Diavoli, Lindy Hop e orsi in monopattino: Hellzapoppin’!

Interno, bar.

Sono a bere con un gruppo di amici, gente con una vita e una famiglia che ha comunque deciso che bere un bicchiere con la Tenger fosse un buon investimento di tempo. Valli a capire.

Stiamo parlando di film. L’amico americano lancia il commento:

“Mi piacciono tantissimo i film vecchi!”
“Ah!- M’illumino. -Anche a me! Ma com’era bello e bravo Tony Curtis? Peraltro, ho rivisto di recente Bringing up Baby, lo conosci? Ho sempre avuto una cotta grandissima per Kat-

Mi fissa perplesso.

“Oh, scusa, intendevi ‘vecchi’! Io non ho particolare passione per la roba pre-anni ’30, però è vero che-

Stesso sguardo perplesso.

“Sei un fan di George Méliès?”

“Io intendevo gli anni ’80. 1980.”

“Ma mica sono vecchi!”

“Boh, 30-40 anni fa ormai.”

Oggi parliamo di film vecchi. E quando dico “vecchi” dico vecchi, gli anni ’80 erano pochissimo tempo fa, tipo boh, 10-15 anni fa al massimo!

Nella fattispecie, parliamo di film divertenti, di quello che è secondo me un momento d’oro nella commedia americana: gli anni ’40 e ’50.

Alcuni dei miei film preferiti sono stati girati in questo periodo: Some like it hot, How to marry a millionaire, Operation Petticoat, Arsenic and old lace

Oggi parliamo di un’altra perla del cinema in bianco e nero: Hellzapoppin’!

Oh yes

La storia dietro questo film comincia nel 1918, in un piccolo nightclub di Chicago, dove è prevista una serata vaudeville chiamata Mike Fritzol’s Frolics.

Il vaudeville è cabaret, scenette comiche inframezzate da canzoni popolari, pezzi musicali e sketch acrobatici. Molti dei più grandi artisti dello spettacolo cominciarono col vaudeville: Charlie Chaplin, Buster Keaton, Cary Grant…

Il genere ha avuto un’importanza immane nell’evoluzione del cinema: commedia acrobatica, ritmo e farsa fisica sono palesi in molti film dell’epoca d’oro.

Questa sera de1918, nel mazzo dei cabarettisti compare un duo sconosciuto: Harold Ogden Johnson e John Sigvard Olsen. I due tizi dai nomi vichinghi stanno cercando di riciclarsi dopo che il gruppo musicale che li aveva assunti si è sciolto.

I due spingono un pianoforte su scena davanti a una platea di gente poco convinta. Johnson si lancia in una frenetica sinfonia in ragtime, accompagnato dal violino di Olsen. La musica pimpante è inframezzata da boutades e insulti che i due si scambiano, mentre mettono insieme il testo improbabile di una canzone ridicola.

E’ un successo.

Il duo comico Ole&Chic ha debuttato sulla scena comica!

I roaring ’20 sono un buon periodo per Ole e Chic, e tra alti e bassi i nostri si costruiscono una rispettabile carriera che li porta, nel 1930, ad essere assunti come comici da niente meno che la Warner Bros!

I due norrenoamiericani compaiono in musicals come Gold Dust Gertie e Fifty million Frenchmen, ma il genere musical incappa in alcuni scogli e l’azienda decide di tagliare sulle canzoni e sui film musicali in generale.

A questo punto il duo è riuscito a inserirsi nel mondo dello showbiz: sono loro a lanciare sulla scena un altro celebre duo comico, Abbott e Castello (tradotti in Italia come Gianni e Pinotto, sigh).

Nel 1938, liberi dal contratto con la Warner Bros, Ole e Chic decidono di mettere insieme un nuovo spettacolo musicale. Nasce Hellzapoppin‘ (tradotto in Italia come Il cabaret dell’Inferno), la vendetta del musical!

Hellzapoppin’ al Winter Garden Theater di New York, 1938

Cos’era Helzapoppin’?

In un’atmosfera da circo, con fili del bucato tirati sopra la platea, la facciona di Hitler balena su uno schermo e urla con spiccato accento yiddish, seguito da Mussolini in blackface. Ole e Chic irrompono sul palco e lanciano incalzanti sketch comici fatti di scambi rapidi, insulti e buffonate acrobatiche, musica, balletto, animali ammaestrati!

Gli artisti si susseguono su scena, coinvolgono il pubblico, infliggono scherzi assurdi a colleghi in incognito seduti in platea o anche a spettatori paganti. Alla fine dello spettacolo, le ragazze del coro scendono dal palco per ballare con gli spettatori, le sedie sono spinte via per concludere in una colossale festa danzante con gli artisti.

Il copione cambia da spettacolo a spettacolo in una continua riscrittura che lo tenga sempre fresco, sempre attuale, sempre imprevedibile.

Hellzapoppin’ è un trionfo gargantuesco del vaudeville!

I critici arricciano il naso, ma è un assoluto successo di pubblico.

Helzapoppin‘ sarà lo show con la vita più lunga e il più alto numero di spettacoli del suo tempo, con un totale impressionante di 1.404 spettacoli!

Barto e Mann, due degli artisti di Hellzapoppin’ a Broadway

Lo spettacolo annoverava grandi artisti del vaudeville, come Barto e Mann, un duo di ballerini e acrobati che giocavano sul fatto che uno era uno scricciolo e l’altro un Marcantonio; il prestigiatore Theo Hardeen, fratello minore di Houdini; gli straordinati Harlem Congeroo Dancers (meglio noti poi come i Whitey’s Lindy Hoppers), e tantissimi altri.

Lo spettacolo piacque così tanto che una versione itinerante fu messa insieme e spedita a zonzo per gli Stati Uniti, ma non era finita lì: Hellzapoppin’ sarebbe diventato un film con la Universal Picture!

Manifesto del film

Ole e Chic adattano la follia prorompente dello spettacolo teatrale con l’aiuto dello sceneggiatore Nat Perrin, già affermata penna al servizio dei Fratelli Marx.

Del cast originale restano solo Ole, Chic e i Whitey’s Lindy Hoppers. In compenso saltano a bordo grandi artisti del grande schermo, come la ballerina e attrice comica Martha Raye, l’affermato Mischa Auer, o uno dei tre Marmittoni Shemp Howard.

Il nuovo medium presuppone un radicale cambiamento strutturale (non potendo più smollare blocchi di ghiaccio in grembo al pubblico o altre balordaggini simili), ma offre anche l’occasione di reinventare, e il duo ne approfitta per deridere Hollywood e i film del periodo.

Come dice il regista nel film (insistendo che un film deve avere una trama):

-This is Hollywood, we change everything.

Brace yourselves!

Il film comincia con quella che appare una banalissima scena musicale, con un coro di belle figliole che canta una sdolcinata canzone d’amore scendendo una scalinata.

I once had a vision of Heaven, and you were there

La sbrodolata melensa si trasforma però in strilli di terrore quando la scalinata che svanisce sotto i loro piedi, scaraventando tutti all’Inferno. Dopo i credits, che scorrono davanti a immagini di gente che precipita nell’abisso, un cartello ci spiega che ogni somiglianza tra Hellzapoppin‘ e un film è puramente casuale.

In una bolgia frenetica diavoli in mutande cantano “anything can happen and it probably will!” mentre acrobati e ballerini torturano dannati e inscatolano peccatori.

Un taxi arriva con un colpo di fulmine e scarica Chic e Ole assieme a polli, capre, pecore e bestie assortite.

Dopo qualche minuto di pura follia e metahumor, il tutto si rivela essere il palco di unu studio: Chic e Ole stanno realizzando il film di Hellzapoppin‘. Dopo un frenetico concatenarsi di gag surreali e il suicidio di uno dei cameramen, un furioso regista cerca di spiegare ai due che non possono continuare a snocciolare sketch folli come fanno a Broadway, che “in un film ci vuole una trama”.

-A story.- Ride Chic. -Crazy!

Anything can happen and it probably will!

Il film è costruito con cornici-nelle cornici e metahumor surreale: un tecnico sta proiettando il film di Hellzapoppin’ in un cinema, e nel film Chic e Ole stanno parlando di Hellzapoppin’ col regista, che spiega loro la storia che Hollywood vuole (“ci vuole una storia d’amore!”), e nella storia che Hollywod vuole si sta preparando uno spettacolo teatrale, e così via, un’infinita matrioska del “che cacchio sto guardando”.

Per citare uno scambio nel film:

-Look here my friend, we’re making a motion picture!

-That’s a matter of opinions.

Può sembrare una faccenda molto contorta, ma il ritmo del film è così frenetico e il tono così surreale ed esilarante, che ci si trova a seguire senza porsi troppe domande. E ne vale la pena!

Duckface before it was cool!

Se vogliamo proprio individuare la storia “principale”, al centro di tutto, si tratta di una parodia geniale delle peggio mattonate di Hollywood.

Kitty è una ragazza giovane, bellissima, ricchissima e talentuosissima. E’ corteggiata da Woody, pure ricchissimo e favorito dai genitori di lei. Ma dramma! Kitty è innamorata del drammaturgo squattrinato Jeff.

Kitty ha abbastanza soldi per tutti e due e abbastanza carattere da sfidare il volere dei genitori, ma Jeff rifiuta di fare la vita del mantenuto. Con l’aiuto di Kitty mette su uno spettacolo teatrale che spera di mostrare a un noto produttore di Hollywood.

Se il produttore gli compra lo spettacolo, Jeff sposerà Kitty, altrimenti fuggirà via, lasciando la nostra a sposare il suo caro amico Woody.

Jeff fa quindi appello a Chic e Ole per mettere insieme lo spettacolo, e segue una folle sarabanda di scherzi, canzoni, giochi di prestigio e personaggi caricaturali.

Signore e signori: a coat of arms!

E’ difficile descrivere davvero Hellzapippin’.

Per certi versi è una commedia tipicamente anni ’40, con il botta e risposta serrato, il dialogo velocissimo, gli intermezzi musicali.

La meta-ironia e la satira degli schemi tradizionali però lo rendono un film assolutamente unico che ha ispirato generazioni di commediografi a seguito.

Uno di quelli che di certo hanno pescato più di tutti dalla surreale comicità di Hellzapoppin’ è l’ottimo Mel Brooks. Il suo bellissimo The producers è sicuramente in debito con il film di Chic e Ole.

Un altro elemento comunissimo nel film (ed ereditato nelle pellicole di Mel Brooks) è il continuo rompere della “quarta parete”, il riconoscere che si tratta di un film. In diversi momenti gli attori si rivolgono all’operatore della prima cornice o direttamente al pubblico. Queste gag non sono semplici battute o strizzate d’occhio, ma sono sviluppate e sfruttate al loro massimo potenziale comico.

In un momento del film, ad esempio, il proiettore s’incanta, bloccando il film a cavallo tra due fotogrammi, sicché Chic si trova nel fotogramma di sopra mentre Ole e Woody sono incastrati in quello di sotto.

In un altro momento il secondo proiettore si avvia catapultando Chic e Ole in un film di indiani e cowboy. E così via.

I personaggi sono una compagine memorabile ed esilarante, dove Martha Raye brilla in particolar modo come la rozza ballerina Betty, una specie di ruspa umana determinatissima a violentare il principe Pepi, esule russo e truffatore che si guadagna la vita facendo il buffone per ricchi americani. Durante tutto il film Pepi sarà lo sventurato oggetto delle attenzioni di Betty, in una parodia del topos Hollywoodiano della giovane innocente assediata dallo straniero seduttore e predatore.

Il tutto è punteggiato da pezzi musicali nel miglior stile anni ’40, con uno straordinario spezzone dei Whitey’s Lindy Hoppers, in una rara celebrazione cinematografica di arte afroamericana.

E’ degno notare che tutti i ballerini appaiono in abiti da domestici per poi scatenarsi in un eccezionale numero musicale, probabilmente una frecciata al fatto che, al tempo, l’unico ruolo che un afroamericano poteva ottenere in un film era proprio quello di domestico, a prescindere dal talento della persona. Ricordiamo che negli anni ’40 (e anche dopo) solo il fatto di mettere nella stessa scena attori bianchi e neri era considerato risqué o proprio riprovevole (specie negli stati meridionali). Film come questo o Gone with the wind sono eccezioni, non la regola.

I Whitey’s Lindy Hoppers

Molte delle canzoni non hanno alcuno scopo nella storia (ma poi c’è davvero una storia?), ma sono pimpanti e orecchiabili: Watch the birdie mi resta in testa per ore ogni volta che riguardo questo film!

Non voglio elaborare oltre su tutte le buffonate presenti, perché non è proprio possibile rendergli giustizia in prosa e perché rovinerei le trovate comiche. Come dice la canzone principale: anything can happen and it probably will!

La trama nella trama nella trama nella trama che al mercato mio padre comprò

Good_Grumpy

L’energia dirompente e il ritmo incalzante

Good_Grumpy

Il surrealismo e la creatività

Good_Grumpy

Il cast

Good_Grumpy

La musica

Good_Grumpy

Lo stile vaudeville

Good_Grumpy

La satira delle smarmellate romantiche Hollywoodiane

Good_Grumpy

Hellzapoppin’ è un film spassosissimo che tutti dovrebbero conoscere. Ancora nel 1967 arrivò al secondo posto in un sondaggio fatto dalla Canadian Centennial Commission tra i critici cinematografici di 40 paesi per determinare le migliori commedie di sempre. Altri titoli erano Ninotchka, Shoulder arms e The Navigator.

E’ un trionfo del vaudeville, che invade e deride i tropismi e clichés del cinema.

Non vi spoilero la fine, ma sappiate che questa include invero un orso in monopattino, cani parlanti e uno sceneggiatore preso a rivoltellate.

Lo trovate su YouTube in lingua originale, ma esiste una versione doppiata in italiano, e doppiata piuttosto bene (nei limiti del possibile, si tratta pur sempre di commedia, il genere più difficile da tradurre e doppiare).

Dategli una chance!

MUSICA!


Bilbliografia

Il film completo

COBBETT Steinberg, Film facts, New York, Facts on Files Inc., 1980

La pagina wiki del film

La pagina wiki dello spettacolo teatrale

La pagina wiki di Olsen

La pagina wiki di Johnson

 

Sangue del mio sangue: necromanzia, femminismo, cannibalismo e altre blasfemie

Evangeline Wrayburn è un’archeologa necromante. In un mondo dove la necromanzia è stata elevata a scienza, Evangeline usa mummie e cadaveri rianimati per dissotterrare tombe e vestigia. Il suo sogno più grande è diventare un’archeologa di chiara fama, di dirigere uno scavo tutto suo.

E’ competente, è intelligente, è audace, ma ha un problema.

Ha le tette (poche, ma ci sono).

Evangeline vive in una società vittoriana dove avere le mestruazioni basta a squalificare un ricercatore. Evangeline però non si arrende. Nella sua sempiterna lotta impari contro il Soffitto di Cristallo, le capita finalmente l’occasione della vita: un posto sullo scavo di una colossale piramide sotterranea, la tomba monumentale di Orrhane il Macilento, re necromante sepolto con la sua sposa bambina, gli schiavi e centinaia di migliaia di soldati non morti.

Il sito si trova in un deserto infestato da tribù ostili e al confine tra paesi nemici. La missione archeologica ha poco tempo per scoprire tutti i segreti del re necromante prima che il paese vicino li scopra e attacchi per papparsi il ritrovamento.

Risultati immagini per vaporteppa sangue del mio sangue

Sangue del mio sangue è il secondo romanzo di Menconi che leggo. Come avevo già segnalato in questo articolo, Abaddon mi era piaciuto molto. In questo caso Menconi dichiara di aver voluto scrivere una protagonista femminista. Vi pare che una Feminazi Lesboislamica Rettiliana come la sottoscritta poteva farselo sfuggire?

Ovviamente no.

Risultati immagini per feminist cat

L’ambientazione

Menconi ambienta la storia in una società di stampo vittoriano dove la necromanzia è un’attività sviluppata e diffusa. La società è organizzata di conseguenza, con mummie usate come manodopera a basso consumo, teste volanti come animaletti domestici, un’estetica legata alla morte e alla rianimazione, ecc. Il risultato è un insieme ben bilanciato di elementi familiari e bizzarria macabra.

Come accennato nell’articolo precedente, la tecnica di Menconi è ottima. Nonostante l’ambientazione sia aliena alla nostra, dettagli concreti sono inseriti nel testo senza spiegoni: il quadro generale emerge in modo spontaneo e naturale attraverso il punto di vista della protagonista. Il dettaglio dà sostanza al mondo, e la coerenza interna favorisce la sospensione volontaria dell’incredulità.

La professione di Evangeline permette peraltro di dotare il mondo del romanzo di una Storia e di una mitologia. Nonostante la stranezza, alla fine del romanzo abbiamo l’impressione di conoscere relativamente bene questo universo. L’idea di una piramide rovesciata sotterranea può apparire bizzarra d’acchito, ma diventa presto familiare.

La narrazione permette anche di apprezzare le storture della società descritta: come accennato, si tratta di una società patriarcale estremamente sessista, ma anche razzista e omofoba, come è normale aspettarsi dal contesto.

