Genpei 2.1: Agiremo con Buonsenso solo dopo aver esaurito ogni altra possibilità

Abbiamo lasciato i Taira alle prese con ribellioni diffuse in tutto il Paese, Yoritomo ancora saldamente basato a Kamakura ma pesto dopo un rovescio di fortuna, i monaci in rivolta e l’Imperatore Goshirakawa alla Capitale col cerino in mano.

Molti di questi disordini non dipendono direttamente dalla guerra tra Taira e Minamoto: piuttosto, la situazione difficile e la debolezza del governo esacerbano rivalità locali e familiari. Insomma, se gli aristocraticoni imperiali si sgozzano tra cugini, perché la stessa simpatica usanza non dovrebbe essere praticata in provincia? E’ importante tenersi al passo con le ultime tendenze!

E’ vero però che buona parte di questi conflitti sono polarizzati dai due galli del pollaio. Un esempio sono i Kōno, che si ribellano in Iyo nell’isola di Shikoku. Il movente iniziale è una rivalità con un’altra famiglia di notabili locali, ma dopo l’arrivo di un Castigatore Taira incazzato, i nostri baldi guerrieri son lesti a precipitarsi da Yoritomo, che per conto suo è ben lieto di allungare i tentacoli anche nel Mare Interno.

Kiso Yoshinaka attacca la residenza dei Jō in Echigo, dal pennello di Utagawa Yoshitora

I Taira possono dirsi soddisfatti di aver vinto almeno una battaglia contro di lui, ma non hanno tempo di riposare: in Shinano si trova ancora Kiso Yoshinaka, e il giovane comandante è carismatico, abile e ambizioso. Tre grossi difetti.

I Taira si riuniscono alla Capitale.

-E’ necessaria una spedizione punitiva.- Decreta il Capo del Clan, Munemori, secondo figlio di Kiyomori. -Come stiamo a fantaccini?

-Sono morti di fame sulla via del ritorno.

-E i cavalieri?

-Si sono mangiati i cavalli sulla via del ritorno.

-Tutti?

-No, il resto delle bestie si è azzoppato inciampando sui cadaveri dei morti di fame.

-Ottimo…

-Abbiamo dei vassalli in Echigo, i Jō, magari bastano loro a scapitozzare Yoshinaka.

-Massì, dai, basteranno. Cosa può andare storto?

I Jō sono incaricati di scapitozzare Yoshinaka. Sequestrano beni e cibo, radunano i guerrieri di Dewa, Echigo e dintorni a calci nel culo e si dirigono in tromba in Shinano. Il loro esercito conterebbe 40.000 o 60.000 uomini secondo le fonti, ma sappiamo che i numeri sono sempre da prendere cum grano salis. Quello che però è certo, è che si tratta di un’accozzaglia male assortita di bande diverse, poco uniformi e disunite (nonché spesso nemiche tra loro). Questa gente viene tirata al fronte a combattere per gente che non conosce contro altra gente che non conosce, quando potrebbe restare a casa ad allevare cavalli e sbudellare cugini. La maggior parte di questi guerrieri ha tanto da perdere e poco da vincere.

Nel mentre, Yoshinaka sta preparando i suoi uomini. Secondo le fonti, si tratterebbe di 2.000 truppe montate, divise in 3 bande principali di cui una (la Kiso) sotto il suo diretto controllo.

Tra le sue truppe troviamo anche nominati i Takeda di Kai, ma pare strano, visto che questi combattevano per Yoritomo (cugino e rivale di Yoshinaka). Secondo Uesugi è più probabile che le truppe di rincalzo venissero da Kōzuke, provincia in cui Yoshinaka aveva discreta influenza.

I due partiti si incontrano sulla piana alluvionale della Yokota.

La regione dei Circuiti di Hokuriku e Tōsan

Yoshinaka ha gente convinta, ma meno numerosa. Promette male. Al consiglio di guerra, i nervi sono tesi.

-Potremmo scatenare delle papere.- Propone qualcuno. -Ho sentito dire che sulla Fuji hanno fatto una macello.

-Le papere?

-Pare.

