoshinori mollò la funzione in anticipo e non fu ricompensato per il proprio impegno (peraltro infruttuoso). Morì poco dopo, seguito nella tomba dal padre, il nonno di Sumitomo.

La disgrazia di Yōzei e la morte prematura del padre e del nonno lasciarono il giovane Sumitomo senza protezione o appoggi politici. Suo fratello minore se la cavò abbastanza bene, ma lui rimase senza rango e senza funzioni di prestigio. Uno smacco duro da accettare.

Non sappiamo cosa combinò nei trent’anni seguenti la morte del padre. E’ possibile che abbia esercitato delle funzioni militari, tipo il takiguchi (guardia personale dell’Imperatore), ma non possiamo esserne sicuri. E’ anche possibile che sia stato impiegato nella Casa di uno dei figli dell’Imperatore Daigo.

Sumitomo ricompare nei radar nel 932, quando viene nominato Funzionario di terza classe della provincia di Iyo e messo ad assistere Fujiwara no Motona, il cugino più giovane del suo defunto padre. E’ probabile che Motona stesso lo avesse raccomandato in nome delle sue competenze tattiche, dacché Motona era uno zuryō e aveva una missione precisa: risolvere un nuovo, recente rigurgito di pirateria nel Mare Interno, faccenda che stava minacciando il monopolio Fujiwara sui traffici marittimi.

Tre anni passarono senza che i due riuscissero a ottenere un risultato decente. Nel 935, Motona e Sumitomo tornarono alla Capitale con le pive nel sacco. Motona continuò la sua carriera con un governatorato, Sumitomo beneficiò di qualche pacca sulla spalla, un “le faremo sapere” e fu spedito a spasso senza ricompense.

La delusione

Lo ritroviamo di nuovo un anno dopo, nella provincia di Settsu, alla testa di una flotta di loschi figuri. Secondo lo Honchō seiki, aveva ricevuto l’ordine (senji) di tornare nel Mare Interno e spianare un po’ di pirati. A questo giro, Sumitomo risolse parte del problema arruolando una percentuale di detti pirati nella propria banda.

L’operazione fu un successo: senza troppo bisogno di martellar capocce, Sumitomo e il governatore di Iyo, Ki no Yoshito, trovarono una soluzione diplomatica. La maggior pare dei pirati, tra cui una trentina di capibanda di rilievo, si arresero senza combattere. Furono amnistiati e furono assegnate loro delle risaie.

Tutto sembra calmarsi, fino a tre anni dopo, quando Yoshito scrive alla Corte per avvertirli che Sumitomo ha di botto preso il mare coi suoi uomini. Non dice con quali intenti (Yoshito era amico di Sumitomo e cercherà di coprirlo fino alla fine), ma avverte che la cosa ha gettato un po’ tutti nello scompiglio.

Non si sa bene cosa intenda Yoshito con “prendere il Mare”. Per alcuni si tratta del Mare Interno, per altri Sumitomo si stava dando allegramente al contrabbando, in barba ai regolamenti di Corte. E’ probabile. Di certo aveva un dente contro il Governo, dato che, dopo anni di onorato servizio, non aveva ancora visto l’ombra di un riconoscimento. Sumitomo era rampollo della famiglia più potente del Giappone, i suoi zii e cugini erano tutti Alti Dignitari. Doveva bruciargli, e tanto.

Secondo il Sumitomo tsuitōki, Sumitomo aveva lanciato la sua flotta pirata con puri intenti criminosi. La voce era arrivata nella regione della Rivolta di Masakado, il più grande sollevamento guerriero del secolo, nelle regioni orientali. Con un casino del genere all’Est, quale momento migliore per rosicchiare la Corte a ovest?

In realtà è molto dubbio che Sumitomo fosse di persona implicato in attività troppo aggressive, ma di certo questo ragionamento era stato fatto da alcuni dei suoi compagni, ed era solo una questione di tempo perché anche il Mare Interno fosse coinvolto nel casino.

In seguito a questa misteriosa partenza, una serie di misteriosi incendi scoppiarono nella Capitale. Colposi? Dolosi? Il Sumitomo tsuitōki suggerisce che fossero opera di gente di Sumitomo, che da tempo aveva un programma piromane in testa.

Si tratta probabilmente una bufala, gli incendi erano quasi di sicuro accidentali.

La rivolta

Sumitomo in azione

La situazione cambiò di botto quando il Governatore di Bizen, Fujiwara no Sanetaka, decise di lasciare il suo posto senza preavviso e precipitarsi alla Capitale. A quanto pare, aveva avuto vento di un attacco piromane preparato dai pirati contro la città e stava cercando di dare l’allarme.

