Classici Militari: Bing fa, o l’Arte della Guerra (1)

[ACHTUNG! Questo articolo è a pubblicazione ritardata. Al momento in cui scrivo non ho la minima idea se il giorno in cui uscirà io avrò un qualsivoglia accesso a internet. Se tutto è andato bene, in questo momento dovrei trovarmi a Istanbul. Il che vuol dire che probabilmente non modererò i commenti. Mi spiace se qualche intervento finirà negli spam a sproposito, me ne occuperò quanto prima. Enjoy!]

 

Torniamo ai nostri classici militari. Oggi parleremo di un grande classico! Il più famoso dei classici!

 Sun Zi disapprova

Il buon Sun Zi… In tanti lo hanno letto. Il suo è un librino semplice e veloce, eppure, per quanto incredibile possa sembrare, c’è gente che non l’ha capito. Sì, mi sto riferendo agli scrittori.

L’avrete intuito, per me la buona narrativa è una faccenda importante.

E sia chiaro, Con “buona” non intendo “libri col messaggio”! La brutta narrativa col messaggio è un flagello. Stai leggendo un libro di merda, e per sovramercato il suo autore ti caccia in gola la sua moraletta evergreen urlandoti “ingolla, troia!”

Deriva porno a parte, io sono del parere che la BUONA narrativa sia qualcosa di salutare e benefico per chi la legge. Se la buona narrativa ha anche un messaggio, meglio ancora, ma noterete che di solito una storia ben raccontata avrà diversi messaggi semplicemente essendo una storia ben raccontata.

Cosa compone la buona narrativa?

Tante cose. Una tra tutte, la verosimiglianza. Approfittare del fatto che ormai i lettori sono addestrati a buttar giù con gusto ogni stronzata non fa di te uno scrittore, fa di te una zecca. Un buon autore usa coerenza e verosimiglianza in modo che il lettore possa seguire le vicende senza per forza staccare la spina del cervello.

E il punto della buona narrativa è per l’appunto stimolare il cervello, non spengerlo.

Ora, una delle cose più massacrate in narrativa è la guerra. La gente non la conosce, non la capisce, non ha nemmeno una vaga idea di che cazzo sia, ma ognuno ha la sua ideuzza in proposito, opportunamente adottata dal gruppo con cui fa “branco”.

La guerra è il più vistoso dei fenomeni sociali, il più antico, e anche uno dei più presenti in narrativa, specie in quella fantastica e fantascentifica.

Io sono una fanatica di storie del genere, ma a oggi gli scrittori fantasy o Sci-Fi che abbiano parlato con un minimo criterio dell’argomento li conto sulle dita.

Prendiamo un’autrice che mi è rimasta impressa, proprio in argomento. Prendiamo l’ineguagliabile Allibis, che ama infarcire la merda che scrive con citazioni del nostro compianto Maestro. Una su tutte:

“Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere”. Era ciò che Mizar stava facendo: non aveva avuto alcuno scontro fisico. Impugnava la spada, ma non la usava.

Ecco, questa frase si situa subito prima della grande battaglia, con gli eserciti già in campo e in azione.

Se non vedete cosa ci sia di sbagliato, siete pregati di allacciarvi il cilicio e continuare a leggere (pentendovi e battendovi il petto, se possibile). Se dopo la lettura ancora non vedete dove sia il problema, please, evitate di scrivere QUALSIASI COSA. Anche la lista della spesa.

Fine del memento, tuffiamoci diritti nel più famoso dei classici!

Here we go.

Il nostro stratega apre il suo manuale con una citazione che dovrebbe entrare nelle capocce dei pacifisti di tutto il mondo:

 Gli affari militari sono un’importante questione di stato, le basi della vita e della morte, la Via della sopravvivenza o dell’estinzione. Devono essere ponderati e analizzati a fondo.

Curare gli affari militari NON significa lanciare una guerra coloniale su larga scala. Guerra e difesa sono fattori vitali al funzionamento di una qualsiasi società, specie se detta società non vuole farsi trascinare in conflitti non suoi (il famoso si vis pacem para bellum). Ergo, se pensi di scrivere una storia con un popolo così pacifico da non avere un esercito PUR avendo dei vicini, hai interesse a trovare una spiegazione di ferro.

 

Ci sono 5 fattori da analizzare in ciò che riguarda gli Affari Militari:

La Via, ciò che fa sì che il popolo agisca in accordo con il sovrano. Con Via non si intende quella spirituale, ma la Via del Governo, ovvero l’insieme di azioni e regole che fanno un governo efficace. Se il sovrano possiede la Via, la gente “morirà con lui e vivrà con lui”. Da notare che la Cina ha, all’epoca di Sun Zi, un esercito di coscritti. Considerate che per stati con un esercito di tipo banda armata (come l’Europa feudale o il Giappone prima del quindicesimo) l’accordo del popolo può avere un valore o un’importanza differente (ma ne avrà comunque).

Il Cielo, ovvero l’alternanza degli opposti (caldo e freddo, yin e yang, le stagioni, ecc.). La vittoria dipende dalla comprensione di come funzionano e si alternano gli opposti nei diversi settori (clima, morale, economia, ecc.)

La Terra, ovvero la comprensione di cosa sia vicino e lontano, facile o difficile, aperto o confinato, terreno tenibile o terreno fatale. Quanto i disordini in una data regione possono considerarsi “lontani”? Quanto costa tenere una data posizione, ne vale la pena?

I generali, ovvero la loro saggezza, credibilità, benevolenza, coraggio e severità.