L’attenzione a dettagli di questo tipo e la nonchalance con cui i personaggi internalizzano questi elementi danno rotondità e verosimiglianza all’ambientazione.

1941

I negri viaggiano dietro!
(Citazione cinematografica per intenditori)

A tratti risalta fuori lo stile “videoludico”, come in Abaddon. Ad esempio, quando gli archeologi si trovano a dover superare un passaggio sorvegliato da dei mostri immortali. Evangeline riesce a trovare la combinazione necessaria a passare, e dopo aver “sbloccato” il passaggio la questione non si pone mai più, nonostante il pericolo resti e il trucco per passare richieda costante lavoro da parte di comprimari (e sia quindi vulnerabile all’errore umano).

Nell’insieme però questo tipo di ispirazione è molto meno presente che in Abaddon.

La storia

Evangeline è un’archeologa che usa la necromanzia (e quindi il controllo sulle mummie) nei propri scavi. Nonostante sia molto brava in ciò che fa, la sua carriera non riesce mai a decollare. Un po’ perché l’ambiente è difficile, un po’ perché nessuno la prende sul serio come donna archeologa.

Ho apprezzato moltissimo il modo in cui Menconi descrive le peripezie della protagonista e il muro di gomma su cui la nostra rimbalza in continuazione.

Nonostante Evangeline sia una lavoratrice indefessa e un’eccellente professionista, non riesce a sfuggire all’immagine che il mondo ha di lei: emotiva, debole, incompetente, vittima della propria natura.

La nostra si trova a giostrare conflitto da ogni lato: la famiglia non la sostiene, la professione è difficile, è indebitata fino agli occhi, lo scavo è in una zona pericolosa e le tensioni diplomatiche potrebbero risultare in una guerra da un giorno a quell’altro. In più, quasi nessuno la prende sul serio. A ogni occasione, Evangelina è sorpassata da gente meno competente, o lasciata da parte in barba alle regole.

Nonostante i continui ostacoli, la nostra riesce a imporsi nello scavo della gigantesca piramide sotterranea del re necromante Orrhane il Macilento, un tiranno pazzoide con una sposa bambina e una fine misteriosa.

Evangeline è attorniata da una variegata compagine di personaggi, soprattutto uomini. Uno scrittore pigro li avrebbe resi tutti tronfi incompetenti per far risaltare il genio ribelle della protagonista. Non con Menconi. Comprimari e antagonisti sono vari e memorabili, e le interazioni con Evangeline sono verosimili e credibili. C’è chi è misogino perché rozzo e ottuso, chi ha pregiudizi più o meno coscienti, chi antagonizza la protagonista per ambizione, chi per preconcetto bigotto, chi per motivi personali.

La prosa e la storia non si prendono troppo sul serio: Sangue del mio sangue vuole essere un racconto macabro e divertente, oltre che un romanzo di avventura. A tratti descrizioni e situazioni sfumano nel caricaturale e nel grottesco, con un tono molto più leggero e ironico rispetto ad Abaddon.

Verso l’ultimo terzo del libro, si sviluppa un interessante parallelismo tra Orrhane e Evangeline, e un interessante chiasmo. Orrhane è all’apice del potere, un re, un necromante con potere sulla vita e sulla morte. Evangeline non ha potere su niente, e anche la poca autorità che ufficialmente detiene le viene a stento riconosciuta.

Entrambi però sono ossessionati dall’immortalità. Orrhane non vuole morire, non vuole cessare di esistere. Evangeline vuole diventare una famosa archeologa, vuole essere conosciuta e riconosciuta.

Entrambi sono determinati, entrambi hanno pochi scrupoli. Orrhane praticava sacrifici umani, era pronto a consumare il sangue del suo sangue per ottenere ciò che voleva. E presto Evangeline si trova a dover compiere una simile scelta.

La vicenda nel suo insieme scorre bene e senza intoppi: non ci sono contraddizioni e buchi di trama.

Però c’è un punto che a parer mio pone problema. Non si tratta di un buco di trama, quanto di una dissolvenza molto conveniente.

Quando Evangeline decide di liberare Orrhane, il necromante è chiuso in una gabbia in una tenda sorvegliata da soldati cirani.

Evangeline entra senza problemi (cosa credibile nel contesto) e ravviva lo stregone.

Nella scena dopo, lo ha riportato nella piramide.

Come?

La gabbia sarà stata chiusa a chiave. Dove a preso la chiave?

E come lo ha tirato fuori dalla tenda? Orrhane è un albino, non proprio qualcuno che si mimetizza. Ma diciamo che l’ha nascosto in un cesto del bucato, di nuovo, come? C’erano cesti del bucato in giro?

I cirani di guardia non si sono insospettiti? Sono stati messi a guardia di un esemplare unico in uno scavo di importanza nazionale!

Insomma, ci sta che non abbia capito io, ma si tratta di un passaggio importante della trama e secondo me sarebbe stato necessario elaborare in qualche modo.

La protagonista

Al di là dell’ambientazione e della storia, il personaggio di Evangeline è, secondo me, uno dei punti di forza del libro.

Menconi dice di aver voluto scrivere un personaggio femminista. Non so quali siano le idee politiche del Menconi o cosa ne pensi delle femministe, ma a mio modesto parere il risultato è molto interessante.

Evangeline è un buon personaggio. E’ strutturato bene, è ricco, è simpatico.

Evangeline è una gran lavoratrice, è audace, è determinata, ed è competente nel suo campo. Per chi ha letto la mia OpinioneImperdibileTM su Star Wars 7, sa che ho un dente avvelenato per i personaggi femminili scritti a cazzo.

Rey è scritta a cazzo. Rey è bellissima nonostante il suo stile di vita. Rey è capace di pilotare il Millennium Falcon nonostante non ci abbia mai messo piede prima. Rey è capace di usare la forza contro un allievo sith nonostante non abbia avuto nessun addestramento. E così via.

Dov’è la fatica, dove sono i tentativi, dove sono gli sbagli madornali e le musate in terra?

Rey, seppur scritta mille volte meglio, ha lo stesso problema del protagonista di quella puttanata mostruosa di Educazione siberiana: se non c’è difficoltà il risultato non vale nulla, se non c’è debolezza non c’è forza, se non c’è paura non c’è coraggio.

Con Evangeline vediamo il lavoro, la fatica, la passione, la frustrazione, gli errori. Tutto ci viene mostrato.

Un altro tropismo comune quando qualcuno scrive a cazzo un personaggio femminile Forte e Indipendente è di renderlo anaffettivo e in generale acido e antipatico. Insomma, per evitare il cliché della ragazzina romantica, scriviamola come una sociopatica arrogante e sferzante.

Questo non è un problema legato solo ai personaggi femminili: il personaggio genio e arrogante strafottente è purtroppo un cancro diffuso. Nella realtà dei fatti, più uno conosce il proprio campo più è cosciente dei propri limiti e sarà quindi meno incline a tirarsela. Ma sto divagando.

Risultati immagini per pratchett tiffany it's not a long word

Pratchett ha una vasta gamma di eccellenti personaggi femminili

Evangeline è un personaggio senza troppi scrupoli, pronto a manipolare e mentire per arrivare dove vuole, ma è anche una persona responsabile ed empatica. Vuole sinceramente bene ai suoi Marmaduke e Fester, vuole bene ai genitori ed è ferita dal loro rifiuto, si assume la responsabilità di proteggere i propri sottoposti. La sua sete di gloria la spinge a fare o considerare azioni anche drastiche, ma resta una brava persona.

E’ ambiziosa, ed è pronta a mettere a repentaglio la vita altrui, ma non costringe il prossimo a prendere rischi che non prenderebbe lei per prima.

E’ anche un personaggio ben ancorato nel proprio contesto. Evangeline è spesso esasperata dal sessismo pervasivo della società perché ciò ha un impatto diretto su di lei. Allo stesso tempo ha interiorizzato del tutto il razzismo e l’omofobia. E’ verosimile: molte persone hanno difficoltà a tener conto di ciò che non ha un impatto diretto sulla loro pellaccia. E’ la ragione per cui la narrativa è importante: riuscendo a far immergere il lettore nei panni di qualcun altro (il personaggio) puoi offrire un punto di vista nuovo che la persona non avrebbe mai preso in considerazione prima. Perché una persona si interessi di un problema occorre stabilire una connessione a livello emotivo, non solo intellettuale.

Il Menconi scansa anche uno dei cliché che personalmente odio di più in assoluto in tutto l’universo narrativo di tutta la Storia della Letteratura: Madame Bovary.

Vi avevo accennato nel mio rant su Interstellar. Non ci sono davvero parole nel vocabolario per descrivere a che punto odio e disprezzo il cliché della donna vittima del proprio lato emotivo. La donna che sì, magari è anche competente, intelligente, forte, quel che cacchio vi pare, ma è sentimentale, ma si innamora, e l’amore romantico diventa il suo unico movente.

Non una qualsiasi forma di amore, no eh. Amore romantico. Perché ogni donna aspetta il suo Principe Azzurro, la sua vita gira intorno a quello!

A mio modesto parere questo tipo di storia fa dei danni.

Sia chiaro: mi rendo conto che l’amore romantico fa parte dell’esperienza di molti. Non c’è niente di male di per sé nelle storie con amore romantico. Quello che odio è quest’idea che un personaggio femminile non può essere davvero completo senza un uomo al suo fianco. Che se non sperimenti quel tipo di amore allora non sei davvero una persona a tutto tondo, non hai vissuto appieno.

Spesso, se il personaggio femminile non è incline al romanticismo, è per via di chissà quali traumi strappalacrime. Perché, in realtà, sotto la sua scorza di donna forte e competente c’è sempre e comunque un povero piccolo coniglietto spaventato che vuole solo essere raccolto e amato.

Capite, non è diventata ingegnere aerospaziale perché le garba fare l’ingegnere aerospaziale, me per riempire il vuoto lasciatole nel cuoricino dal babbo defunto, o qualche altra trovata del genere.

E’ una roba fin troppo pervasiva e che a parer mio ha contribuito non poco a rendere infelici un sacco di persone. E’ una formula diseducativa e dannosa.

Non è il caso di Evangeline. Certo, Evangeline incassa molto trauma, anche affettivo, ma è una donna indipendente, autosufficiente e competente, una donna davvero indipendente, autosufficiente e competente.

C’è della tensione sessuale nella storia, e viene trattata per quello che è: semplice attrazione sessuale. Ed è così rinfrescante da vedere. Evangeline è cosciente di ciò che prova, non ci sono storie romantiche, non ne ha bisogno, è un personaggio già completo che fa il suo arco, impara la sua lezione e supera i propri difetti. E per una volta tanto il suo difetto non è “ti manca il fidanzatino”.

Come accennato prima, uno scrittore sciatto avrebbe fatto risaltare la tostaggine indipendente della protagonista mettendola in mezzo a una folla di uomini maschilisti e stupidi. Loro hanno torto, lei ha ragione.

E’ una paraculata: specie in una società tradizionalmente maschilista, una misoginia più o meno interiorizzata non è appannaggio solo degli stupidi né solo degli uomini.

Nel libro di Menconi gli uomini che circondano Evangeline sono variegati e ben costruiti. Spesso sono competenti e capaci: non la prendono sul serio per via di un pregiudizio dato per scontato. Evangeline, dal canto suo, abituata a non essere mai presa sul serio, finisce per comportarsi allo stesso modo: non sta a sentire perché loro non stanno a sentire, finisce per isolarsi e entrare nella stessa logica arrivista di chi le frega le idee senza darle credito. Così facendo, gli altri archeologi fanno casino, ma anche lei combina casino. I personaggi devono mettere da parte le loro posizioni e riconoscere l’umanità e le capacità l’uno dell’altro per poter lavorare insieme e progredire.

L’ambizione è una caratteristica importante di Evangeline, specie quando si trova davanti all’annosa domanda: cosa sei disposto a sacrificare per ottenere ciò che vuoi?

Spesso in questi casi l’ambizione viene trattata come il difetto: il problema della tizia è che è ambiziosa,vuole diventare famosa e questo di per sé è sbagliato. Deve solo rendersi conto che l’amore è più importante, rinunciare alla sua ossessione e gettarsi tra le braccia del Principe Filippo di turno. Ah, quanta sofferenza evitata se solo si fosse subito resa conto di cosa era più importante!

Non è il caso con Menconi. Nella storia il problema non è l’ambizione, ma l’eccesso, l’ossessione. Per usare le parole del libro:

La vita eterna non ha alcun valore se sei un mostro con la mente annebbiata

Occorre un equilibrio sul prezzo che si paga e cosa si acquista.

Non è una condanna dell’ambizione, né una celebrazione superomistica del personaggio pronto a tutto, ma una presa di posizione molto più equilibrata e sfumata.

Perché abbiamo bisogno di più storie così
Come ho detto in altri articoli in passato, la gente non vive “nel mondo”, vive in un’idea che ha di mondo.

Tale idea non è costituita da oggettivi studi scientifici, ma da storie.

Sì, magari sul Riscaldamento Climatico ti sei fatta un’idea leggendo la stampa specializzata, ma per il resto ti basi soprattutto su storie e favole. Se senti sempre raccontare fatterelli di ebrei che rubano, darai per scontato che gli ebrei rubano senza nemmeno pensarci troppo, e magari un giorno ti chiederai da dove veniva quell’idea senza riuscire a trovare una risposta esatta.

Se fin da bambina ti raccontano storie dove il lieto fine è un matrimonio e tanti bambini, si innesterà il preconcetto che lo scopo vero alla fine è maritarsi e sgravare pargoli per la Patria.

Se lo stupro in prigione viene sempre presentato come una cosa buffa, gli uomini che ne sono vittime saranno derisi invece che aiutati. La prima reazione sarà una risata. Non perché hai attentamente ponderato la cosa e deciso che gli uomini meritano lo stupro, ma perché da sempre il soggetto ti viene presentato come una battuta buffissima.

Lo abbiamo visto con i personaggi omosessuali: da inesistenti, a antagonisti pervertiti, a macchiette buffe che pensano solo a scopare, e finalmente negli ultimi anni si sta arrivando ad avere personaggi scritti meglio. L’opinione pubblica sugli omosessuali è evoluta di conseguenza: oggi la maggioranza degli europei ritiene che debbano avere gli stessi diritti degli altri mentre negli anni ’80 potevano crepare tutti di AIDS e se lo sarebbero meritato.

In altre parole, per evitare di avere una visione stereotipata e povera della realtà, occorre una narrativa che non sia stereotipata e povera.

La narrativa buona ha la capacità di parlare con la nostra parte emotiva, con il nocciolo più primitivo della nostra persona. Non per forza uno cambia le proprie idee dopo un libro o un film, ma uno può acquisire un punto di vista nuovo. Empatizzando con un personaggio posso capirlo e posso arricchire l’immagine che ho del mondo.

Abbiamo bisogno di personaggi originali, che rompano i clichés. Abbiamo bisogno di personaggi variegati e differenti, di personaggi complessi.

Per anni le donne sono state ritratte come principesse in pericolo. Quando questo cliché ha stancato, abbiamo provato il contrario: maschiacci diverse dalle “altre” (cretinette interessate solo alla moda), capaci di tutto in barba alla logica. La nuova formula non era meno misogina della prima, purtroppo, perché era altrettanto piatta e stereotipata.

Personaggi tridimensionali e variati non sono solo belli da leggere: sono positivi in generale. Un romanzo zeppo di clichés, di per sé e preso da solo, non è un problema, è banale e basta. Un romanzo capace di originalità, di per sé e preso da solo, è utile al progresso.

Concludiamo coi Grumpies!

La storia

Good_Grumpy

L’ambientazione fantasiosa

Good_Grumpy

La protagonista

Good_Grumpy

Una dissolvenza troppo conveniente

Bad_grumpy

La mitologia

Good_Grumpy

I comprimari

Good_Grumpy

I dettagli bizzarro-macabri

Good_Grumpy

Sangue del mio sangue si trova su Amazon. Anche senza tutte le mie menate sull’importanza della narrativa per la società, la storia è divertente, il personaggio ben costruito e il Menconi scrive bene. Datci un’occhio.

MUSICA!

Di scheletri e gente morta male: History cold case

In ricorrenza della simpatica Festa dei Morti, ho deciso consigliare qualcosa che combini gente mortamale, ricerca storica e pedanteria accademica. E quando si parla di pedanteria, si può sempre contare sull’Inghilterra!

History cold case

History cold case è una serie in due stagioni che passata in tv tra il 2010 e il 2011.

Il concetto è semplice: applicare i mezzi della medicina forense attuale ai resti di gente morta illo tempore.

Un’analisi dettagliata e completa del cadavere richiede un notevole investimento in risorse, e spesso la descrizione degli scheletri è relativamente sommaria. Basti pensare che fino a un paio di decenni fa molti scheletri erano identificati come maschi o femmine in base al corredo funebre, metodo raffazzonato che ci ha fatto prendere non poche cantonate.

Lo studio completo della salma è di solito riservato a defunti importanti: ad esempio, qualche anno fa un team diretto dal Professor Fornaciari dell’Università di Pisa ha analizzato la mummia di Cangrande della Scala, determinando che il prode ghibellino è stato spacciato da un infuso risolutivo corretto alla digitale.

Benvenuto a Treviso, che ne dice di una tipica tisana locale?