Non sappiamo di preciso queli informazioni avesse Sanetaka, perché fu intercettato: alle sue calcagna c’era infatti un uomo chiamato Fujiwara no Fumimoto. Non si sa bene che rapporto avesse costui con Sumitomo. Amici, colleghi, alleati?

Fumimoto e i suoi riacchiapparono Sanetaka e famiglia nella provincia di Settsu, sul finire dl 939. I ragazzi furono uccisi, la moglie stuprata e rapita. A Sanetaka furono mozzate orecchie e naso e fu lasciato andare. Che tornasse pure alla Capitale a raccontare e sue storie: febbre e cancrena si sarebbero prese cura di lui.

Uno dei seguaci di Sanetaka era riuscito, intanto, a dare l’allarme alla Capitale. Quel giorno i nobili scoprirono di avere una nuova rivolta pirata sotto casa e non solo. Un altro messaggero era arrivato il giorno stesso, questo qua dalle lande orientali: a Est, Taira no Masakado si stava mangiando una provincia dietro l’altro manco fossero biscotti. La Corte si trova con due rivolte a tenaglia. Sarebbe stata il vaso di coccio tra i due di bronzo?

Il Governo nominò in fetta e furia Ono no Yoshifuru come tsuibushi del circuito del San’yōdō.

Che vuol dire? Spiego.

“Tsuibushi” è una funzione “extra-codale”, trattata con più dettaglio in questo articolo. Si tratta di una carica militare temporanea conferita a un aristocratico e che dava autorità sui guerrieri di un Circuito (insieme di provincie).

E’ interessante notare che la provincia di Iyo NON fa parte del circuito del San’yōdō su cui Yoshifuru aveva autorità. Secondo autori come Shimomukai, questo significa che, a questo stadio, la Corte non considerava il buon Sumi come il capo della rivolta.

Tre spiegazioni principali si presentano:

Sumitomo era protetto dalla parentela di sangue che lo legava agli uomini più potenti del Paese (nel qual caso il legame di sangue presso l’aristocrazia del Kinai si avvererebbe particolarmente solido e vigoroso, a differenza del legame di sangue nei gruppi guerrieri orientali);

Sumitmo non c’entrava davvero niente e a capitanare i black-bloc del Mare Interno era Fumimoto;

E’ possibile che Sumitomo sia stato protetto almeno in parte da Yoshito, con cui pare avesse mantenuto un rapporto di sincera amicizia.

Quello che pare sicuro è che, dopo questa bravata, Fumimoto chiese aiuto al suo compare Sumitomo, che scrisse a Tadahira per dire che Sanetaka se l’era cercata e che, se volevano la pace e l’agio di difendersi dal ribelle orientale, dovevano scendere a patti. I pirati non chiedevano molto, solo ricompense degne per il loro apporto durante la pacificazione del 936.

Il ricatto parve funzionare: il primo mese del terzo anno dell’era Tengyō (940) la Corte concesse delle funzioni di sottufficiali a Fumimoto e due dei suoi scherani (che si presume furono subito arruolati contro i ribelli orientali). Quanto a Sumitomo, la Corte gli assegnò il V° rango, facendone ufficialmente un membro dell’Alta Aristocrazia.

Ora, i ribelli del Mare Interno non erano ben coordinati come ci si potrebbe aspettare. Nei giorni che corsero tra la decisione della Corte e la consegna dei diplomi di rango e funzioni, Fumimoto pensò bene di occupare l’attesa flagellando la flotta lealista della provincia di Bitchū.

Quanto a Sumitomo, ricevuto il diploma pensò bene di raccattare i suoi e presentarsi alla Capitale. Proprio negli stessi giorni scoppiò una serie di bizzarri incendi, mettendo le autorità sul chi-vive. Incidenti o incendi dolosi? Molto probabilmente la prima. Non erano fenomeni rari e nel diario di Tadahira sono definiti “fortuiti” (jikka). Fatto sta che quando Sumitomo arrivò a Kawajiri, nella provincia di Settsu, fu accolto da porti chiusi e guerrieri incazzati. Senza far scandalo, il nostro optò per un discreto ritorno a Iyo.

E’ importante notare che Ono no Yoshifuru non aveva ancora ricevuto l’ordine di avanzare contro i pirati, ma la sua nomina a tsuibushi non era stata revocata. Insomma, al Governo ci credevano un sacco in questa faccenda del compromesso coi pirati.