-Chi l’avrebbe mai detto…

-Dei rinforzi del clan Inoue dovrebbero arrivare.- Interviene un altro. -Dice che son qualche migliaio, sempre pochi ma magari fanno più danni delle papere.

Nessuno fa più danni delle papere!

-Però-

-E poi non cambia, sono sempre troppo pochi, quando i Jō li vedranno arrivare, faranno salsicce di loro e dei loro cavalli.

-Vero.- Conviene Yoshinaka. -Potrebbero non vederli arrivare.- Sorride. -Viviamo in tempi molto confusi, dopotutto.

E’ una mattina del sesto mese, il campo dei Jō è un casino bestiale in potenza. Jō Nagashige pretende un rapporto sullo stato delle truppe.

-A parte coltellate tra le scapole, risse tra ubriachi e minacce, va benone.- Attacca l’aide-de-camp. -La banda dei Tali ha cercato di dar fuoco alla banda dei Tizi per una storia di corna.

-Furto di donne o furto di arieti?

-Non credo faccia davvero differenza, dalle loro parti.

-E quindi?

-Sono stati interrotti dalla banda dei Semproni che inseguiva Un’Altra Banda A Caso.

-Sempre corna?

-No, sono cugini, quindi devono uccidersi tra loro.

-E’ naturale.

-Sì, mio signore.

-Tifo? Peste?

-Non ancora, se diamo battaglia oggi riusciamo a fare più morti di spada che di malanni!

-Sarebbe bello.

-Secondo i nostri calcoli, abbiamo ancora quindici ore prima che quest’accozzaglia di facinorosi esaltati inizi ad autodigerirsi.

Un messaggero arriva di corsa nella tenda di Nagashige. -Capo, sta arrivando una banda di qualche migliaio di cavalieri!

-Chi diavolo sono?

-Non si capisce molto bene, ma hanno le bandiere dei Taira.

Nagashige guarda l’aide-de-camp. -Stiamo aspettando rinforzi?

L’aide-de-camp si stringe nelle spalle. -Poesse. Alcune delle bande se ne sono già andate, alcune stanno dando la caccia ai paraculi che non si sono ancora mossi di casa loro, altra gente ancora è in ritardo…

-Bon, a caval donato non si guarda in bocca, date il benvenuto ai nostri amici!

Spoiler

Per citare lo Heike monogatari:

“Ah, quindi anche in questa provincia c’erano partigiani degli Heike! Ciò è incoraggiante!- esclamò, ringagliardito.

Ma i sette distaccamenti [dei nuovi arrivati], che nel frattempo si erano avvicinati, fecero giunzione a un segnale convenuto e tutti insieme lanciarono l’urlo di guerra. Gli stendardi bianchi [Genji] che tenevano pronti si levarono all’improvviso. E la gente di Echigo, a questa vista:

“I nemici sono senza dubbio decine di migliaia! Che ne sarà di noi!- si dissero, impallidendo.

Nella fretta e la precipitazione, gli uni spinti nel fiume, gli altri gettati nei dirupi, ben pochi scamparono e molti furono colpiti.

Le bande sopravvissute e quelle rimaste a Echigo si rendono conto che i Jō sono pestimale. Quando il gatto non c’è, i topi ammazzano il cugino: scoppiano rivolte ovunque, fuoco e massacro si diffondono attraverso la provincia come un’epidemia. Fino a quel giorno i Jō hanno comandato grazie alla protezione dei Taira. Yoshinaka ha mostrato ai guerrieri che le braccia dei Taira sono più corte di quanto si pensasse.

Salve, mi serve il raccolto per far la guerra a mio cugino. Come sarebbe non c’è raccolto?

La notizia della battaglia della Yokota non tarda ad arrivare a Yoritomo.

Yoritomo non è stupido, sa che queste sono brutte notizie.

-Se continua così, tuo cugino potrebbe perfino marciare sulla Capitale.- Gli fanno notare.

-Lo so.

-E’ discendente di Yoshiie come te, potrebbe rivendicare una posizione dominante nel clan.

-LO SO.

-Potremmo attaccarlo.