La serie History cold case segue un protocollo simile, occupandosi però di morti senza nome, pescati da varie epoche, dall’Età del Bronzo all’Epoca Vittoriana.

Il team

Sue Black

Sue Black dirige la squadra di ricerca. La nostra è antropologa e professoressa di Anatomia ed Archeologia forense all’università di Dundee. L’identificazione a partire dallo scheletro fu la sua tesi di dottorato nel 1986.

Per più di 10 anni Black ha lavorato in qualità di antropologa nell’identificazione dei morti, sia all’ospedale St. Thomas di Londra che in zone di conflitto come il Kosovo o l’Iraq. La nostra ha partecipato anche allo sforzo internazionale di identificazione delle vittime in Thailandia, dopo lo tsunami del 2004.

Black ha diretto per un periodo il Center of Anatomy and Human Identification (CAHID) dell’Università di Dundee, ma si occupa anche di gente viva: nel 2014 la nostra contribuisce all’identificazione delle mani di un uomo riprese in un video pedopornografico.

Insomma, cosa non c’è da apprezzare in Sue Black?

Xanthé Mallett

Segue Xanthé Mallet.

Anche lei antropologa forense e specializzata in biometrica del cranio e identificazione delle mani, senior lecturer all’Università di Newcastle in Australia.

La nostra comincia la sua carriera accademica con una laurea in Archeologia a Bradford, per poi orientarsi sull’Antropologia con un Master a Cambridge e un dottorato a Sheffield.

Per 5 anni ha lavorato al CAHID di Dundee, università presso cui è stata anche professore in Antropologia.

Caroline Wilkinson

caroline

Caroline Wilkinson

Terza e ultima antropologa del gruppo è Caroline Wilkinson, dottorata all’Università di Manchester, collaboratrice del CAHID ed esperta in ricostruzioni facciali.

La nostra ha ricreato la faccia di noti defunti come Riccardo III d’Inghilterra o Roberto I di Scozia.

Nel 2012 ha ricevuto una medaglia dalla Royal Photographic Society per il suo contributo al miglioramento della fotografia medica.

 

Wolfram Meier-Augustein

Wolfram Meier-Augustein

L’ultimo membro fisso del gruppo è anche quello col nome più metal, Wolfram Meier-Augustein. Il nostro ha un dottorato in Scienze naturali della Ruprecht-Karl University di Heidelberg, è un esperto forense per la National Crime Agency e professore alla Robert Gordon University di Aberdeen. Dal 2010 al 2014 è stato direttore del Forensic Isotope Ratio Mass Spectrometry Network ed è stato membro della British Association for Human Identification.

E’ stato consulente in diversi casi di cronaca nera, dove ha contribuito ad identificare parti umane. Ha partecipato anche nelle indagini del famigerato caso delle sorelle Mulhall, due irlandesi che uccisero a coltellate e martellate il fidanzato della madre, per poi farlo a pezzi.

I casi

History cold case non è una lunga serie: ci sono solo due stagioni, ognuna delle quali ha 4 episodi di circa un’ora.

Ogni volta, il gruppo prende in esame un caso del passato (con una o più vittime) che presenti un qualche tipo di peculiarità.

I resti sono quindi studiati come se si trattasse di vittime contemporanee.

Mentre parte del team studia il cadavere (o i cadaveri), altri membri si occupano di completare il contesto storico con l’aiuto occasionale di altri ricercatori, reenactors e storiografi.

Mentre l’indagine va avanti, la Wilkinson si adopera a ricostruire il viso della vittima, di modo da restituire un’apparenza umana all’individuo.

Alla fine dell’episodio, il gruppo presenta il resoconto di ciò che sono riusciti a trovare (che può essere un sacco di roba o molto poco), le possibili circostanze della morte, e il ritratto del defunto.

Oltre alla ricerca dell’identità del morto, l’indagine offre anche uno spunto per parlare del periodo storico o di particolari fenomeni legati al morto, come i ladri di corpi dell’Inghilterra ottocentesca, le persecuzioni antisemite o i sacrifici umani dell’Età del Bronzo.

Uno dei casi porta sullo scheletro di una donna seppellito in una posizione bizzrra con non uno, non due, ma TRE infanti disseminati addosso

Spesso in questo genere di documentari si cerca di aggiungere una spolverata di suspence e dramma, qualcosa che tenga agganciato lo spettatore distratto.

Nella fattispecie questo aspetto è molto discreto, e non si sconfina mai in roba ridicola tipo reenactment del fattaccio o altre boiate atroci del genere (molto comuni nella “documentaristica forense” da pizza e divano).

Il contesto storico è di solito sommario, ma l’inusuale dipartita del soggetto di studio permette spesso di avere un ragguaglio su aspetti poco noti.

Nella seconda puntata della seconda serie, ad esempio, il gruppo della Black si occupa di una fossa comune trovata subito fuori dalle mura di York e contente 113 corpi, probabilmente legati all’assedio del 1644.

I nostri studiano in particolare 2 scheletri che presentano una rara malattia genetica che calcifica e deforma le ossa. Al di là del contesto storico, l’episodio mostra che portatori di handicap (anche gravi) erano presenti negli eserciti del periodo.

Immaginate domani una serie tv che racconta la storia di un portatore di handicap all’assedio di York.

Posso già sentire i lamenti e le lagne dell’Uomo del Bar: “ecco questi social justice warriors che impestano la Storia con le loro cazzate con gli handicappati in guerra!”

La prima puntata della prima serie parla dell’Uomo di Ipswich, lo scheletro di un maschio adulto di origine africana risalente al XIII° secolo.

Di nuovo, le sentite le lagne dell’Uomo del Bar sulle femministe che vogliono inquinare il passato bianco dell’Inghilterra?

O gli strilli dello Storiografo di Facebook che afferma con totale sicurezza che l’Europa del 1200 era isolata e stagnante?

Il punto è che la Storia è molto più complessa di quanto siamo portati a pensare dopo uno studio superficiale. Serie come questa sono un piccolo contributo nel demolire i luoghi comuni.

Parlando di luoghi comuni, un esempio è l’episodio 2 della prima serie, in cui la Black analizza la mummia di un bambino. La nostra lancia una serie di ipotesi sul background del fanciullo, ipotesi ragionevoli ma che si rivelano del tutto errate dopo uno studio approfondito. Questo mostra come un bais iniziale, se non verificato in modo rigoroso, può portare a conclusioni del tutto false.

Per un lungo periodo gli archeologi hanno catalogato il sesso del morto in base al corredo: armi->uomo / gioiellii->donna. A quanto pare è stato un errore in diversi casi, perché la costruzione dell’identità di genere nella morte è una roba particolare che non segue lo stereotipo di conserva insito nella gran parte di noi.
Di questo libro parlerò con calma in altra sede, ma intanto lo consiglio.

Insomma, History cold case è un prodotto per la televisione che deve catturare l’attenzione non solo dell’appassionato, ma anche dello spettatore medio. Pertanto lo stile e il modo in cui la serie è realizzata a volte urtano un pochettino la mia acuta sensiibilità di “maestrina laureata al classico” (cit.), ma questo non porta serio danno all’investigazione stessa, che resta ben fatta per il medium scelto (un episodio da 57 minuti).

Nell’insieme è una buona serie, divertente e interessante senza aver la pretesa di creare qualcosa di davvero rivoluzionario. E’ un peccato che si siano fermati dopo 8 episodi: è il genere di roba che presenta infiniti spunti, e mi farebbe piacere vedere altri documentari del genere, magari non limitati alla sola Inghilterra.

Idea di base
Team di ricerca
Soggetti
Format

In conclusione, History cold case è un buon prodotto, basato su una buona premessa e che offre molti spunti di studio. Plus, l’ultima volta che ho guardato lo si trovava tutto in modo diversamente legale su YouTube. La Fortezza gli concede quindi un bel seal of approval.

MUSICA!


IMDb della serie

Pagina wiki di Sue Black

Pagina wiki di Xanthé Mallett

Pagina wiki di Caroline Wilkinson

Pagina wiki di Wolfram Meier-Augustein

Soldati a Vapore

E’ il 1848 e il Regio Esercito combatte la Prima Guerra di Indipendenza contro gli infami oppressori austroungarici.

Il Risorgimento è un capitolo estremamente importante della Storia Italiana. In casa mia in particolare nessun infante scampa alle storie, agli aneddoti, alle dotte discussioni su Elena Casati Sacchi.

La ragione principale è che un certo numero di antenati ci sputtanarono un casino di quattrini dietro a Garibaldi e Mazzini, e in mancanza di cospicuo patrimonio di famiglia uno si consola con l’orgoglio.

Ad ogni modo è innegabilmente un momento storico che ben si presta a storie di avventura. C’è l’idealismo politico, l’intrigo, la guerra…

Come rendere il tutto un pizzico più meglio?

Con robottoni giganti, ovviamente!

Soldati a Vapore è un romanzo di Diego Ferrara.

Full disclosure: fui betareader per il romanzo. Ai tempi mi piacque molto, e da quando ho aperto il blog (circa un anno dopo la pubblicazione) ho sempre avuto voglia di parlarne. Le cose però si sono affastellate e solo di recente ho avuto il tempo di rileggerlo.

Avevo già nominato Diego Ferrara quando ho parlato di Piloti e nobiltà, edito da Vaporteppa. Come ricorderete, la storia mi era piaciuta. E’ divertente, interessante e con un numero sufficiente di elementi bizzarri.

Soldati a Vapore è un progetto più ambizioso: si tratta di un romanzo ucronico steampunk che ripropone un tema classico dell’epica nazionale ma arricchito con mec e cingolati giganti, che fanno sempre piacere.

Il romanzo comincia con una nota dal diario del protagonista, Giuseppe Basile, nel giugno del 1848.

Nel brano, il soldato Basile racconta dell’Elmo Potorio, una sorta di rituale cannibalistico in cui un austriaco viene vivisezionato e il suo cervello usato come ingrediente in un beverone che sarà poi condiviso da tutti i membri del gruppo.

L’introduzione stabilisce il tono goliardico della voce narrante, e nell’insieme il libro riesce a trovare un buon equilibrio tra la caricatura e la storia d’azione.

Giuseppe Basile è soldato nella compagnia meccanizata dei Pulcini Sanguinari. I nostri pilotano i Manzetti, robottoni bipedi a vapore armati di lanciafiamme.

Interpretazione di Manzetti

Sul lato austriaco, il nemico naturale del Manzetti è il Kreb, un mec dotato di calotta in vetro rinforzato e due tentacoli muniti di tenaglia.

Sia chiaro, l’ucronia del Ferrara non vuole essere un “what if” verosimile né hard sci-fi: sia il Manzetti che il Kreb che l’intera faccenda non sono realistici né fingono di esserlo. Soldati a Vapore necessita una buona Sospensione Volontaria dell’Incredulità. Nel contesto del libro, però, le macchine sono narrativamente ben pensate e ben descritte.

E con “ben descritte” intendo ritratte in azione e senza spiegoni: sono mostrate senza essere raccontate. A differenza di certi Nomi Noti della narrativa italiana, il Ferrara è abbastanza sgamato dal non scivolare in ridicoli sotterfugi come sbrodolamenti a caso o dialoghi forzatissimi dove due personaggi che conoscono già l’argomento decidono di descriverselo a vicenda per il beneficio del lettore.

“Buongiorno Basile, il tuo Manzetti a vapore sembra in buono stato!”
“Invero lo è, sia nelle due braccia che nei due piedi. Sapevi che ha un lanciafiamme?”
“Perdincibacco sì! Lascia che ti riassuma come si usa!”

Ecco, niente del genere.

Manzetti e Krebs non sono le uniche mostruosità meccaniche presenti nella storia. Insomma, la tecnologia può essere poco verosimile in assoluto, ma all’interno del libro è trattata in modo coerente e dettagliato.

Questo, che di per sé è un pregio, ha le sue conseguenze. Ma andiamo con ordine.

Jakub Rozalski dimostra come i robot giganti migliorano qualsiasi immagine

Stazionato sul Mincio, il protagonista Giuseppe Basile è un pilota di Manzetti. Non ci appare particolarmente intriso di spirito patriottico risorgimentale, ma non è nemmeno un cinico disincantato. Basile combatte la sua guerra onestamente, senza esporsi troppo ma senza fare il paraculo.

Il personaggio è ben costruito. Basile è una brava persona, non un pazzoide sanguinario. Allo stesso tempo non prova empatia per il nemico e compie con totale nonchalance azioni atroci, come bruciare vivo un pilota di Kreb intrappolato, o schiacciare un ferito sotto i piedoni del mec.

Questi non sono gli unici passaggi di violenza grafica del libro: in più punti c’è gente cotta al vapore, schiacciata, mitragliata e quant’altro.

Spesso però tali scene non sembrano truculente come dovrebbero, sembrano quasi normali. E questo perché, per Basile, lo sono. Il personaggio è ormai abituato a quel livello di brutalità e racconta le proprie disavventure con uno spiccato tono autoironico.

Ma veniamo alla trama!

Il nostro Basile si sta facendo la sua brava guerra in santa pace, quando un bel giorno lui e i suoi si vedono affibbiare una missione notturna: devono attaccare un convoglio austriaco di camion carichi di reclute e rifornimenti.

La missione si preannuncia facile e la scorta al convoglio minima.

Ovviamente la scorta non è minima e la missione non è facile. Basile riesce a stento a riportare le penne al campo, dove ha un’altra brutta sorpresa: dal convoglio è stato ritirato un pezzo meccanico per un robottone austriaco.

Problema: il pezzo meccanico in questione è quattro volte più grosso e complesso di quello che è ragionevole aspettarsi. Gli austriaci stanno architettando qualcosa, qualcosa di grosso.

E così il nostro e i suoi compagni si trovano a dover attraversare le linee nemiche per trovare questo fantomatico mostro meccanizzato e demolirlo. Il nome in codice dell’ordigno: Crio.

Titanomachia, dal pennello di Joachim Anthonisz Wtewael (1566-1638)
Crio è uno della banda

Non voglio raccontare troppo di questo libro: è un romanzo che si legge alla svelta e sarebbe sciocco spoilerarlo.

Lo stile di Ferrara è scorrevole e divertente. Il punto di vista è ancorato nella testa del protagonista, che è un narratore a cui è facile affezionarsi.

Anche la tecnologia bizzarra è ben gestita. Questo però, come accennavo più su, ha conseguenze. In particolare, il “sapore” ottocentesco dell’ambientazione ne patisce.

In parte questo è inevitabile: nel 1848 buona parte delle armi leggere erano ancora ad avancarica, mentre il Ferrara descrive mitragliatrici e lanciafiamme, roba che starebbe molto meglio su un campo di battaglia del 1916, vapore o non vapore.

A parte il fronte sul Mincio e pochi altri elementi, è facile dimenticarsi che la vicenda si ambienta in un 1848 alternativo. Se spostassimo la faccenda duecento chilometri più in là, potremmo parlare di una versione steampunk di una delle trentordici battaglie sull’Isonzo, e la vicenda resterebbe più o meno immutata.

Questo non pone davvero problema a livello narrativo: la storia fila bene, i personaggi sono interessanti, la tecnologia a vapore è divertente.

Però sa un po’ di occasione persa. Forse con un’ambientazione più approfondita o dettagliata, si sarebbe potuto rendere in toni più vivi l’ottocento alternativo in cui avvengono i fatti.

Non si tratta però di un difetto vero e proprio, e quando lo lessi la prima volta manco ci feci caso. A distanza di cinque anni mi dico “avrei preferito”, ma non costituisce un problema strutturale.

In conclusione

Idea originale

I robottoni a vapore

La voce narrante

La grande battaglia contro Crio

L’elmo potorio

Soldati a Vapore è un romanzo divertente e scorrevole. Forse lo stile del Ferrara non ricalca del tutto la Tecnica Aurea propugnata dal Duca di Baionette, ma ha un buon ritmo e il tono sarcastico del protagonista lo rende una lettura gradevole.

Non è per tutti: i mec non sono spiegati, la scienza dietro questi trabiccoli non è esplorata e chi vuol fargli le pulci potrà probabilmente trovare diversi aspetti tecnici che non quadrano. Ciò detto, il romanzo non pretende di essere The Martian. E’ una storia di guerra con robottoni a vapore che si prendono a cazzotti. E in quanto tale è fatta bene.

Non è per puristi della hard sci-fi, ma per il resto della popolazione dico: dategli una possibilità!

Lo potete trovare su Amazon qui.

MUSICA!

Welcome to the Great War, quando la divulgazione è fatta bene

Lo scopo di questo blog è sempre stato duplice: la lagna e la divulgazione.

https://becauseitreallyispersonal.files.wordpress.com/2013/09/pedantic-kitten-300x269.jpg

Da un lato serve a esternare tutto ciò che mi fa salire il nervoso (articoli scritti col culo, film di merda, la lista è lunga!), da un lato serve a raccontare in modo fruibile e (si spera) on troppo sfrangiamaroni fatti storici.