A ciò si aggiunge il fatto che, lo stesso giorno in cui Sumitomo aveva picchiato il naso sul porto sbarrato di Kawajiri, la Corte aveva ricevuto una lettera dall’Est: Masakado era stato freddato da una freccia. I ribelli orientali si stavano sgretolando, il fronte era assicurato, e ora la Capitale aveva tutto l’agio di sistemare i ribelli del Mare Interno. Ecco perché non bisogna mai fidarsi dei nobili.

Per spezzare una lancia in favore degli aristocratici, bisogna dire che gli amici di Sumitomo non erano proprio persone affidabili. Mentre quest’ultimo si era messo in viaggio verso Heian, due dei suoi bravi avevano ripreso raids e saccheggi ad glandus segugi. E’ chiaro che, se a un certo punto Sumitomo può essere considerato “capo” dei pirati, di certo la sua presa sulle bande armate era labile.

Il sesto mese del 940, la Corte diede infine l’ordine a Yoshifuru di avanzare. All’inizio gli andò bene: marciò attraverso Bizen, Bitchū e Bingo, costringendo Fumimoto a ripiegare in Sanuki. Tuttavia, il 18 dell’ottavo mese, Sumitomo, che si era tenuto fuori dal casino, decise di ributtarsi nella mischia. Secondo il Sumitomo tsuitōki era alla testa di 400 navi! (O barche. Hum…) Secondo Shimomukai, lo scopo dell’operazione era fare talmente tanti danni da costringere la Corte a trattare.

Sta di fatto che fece polpette della flotta lealista di Bingo e Bizen, e prese il controllo di Iyo e Sanuki. Yoshifuru dovette ripiegare su Harima. In compenso, verso la fine dell’ottavo mese, la sua sfera di autorità fu allargata anche al circuito del Nankaidō, in cui era compresa (surprise!) la provincia di Iyo.

E’ durante questa fase che il nome di un generale in seconda dell’esercito imperiale emerge: Minamoto no Tsunemoto, il fondatore della famiglia guerriera dei Minamoto! Esatto, è l’antenato di Yoritomo, cheers!

Frattanto, nel Mare Interno, la flotta del governatore di Sanuki era stata spazzata via. Sumitomo saccheggiò il governo provinciale di Awa e andò a becchettare le coste della penisola di Kii. Secondo il Sumitomo tsuitōki, la sua flotta contava ormai 1500 navi. Che pare tanto, granted. Sempre prendere le cifre con le molle. Quella che pare un’informazione sicura è il nome del suo “ammiraglio”: tale Fujiwara no Tsunetoshi.

Tsunetoshi era un tattico molto abile e un uomo accorto: la rivolta non poteva durare all’infinito, la Corte aveva le mani libere per contrastarla e non sarebbe scesa a patti. Probabilmente capì che era solo questione di tempo prima che la bilancia cominciasse a pendere dalla parte sbagliata, e mollò Sumitomo per riarruolarsi subito con lo sconfitto governatore di Sanuki.

Può parer strano lasciare un capo all’apice della gloria per un altro che ha appena perso. Soprattutto se ha perso per colpa tua. Ma Tsunetoshi sapeva di essere indispensabile, e sapeva che sul lungo periodo la Corte aveva più probabilità di prevalere. Seguendo l’antico principio di “combatti solo guerre vinte”, cambiò bandiera e guidò con successo un attacco alla base dei suoi ex-compagni. E’ grazie a lui se Sanuki tornò nelle mani del Governo.

In Sanuki Tsunetoshi fu raggiunto da Yoshifuru e insieme partirono contro Iyo e il grosso della flotta ribelle. La flotta lealista tagliò attraverso i pirati come un coltello nel burro, disperdendone la maggior parte. Ma non era finita: Sumitomo e Fumimoto erano sempre vivi e avevano ancora abbastanza energia per far danni. Grossi danni.

La progressione del conflitto. Nellla legenda a destra, le provincie toccate nel 2°, 3° e infine 4° anno dell’era Tengyō

Quel che restava della flotta ribelle si lanciò in una corsa frenetica al saccheggio sulle coste del Mare interno, spingendo verso ovest. Annientarono la flotta dello tsuibushi del Dazaifu e saccheggiarono la zecca della provincia di Suō. Non solo: il distretto di Hata, nella provincia di Tosa, fu messo a ferro e fuoco.