-Noi abbiamo appena perso, lui ha appena vinto, cerchiamo di non fare stronzate troppo grosse.

-Potremmo allearci con lui…

-Piuttosto mi faccio sbranare dai chihuahua.

-E allora che facciamo?

Yoritomo sospira. -So che sto per dire qualcosa che vi parrà rivoluzionario, impensabile e perfino immorale.

I guerrieri impallidiscono. -Oh no.

-Sì. Dobbiamo dar prova di buonsenso.

Svenimenti e nausea.

-E’ contro la tradizione!

-L’ultimo notabile di buonsenso è stato Masakado, e tutti sappiamo com’è andata a finire!

-E i bambini? Che esempio daremo ai bambini?

Yoritomo li silenzia con un gesto. -Mi duole tantissimo, ma a mali estremi, estremi rimedi. Chiamatemi uno scrivano.

Yoritomo è un politico accorto e un fine conoscitore dell’essere umano. Non scrive direttamente al capo dei Taira Munemori, contatta surrettiziamente l’Imperatore Ritirato Goshirakawa e gli chiede di passare il messaggio. Magari se Sua Maestà Frate ci mette una buona parola, i Taira saranno più inclini a dargli retta.

Il messaggio recita qualcosa del genere: “sentite, al di là di tutto, tutti noi vogliamo solo difendere l’Imperatore, giusto? Insomma, senza Imperatore è la guerra civile fino all’ultimo uomo e nessuno vuole questo. Quindi facciamo così: voi vi tenete l’Ovest e i vostri porti per commerciare con la Cina, noi l’Est e i pascoli dei cavalli. Non è niente di drammaticamente diverso da quello che abbiamo fatto per 300 anni, ovvia! Mettiamoci una bella pietra sopra e volemosebbene.”

Munemori e soci considerano la proposta.

-Ha senso.- Osserva uno. -E ci caverebbe da una brutta impasse. I Kikuchi di Kyūshū sono ancora in rivolta, la fame falcia centinaia di plebei al giorno, in Shikoku stanno corteggiando la causa Geniji e il nostro nuovo imperatore ha cinque anni appena.

-Potremmo in effetti lasciar perdere.- Conviene un secondo. -Lasciamo che sia Yoritomo ad occuparsi di suo cugino Yoshinaka, noi ci teniamo il boccone grasso della regione centro-occidentale e loro possono tornare a scopare arieti ed allevare cavalli. O era il contrario?

-Tutto questo ha molto senso e solo un pazzo rifiuterebbe una proposta simile.- Munemori annuisce. -Ma mio padre Kiyomori mi ha fatto giurare di non far mai la pace con i Minamoto, quindi ciccia.

Non sto scherzando.

Ah, le colpe dei padri…

I Taira tentano di riportare l’ordine in Hokuriku, ma le rivolte continuano: Noto e Kaga si ribellano, gli intendenti fedeli ai Taira sono cacciati o uccisi a colpi d’accetta.

Taira Michimori viene spedito con un esercito di pacificazione e arriva senza ingombro al governo provinciale di Echigo.

-Oh, non è così male, dopotutto.- Commenta. -Yoshinaka non si è nemmeno fatto vedere. Magari la gente è stanca di sangue e pronta a tornare in riga.

-Magari, mio signore.

-E questi bei riverberi che si vedono, cosa sono? Festeggiamenti?

-E’ il benvenuto dei Kaga-Genji?

-Oh, vedi che ci festeggiano perfino loro? Cosa stanno bruciando?

-Villaggi.

Michimori è partito per pacificare l’intero Circuito, ma ridimensiona presto le sue ambizioni alla provincia di Echigo. E anche in quel caso, calmare i guerrieri locali è un po’ come voler ragionare coi calabroni dopo avergli scorreggiato nel nido. Notabili, frati, intendenti di santuari, tutti sono armati e tutti sono affamati. Chi ha fame uccide.

Perfino i vassalli Taira capiscono l’antifona: ci vuole un capo carismatico e in cui la gente creda. Michimori non risponde alla descrizione, Yoshinaka sì. Molti cambiano campo in meno di un mese.