Il problema della Storia è che, pur essendo importantissima da mille punti di vista, può essere un pochettino difficile di accesso. Anche per qualcuno come me che sta buttando gli anni migliori della propria vita lavorando ad una carriera nel campo è impossibile conoscerne ogni aspetto. Ci sono migliaia di studi e saggi e dibattiti esaustivi là fuori, ognuno dei quali aiuta ad approfondire la nostra conoscenza dell’Uomo e delle società, ognuno dei quali ci rende meno vulnerabili alla manipolazione della propaganda (che AMA pescare ad glandus segugi dalla Storia!). Ma non possiamo star dietro a tutto e, nonostante la specializzazione sia fortemente sconsigliata nel mio campo, uno deve bene o male fare una scala delle priorità.

Stesso vale per la gente normale là fuori, che non ha necessariamente il tempo o la forza di sbattersi a leggere tonnellate di pagine sulla nascita del mercato monetario, sull’emancipazione femminile o sulla diffusione del bronzo nel continente eurasiatico.

Pertanto è sempre bello quando qualcuno indovina un metodo fruibile, interessante e corretto di divulgazione, che permetta alla persona lamba di dotarsi di una spolverata di conoscenza senza per forza passare le domeniche in biblioteca.

Pagine come War History Online o The Vintage News svolgono ad esempio un ruolo del genere, presentando articoli molto brevi su argomenti assortiti. Spesso la loro roba può essere poco esaustiva o un pizzico superficiale, ma lo scopo non è trattare a fondo un argomento, è darne una sommaria panoramica e magari incoraggiare il lettore a proseguire le ricerche.

Un altro medium molto importante di diffusione è Youtube. E’ un medium che io amo particolarmente perché lascia la libertà al fruitore di fare altre cose nel frattempo. Quando preparo la cena o quando ho episodi maniacali e mi metto a catalogare matite secondo la lunghezza e la marca, non c’è niente di meglio che una buona lezioncina di Storia in sottofondo!

Molti conosceranno l’ottimo canale di Metatron, i video di Schola gladiatoria, o la roba di Lindybeige (che di solito mi piace molto e poi ogni tanto mi tira fuori delle stronzate da schiaffi in viso, ma bon).

Oggi vorrei parlare dello splendido lavoro fatto da Indiana Neidell, Toni Steller e Florian Wittig.

The Great War, ovvero Indy Neidell e la Storia a piccole dosi

Chi è Indiana Neidell, il principale autore di questa gemma?

Una delle mie cotte platoniche, ma non divaghiamo.

L’omonimo del Professor Jones (altra mia cotta non tanto platonica) è un Hustoniano che ha studiato Storia alla Wasleyan University in Connecticut.

Nella primavera del 2014, con il centenario della Prima Guerra Mondiale che incombeva, Neidell ha incrociato la strada di Spartacus Olsson, un simpatico svedese poliglotta cofondatore e attuale presidente di Mediakraft Network.

Cos’è Mediakraft Network?

Un network (duh!) di canali Youtube (principalmente in lingua tedesca) con base a Monaco. Mediakraft è relativamente giovane, essendo stata fondata nel 2011, ma già dal 2014 può vantare 130 impiegati fissi e un capitale d’investimento di 16 milionazzi.

Neidell e Olsson sono venuti fuori con un’idea figa abbelva da proporre a questi rampanti markettari: un documentario “in real time”!

In altre parole, un documentario a puntate che, invece di riassumere il fenomeno in un unico episodio, ne segue passo passo il divenire.

E così nasce The Great War, una serie di video (in inglese, ma con sottotitoli per i diversamente anglofoni) che coprono, settimana per settimana, gli avvenimenti e l’evoluzione della Grande Guerra.

Spesso mi sentite soppesare i lati positivi e negativi, o cercare il difetto, o lagnarmi delle imperfezioni.

Non qui.

The Great War è una serie bella da strapparsi le mutande dall’entusiasmo e basta.

Un giovane ufficiale dell’Impero Intergalattico appostato in un POA a bordo della HMAS Encounter sorveglia gli Oomani

Ma andiamo con ordine.

In principio il documentario doveva coprire per intero la Guerra ed essere pubblicato online in diverse lingue, tra cui Polacco e Turco. Purtroppo non ebbe un seguito sufficiente per Mediakraft, che lo mollò nell’agosto del 2015.

Ma Indy e Spartacus non si dettero per vinti e, con determinazione da canadesi alla seconda battaglia di Ypres, portarono avanti il canale inglese via crowfunding, merchandising e vendite sponsorizzate su Amazon.

Sono qui per masticare gomme e fare divulgazione. E ho finito le gomme.

Nel 2016, con l’uscita del gioco Battlefield 1 (a cui Neidell ha pure collaborato), la Grande Guerra ritornò alla ribalta e il canale vide un aumento sensibile di iscritti.

Ora come ora, a pochi mesi dalla fine della serie (spoiler, novembre 2018), il canale Youtube conta quasi 900.000 iscritti e pochi giorni fa Neidell e soci hanno potuto filmare in situ al Museo dei Tank di Bournemouth.

Neidell è il principale autore della serie e il narratore. Il nostro offre episodi densi di informazioni, chiari e di facile fruizione, il tutto con rigorosi riferimenti bibliografici per i feticisti come la sottoscritta. Il suo entusiasmo e la sua passione per l’argomento sono palpabibili, e Neidell riesce a giostrare un ottimo ritmo narrativo con una mole enorme di dati e notizie.

Ogni puntata ci tiene al corrente dello sviluppo generale della Guerra, delle battaglie principali, ma prende anche il tempo di guardare il dettaglio, l’esperienza del singolo, con aneddoti , articoli di giornale del periodo, lettere o diari. Con Neidell, lo spettatore impara cos’è successo senza perdere la dimensione umana. In ogni puntata vediamo la Grande Guerra di Nazioni contro Imperi, e la piccola ma gigantesca guerra del soldato contro la mitragliatrice, contro il gas, o contro il freddo e la fame.

Per non sforare il format di puntate brevi (una decina di minuti), il nostro e il suo team hanno anche messo insieme una serie di approfondimenti su tecnologia, tattiche, personalità, arte dalle trincee, propaganda, ecc. Lo spettatore può limitarsi a seguire lo sviluppo della Guerra, approfondire l’aviazione, ascoltare uno speciale sulla poesia nelle trincee, o anche solo seguire il gruppo di allegri divulgatori nelle loro gite in situ. Gli spettatori possono anche inviare domande e dubbi, oltre che partecipare alla crescente comunità online.

Che altro chiedere?

Raccontare Gallipoli: lo stai facendo bene

I video sono arricchiti da mappe, animazioni e filmati d’epoca. Questi ultimi sono in buona parte ripresi dal colossale archivio British Pathé, un database contenente circa 85.000 documenti audiovisivi d’epoca, registrati da Pathé News tra il 1910 e il 1970.

Insomma, i video di Indy sono interessanti da ascoltare e da vedere e offrono un resoconto dettagliato, ragionato e approfondito di una delle guerre più assurde e più devastanti della Storia occidentale

I heard that it started because a bloke called Archie Duke shot an ostrich ‘cause he was hungry (cit.)

Ma non finisce qui!

Neidell e Olsson hanno messo su un altro canale: TimeGhost, dove contano continuare il concetto di “in real time documentary”.

Già sono disponibili i video della serie Between two wars in preparazione del prossimo grande progetto: un documentario in real time sulla Seconda Guerra Mondiale!

Risultati immagini per happy dance gif

Gente come Indy Neidell e i suoi collaboratori sono i miei personali eroi. Fanno cose utilissime in modo ottimo e fruibile. Darei un braccio per essere in grado di gestire un progetto di quelle dimensioni con altrettanta competenza, energia e dedizione.

The Great War è una serie bellissima e ho piena fiducia nei sequels che ne verranno.

Quindi andatevela a vedere, supportate il progetto, condividete i loro contenuti!

Viviamo in un periodo dove “giornalisti” scrivono puttanate senza fondamento infilandosi una penna nel culo e scorreggiando, in cui politici di rilievo sblaterano propaganda senza il minimo appiglio nel reale, in cui bufalate indegne sono condivise decine di migliaia di volte.

Iniziative come quelle di Neidell e Olsson sono un piccolo antidoto a questo merdaio di post-verità vomitata sui social.

Coltiviamo ciò che di buono ci porta l’internet!

Risultati immagini per boom boom boom baldrick

MUSICA!


 

La pagina Facebook di The Great War

La pagina wiki di The Great War (la serie)

Il negozio di The Great War

La pagina Patreon di The Great War

Il canale Youtube TimeGhost

La pagina Wiki di Indy Neidell

La pagina Imdb di Olsson

The Handmaid’s Tale: m’è garbato ma c’ho da ridire lo stesso

Nei mesi in cui sono stata fantasma, pare che un paio di persone abbiano effettivamente sentito la mancanza del blog.

Risultati immagini per gif shrugging

Eh, non me lo spiego nemmeno io, ma il mondo è bello perché è vario.

Quindi mi accingo a punire costoro con ciò che meritano: la mia indispensabile opinione su robe che passano in TV!

The Handmaid’s tale – la serie

https://vignette.wikia.nocookie.net/the-handmaids-tale/images/4/40/The-handmaids-tale-poster.jpg/revision/latest?cb=20170213230343

Un briciolo di contesto

The Handmaid’s tale, tradotto in italiano con La storia dell’ancella, è una serie uscita su Hulu, tratta dall’omonimo libro di Margaret Atwood.

Uscito nel 1985, The Handmaid’s tale è un romanzo distopico che esplora le conseguenze del potere volto a preservare se stesso . L’elemento portato alle estreme conseguenze qui è il potere patriarcale, in particolare il patriarcato di stampo fondamentalista cristiano.

In un futuro non troppo remoto, la fertilità degli esseri umani crolla. Un attentato terroristico spaccia la gran parte del parlamento statunitense e un gruppo fondamentalista chiamato Sons of Jacob prende il controllo del paese. Ribattezzati Gilead, gli Stati Uniti vengono trasformati in una dittatura puritana.

Le donne sono quelle che perdono più diritti sotto il nuovo regime: non possono più scegliere, divorziare, abortire, possedere beni o anche solo leggere. Le loro funzioni sono strettamente limitate. Le Wives sono le mogli dell’élite, amministrano le loro case e vestono in blu. Le Marthas sono domestiche e vestono in verde. Le Econowives vestono abiti a strisce colorate ed esercitano tutti i compiti muliebri per le classi subalterne, a cui sono assegnate come ricompensa.

Una branca a parte è dedicata alle donne fertili ma immorali (donne che sono state promiscue, divorziate o che hanno tenuto altri comportamenti poco biblici), che sono ridotte in schiavitù e costrette a concepire figli per l’élite. Queste sono le ancelle: vestono in rosso e sono assegnate alle famiglie dei Comandanti. Una volta al mese il marito stupra l’ancella in un balordo rituale in cui la moglie regge ferma la disgraziata.

Risultati immagini per the handmaid's tale ritual

Nell’eventuale necessità di un atto sessuale, è necessario fare in modo che nessuno si diverta!

Una volta sgravato il pargolo, l’ancella lo allatta fino allo svezzamento e poi passa a una nuova famiglia. In tutto ciò, le ancelle prendono il nome del proprietario di turno (tipo Offred, impiegata da Fred Waterford, “of Fred”) e sono controllate e indottrinate da delle “zie” (Aunts), che vestono marrone e si preoccupano di applicare le draconiane leggi di Gilead.

Nel libro, un’ancella di nome Offred racconta via delle cassette la propria vita, com’era prima del colpo di stato, l’indottrinamento, e infine la sua esistenza in Gilead. Attraverso il punto di vista di Offred, possiamo esplorare le contraddizioni, l’ipocrisia e la crudeltà insita dell’ideologia patriarcale, come anche i metodi repressivi e propagandistici usati dai dirigenti per mantenere il controllo sulla popolazione.

La serie

Immagine correlata

Parte del successo della serie è PROBABILMENTE legato al clima politico in America

La prima serie di The Handmaid’s tale ha aperto col botto nell’aprile del 2017 e ha ricevuto applausi pressoché universali, portandosi a casa un sacco di premi, tra cui diversi Emmys e un Golden Globe per miglior serie tv nella categoria drammatica.

Prova del famoso complotto nazifemminista volto a sterminare i maschi vincendo premi tv, ovviamente.

Anche il pubblico però sembra aver apprezzato, con un 95% Su Rotten Tomatoes.

Una serie acclamata dai critici, diretta in buona parte da donne e con sottotono femminista. Ma vi pare che non la guardavo?

Prima di cominciare è opportuno specificare: ho letto molto a proposito questo libro, ma non ho letto ancora il libro stesso, quindi il mio commento porta soprattutto sulla serie tv.

Serie tv su cui, ovviamente, ho da ridire.

Risultati immagini per the handmaid's tale hulu

We are not amused

Il primo problema che ho con la serie (e col libro, di conserva) è la faccenda del calo della natalità.

All’interno del genere distopico, l’improvviso crollo della fertilità è ricorrente, ne sono un esempio storie come When she woke o The children of Men. L’idea che la razza umana appassisca lentamente è piuttosto attraente per la sottoscritta, ma al di là della sete di estinzione della Tenger, questo elemento è strutturalmente problematico qui.

L’infertilità generale è uno degli elementi decisivi nella genesi di Gilead (la sopravvivenza dell’Umanità è in gioco!) e nella vita dei personaggi (un personaggio commette un “reato” punibile con la morte, ma essendo una donna fertile viene risparmiata).

Ora, una distopia è un esercizio nel portare alle estreme conseguenze elementi reali. In altre parole, è un “avvertimento” contro cose che esistono. Per esempio, il pensiero unico e la sorveglianza capillare insiti nel regime comunista russo sono ciò che ha favorito l’ascesa e il mantenimento dello stalinismo, ed è pertanto normale che giochino un ruolo così prominente in 1984.

La misoginia e il patriarcato hanno molto poco a che vedere con un catastrofico calo delle nascite. Il trattare le donne come incubatrici che cucinano e stirano è una costante di tantissime culture, a prescindere dal numero di pargoli per famiglia.

E’ vero che il tasso di fertilità mondiale è calato. Ciononostante il problema principale di oggigiorno non è una carenza in gristiani. Con tutto il calo di natalità, abbiamo comunque un surplus di umani rispetto alle risorse (anche a causa di sfruttamento predatorio, Cambiamento Climatico, ecc.).

Una brutta persona potrebbe dire addirittura che il tasso di natalità ha raggiunto un livello ottimale, è la mortalità che è troppo scarsa, ma non divaghiamo.Risultati immagini per blackadder death meme

Un’altra celebre opera che studia gli effetti del potere assoluto sugli oppressi

Il punto è, oggi e ora misoginia e narrativa patriarcale sono reali, e sono quelli che la Atwood prende di mira nel suo libro. Però non dipendono da una scarsa fertilità.  Un esempio sono appunto gli Stati Uniti, in cui il tasso di natalità è rimasto pressoché stabile dal  1990 in poi  (e che quando la Atwood scrisse il libro era perfino in leggera rimonta). Nonostante ciò hanno un Presidente che pare l’incarnazione di una barzelletta sessista pronunciata in un singolo rutto in un bordello livornese. Nonostante ciò ci sono persone come Kevin Williams che sostengono che l’aborto dovrebbe essere punito con l’impiccagione.

E’ vero che la stagnazione demografica viene usata come scusa per spingere quella porcheria immonda della propaganda pro-life. Se la catastrofe demografica fosse stata una scusa usata dai Sons of Jecob, avrebbe potuto funzionare. Ma no, è reale, non nascono più figlioli.

In altre parole, una piaga di infertilità fulminante non è un elemento reale, non ha avuto un ruolo strutturale nell’evoluzione e mantenimento del patriarcato. Pare che sia inserita qui meramente come elemento scatenante per la trama.

Aggiungere un elemento alieno come questo inficia un po’ l’analisi sociale.

Da un punto di vista puramente narrativo, offre vantaggi e svantaggi.

Un vantaggio è che il regime oppressivo è una risposta a una minaccia reale e pressante. Può essere una risposta sbagliata, ma un qualche tipo di azione drastica è percepita come necessaria e urgente davanti a qualcosa che minaccia la specie.

Da un punto di vista speculativo, questo è problematico perché la misoginia non è una risposta a una catastrofe urgente, non è necessaria e non è nemmeno costruttiva. Gli evangelisti americani non vogliono vietare l’aborto per risolvere un qualche problema reale: lo vogliono vietare perché sono delle sottomerde (semplificando). Il loro “problema reale” non è che l’umanità è in pericolo, è che le donne possono scegliere cosa fare coi loro corpi (ovvove e vaccapviccio!).

Sul piano puramente narrativo, questo fa dei Sons of Jacob gente pazza e pericolosa, ma mossa da buone intenzioni che sono giustificate da un reale pericolo. Aumenta il conflitto (gli antagoniti non sono cattivi per il gusto della cattiveria).

Di contro, introduce un secondo problema, comune in questo genere di film, che a me piace chiamare “e quindi ora?”.

Prendiamo l’esempio di What happened to Monday?: c’è un problema di sovrappopolazione e il governo adotta SoluzioneBruttaRandom. La SoluzioneBruttaRandom è sbagliata e cattiva e viene nullificata dall’eroico sforzo dei protagonisti.

Ok, e quindi ora?