Dopo questo slancio distruttivo, i nostri bucanieri spariscono dai documenti. Per qualche mese non abbiamo più notizie (si erano nascosti?), ma risaltano fuori il quinto mese del quarto anno di Tengyō (941), quando Yoshifuru avverte la Corte che Sumitomo ha saccheggiato niente meno che la sede del Dazaifu, rastrellato un numero imprecisato di persone e che ha poi rivenduto come schiavi.

L’attacco al Dazaifu fu l’ultimo momento di gloria di Sumitomo: il 20 del quinto mese Yoshifuru lo riacchiappò nel porto di Hakata e lo fece a pezzi. La repressione dei fuggiaschi prese ancora settimane, ma la battaglia di Hakata fu la fine della grande rivolta dei pirati del Mare Interno.

Sumitomo e suo figlio riuscirono a sfuggire alla cattura e tornarono in Iyo. Sumitomo sperava forse di potersi nascondere, o forse voleva chiedere protezione a qualcuno. Sta di fatto che il 29 del sesto mese fu catturato insieme al ragazzino. Non ci fu nessun giudizio, entrambi morirono prigionieri poco tempo dopo.

Fumimoto e i suoi fratelli erano a loro volta riusciti a scappare, ma arrivati in Tajima un vecchio amico li denunciò ai lealisti, che li presero e li scapitozzarono senza troppe cerimonie.

Così si concluse la rivolta pirata più grande del periodo di Heian. Purtroppo abbiamo pochi dettagli sui tipi di legami che univano questi uomini o sulle loro motivazioni ultime. Quel che è certo è che il sollevamento non aveva una strategia uniforme e che molte delle bande erano tenute insieme da legami relativamente labili. All in all, la Corte riuscì ancora una volta a usare un ladro per acchiappare un ladro: sia durante la pacificazione di Ki no Yoshito che durante la rivolta di Sumitomo, il grosso del contributo militare fu portato da gente che aveva cominciato la stagione dalla parte dei ribelli.

That’s all for today, folks!

MUSICA!
————————————————————————-

Bibliografia

HALL John Whitney , Government and Local Power in Japan, 500 to 1700, Princeton University press, Princeton, 1966, p. 66-154

HERAIL Francine, Histoire du Japon des origines à la fin de Meiji, Aurillac, Publications Orientalistes de France, 2006, p. 105-168

HERAIL Francine, Gouverneurs de province et guerriers dans les Histoires qui sont maintenant du passé, Paris, De Boccard, 2004

HERAIL Francine, La Cour et l’administration du Japon à l’époque de Heian, Genève, DROZ, 2006

FARRIS William Wayne, Japan’s medieval population: Famine, fertility and warfare in a Transformative Age, Honolulu, University of Hawaii Press, 2006, p. 1-11

FARRIS Wayne Williams, Japan to 1600, a social and economic History, Honolulu, University of Hawaii Press, 2009, p. 27-80

PIGGOT Joan, dans ADOLPHSON Miakel, KAMENS Edward, MATSUMOTO Stacie, Heian Japan, Centers and Peripheries, Honolulu, University of Hawai’i Press, 2007, p. 35-65

PIGGOT Joan R., YOSHIDA Sanae, Teishin kōki, what did a Heian Regent do?, New York, East Asia Program, Cornell University, 2008

TURNBULL Stephen, Pirate of the Far east, 811-1639, Oxford, Osprey Publishing, 2007

In Giapponese

KAWAJIRI Akio, Nihon no rekishi, Heian jidai: Yureugoku kizoku shakai, tome 4, Tōkyō, Shōgakukan, 2008

KITAYAMA Shigeo, Ōchi seiji shiron, Tōkyō, Iwanami shōten, 1970, p. 1-205

MATSUHARA Hironobu, Fujiwara no Sumitomo, Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 1999, p. 1-212

SHIMOMUKAI Tatsuhiko, Monogatari no butai wo aruku Sumitomo tsuitōki, Tōkyō,Yamakawa, 2011

SHIMOMUKAI Tatsuhiko, Bushi no seichō to insei, Tōkyō, Kōdansha, 2001, p. 1-127

Fonti antiche

FUJIWARA Tadahira, Teishin kōki, Tōkyō, Iwanami shōten, 1956, p.2-209

Comité IWAISHISHI HEN, sous la direction de FUKUDA Toyohiko, Taira no Masakado shiryōshū ; Fujiwara no Sumitomo shiryō, Tōkyō, Shin jinbutsu ōraisha, 2002, p. 113-155

KUROITA Katsumi, Kokushi taikei, volume 12 (Fusō ryakki ;Teiō hennenki ) , Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 1943, p. 211-219 ; 239-240