Dopo aver perso più di 80 vassalli personali, Michimori si rassegna e abbandona Echigo. Si asserraglia nella fortezza di Tsuruga, ma prima ancora che i suoi possano mandargli rinforzi è costretto a mollare tutto e fuggire in montagna. Il circuito dell’Hokuriku è un vespaio senza compassione, e dal casino Yoshinaka emerge con una banda temibile e compatta.

Dal canto suo, Yoritomo cerca di lanciare un attacco decisivo sulla Capitale, ma viene bloccato dalle truppe di Koremori, autore del disastro sull Fuji e della vittoria sulla Sonomata.

Nell’undicesimo mese, il Paese è un disastro e i tre contendenti principali (Yoritomo, Yoshinaka, Taira) si trovano in un’impasse militare. Nessuno di loro può muoversi senza esporre il fianco, e nessuno di loro ha le risorse di attaccare e difendersi allo stesso tempo.

Intanto, la carestia infuria. Miserabili muoiono gli uni sugli altri per le strade della Capitale. I campi vengono abbandonati. Ispettori delle tasse brutalizzano plebei e notabili per strizzar loro riso e bestie per la guerra. La gente fugge, la gente si ribella, l’economia collassa.

Il macello di Genpei non è finito, ma entra in una fase di gelo. E’ il 1182, e tutto è allo stesso tempo in subbuglio e cristallizzato.

Quindi cosa abbiamo imparato oggi, bambini?

Uccidete vostro cugino prima che lui uccida voi. Nella miglior tradizione tragica, il sangue del proprio sangue è il più dolce da spargere.

MUSICA!

Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Genpei 2.0


Bibliografia

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, 2004, New York

ROYALL Tyler, The tale of the Heike, Viking, 2013, New York

SOUYRI Pierre-François, Histoire du Japon Médiéval – Le monde à l’envers, Tempus, 2013, Paris

UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō

Storie di documenti: Ashikaga Yoshimasa e la colletta della Befana

Il 2 gennaio 2015 scrissi:

Il 2015 è finito, finalmente. E’ stato un anno molto grumpy, e ho alte aspettative per il 2016.

Le mie aspettative non sono state deluse. Riuscirà il 2017 a essere ancora più grumpy del 2016?

Noi della Fortezza diciamo di sì.

Per attaccare questo nuovo anno di fastidio e antipatia, ho deciso di presentare un articolo un po’ diverso dal solito. Non voglio parlare di battaglie e ammazzamenti, ma analizzare un dettaglio pratico, un tipo di documento con cui lo studioso di Storia si trova alle prese. Nella fattispecie, una lettera diplomatica dello shōgun al re di Corea. Perché? Così avrete un’idea di che tipo di documento il ricercatore si trova a leggere e analizzare.

Il quadro storico

Il Padiglione d’Argento, in cui Yoshimasa passò buona parte del suo tempo (buon per lui)

All’inizio del XV° secolo il governo giapponese non ha relazioni ufficiali e dirette con la Corea, ovvero non ci sono lettere ufficiali tra l’Imperatore e la dinastia di Joseon (1392-1910). Alo stesso tempo, le grandi famiglie giapponesi non esitano ad avere scambi privati con la corte coreana, di solito usando grandi mercanti come intermediari.

La lettera di cui ci occupiamo oggi è tratta dallo Zenkoku hōki, una raccolta di missive scambiate tra lo shōgun e il re di Corea, ovvero tra Ashikaga Yoshimasa (1436-1490) e re Sejo (1417-1468).

Chi è Yoshimasa?

Ashikaga Yoshimasa, dal pennello di Tosa Mitsunobu

E’ l’ottavo shōgun della dinastia Ashikaga e detiene il titolo dal 1449 al 1490. Manco a dirlo, il XV° è un brutto periodo. Non che la vita in Giappone sia mai stata una festa, ma con Yoshimasa è particolarmente rognosa.

Non che sia solo colpa sua, beninteso. Per cominciare il Paese si cucca un bel rosario di rovesci climatici che sputtanano i raccolti. Da una parte gli usurai si fanno tondi, dall’altra contadini e guerrieri di provincia cominciano a ribellarsi.