Il problema che ha portato all’adozione di SoluzioneBruttaRandom è ancora presente. Le opzioni sono due: o gli eroi propongono una SoluzioneBuonaRandom, o si stabilisce che l’estinzione di massa è la scelta più etica.

In The Handmaid’s tale c’è lo stesso problema. Sappiamo che solo Gilead ha imposto il sistema delle ancelle. Il Messico non si sa che fa, ma è detto chiaro che non sta funzionando. In Canada la gente sta meglio e non ci sono ancelle ma non è spiegato che cosa si siano inventati per ovviare alla denatalità.

Non sarebbe troppo male se non fosse che questo aspetto (fondamentale nella storia) non viene mai affrontato.

Ridurre la gente in schiavitù e stuprarla è sbagliato. Ok, e quindi ora?

https://roosanna.files.wordpress.com/2014/05/dystopia-demotivational.jpg

In una scena Offred affronta una diplomatica messicana, venuta per trattare un qualche tipo di “importazione di ancelle” verso il Messico. Offred fa notare il piccolissimo dettaglio che si tratta di schiavitù, stupro e repressione. L’ambasciatrice le risponde “eh sì, brutta cosa, ma da noi non nascono marmocchi da 6 anni e non sappiamo che altro fare”.

Ergo la soluzione del Canada per qualche ragione non è applicabile in Messico.

E quindi ora?

In un’altra scena Offred e il Comandante parlano del “prima e dopo Gilead”. Mentre il Comandante offre collaudati argomenti da evangelista scoppiato (le donne sono più felici ora che possono realizzare il loro “destino biologico” di uteri ambulanti, prima erano comunque oggettivizzate dal consumismo edonista, ecc.), il fatto che la razza umana sia sull’orlo dell’estinzione non viene nemmeno sfiorato.

La sterilità dilagante, ancorché verosimile, viene usata meramente per spingere la trama a pedate. Potrebbe arricchire il conflitto, ma no, come in What happened to Monday? restiamo a chiederci “ok, quello che fanno in Gilead è sbagliato, e quindi ora?”.

Il secondo punto che mi crea problema è la protagonista: June/Offred.

In buona parte ciò dipende dal tipo di romanzo da cui è tratta la serie.

L’interesse principale della letteratura distopica è la speculazione: si tratta (in teoria) dell’analisi di un meccanismo reale e di come questo può danneggiare l’umanità se lasciato senza controllo.

Il romanzo distopico pone l’accento sul contesto più che non sui personaggi. Il protagonista spesso è il più  normale possibile, perché lo scopo è esplorare l’effetto che il potere ha sull’essere umano qualsiasi.

Winston Smith è una persona normale che cerca di ribellarsi come può. Se fosse un genio del computer capace di hackerare i teleschermi e mandare in crush il Big Brother, il romanzo sarebbe del tutto differente. Sarebbe magari un romanzo d’azione, ma la sottile analisi dell’effetto della dittatura sulla persona qualsiasi sarebbe in buona parte persa.

Il film Running man è divertentissimo. Ma la fine analisi sociale finisce sullo sfondo quando The Governator in tony sgargiante corre in giro cazzottando gente e snocciolando battutacce di pessimo gusto.

Insomma, in un romanzo distopico, il protagonista è spesso poco attivo, qualcuno che cerca di sopravvivere ed opporsi con mezzi molto limitati.

Questo funziona bene in un romanzo, o in un film, ma in una serie di 10 puntate da un’ora?

Quelle puntate vanno riempite, e non possono essere riempite solo da gente che si fa pestare.

Offred è un personaggio spesso molto passivo.

https://i.pinimg.com/originals/e3/de/6b/e3de6bdeaafdb8cb895bbae4265ffc8a.jpg

Ovviamente non succede

Intendiamoci: è verosimile che lo sia. La maggioranza della gente al suo posto lo sarebbe. Ma per un format di 10 ore, questo è un problema.

Nel libro, Offred registra i propri pensieri e la propria storia. Ciò è di per sé un atto rivoluzionario. E’ una donna che trova il modo di conservare la propria individualità in un mondo che le ha tolto i mezzi, la famiglia, il lavoro, la libertà e anche il nome. In un mondo che vuole annullarla come persona, Offred trova il modo di “preservarsi”, anche a rischio di brutali punizioni.

Nella serie, Offred non registra niente, abbiamo la sua voce narrante e basta. Questo la rende più passiva della sua controparte letteraria.

Aiuta il fatto che l’attrice che la interpreta è Elisabeth Moss, che è bravissima. Doppiamente bravissima, conto tenuto che recita la parte di una donna che, nel 99% dei casi, non può mostrare le proprie emozioni, deve abbassare al testa e inghiottire le parole.

Purtroppo resta il fatto che la nostra subisce per la stragrande maggioranza del tempo. Di nuovo: verosimile, ma non molto compelling per 10 ore di visione.

Ci sono momenti in cui la nostra fa cose. Ad esempio nasconde un pacchetto di lettere di ancelle per conto della resistenza. Purtroppo queste lettere giocano un ruolo molto marginale nella prima serie e un ruolo cretino e basta nella seconda. L’impressione è che ‘sto benedetto pacchetto sia stato tirato nella storia non per arricchire il contesto, l’analisi o la vicenda, ma per dare a Offred qualcosa da fare.

In un paio di casi la serie pare non rendersi nemmeno conto della passività di Offred.

C’è un cliché inaffondabile, che è quello del protagonista che marcia deciso verso la telecamera alla testa della squadra, di solito in slow motion. E’ un sotterfugio trito e ritrito ma a cui siamo affezionati, e che di solito viene usato dopo che il personaggio ha compiuto un qualche tipo di atto simbolico (magari ha fatto esplodere qualcosa).

Offred per qualche ragione si cucca due camminate in slow motion, nessuna delle due davvero giustificata.

Nel quarto episodio Offred scopre un messaggio lasciato dalla disgraziata prima di lei. Il messaggio la incoraggia a non arrendersi e ciò è inframezzato da flashbacks in cui le altre ancelle danno prova di solidarietà verso una June ferita e invalida. Tutto si conclude su note ottimiste, una camminata in slow mo e Offred che chiacchiera di come sono ancelle, e hanno una divisa, e non si faranno macinare dai padroni!

Ok, quindi questo episodio sprona Offred a prendere in pugno la situazione, magari convince le altre ancelle a scioperare, o ribellarsi, o assassinare tutti nel sonno in una catarsi di sangue e fuoco!

No, nell’episodio 5 Offred è punto e da capo.

Il messaggio che la rincuora ha senso se presentato per ciò che è: un piccolo gesto che aiuta questa disgraziata a sopportare la propria situazione ancora un po’.

Invece no, camminata lenta, note pimpanti di piano, mo’ ve se famo un culo così, e un niente di fatto.

La seconda volta è ancora peggiore. Senza troppi spoilers, nell’ultimo episodio Offred e le altre si trovano a dover lapidare una di loro. Una delle ancelle, Offglen, si oppone. E’ l’unica ad osare e viene brutalmente picchiata e trascinata via.

Ma questo sprona Offred, che lascia cadere il sasso e se ne va, seguita dalle altre, mentre Aunt Lydia urla che ci saranno conseguenze. Camminata in slow mo e passo coordinato, mo ve se famo il culo 2 il ritorno!

Cosa fanno?

Niente.

Ritornano ordinatamente ognuna a casa sua in attesa della mannaia, ma con la camminata tosta davanti alla telecamera che fa sempre figo.

Immagine correlata

Non dico che non sia un atto di eccezionale coraggio rifiutarsi in una situazione del genere, ma boh, la camminata stile Deadpool mi pare molto fuori luogo. Anche contando che non è stata nemmeno Offred la prima a fronteggiare l’autorità. Offglen è stata la prima a rifiutarsi e l’unica a soffrire una punizione immediata. Dovrebbe essere lei a cuccarsi la camminata figa, no? Mah.

Offred resta un personaggio passabile, verso cui è facile provare empatia. La sua passività è verosimile e giustificata dal contesto. Uno però si chiede se non fosse meglio, per una serie a puntate, seguire un personaggio in una posizione diversa che sia quindi più attivo. Perché i personaggi attivi ed affascinanti certo non mancano, e sono uno dei grandi pregi di questa serie!

Prendiamo la prima Offglen/Emily: è un ex-professoressa universitaria, lesbica, sposata e con un figlio. Dopo aver perso la famiglia ed essere finita in schiavitù, Emily collabora con la resistenza. Allaccia una relazione con una Martha. Viene arrestata. Uccide un guardiano. Insomma, è una donna che non ha niente da perdere ed è disposta a qualsiasi cosa pur di resistere.

La seconda Offglen è contenta di essere un’ancella. Era poverissima prima di Gilead, e costretta a prostituirsi per miseria. Ora è mantenuta in una casa da gente che, tutto sommato, la tratta bene. Le basta, le va bene così. Ma quando le impongono di far del male a un’altra ancella si rifiuta, perché è comunque una persona empatica e di fegato.

Moira riesce a scappare dal centro di detenzione e indottrinamento, ma viene ricatturata e costretta a scegliere tra una vita di stenti in una colonia contaminata e una vita di stenti (ma con la droga) in un bordello.

La lista continua: ci sono un sacco di personaggi ganzi nella serie, tutta gente che si trova ad agire più di Offred.

Serena Joy (interpretata da Yvonne Stahovski), la moglie di Waterford e uno degli antagonisti principali, è il mio personaggio preferito in assoluto.

Nel libro, Serena è una donna in là con gli anni, afflitta dall’artrite e infelice nel suo ruolo marginale. Nella serie Serena è più giovane e più reattiva. Si scopre che lei è il vero cervello dietro al marito, che prima del ribaltone Serena ha giocato un ruolo cardinale nell’organizzazione del colpo di stato.

E’ una donna che ha costruito con determinazione, intelligenza e metodo il nuovo sistema… e ci si trova ora intrappolata. E’ una versione tragica di Phyllis Schlafy, una fervente fondamentalista antifemminista che riuscì a frenare il progresso dei pari diritti con grande efficacia.

Il patriarcato è sempre stato protetto e perpetrato grazie a donne come Serena Joy o Phyllis Schlafy, donne che hanno interiorizzato la misoginia inerente del sistema e che lavorano attivamente alla sua conservazione in cambio di potere e status. Non vogliono emancipazione per sé stesse, vogliono controllo sul prossimo, e lo possono ottenere attraverso il sistema patriarcale. Serena orchestra gran parte della congiura, partecipa alla costruzione di Gilead, ma alla fine suo marito la mette da parte.

https://i.kinja-img.com/gawker-media/image/upload/t_original/vcig2xvvcro91eewjfkl.jpg

Serena è anche una fonte inesauribile di reaction pics. 50 sfumature di disappunto.

Potrei andare avanti a parlare della serie: come storia distopica, offre di conserva un sacco di spunti di discussione.

In generale, ha delle cose che non mi sono piaciute, ma nell’insieme gli elementi positivi (o quantomeno interessanti) superano quelli su cui ho da ridire.

Plotpoint dell’infertilità subitanea
Format poco consono al tipo di storia
Elementi come il razzismo sono del tutto assenti nel worldbuilding
Camminate in slow mo
Recitazione
Una compagine di personaggi secondari interessanti e ben fatti
Atmosfera
Antagonisti ben delineati e non appiattiti a macchiette
Sceneggiatura
Serena Joy

 

Per certi versi il romanzo è un mostro sacro, e la serie è di certo degna di interesse. Nonostante l’abbia menata fin qui su tutte le cose che non mi garbano, molte altre mi son piaciute. Non è per tutti (non è una storia d’azione, la protagonista non ha un vero e proprio arco, ecc.), ma invito a tentare per lo meno la prima puntata.

E la seconda serie?

Risultati immagini per serena joy angry

No.

La prima si conclude dove si conclude anche il romanzo, quindi con la seconda serie gli sceneggiatori hanno dovuto inventarsi tutto da zero senza le idee della Atwood.

E niente, secondo me l’esperimento è un fiasco.

L’ho vista a pezzi e bocconi e ho lasciato perdere. Immaginate tutte le cose che non mi son piaciute nella prima, aggiuingete più scene di violenza più morbose e meno motivate, e buchi di trama estemporanei (che nella prima serie, vivaddio, non c’erano).

Non dico che sia tutta da buttare: ci sono belle trovate, momenti notevoli, e un arco interessante nel personaggio di Serena Joy. Ma nell’insieme non mi è garbata abbastanza da finirla e pertanto non la consiglio.

Ora scusatemi, devo andare a scrivere una fanfiction dove Serena Joy, Ramsay Bolton e Standartenführer Hans Landa conquistano il mondo con il loro esercito di zombie sovietici a cavallo di tirannosauri.

MUSICA!


Letture aggiuntive

La pagina wiki del libro

La pagina wiki delle serie

Qualcuno fa notare che la seconda serie non è all’altezza

Una critica alla prima serie

Un altro lungo e ponderoso articolo sulle implicazioni femministe delle serie

Dunkirk

E’ il 1940, la Francia ha perso la guerra e decine di migliaia di soldati alleati sono imbottigliati a Dunkerque. Con i crucchi che gli rodono la groppa, gli inglesi cercano disperatamente di reimbarcare il loro esercito, in previsione del prossimo stadio: l’attacco nazista all’Inghilterra.

E questo è, in pratica, la totalità del film.

Spoiler: a me questo film è piaciuto tantissimo.

Nolan racconta gli ultimi giorni dell’assedio di Dunkerque, spaccando la storia in tre parti: terra, mare e aria. Rispettivamente, si tratta di un soldato che cerca di imbarcarsi, un civile che porta la sua barchetta privata in Francia per aiutare nell’evacuazione (cosa che capitò davvero) e un pilota di Spitfire con la missione di proteggere la flotta e le Little Ships (le barchette civili coinvolte nel trasbordo).

Cominciamo subito col dire che io non sono una fan di Nolan. Non perché Nolan sia un cane, eh! Nolan è un realizzatore estremamente competente e alcuni dei suoi pargoli mi sono anche piaciuti (notamente Inception), il fatto è che spesso i suoi film li trovo tanto spettacolari quanto traballanti nella sostanza. Come per altri artisti, tipo Polanski, mi piace lo stile, ma i contenuti mi lasciano spesso freddina. Ha anche una certa tendeza alla trombonaggine che non si sposa proprio con i miei gusti (The Nolan ray!)

E poi bon, c’è Interstellar, che a mio modesto parere ha solo stile e un contenuto da schiaffi nel viso.

Sì, lo so che molti adorano Nolan, NON VI TEMO, BRING IT ON!

Questo film è a parer mio l’esatto contrario: lo stile non è una vernice glitterosa sopra un rottame, ma un eccellente veicolo per un racconto solido.

Come accennato prima, da un punto di vista narrativo questo è un film minimalista. La storia è semplicissima, i personaggi pure, tanto che (come ha fatto notare il Duca) non hanno nemmeno un vero e proprio arco di trasformazione.

Questo è stato uno degli aspetti criticati: per qualcuno ciò ha reso l’esperienza vuota, per altri non è stato un problema. Posso capire chi non ha avuto un vero e proprio coinvolgimento emotivo e ho poco da dire a riguardo. E ‘ una scelta deliberata, o ti garba o non ti garba. Ci sono buone ragioni per apprezzare la scelta, e buone ragioni per odiarla. Ma di questo ha parlato con più dettaglio e competenza mon ami le Duc.

Foto colorata della divisione corazzata tedesca alle porte di Dunkerque

Le scelte deliberate non riguardano solo la struttura della trama: certi aspetti storici sono stati cambiati, cosa che ha fatto inalberare (comprensibilmente) gli appassionati.

Per molti di questi dettagli, la ragione narrativa dietro la decisione è palese. Ad esempio, il pilota di Spitfire si trova a combattere contro dei Messerschmitt 109. Questi hanno il naso di un bel giallo acceso. Problema: i Me 109 che volarono su Dunkerque non avevano pitture gialle.

In altre scene, gli ufficiali portano il berretto invece dell’elmetto (per la gioia dei cecchini).

In entrambi i casi pare palese che la cosa non è dovuta a sciatteria o pigrizia da tastiera nel culo, ma da una necessità di trama: rendere gli elementi riconoscibili. Uno spettatore che non sia un appassionato di aviazione vintage potrebbe avere serie difficoltà a distinguere un Me 109 da uno Spitfire, specie durante una rocambolesca scena di dogfight nei cieli. Ugualmente, il fatto che i due ufficiali siano senza elmetto in un mare di soldati con l’elmetto li rende più individuabili.

Sono scelte di compromesso tra l’attinenza storica e la fruibilità dell’opera, e in entrambi i casi comportano degli svantaggi (anacronismo per quel che riguarda gli aerei e poco realismo per quel che riguarda gli ufficiali).

Si può essere d’accordo con la scelta, oppure no. E’ possibile portare argomenti validi per entrambe le opzioni. Ad ogni modo queste licenze sono anni luce avanti rispetto alle porcate che si possono vedere in Vikings (“oh, ma se non vestiamo i vichinghi in corpetti in latex da bourlesque poi il metallaro quindicenne non s’immedesima!”).

Ugualmente, Nolan ha optato per un set molto più sobrio di quel che era in realtà la spiaggia di Dunkerque.