Per fare un esempio, nel 1462 la gente del dominio Niimi (guidata da piccoli guerrieri locali) decide: “sai che? Moriremo tutti di fame e di peste, tanto vale cavarsi qualche sasso dalla scarpa”.

Vanno dall’amministratore del dominio, lo ammazzano e danno fuoco a ogni cosa. Gli ufficiali che si recano sul posto trovano una scritta cubitale in sangue e frattaglie: WORTH IT.

E mentre avvenimenti di questo genere si diffondono per tutto il Paese, le famiglione al potere decidono che è il momento perfetto per scannarsi tra loro Genpei style. Un anno dopo la redazione della lettera che ci apprestiamo a leggere sarebbe scoppiata la Guerra di Ōnin, un bagno di sangue di proporzioni epiche che sprofonderà il Paese nel Periodo Sengoku (altresì conosciuto come “150 anni di guerre civili e bordello così atroce che se fossero sbarcati i Klingon nessuno ci avrebbe fatto caso”).

E Yoshimasa in tutto questo che fa?

Verrebbe da dire “nulla”, ma purtroppo non è così. A parte sputtanare miliardi in regge e giardini, il nostro fa danni, immischiandosi in scazzi ereditari e politici ma senza implicarsi davvero, dando appoggio a tizio o a caio secondo l’umore, e lasciando briglia sciolta al suo savio mentore.

Non è proprio un personaggio simpatico.

Ma aveva gran gusto estetico e intellettuale! E’ grazie a lui che vediamo fiorire arti come la Cerimonia del The, il Nō e quant’altro.

Ma torniamo a noi. Non voglio dilungarmi troppo nel contesto, le cose saranno spiegate via via.

La lettera

Primo anno dell’era Bunshō, segno del Cane ramo maggiore del Fuoco

Come ogni documento ufficiale che si rispetti, la lettera comincia con la data. Il primo anno dell’era Bunshō corrisponde al 1466 nel calendario gregoriano. Il resto è dedotto secondo il ciclo sessagesimale del calendario cinese, che si articola in 60 “binomi” ottenuti associando due serie, una di dieci “Tronchi Celesti” (gli “agenti” taoisti) e una di dodici “Rami Terrestri” (i segni zodiacali).

Minamoto no Yoshimasa del Giappone

Porge i suoi rispetti a sua eccellenza il re di Corea.

(L’autore di questa lettera è Menkoku)

Le lettere ufficiali dovevano essere scritte il cinese. Questo perché il cinese è una delle invenzioni migliori di sempre.

Re Sejo riceve la lettera di Yoshimasa. Ed è già grumpiness…

Pensateci. In un alfabeto fonetico come può essere il nostro, ogni simbolo corrisponde a un suono. Nel caso degli ideogrammi, ogni simbolo corrisponde prima di tutto a un concetto. Questo che significa?

Che non hai bisogno di conoscere il cinese per leggere il cinese. Una volta che hai imparato un pugno di regole per l’ordine di lettura, dato che ogni segno è un concetto, puoi leggere il testo nella grammatica che più ti è congeniale (io leggo il cinese in giapponese, per esempio). Per un impero multiculturale come era (ed è sempre stata) la Cina, questo era uno strumento straordinario, al pari dell’acciaio e della ruota.

Non hai bisogno di costringere i tuoi sudditi a imparare la tua lingua. Basta insegnar loro a leggere quello che tu scrivi nella loro lingua! La comunicazione diventa molto più semplice e offri meno appigli al risentimento separatista. E’ pratico, è collaudato, è geniale.

Tuttavia c’è un piccolo caveat: chi scrive il documento deve sapere il cinese, e deve saperlo bene. Una minoranza di letterati poliglotti resta quindi necessaria. Yoshimasa, che di certo scriveva benissimo, si affidava quindi a dei professionisti per la redazione delle lettere ufficiali. Il signor Menkoku, misterioso autore di questo documento, era senza dubbio un monaco letterato.

Ma veniamo al nome che il nostro Generalissimo usa. I Minamoto sono il clan di cui la famiglia Ashikaga fa parte ed è con questo nome che Yoshimasa interagisce con altri leaders stranieri. Da notare che lo shōgun non include il proprio titolo nella lettera, ma prende cura di usare un linguaggio di raffinata cortesia e rispetto nei confronti di Sejo.

Di rimando, nelle risposte, il Re di Corea ha la cortesia di indirizzare le proprie lettere al “re del Giappone” (intendendo lo shōgun).

Al di là delle formule di buona creanza, i due paesi hanno relazioni egalitarie, in quanto entrambi si considerano come regni indipendenti ma satelliti del Grande Ming.

Il Grande Ming

Nonostante i nostri due Paesi siano separati da 1000 li, dal Grande Oceano, lo scambio di inviati ci rende vicini. Ogni volta che abbiamo richiesto qualcosa, ce lo avete sempre accordato senza fallo. La nostra gratitudine è inesprimibile.

Yoshimasa non perde troppo tempo in salamelecchi: lui e Sejo sono uomini occupati, quindi non meniamo il can per l’aia e andiamo al sodo. Caro collega, voglio chiederti qualcosa.

Nella nostra capitale meridionale [Heijō] c’è un tempio. Il suo nome è Yakushi-ji.

Yoshimasa sta parlando del tempio dedicato al Bodhisattva Yakushi, patrono dei rimedi. Fu costruito nel 680 in Fujiwara-kyō dal grande imperatore Tenmu, con lo scopo di invocare la misericordia di Yakushi e salvare la vita della sua consorte, gravemente ammalata. La consorte in questione, la principessa Unosarara, era figlia del defunto imperatore Tenji.

A chiosa, Tenji era fratellastro di Tenmu. Quindi Unosarara era nipote di suo marito. Ma bon, i nobili di Corte hanno sempre avuto un comportamento altamente endogamico.

Il tempio di Yakushi dopo i finanziamenti coreani

Unosarara guarì dalla malattia (spoiler). A dire il vero, guarì così bene che sopravvisse Tenmu e gli succedette come l’Imperatrice Jitō (e vale la pena notare che in giapponese la parola che significa “imperatore”, tennō, non ha nessuna connotazione di genere ed è utilizzato per indicare sovrani uomini o donne senza distinzioni).

Tornando al tempio, all’inizio dell’8° secolo lo Yakushi-ji fu spostato all’allora capitale Heijō e oggi fa parte della conurbazione di Nara.

Quest’anno è stato danneggiato, scosso e squassato da una bufera. [La bufera] Era tale l’urlo di un drago, il grido di un elefante. A questo soggetto, abbiamo deliberato assieme alla folla [degli alti dignitari, Yoshimasa era una persona seria e non aveva giurie popolari, NdTenger].

Il passaggio sul drago-elefante è interessante perché pone un problema comunissimo quando si maneggiano questo genere di documenti. Non è difficile capire cosa Yoshimasa intenda quando tira in ballo bestie mitologiche o pseudo-tali: vuol dire che la bufera faceva un chiasso mostruoso. L’uso bizzarro della figura retorica è probabilmente un vezzo di stile dell’autore, una citazione a qualche passaggio o commentario cinese di cui oggi non siamo più a conoscenza.

Ma assodato che il senso generale è chiaro, come tradurre senza che risulti ridicolo al lettore moderno?

Non c’è una soluzione perfetta, purtroppo. A volte certe espressioni non possono essere restituite in altre lingue.

Il nostro tesoro è esaurito, non abbiamo le forze e il restauro è impossibile. Se il Vostro Grande Paese non intende aiutarci, che altro mezzo ci resta per risolvere questo problema? Con questa lettera Vi chiediamo di intervenire.

Tombola. Yoshimasa scopre le carte: vuole soldi.

Pertanto abbiamo mandato come Inviato in capo Yuen e come Inviato aggiunto Sorai, per visitarVi e trasmetterVi i nostri pensieri. Se Sua Maestà volesse accordarci la Sua assistenza, potremmo intraprendere i restauri, invero l’Oriente non è forse unito nel Buddismo? La Terra Pura è il tesoro di vicini amichevoli.