Sì, avete presente il luogo comune secondo cui Hollywood deve sempre aggiungere un 25% di esplosioni? Qui è avvenuto l’esatto contrario! Con tutti i botti, i cecchini, gli stuka e i lanci di ciabatte che il film ci sciorina davanti, la realtà storica è stata molto, molto peggiore. C’erano più botti, più pallottole, molti più uomini, cadaveri, rottami…

Anche in questo caso però si può ricondurre il fatto a una scelta cosciente, volta a rendere la vicenda più semplice da seguire. Così com’è Dunkirk è un film ansiogeno e incalzante. Una resa più dinamitarda dello scenario sarebbe stata più storica, ma si correva il rischio di sfiancare lo spettatore.

Di nuovo, si tratta di un compromesso, e si possono portare argomenti validi da un lato come dall’altro.

Son qui da 36 secondi e ancora nessuno ha cercato di uccidermi… OH WAIT!

Altri aspetti criticati possono essere riconducibili allo strettissimo Punto di Vista adottato nel film. Ad esempio, si è criticato il fatto che nel film appaiano solo tre Spitfires attivi nella difesa della ritirata da Dunkerque. In realtà erano molti di più. Uno potrebbe argomentare che la vicenda dei piloti prende solo poche ore, e si potrebbe supporre che in quel preciso momento e in quella frazione di cielo erano solo in 3. Stesso vale per i francesi, quasi invisibili (di questo parleremo anche dopo). Il Punto di Vista a terra è quello di un tommy esausto e terrorizzato. Il personaggio non è una cattiva persona (dà una mano al prossimo quando ne ha occasione), ma è consumato da un unico problema: scappare. In quel frangente, non gliene frega niente dei francesi. A stento li vede. Ed è realistico che sia così.

Altre scelte sono molto meno giustificabili: il film di Nolan pare implicare che le Little Ships furono responsabili per il miracolo di Dunkerque. La partecipazione dei civili è senza dubbio uno splendido esempio di gagliardia, solidarietà, coraggio e abilità. Migliaia di uomini sono stati salvati in questo modo. Tuttavia il grosso del lavoro è stato fatto da (sorpresa sorpresa) i Destroyers.

E’ ovvio che, da un punto di vista narrativo, far salvare soldati esausti da valorosi civili è molto più poetico e simbolico eccetera. E’ certamente una bella scena, ma una licenza alla realtà che non era indispensabile (la storia delle Little Ships è abbastanza spaccaculi così com’è, non ha bisogno di essere gonfiata). E’ un po’ una trombonata, ma alla fine è un film di Nolan, una trombonata da qualche parte ce la deve infilare!

Altri difetti non hanno giustificazioni. Tipo la totale assenza, tra gli inglesi, di facce scure.

Non è tanto un problema particolare di questo film (di nuovo, magari il protagonista semplicemente non li incrocia), quanto della narrativa in generale. Spesso Hollywood tende a ritrarre le Guerre Mondiali come un conflitto tra europei bianchi.

Non voglio buttarmi in una disamina sull’importanza delle minoranze in narrativa, perché è un discorso complicato che merita un articolo a parte. Il fatto è, c’è una ragione se i Me 109 hanno il naso giallo, se i francesi appaiono poco, se i tedeschi sono demoni senza faccia. C’è una ragione anche dietro ai 3 Spitfire (se sono solo tre contro la Luftwaffe la lotta appare impari, ergo più eroica e drammatica) o al ruolo sproporzionato delle Little Ships.

Qual è la ragione dietro alla totale assenza di truppe Commonwealth? Che scopo narrativo serve, a parte il fatto che non gliene frega un cazzo a nessuno?

Al di là del discorso da social justice warrior, si tratta qui di sciatteria. Non cambiava niente metterli, sono stati scordati perché sticazzi. Che non è molto diverso dal vichingo in giubba nera perché “fa figo”. La sciatteria è sempre un difetto.

Tornando alla storia, Nolan ha scelto un punto di vista estremamente ristretto. I tedeschi sono ombre senza faccia che appaiono dal niente quando meno te lo aspetti. Gli stuka sono mostri volanti che ti piombano addosso strillando come Nazgul. Ti sembra che il tuo compagno pilota ti stia salutando dal suo aereo ammarato? In realtà è bloccato nella carlinga e sta chiedendo aiuto mentre affoga.

Il film è magistrale nel rendere il senso di tensione, panico e smarrimento, guadagnandosi complimenti da critici e veterani della Dunkerque quella vera. Le informazioni sul conflitto vero e proprio sono minime, solo quelle strettamente necessarie perché lo spettatore profano riesca a raccapezzarsi.

Personalmente ho anche trovato magistrale l’accenno alle truppe francesi. Ricoprono pochissimo tempo, e ciò è coerente col Punto di Vista, ma i pochi dati che vengono offerti bastano a tracciare un’immagine precisa della situazione.

Nella prima scena in cui appaiono, sono mostrati mentre presidiano la strada e proteggono la ritirata inglese. In una seconda scena, dei soldati francesi esausti e disperati cercano di imbarcarsi con gli inglesi, che li respingono senza complimenti. Le poche scene in cui i francesi compaiono rendono in modo magistrale una situazione crudele (gli inglesi stanno lasciando indietro gli uomini che hanno protetto la loro ritirata) e inevitabile (gli inglesi devono tutelare prima di tutto il loro esercito, primo perché è uno dei migliori in campo e secondo perché grazie al cazzo!). Il senso di ingiustizia e impotenza è chiaro, non necessita lunghi dialoghi o scene drammatiche.

Senza spoilerarvi la fine su chi vive e chi muore, il film si chiude con il discorso di Churchill. E’ una chiusura appropriata, che presenta alla fine le due dimensioni estreme del conflitto: la Guerra Mondiale e la lotta del singolo per restare vivo.

La sempiterna lotta del soldato

Questo film è uno dei migliori esempi recenti di show don’t tell. I personaggi non parlano di cosa provano, di cos’hanno vissuto o di cosa ne pensano dela situazione: la scena e la recitazione da sole ci danno tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. Nolan fa un uso eccellente del medium visivo a sua disposizione.

In Dunkirk possiamo godere di tutti i pregi di Nolan, senza (quasi) nessuno dei suoi difetti.

Regia

 

Fotografia

 

Recitazione

 

Saltuaria sciatteria o trombonaggine

 

Musica

 

Ritmo

 

Gli stuka. Tutto è meglio con gli stuka.

 

E’ un film perfetto?

No. But close.

Lo straconsiglio. In particolare se avete occasione di vederlo su grande schermo.

MUSICA!

P.S., anche se non lo specifico alla fine di ogni recensione, ci tengo a ricordare che i Grumpies disegnati da Christian Stocco sono bellissimi. Nel caso qualcuno non ci avesse fatto caso.

Operation Petticoat


Siamo sul finire degli anni ’50. Rear admiral Matt Sherman (Cary Grant) arriva a un molo a cui è attraccato un sommergibile, il Sea Tiger. Matt Sherman sale a bordo. Sembra conoscere la nave. Gli si legge in faccia una vaga nostalgia. Raggiunge la cabina del capitano, si siede, apre il diario di bordo, lo sfoglia…

E’ il dieci dicembre 1941, Sherman è capitano di corvetta, il suo Sea Tiger è attraccato alla base di Cavite nelle Filippine quando i giapponesi attaccano. Il sommergibile viene centrato in pieno e affondato in porto.

Il fiore all’occhiello dell’industria bellica americana, archiviato con “varato nel ’40, affondato nel ’41, battaglie nessuna, vittorie nessuna”. Sherman non può sopportarlo.

“Sarebbe come una bella donna che muore zitella, se sapete cosa intendo dire per ‘zitella’.”

Il sommergibile non può essere riparato sul posto, ma Sherman insiste che possono ripescare il rottame, rimetterlo insieme con lo sputo e tentare il viaggio fino in Australia per riparazioni più complete. Il commodoro gli concede il permesso con malcelato scetticismo, a condizione che Sherman non dia battaglia. Mai. A nessuno. In nessuna circostanza.

“Se vede un soldato che fa il bagno- lo mette in guardia il commodoro –lo eviti! Potrebbe farle un buco nello scafo.”

Comincia così la mirabolante avventura del Sea Tiger, alla disperata ricerca di un meccanico.

I danni e la mancanza di risorse non sono l’unico problema: la ciurma di Sherman è stata in buona parte riassegnata ad altri sommergibili. I rimpiazzi che gli arrivano sono pochi e poco qualificati. Un bel giorno però gli arriva il rimpiazzo del suo sottotenente di vascello: uno sbarbino in uniforme bianca smagliante che si presenta con bagagli, portatore e sacca di mazze da golf. Si tratta di lieutenant junior grade Nick Holden (Tony Curtis). Nick Holden è lì per una lunga serie di sfortunati eventi. Non ha nessuna esperienza di battaglia, o di armi, o di navigazione, o di sommergibili… però è famoso per aver vinto il campionato di rumba con la moglie dell’Ammiraglio a Honolulu! Yay!

Sherman si trova quindi inchiodato a riva con un sommergibile sforacchiato, niente pezzi di ricambio, ciurma ridotta, un ufficiale abituato a far colazione a letto e la burocrazia americana con cui fare i conti. La situazione sembra disperata, finché Nick Holden non lo prende da parte e non gli offre la propria collaborazione.

Perché Nick Holden è un arrivista con le unghie da manicure, ma è nato e cresciuto in un ghetto di abbietta povertà e crimine noto come “Arca di Noé” (Tony Curtis era davvaro un ragazzino di strada del Bronx! N.d. Tenger). Se Sherman è disposto a chiudere un occhio sul come i materiali arrivano sul ponte, Holden può portargli qualsiasi cosa.

E qualsiasi cosa gli porta. Tra furti con scasso, pareti asportate e sciamani delle colline, Sherman e Holden riescono a rimettere in mare il Sea Tiger. Circa.

Mr. Holden, it’s past daybreak, and we are submerged.”
“We are?”
“We are.”
You mean, we’re under?”
“Yes.”
Well, it isn’t a permanent situation, er… What I’m trying to say is, I mean, we can come up if we like to.”
“Well, I like to think we can, but then, I’m an incurable optimist.”

Il viaggio si svolge tra mille peripezie, in un crescendo di situazioni sempre più paradossali e pericolose. In un momento iconico del film, i nostri devono ridare l’antiruggine al sommergibile. In un’isola trovano del minio, ma non abbastanza. Trovano della biacca, ma non abbastanza. Decidono di mischiare tutto e passare una mano di grigio poi.

Un buon piano, ma i giapponesi attaccano e i nostri devono fuggire precipitosamente con un sommergibile rosa confetto.

La storia del Sommergibile Rosa si diffonde. La Rosa di Tokyo (nomignolo dato a speakers anglofone che lavoravano per la radio giapponese) ne parla. Gli americani captano il programma. Siccome non risulta nessun sommergibile rosa tra gli effettivi, deducono che deve trattarsi di un sotterfugio, un astuto stratagemma per infiltrare un sommergibile giapponese nella flotta Alleata. Passano l’ordine di bombardare a vista tutto ciò che può somigliare, da vicino o da lontano, a un sommergibile rosa.

Sicché il Sea Tiger si trova con due motori utilizzabili, niente radio, in mezzo al Pacifico, con i giapponesi che sparano da una parte e gli americani che sparano da quell’altra. Per citare un marinaio, “possiamo farcela con l’aiuto del Buon Dio… ma deve darci la sia totale attenzione!”


Il Sea Tiger in tutto il suo splendore!

Operation Petticoat è un film del 1959. E’ il debutto cinematografico del regista Blake Edwards, lo stesso che realizzò poi Breakfast at Tiffany’s, Darling Lili o la serie The Pink Panther con Peter Sellers.

L’idea di una commedia sulla Seconda Guerra Mondiale ambientata su un sommergibile era stata spinta da Tony Curtis. Curtis si era arruolato dopo l’attacco a Pearl Harbor. Nel 1943 aveva visto il film con Cary Grant Destination Tokyo e si era così infervorato che aveva integrato la Pacific submarine force. A differenza del suo personaggio Nick Holden, Curtis conosceva i sottomarini piuttosto bene!

Il film è un gioiello. Edwards, Grant e Curtis sono tra i leggendari talenti di Hollywood, come non se n’è più visti e come non se ne vedrà mai più. Plus, il soggetto piacque tanto che il Dipartimento della Difesa americano lo sostenne fino in fondo e con grande dedizione. Ben tre sommergibili sono stati usati, il che ha permesso di girare numerose scene dal vero, invece che in uno studio o con qualche altro trucco.

E sì, hanno tinto l’USS Balao di rosa per questo film. Questi sono i momenti in cui uno deve essere fiero di appartenere alla razza umana!

Elencare tutti i pregi di questo film non gli farebbe giustizia. I personaggi sono verosimili, ben distinti e tratteggiati, recitati da un cast divino. Il duo protagonista Sherman-Holden è particolarmente ben riuscito. Sono due uomini del tutto diversi per origini, carattere e scopo, ma in una cosa si assomigliano: sono pronti a fare un patto col Diavolo per ottenere ciò che vogliono.

La scrittura è spassosissima, vivace e imprevedibile. Lascia peraltro spazio anche ai comprimari, ognuno memorabile e con una storia sua.

In una delle sotto-trame, i nostri ripescano un gruppo di infermiere spiaggiate. L’idea di poppute infermiere in un sottomarino avrebbe potuto facilmente scivolare nell’umorismo sempliciotto da circolino del tressette, ma non succede. Le donne del cast sono a loro volta ben distinte e tratteggiate. In particolare, la più alta in grado è figlia di un alto funzionario della GM ed è un eccellente meccanico. Durante il viaggio, si adopera con sudore e sangue a rimettere in sesto la carcassa del sommergibile, tra le proteste scandalizzate del meccanico di bordo, che non tollera l’idea di avere una femmina in mezzo alle sue macchine.

I due finiscono per diventare amici e abbiamo una delle frasi più romantiche del cinema:

“Tu sei più che una donna… tu sei un meccanico!

Holden ha molta fede nel primo rodaggio del Sea Tiger.

Qualcuno ha detto che l’intera idea di “infermiere raccattate da un sommergibile” è tirata per i capelli, una forzatura, una scusa per fare commedia.

Well, il fatto è che è successo davvero: l’USS Spearfish evacuò un gruppo di infermiere verso l’Australia.

E questo ci porta a un altro dei grandi pregi di questo film: molte delle gag sono riprese da fatti realmente accaduti!

Sommergibile in colori sgargianti per mancanza di materiali? Check.

Sommergibile che “affonda” un veicolo sulla spiaggia? Check.

Richiesta ufficiale di carta igienica respinta perché “materiale sconosciuto”? Oibò, la lettera passivo-aggressiva che Grant detta in quella scena è autentica!

Il Sea Tiger stesso è una chiara allusione alla USS Sealion, sottomarino nuovo fiammante affondato in porto dai giapponesi.

Questo film è un piccolo capolavoro, e non sorprende il successo mostruoso che ebbe presso il pubblico e presso i critici. Quell’anno Operation Petticoat fu il terzo film per incassi. I primi erano Ben-Hur e Psycho, una concorrenza spietata in tutti i sensi!

Nonostante oggi se ne parli meno, questo film piacque tanto e per tanto tempo che negli anni ’70 venne ritirato fuori dal cassetto e adattato a una serie televisiva. Non avendola vista non so quel che vale. Per quel che m riguarda, Operation Petticoat è e resta uno dei miei film preferiti, recitato da due dei miei attori preferiti!

Il cast! Ommioddio il cast! Good_Grumpy
Vicenda Good_Grumpy
Costumi e sets Good_Grumpy
Sceneggiatura, spassosa e incalzante! Good_Grumpy
Attinenza storica Good_Grumpy
We sank a truck! Good_Grumpy
I personaggi, ben distinti e memorabili! Good_Grumpy

 

Può darsi che, cercando bene, questo film abbia dei difetti. Non lo so, non me ne frega un cazzo, è bellissimo, divertentissimo, purissimo, levissimo… guardatelo e basta. E poi ci sono Cary Grant e Tony Curtis, sono due degli attori più bravi di sempre, perdincibaccobarile!

MUSICA!

La pagina Imdb del film

Nuovo Ordine Mondiale, il film che il tuo psichiatra non vuole farti vedere!

Esiste una maledizione.

Dice: possa tu vivere in tempi interessanti. (cit.)

E ci stiamo vivendo, in tempi interessanti. Trogloditi con i codici nucleari, Mussolini in parrucca, secessionismo aleatorio, regressione economica, Lilin che fa il politologo… è chiaro ormai che la Democrazia occidentale ha deciso di farla finita in un’ultima gargantuesca seduta di asfissia erotica.

In tutto questo caos, è così difficile avere un’opinione informata e critica. E’ così difficile trovare qualcuno che si raccapezzi, che riesca a tener conto di tutti i fattori in gioco…

E nel buio della confusione, una luce: i Fratelli Ferrara!

Se non puoi smettere di farti i film, DIVENTA IL FILM

Dalla rutilante Napoli, i nostri Mihcael Bay in erba ci offrono una chiave per interpretare questi tempi sì interessanti: la chiave complottista!