I due tizi nominati non sappiamo chi siano. Si tratta sicuramente di monaci letterati capaci di affrontare l’etichetta della corte coreana senza perdere la faccia.

Notare il simpatico richiamo all’amicizia universale nella religione, sempre molto utile quando hai bisogno di quattrini.

I tributi della nostra terra sono elencati in allegato.

Yoshimasa è un uomo di mondo, non un mendicante. Una richiesta di fondi non si fa con una letterina elegante e un paio di teste pelate adepte di Confucio. Assieme a lettera e messaggeri, lo shōgun invia ovviamente una serie di doni (qui chiamati “tributi” per umiltà), sperando di ricevere in cambio o un valore maggiore o beni di alto valore d’uso.

In questo periodo il Giappone è infatti esportatore di oggetti di estremo lusso: oggetti d’arte come scatole laccate, paraventi, ventagli decorati, sciabole da parata e quant’altro, molto apprezzati sul Continente.

Il secondo mese infine si riscalda. La sola cosa che desidero è che prendiate cura della Vostra salute.

Anno del segno del Cane ramo maggiore di Fuoco, secondo mese, ventottesimo giorno

Minamoto no Yoshimasa del Giappone.

E così si conclude la lettera. Sappiamo che il re di Corea rispose con cortesia e che mandò finanziamenti e beni. E’ una missiva molto breve che non perde tempo in inutili girti di parole. Dal nostro punto di vista può apparire fin troppo diretta e sfacciata. Peraltro, la straordinaria vita di lusso e arte che lo shōgun conduceva era ben nota, ma ciononostante è perfettamente accettabile, da parte sua, fare la questua presso un re straniero per rappezzare i templi scoperchiati dal vento.

Il corpus di lettere tra Yoshimasa e i re coreani è estremamente ricco e tocca diversi soggetti, dai sigilli diplomatici, alle importazioni, a missioni per procura del tipo “il mio ambasciatore ha sbudellato un funzionario Ming, puoi chiedere te se l’Imperatore se l’è presa?” o argomenti di interesse comune tipo “ci sono più pirati che pesci nel Mar della Cina, ne sai qualcosa?”.

La lettura di documenti del genere offre numerosi spunti di approfondimento e, talvolta, preziosi attimi di WTF diplomatico. Come primo articolo di questo genere, ho preferito trattare qualcosa di semplice e innocente, come la restaurazione di un tempio. Un inizio molto pio e devoto, che sia mai qualche Bodhisattva si muove a pietà per questo 2017 che già me le fa girare.

MUSICA!


Bibliografia

Articolo basato sul seminario “Histoire et philologie du Japon Ancien et Médiéval”, Ecole Pratique des Hautes Etudes.

 

HASHIMOTO Yū, Itsuwari no gaikō shisetsu, Yoshikawa kōbunkan, Tōkyō, 2012 p.1-74

HERAIL Francine, Histoire du Japon, POF, 1986, p.242-277

KEENE Donald, Yoshimasa and the Silver Pavillion, Columbia University Press, New York, 2003, p.229

MORITA Kyōji, Ashikaga Yoshimasa no kenkyū, Izumi Shoin, Ōusaka, 1993, p.361

SOUYRI Pierre, The world turned upside down, Pimlico, Londre, 2002, p.142-217

VON VERSCHUER Charlotte, Le commerce extérieur du Japon, Maisonneuve & Larose, Paris, 1988, p.101-131

SCHOTTENHAMMER Angela, The East Asian Mediterranean: Maritime Crossroads of Culture, Commerce and human migration, Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2008, IGAWA Kenji « Travels of Ambassies in Fifteenth to Sixteenth Century East Asia », p.273-288 ; HASHIMOTO Yū « The information strategy of the Imposter Evnoys from northern Kyūshū to Chōson Korea in the Fifteentth and Sixteenth century », p.289-316 ; OLAH Csaba « Trouble during trading activities between Japanese and Chinese in the Ming period », p.317-330

ZUKEI Shūhō, Zenrin kokuhōki, 1470 (edizione curate da ISHII Masatoshi, 1995)