Nuovo Ordine Mondiale è un film di denuncia, un’opera indipendente che rivendica un budget di 5 MILIONI DI EURO e che ha preso ben CINQUE ANNI di lavoro indefesso. Altro che quelle cagate di Soylent green, Citizen Kane o A clockwork orange!

Ma di quali complotti parliamo?

Ebbene signori, potete disdire i vostri abbonamenti a Le Monde Diplomatique, dar fuoco alla vostra laurea, arrotolare i vostri Journal of applied meteorology and climatology e ficcarveli nel culo (cercando di non godere troppo)!

Tutto è falso, tutto è un complotto!

E i “Ferrara Brothers” (sic!) hanno ragione! Il complotto esiste, ma non nelle modalità che credono loro. Nonostante questi grandi artisti si siano svegliati, la Verità (il Noumeno oggettivo!) ancora li elude. Ma non temete: tutto sarà rivelato a fine articolo!

Andiamo con ordine. Chi sono i Ferrara Braders?

Stando a un’intervista rilasciata a Vice, i nostri amici Fabio e Marco avrebbero cominciato come ufologi, per poi avvicinarsi alle teorie di complotto. Un percorso accademico di tutto riguardo, direi.

Resisi conto della terribile situazione in cui versa l’Umanità, manovrata a tavolino da malvagi oligarchi rettiliani, i nostri avrebbero investito i fondi privati della loro non meglio definita azienda in una “crociata” informativa, in un film che “scriverá un nuovo capitolo della storia” (sic!).

In altre parole, i due ufologi hanno squarciato il Velo di Maya per rivelare le natiche fruncolose dei cattivi Illuminati!

La faccenda è seria, tanto è vero che all’uscita del film i nostri hanno dovuto (dovuto!) munirsi di una scorta! Futile precauzione: il rischio è reale, ma la scorta è futile. Le menti dietro l’Ordine Mondiale non saranno fermate da dei gorilla con gli occhiali da sole (ma di questo parleremo dopo).

I nostri hanno anche un’accademia di recitazione, la Ciack (sic!) Academy! Uno dei due, Fabio, ci ha anche studiato. Ovvero, se non ho capito male, hanno fondato un’accademia, ci hanno studiato e ci si sono diplomati. Altro che autarchia!

Online non sono riuscita a trovare NULLA né sull’accademia né sull’azienda che ha fornito i 5 milioni. Ma quale azienda poi? La Ciack? Macina così tanti milioni? COME? QUANTI CAZZO DI WANNABE TROPPO IN GRANA CI SONO, IN ITALIA?

L’unica cosa che sono riuscita a scovare è un trailer per una serie poliziesca del 2009 in cui i nostri sparano a macchine vuote, e un trailer promozionale dell’accademia in cui si incoraggiano wannabe ad iscriversi mentre la camera riprende una scena di funerale. Simbolico?

In ogni caso, a credere alle pagine Faceboook, il film avrebbe ricevuto perfino riconoscimenti ufficiali. In una foto vediamo i due fratelli brandire un riconoscimento della Città di Napoli, la “star of merit”. Non sono riuscita a trovare nulla su questa presunta onorificenza, e la Stella al Merito (che esiste ed ha un nome italiano!) viene di solito conferita a lavoratori anziani, non proprio a giovani artisti rampanti. Magia di photoshop? Licenza narrativa? Per citare una battuta del film, “non lo sapremo mai”.

So many misteri, so poche answers…

Un altro premio menzionato di sfuggita sarebbe un “premio Industria Cinematografica”. Di nuovo, non riesco a confermarne l’esistenza, ma è di certo un problema mio!

Insomma, abbiamo un film sul complottismo, premi misteriosi e un budget altrettanto inspiegato. Come dire, i Ferrara sono i The producers della situazione, solo che a loro il trucchetto sembra riuscito!

Ad ogni modo, ci stiamo perdendo in chiacchiere, veniamo alla trama!

Let the Jew flow through you!

Siate grati per questo film: non è stato facile realizzarlo! Come spiegano i nostri creativi a Vice, il mondo italiano semplicemente non era pronto al genio.

[…] in Italia non esiste una cultura cinematografica, tecnica e organizzativa. Si lavora in modo molto approssimativo, e quindi noi, volendo fare un film che potesse rispettare gli standard internazionali di un certo cinema americano—perché comunque loro hanno il dominio tecnico—abbiamo avuto molti problemi.

Senti Coso, l’Italia è la patria di Brancaleone, immortale gloria cinematografica! Porta rispetto, per Giove e Putifarre!

Ci siamo ispirati a gente come Michael Bay, il regista di Armageddon. Anche se ultimamente anche lui è diventato un po’ commerciale.

PERCHE’ ARMAGEDDON NON E’ COMMERCIALE!

Ma veniamo a noi!

Il film comincia con un pupazzo vestito da pupazzo che ci spoilera tutto il complotto, perché la suspense è roba da n00bz. Peraltro, se ripeti “Nuovo Ordine Mondiale” 3 volte davanti a uno specchio appare George Soros che ti spruzza di scie chimiche!

Passiamo poi in una sala riunioni. Un tizio fa qualche patetico tentativo di parlare inglese, mentre un Ebreo Malvagio lo scruta arcigno (ha anche una Stella di Davide addosso, nel caso non avessimo inteso). Il finto yankee introduce uno sbarbino di nome Dottor Moloch (“Mister von Destruction” era già preso?). Questo convincentissimo cattivo ci spiega che la crisi economica, il cancro, il Cambiamento Climatico, Barbara d’Urso, la tassa sugli assorbenti e tutto ciò che di male esiste al mondo, è tutto  pianificato a tavolino. Perché? Per spaventare la gente e renderla quindi più controllabile.

E come ciliegina, abbiamo anche una stretta di mano massonica!

Insomma, gli ebrei rettiliani creano un’ondata di crimine che sommerge l’Italia, tanto da giustificare l’intervento dell’esercito per le strade.

Ci viene FINALMENTE presentato il nostro protagonista, il Commissario Torre, recitato dal produttore Mario Ferrara per la gioia di grandi e piccini!

Il commissario Torre ha un vasto reperterio di 3 espressioni. Faccia numero 1.

Torre è un ometto sulla sessantina, il fisico di mio zio Epifanio, il carisma di una patata bollita e le doti interpretative di Tommy Wiseau.

Torre è anche UN EROE: al muro sono appesi articoli di giornali con lui che arresta mafiosi, salva bambine in pericolo, sventa invasioni aliene e apre barattoli col tappo troppo stretto. E’ così tosto che lettere di encomio nazionale si materializzano spontaneamente sul pavimento della sua cucina e lui le deve accumulare nei cassetti. Sì, perché il nostro è UN EROE UMILE, non gli importa di essere celebrato.

Salvo quando appende al muro di casa articoli che lo celebrano, ovvio…

Torre comanda un commissariato pieno delle reclute più bellocce che la Patria può offrire, tra cui una focosa bruna sulla trentina che proprio non sa resistere al suo fascino virile. In una scena la bruna procace gli salta letteralmente addosso. Che ci volete fare, quando uno è troppo sexy, è troppo sexy.

Questi due hanno così poco feeling e intesa che la mattina dopo la scopata:

  • si rendono conto che stanno per avere un bambino
  • decidono di essere genitori insieme
  • lui fa “ora che ti ho ingravidata, ti metti a passar carte come voglio io, vero?”
  • lei risponde “ma anche no”
  • lui la manda affanculo e si separano in pessimi termini.

Dalla passione, alla procreazione, al divorzio, IN MENO DI CINQUE MINUTI. E’ proprio vero che la gente oggi va sempre di fretta…

Non abbiamo però tempo da perdere, perché dei kattyvy guidati da un tizio con del pongo sulla faccia attaccano un supermercato e prendono Bruna Incinta come ostaggio. Uno sbirro viene gravemente ferito e lasciato a sanguinare fuori, ma nessuno chiama un’ambulanza o lo soccorre, perché è solo una comparsa.

Hai qualcosa sulla guancia… no, quell’altra…

Perché questi figuri al soldo dei rettiliani attaccano un supermercato?

Non verrà mai spiegato. Suppongo avessero finito l’estratto di vaniglia per i russian teacakes.

Ad ogni modo Torre è un eroe col cazzo durissimo e decide di entrare nel supermercato, che magari la sua Faccia Feroce da Grumpy Cat barbuto basta a sottomettere i tre criminali armati. Purtroppo per lui, Pongo in Faccia è il boss del penultimo livello, quindi non può ancora essere sconfitto. In modo del tutto imprevedibile, il geniale piano “entro e gli dico di abbozzarla” non funziona. Shocking!

Questa scena ci offre perle di alto cinema, tipo la cassiera con le tette di fuori o massime di saggezza del tipo:

“Sai cosa placa la voglia di uccidere? Uccidere.”

I tizi sparano a Bruna Incinta (ma non a Torre, perché sennò finisce il film) e scappano su un furgone. Come in ogni film di serie Z che si rispetti, gli altri comprimari aspettano pazientemente che Pongo in Faccia abbia guardato torto il commissario, sia rimontato in macchina e abbia messo in moto. Poi sparano, ma non subito. Perché di nuovo, sennò finiva il film.

Faccia numero 2 (“Oh nooooooes…”)

Il furgone viene comunque rintracciato alla svelta e si scopra che, dopo aver fatto un salto al super per l’estratto di vaniglia, Pongo In Faccia ha massacrato tutti i ricercatori di un non meglio specificato laboratorio (lo chiamano “biotech company spa”, perché “laboratorio segreto internéscional” era già preso).

Il capo ricercatore di questo posto ha scoperto una pozione magica per stimolare la GHIANDOLA PINEALE (sì amici miei, c’è anche quella!) e far quindi diventare la gente super-longeva e super-intelligente. Pongo in Faccia l’ha spacciato per conto degli Ebrei Rettiliani.

Una ricercatrice però si è salvata, perché è giovane e figa e quel giorno lì era dall’estetista. I nostri si precipitano a salvarla fermando bus a caso e la trovano, ostaggio di due agenti segreti.

Pausa un secondo:

  • il laboratorio supersegreto non è protetto da niente;
  • è passata una giornata, ma Ricercatrice Figa scopre che il suo boss e tutti gli altri sono stati massacrati sbirciandolo su un giornale sul bus;
  • sul bus c’è anche un investigatore privato ingaggiato dal capo scienziato per scoprire chi complotta contro di lui, il tizio a quanto pare sa tutto e sa che la ragazza è in pericolo, ma non fa nulla per salvarla e pare essere lì solo per lo spettacolo;
  • gli agenti segreti portano gli occhiali neri in piena notte, perché sennò il complottaro medio non capisce che sono agenti segreti;
  • la tizia si è iniettata il siero magico, dovrebbe essere quindi sotto costante osservazione in un istituto apposito ma no, è a giro su un bus con un portatile pieno di materiale sensibilissimo. Perché è così che lavorano gli scienziati.

A prima vista questa scena sembra una scemenza scritta da una classe di bambini di 6 anni durante l’ora di buco, ma certamente il problema è mio. Vado a prendere a testate uno spigolo, magari mi si aprirà il Terzo Occhio della Conoscenza Cinematografica.

Insomma, la tizia viene salvata solo per essere rapita di nuovo. Nella sparatoria che ne segue abbiamo altri fiori all’occhiello, come tizi che camminano lentamente allo scoperto sparando dritti davanti a loro (tipo papere al luna park), Pongo in Faccia che uccide la gente e si lecca le labbra soddisfatto, gente che urla frasi a effetto prima di sparare. Perché i Ferrara Braderz hanno assoldato un consulente tattico (!) ma non hanno visto Il buono, il brutto e il cattivo: quando si spara, si spara, non si parla!

Non tutto è perduto però! Dopo altre scene da morte cerebrale, Torre e il suo fidanzatino riescono a rintracciare (non si sa bene come) il detective fancazzista di cui sopra e scoprire l’intera storia!

Il fluoro ci rende docili!

La crisi è creata a tavolino!

Lo HAARP spara uragani!

Lo yogurt rende froci!

Insomma, tutto è calcolato per ridurre la popolazione.

Popolazione che sta aumentando e ha ampiamente superato la capacità di carico del Pianeta. Quindi o gli Illuminati sono una manica di rincoglioniti che si cagano in mano prima di giocare allo schiaffo del soldato, o ‘sta roba del “vogliono ridurre la popolazione” è una stronzata cosmica con propulsione a curvatura.

Faccia numero 3, chiara citazione cinematografica, omaggio alla morte del personaggio di Gastone Moschin in Uova fatali

 

La tragica dipartita del Professor Pérsikov

Per raggiungere (oppure no) il loro diabolico scopo, i rettiliani pianificano di impiantare tutti con (indovina indovinello, quale idiozia sarà nel cestello?) il bio-chip.

Il piano è quello di smollare bidoni di roba verde nell’acqua potabile, fare ammalare tutti e convincerli a infilarsi ‘sta roba in corpo. I nostri prodi partono quindi all’attacco per impedire questo blasfemo piano.

Well, questo suscita alcune domande:

  • Se i rettiliani sono così potenti e così dappertutto, perché non possono impiantarci già coi chip a nostra insaputa? Potrebbero farlo dalla nascita, chippando via via i bambini che nascono, o approfittare di un qualsiasi intervento medico.
  • Perché i rettiliani vorrebbero ridurre la popolazione? Non potrebbero lanciare un business di schiavi umani verso Yuggoth, o qualcosa del genere?
  • Se questo complotto è mondiale, come sembra, si suppone che lo scarico di roba verde avverrà in diversi punti del mondo o d’Italia: come fanno i nostri a trovare (perché ovviamente li trovano) i bidoni?
  • Che scopo ha andare in tre a cercare i bidoni, se l’operazione è nazionale? Diciamo che arrivi, uccidi tutti e recuperi i bidoni: a 100 chilometri da lì altri cattivi con altri bidoni staranno avvelenando altra gente! Non ha senso e non ha utilità!

Ma sono domande stupide, perché finalmente capiamo qual è lo scopo reale di questo film: Mario Ferrara vuole una ripresa molto figa del suo cosplay di Metal Gear Solid. Non scherzo: la fine del film è Torre vestito da Solid Snake che ricrea il gameplay in un tripudio di stupidaggini da macho, trucchetti da film d’azione Disney (tiro il sassolino per attirare la sentinella!), poracciate che farebbero facepalmare Licia Troisi, inquadrature traballanti per nascondere la ripetitività disarmante delle coreografie e musica a palla.

KAPOW!

Peraltro, il tutto non si svolge in un grande depuratore, né in un impianto importante, no: i soldati cattivi (alcuni con le maschere antigas altri no) stanno scaricando la zuppa di piselli in un rigagnolo tipo fiumicello ameno. Perché vogliamo avvelenare la popolazione, ma prima bisogna sterminare quelle dannate nutrie!

Pongo in Faccia è di nuovo sul posto, perché questa gigantesca organizzazione segreta ha u budget limitato e il povero cristo deve occuparsi di tutto: uccidere ricercatori, fare la spesa, avvelenare i fiumi, interrogare prigionieri, pulire la sabbietta del gatto, riempire la dichiarazione dei redditi…

Segue una scena d’azione così poco convincente che a tratti i segmenti sembrano messi in repeat. Uno rischierebbe di addormentarsi (colpa del fluoro!), non fosse per i momenti salienti, tipo il poliziotto professionista che spara di traverso come un gangster mentecatto in un film americano, o Pongo in Faccia che si erge sopra il nostro eroe, brandisce un coltellaccio sopra la testa e urla “TU UCCIDERO’ TORRE, AAAAAAAAAAAAH”. Arte!

Oscar subito!

Nel duello finale abbiamo Solid Torre, un commissario tappetto e tombolotto sulla sessantina, contro Pongo in Faccia, un agente speciale della più potente organizzazione terrestre che ha la metà dei suoi anni e il doppio dei centimetri in altezza.

Un po’ come organizzare un incontro tra un chihuahua neuroleso e un megalodonte affamato.

Ma Solid Torre è il produttore e il padre degli sceneggiatori, quindi pesta Pongo in Faccia e lo uccide trafiggendolo con un coltello, chiaro simbolo fallico.

La vera e propria fine della storia non ve la racconto perché bisogna vederla per crederci. Immaginate di ritrovare una storia che avete scritto a 6 anni, in cui siete il protagonista nei panni di Batman, e invece di dargli fuoco decideste di farci un film e scritturare il padre di Stannis La Rochelle vestito da Rambo.

Una rappresentazione scientifica della fine del mondo

I Ferraras sono molto contenti della loro immane fatica. Nell’intervista a Vice spiegano:

Allora: non sono state riportate nel film cose che non siano successe realmente.

MA CERTO.

Anche l’ultimo attentato in Francia è finto quanto una sceneggiatura di serie B [dissero gli esperti in sceneggiatura di serie Z, NdTenger]. Il terrorista che si dimentica la carta d’identità in macchina: neanche uno sceneggiatore di basso livello penserebbe ad una cosa del genere.

MA OVVIO!

Giusto per la cronaca, se io voglio arrivare nel posto X senza farmi notare ed eseguire quindi un attacco suicida, ECCOME CHE MI PORTO DIETRO IL DOCUMENTO! Perché? Perché se mi fermano per un controllo a caso lungo la via e io non ho un documento identificativo, posso essere portata in centrale per ulteriori accertamenti, posso attirare l’attenzione, posso destare sospetti.

Se invece faccio vedere il documento, non c’è problema. E non c’è bisogno di leggersi lo SOE Manual del ’43, basta accendere il cervello. Ma hey, forse chi ha la ghiandola pineale sbloccata ha più difficoltà a organizzare le informazioni…

Matrix non l’ha mai capito realmente nessuno, perché è stato fatto in modo molto fantascientifico.

Se trovi Matrix troppo complesso e intellettuale, non preoccuparti, Nuovo Ordine Mondiale fa al caso tuo!

Ma tornando a noi, tutti i buchi della teoria dei Ferrara potrebbero portare qualcuno a credere che in realtà si tratti solo di panzane. Alcuni potrebbero perfino chiedersi se il film non sia un qualche dubbio maneggio per ripulire 5 milioni di euro (ma sbagliate, sono certa che i 5 milioni sono andati a pagare le 3 scene di Iacchetti e la preziosa consulenza del “military advisor” Benito Noviello).

Sbagliate tutti. La verità è che i Ferraras hanno ragione: c’è un complotto planetario.

Purtroppo si sono lasciati fregare dalla false flag della teoria del New World Order, anch’essa creata ad arte dai veri shōgun dell’ombra!

E oggi, per chi è riuscito ad arrivare fino in fondo, io rivelerò la verità.

Tutto è controllato dagli ebrei, che sono in realtà dei rettiliani travestiti (sotto il nasone nascondiamo un’antenna per comunicare con la navicella). Tuttavia, non sono i rettiliani a comandare! I rettiliani sono solo impiegati, mercenari incaricati di controllare l’Esperimento Terra per conto di terzi.

Questi terzi sono i veri signori della galassia.

Sono tra noi, costantemente, attenti osservatori che sorvegliano le cavie umane. Sono nelle nostre case, sono nelle nostre strade, sono sui nostri computer, passando continuamente sotto i nostri occhi e i nostri cervelli instupiditi dal fluoro. Controllano le nostre vite, intervengono sfacciatamente nelle elezioni dei grandi paesi, controllano l’inernet globale.

Chi sono?

I gattini.

Non mi credete? Pensate sia un caso che al fianco di ogni più grande figura storica e politica salti sempre fuori un gattino? Pensate che sia un caso che gli egiziani li venerassero come dei? Non mi credete? Ecco qualche esempio!

Mark Twain

Lenin

Churchill

Don Vito Corleone

John “Rat Faced Bastard” Oliver

I gattini sono membri di un impero intergalattico capitanato dal grande Kittoh deh Destroyah.

Quando l’Esperimento Terra sarà concluso, il pianeta sarà polverizzato e con esso la totalità della razza umana (o meglio “oomana”). Solo chi riconosce la superiorità incontestata della specie felina sarà risparmiato, e gli sarà concesso di vivere sulle navicelle come schiavo dei suoi padroni pelosini.

 
Guardate in faccia il vero Armageddon

Questa è la verità, e non ho timore di rivelarvela, perché tanto non c’è niente che potete fare. I gattini sono invincibili. I gattini sono incorruttibili. I gattini sono inevitabili.

Hail Kittoh, Holy Emperor of Kittehs!

MUSICA!

[EDIT: se non si fosse capito, questo film è ASSOLUTAMENTE CONSIGLIATO! C’è un sacco di trash bellissimo che non ho potuto nominare per ragioni di spazio! Il mio nuovo sogno erotico è una joint venture tra i Ferrara e Pietro Aliprandi! Voglio Torre a cavallo di un gattino alato che vola a salvare Re Precisamente dagli ebrei cattivi!]


L’intervista a Vice

Un articolo su International Business Time

Un articolo dello Hollywood reporter

La pagina Facebook del produttore

Hannibal: risparmia un agnello, mangia un pastore!

L’estate incombe su di noi come la cresta di uno tsunami, le notti si accorciano e la pace di spirito di Tenger è stata archiviata tra i casi a pista fredda insieme ai files del Tamam Shud.

Ma è Pasqua, e non è appropriato essere troppo scoppiati durante questo lieto periodo. Occorre celebrare.

La mia più grande passione è la storia di gente mortamale. Con ragionevole distacco, viene un certo interesse per la cucina. In questi giorni di pantagruelici banchetti (so che vi state sfondando di cibo, dannati servi del Capitale!) volevo fare qualcosa che riunisse entrambi questi elementi.

Ergo oggi parliamo di Hannibal Lecter.

Hannibal

Hannibal Lecter appare per la prima volta nel 1981, nelle pagine del libro di Thomas Harris, Red Dragon. Per i quattro disgraziati che non conoscono questo personaggio, Lecter è uno psichiatra e serial killer cannibale, protagonista di una serie di romanzi prima e di film dopo.

La performance di Hopkins nei film Silence of the Lambs, Hannibal e Red Dragon è ormai iconica e il nostro dottore lituano è diventato il serial killer fittizio più famoso al mondo.

Purtroppo la popolarità del personaggio ha subito una leggera inflessione dopo l’ultimo film, Hannibal rising, del 2007. Hannibal rising è stato un fiasco tombale, sbeffeggiato dai critici e disprezzato da un’ampia fetta degli spettatori, al punto che fu nominato in ben due categorie per i Golden Raspberry Awards (Peggior prequel/sequel e Peggior scusa per un film horror). Non li ha vinti, but still.

5 anni dopo questa musata cinematografica, il nostro gourmet preferito è stato ritirato fuori dal cilindro da Bryan Fuller, per una nuova serie su NBC.

It’s nice to have an old friend for dinner (cit.)

La creazione di Fuller prende numerose libertà nella trama e nel cast. Per cominciare, la storia si svolge nello stesso periodo della serie TV (2013-2015). Hannibal non è più un orfano della Seconda Guerra Mondiale, ma un uomo nel fiore degli anni, psichiatra di Baltimora e occasionale collaboratore dell’FBI.

Questo non è l’unico cambiamento: il personaggio di Will Graham viene presentato sotto una luce originale, con un profilo più vulnerabile e torturato di come lo abbiamo visto in Red Dragon o anche in Manhunter.

Altri personaggi hanno subito cambiamenti ancora più radicali: il capo di Will, Jack Crawford, è interpretato da Lurence Fishburne invece che da un attore bianco; il personaggio dello psichiatra Alan Bloom diventa Alana Bloom, una donna, ecc.

Di solito guardo questo genere di “swap” con una certa dose di diffidenza. Non sono opposta all’idea: ho visto una versione di Much ado about nothing in cui il Principe era recitato (benissimo) da un attore nero, e la cosa non strideva per nulla. Tuttavia è pur vero che spesso questa pratica è usata per puro gusto dell'”edgy” e per mascherare l’assenza di idee originali.

Non è il caso di questa serie: il cast si sposa benissimo con la nuova versione dei personaggi e i cambiamenti non sono fatti per coprire la pigrizia del copione.

Hugh Dancy riprende il ruolo di Will Graham, un professionista brillante e dotato di una potente capacità immaginativa e empatica. In questa versione, la storia esplora più in dettaglio il conflitto di Will. Lo vediamo in azione sul campo e lo vediamo a casa, circondato dai suoi cani. La brutalità del suo lavoro e la fragilità delicata della sua vita privata offrono un contrasto che dà profondità a un personaggio che altrimenti, come dice Dancy stesso, “sarebbe giusto uno stronzo”. Dancy riesce peraltro a rendere molto bene lo stato precario in cui si trova il protagonista, costantemente in bilico tra sanità mentale e collasso nervoso.

Mads Mikkelsen interpreta la nuova versione di Hannibal, e a parer mio è l’attore perfetto per la parte. La strana fisionomia di Mikkelsen gli permette di apparire a tratti charming e divertente, compassato e cortese, a tratti del tutto privo di umanità, distante e minaccioso. Seguendo la serie, non è difficile capire come riesca a ingannare il resto del monto e nascondere il mostro che è in realtà.

I Comprimari sono pure ben tratteggiati. Fishburne in particolare rende benissimo il personaggio di un poliziotto competente e completamente devoto alla causa, con tutto ciò che ne deriva. Se da una parte Crawford è motivato dalla necessità di proteggere innocenti, dall’altra la sua assoluta dedizione lo spinge a sacrificare la sanità mentale di Will Graham come “male necessario”. Pur essendo un personaggio positivo, lavorare con lui può significare “fare un patto col diavolo”.

Non è l’unico a presentare un buon mix tra pregi e difetti. L’approfondimento psicologico è di solito molto curato.

Difatti uno dei punti positivi della trama, in particolare della prima serie, è l’equilibrio che Fuller è riuscito a creare tra l’Antagonista e il resto dei comprimari. Hannibal è un mostro geniale, uno “psicopatico perfetto”, ma le sue vittorie non sono mai regalate: Crawford e il suo team non sono degli incompetenti, al contrario, sono presentati come gente scelta e capace. E’ solo grazie a sforzi calcolati che Hannibal riesce a raggirarli.

Nelle visioni di Will, Hannibal appare come Wendigo, un mostro predatore che un tempo era uomo e che è mutato dopo aver consumato carne umana.

Il centro della serie è lo svilupparsi e l’evolvere dell’amicizia patologica tra Will Graham e Hannibal Lecter. Grazie alla sua straordinaria empatia, Will è in grado di comprendere gli assassini, capire il loro punto di vista, e questo affascina Lecter. La curiosità iniziale del nostro diventa pian piano un’ossessione: Will è l’unico capace di comprendere davvero la sua visione. Perfino Hannibal può sentirsi solo, nella sua fornitissima cucina.

Ci sono scene consacrate interamente all’approfondimento di questo aspetto, con Will e Hannibal soli nello studio, immersi in conversazione. Sono gestite molto bene (non troppo lunghe, non troppo corte) e scritte con cura.

Al di là dei personaggi, un aspetto preponderante della serie è lo stile. La serie è molto bella da vedere. Come lo dice lo stesso Fuller, Hannibal non è una storia realistica, non vuole esserlo. Tante altre serie esplorano trame verosimili e autentiche procedure di polizia. Fuller non voleva l’ennesimo thriller, voleva qualcosa di diverso. La serie che ne risulta ha elementi indubbiamente realistici, ma sconfina spesso nell’onirico, talvolta nel grottesco. Fuller stesso spiega che, per lui, Hannibal è da interpretare come “a very, very, very dark commedy”, a tratti una tragedia farsesca.

Sganasciamoci!

L’estetica della serie è barocca e fantasiosa, con uno sfacciato gusto del macabro. Tra totem di arti umani, montage di haute cuisine a base di gente, tizi trasformati in aiuole viventi, spesso pare che la direttiva principale fosse: “questi sono dei pezzi di cadavere, come possiamo farci qualcosa di esteticamente bello e originale?”

E io non mi lamento: spesso sono opere molto belle! Capisco però che questo genere di estetica macabra non piaccia a tutti, o che qualcuno possa trovarla gratuita ed esibizionista.

D’altro canto, c’è una ragione precisa per cui Fuller insiste su questo aspetto fino a renderlo caricaturale: la serie deve divertire. Non deve essere una cruda storia realista, non deve essere deprimente, deve essere interessante, noir, divertente, surreale.
Un esempio di questa logica ci viene spiegato in un’intervista: nelle varie stagioni (di certo non parche in violenza) non ci sono scene di stupro. Perché? Perché lo stupro non è divertente.

E l’omicidio allora?

Nemmeno l’omicidio, ma se il corpo della vittima viene trasformato in una farfalla di carne, allora smette di essere verosimile. Non è più realista, è spettacolo, uno spettacolo che Graham stesso definisce “kabuki”: è esagerato, barocco, raffinato.

Non puoi sorridere di una moglie picchiata e stuprata dal marito. Un cadavere trasformato in un violoncello umano invece è grottesco, artistico, fuori dalla realtà, e quindi può essere divertente.

Niente è più romantico di un mazzo di fiori

Per quel che riguarda la storia e le sotto-trame, abbiamo tre serie da 13 episodi ognuna: la prima introduce i personaggi e l’inizio dell’indagine sugli omicidi di Hannibal (conosciuto come Chesapeake Ripper). La seconda è liberamente ispirata dalle vicende del romanzo (e film ) Hannibal, con i fatti ambientati in Europa (Parigi, Lituania, Firenze), e infine la terza racconta la storia di Red Dragon, con Richard Armitage nei panni di Francis Dolarhyde (fa push-ups a testa in giù, le signore apprezzano).

“Ora tutti ti conoscono come ‘il tizio che ha fatto Thorin'”.
“No…”

“Lo Hobbit è il franchise più famoso che hai fatto.”
“No, smettila!”
“Tre film dove stai conciato come il 
lovechild di un rastafariano e uno Sherman.”
“Raaaaah!”

Detta così queste serie sembrano fighe fighissime!

Errr… circa.

Cominciamo col dire che a qualcuno non piaceranno, a prescindere dalla qualità. Lo stile è molto pervasivo, spesso artsy e pretenzioso. Per la maggior parte del tempo serve la storia, ma certe immagini paiono essere lì solo perché “è figo attaccare una scena in questo modo”. Questo può essere un problema, e può dare molto fastidio a certi spettatori. Personalmente, ero disposta a perdonare questi momenti di narcisismo spicciolo per amor del resto (trasformano la testa di un tizio in un’arnia, io approvo!).

Inoltre non tutti gli episodi e non tutte le serie sono allo stesso livello. La prima stagione in particolare è molto curata. Ci sono licenze artistiche, momenti inverosimili (specie nella posizione dei corpi delle vittime), ma non troviamo veri e propri buchi di trama. Nella terza sì, ed è un peccato.

Seconda e terza hanno anche altri problemi, con alcuni personaggi poco approfonditi o francamente inutili. Una tizia in particolare, che non voglio spoilerare, potrebbe essere tagliata dalla storia senza rimpianti. Questo è un grosso problema: siccome ci rendiamo conto presto che costei non va a parare da nessuna parte, sappiamo che le scene con lei sono delle perdite di tempo. L’unica cosa che redime in minima parte questo subplot del tutto superfluo è, di nuovo, l’estetica di uno degli omicidi.

Un’altra magagna è l’antagonista della seconda stagione, il malvagio Mason Verger: è caricaturale perfino per una commedia. Il tizio beve le lacrime dei bambini. Eddai Fuller, checcazzo!

C’è poi una presenza sempre più prepotente del fanservice.

Come detto, il soggetto principale dell’intera faccenda è il rapporto tra Will e Hannibal. Ora, per quanto a me piacciano storie di bromance o anche dichiaratamente omosessuali, a tratti il copione è un po’ troppo palese. Non che ci siano scene davvero ridicole, sia chiaro! Niente momenti stile anime con Will vestito da principessa o cagate del genere. Però a volte il concetto viene martellato in modo un pelo troppo palese. E non ce n’è bisogno: l’evolvere dei due personaggi è tracciato molto bene per la stragrande maggioranza della storia, abbiamo capito!

Peraltro, santo fanservice, abbiamo la bromance per le signorine e lo yuri per i signori. Parità di fantasia erotica, per Giove!

Infine, la seconda serie ha un ultimo grosso difetto a parer mio: tira in ballo il Mostro di Firenze.

Ora, io non sono tipo da triggerarmi aggratis, ma trovo di pessimo gusto usare un fatto di cronaca autentico in una storia del genere. Sarebbe bastato cambiare appena il nome (magari invece che “il Mostro” chiamarlo “la Bestia”? O “Cicci il Mostro di Scandicci”, tipo). Ispirazione e riferimenti vanno benissimo, ma scopiazzare pari-pari il nome è pigro, e la pigrizia mi sta sulle scatole.

Riassumendo

La trama, per la maggior parte

 

Il cast

 

Immagine e fotografia

 

La maggioranza dei personaggi sono memorabili, interessanti e ben scritti

 

I montage di cucina! Altro che Gordn Ramsay, dateci un programma su come fare gli ossi buchi di postino!

 

Atmosfera e ritmo

 

Buchi di trama, specie nella seconda/terza stagione

 

Alcuni personaggi inutili

 

Lasciate stare Cicci di Scandicci, per cortesia

 

La serie è stata apprezzata dalla critica, vincendo diversi premi, ma non ha avuto un gran successo di pubblico, il che ha portato alla morte del progetto dopo la terza stagione. Nell’insieme, non mi sentirei di definirlo un prodotto davvero eccelso, ma ha elementi interessanti e molto positivi. Non annoia, è divertente.

Tuttavia lo stile prepotente lo rende molto soggetto ai gusti. I personaggi sono ben costruiti e la scrittura è davvero buona, ma se non piace lo stile sarà impossibile approfittarne. Personalmente, l’estetica sfacciata e barocca mi è piaciuta molto, e anche nel peggiore episodio ho trovato qualcosa di interessante da apprezzare.

Infine, non credevo che fosse possibile eguagliare la performance di Hopkins per il personaggio di Hannibal, ma Mads Mikkelsen è davvero perfetto per il ruolo! Con la sua faccia da alieno e il suo accento bizzarro, riesce a dare un’interpretazione che vale davvero la pena vedere!

Consigliata, nonostante i difetti.

MUSICA!


La pagina wiki della serie

La pagina Imdb della serie

Scene dalla prima, seconda e terza stagione.