Le leggi, ovvero organizzazione e disciplina. Questa parte abbraccia sia la logistica che la Via del Comando. Quest’ultima può indicare sia l’esercizio del comando, come anche il modo di stabilire e gestire la gerarchia militare.

 

Tenuto conto di questi cinque aspetti generali, passiamo a inquadrate la situazione reale. Sun Zi dice: dovete porvi sette domande.

  1. Quale sovrano possiede la Via del Governo?
  2. Quale generale è il più abile?
  3. Chi possiede il vantaggio in ciò che riguarda Cielo e Terra?
  4. Di chi sono le leggi rispettate e meglio raffinate?
  5. Chi ha più forze (in termini di armi e/o in termini di numeri)?
  6. Chi ha le truppe e gli ufficiali meglio addestrati?
  7. Chi dispensa premi e punizioni nel modo più chiaro?

 

Sembrano bischerate, vero? Chi non ci penserebbe? Sono l’ABC, indeed. Well, as a metter of fact, la quasi totalità degli scribacchini o registi in circolazione non si pongono nemmeno il problema (abbiamo anche un florilegio di fottuti generali che ignoravano questi elementi essenziali, ma non mi va di parlare di storia francese oggi).

Una volta tenuto conto di tutto ciò, il sovrano deve procedere con strategia e tattica. Non sono sinonimi, ovviamente. Strategia è quella che nel diciottesimo secolo Guibert chiamava “Grande tattica”. Cosa vuoi ottenere? Perché stai facendo una guerra? In parole povere, il cosa è strategia, il come è la tattica.

E qui Sun Zi ci delizia con una delle sue più celebri citazioni:

La via della Guerra è la via dell’inganno.

E’ bello darsi appuntamento in una pianura liscia come una tavola, io porto il mio esercito, te porti il tuo, coi si trova e vinca il migliore!

E può capitare, beninteso, anche perché il modo di fare la guerra riflette la morale e la cultura dei guerrieri in questione. Ovvero, se per un cavaliere duecentesco era inaccettabile pugnalare alle spalle un rivale o farlo fuori mentre chiede mercé, lo stesso gesto era perfettamente morale per un giapponese della stessa epoca. E stesso vale per la guerra. C’è chi stermina villaggi, chi fa combattimenti rituali incruenti, chi stermina le élites, chi le sposa. Ma il fatto resta: in guerra si bara. Prima della battaglia, durante o dopo, ma si bara. In un modo o in un altro, si trova l’espediente di giocare sporco. Sempre.

Pertanto, Sun Zi dice: se sei capace, mostrati incapace; se vuoi attaccare, fingi di essere inattivo; se il tuo obbiettivo è qualcosa di vicino, fingi di mirare a qualcosa di lontano; se sei lontano, fingi di essere vicino.

Dà poi un’altra rapida carrellata di consigli spicci su come trattare i vicini di casa:

Mostra possibilità di profitto per tentarli. Un esercito si muoverà per ottenere il vantaggio tattico. Non aspettare che scelgano loro il terreno: con l’inganno portali dove tu vuoi che siano. Sun Zi consiglia anche Create disorder and take them. La frase inglese traduce bene l’ambiguità cinese, dato che la frase ha due interpretazioni possibili, entrambe valide: “Se le loro forze sono in disordine, approfittane e prendili”, o anche “Fingi disordine nelle tue proprie forze e attirali in una trappola”.

Se sono compatti, preparati per loro; se sono forti, evitali (quest’ultima risalterà fuori quando parlerò dei trentasei stratagemmi e della fuga).

Se sono irati, perturbali. Spesso i pensatori cinesi consigliano di far infuriare l’avversario o approfittare della sua rabbia, poiché la rabbia fa commettere stupidaggini e rende la gente più manipolabile; ed è vero, sull’onda dello slancio battaglie vinte sono state perdute (chi ha detto Hastings?). Tuttavia Sun Zi mette anche in guardia dall’attaccarsi a un esercito al picco del fervore. Mostrati deferente per attizzare la loro arroganza.

Se sono riposati, costringili a stancarsi.

Se sono uniti, trova il modo di separarli.

Attaccali dove non sono preparati (vi sembra banale? Chi ha detto “Ardenne”? Ho detto niente chiacchiere sulla Francia!).

Avanza quando non se lo aspettano.

Sun Zi allude anche al fatto che di solito si può prevedere con relativa sicurezza l’esito di una guerra. Chi conosce bene le proprie forze, quelle del nemico e le altre eventuali in gioco, può fare un bilancio accurato dei pro e dei contro. E, ovviamente, di solito si combatte solo quando si può vincere.

Ma veniamo alla ciccia, come condurre una guerra.

Sun Zi comincia dando un ordine di grandezza della spesa che è mandare in giro un esercito. Ovvio, parla del suo esercito e dei suoi tempi. Ma un esempio fa sempre bene, specie allo scrittore di cui sopra, che lo vedo già a mandare in giro le sue Legioni del Terrore tanto per farle vedere. Toh, fatti un’idea:

1000 carri da quattro cavalli + 1000 carri leggeri di supporto + 100.000 truppe armate con maglia + provviste trasportate per 1000 li (il li dei Tang misurava circa 330 metri) + spese correlate (consiglieri, ospiti, materiali vari come colla e lacca)

=

1000 pezzi d’oro. Al giorno. Tizio degli elfi, lì: spero che il Kattivo abbia un’economia coi controcazzi, o le tue Legioni del Terrore si mangeranno i cavalli prima ancora di essere usciti dalla circonvallazione.

Una guerra di lunga durata costa carissima allo Stato, anche a patto di rifornirsi saccheggiando (invece che pesare su convogli di rifornimenti da casa). Tanto per dirne una, più dura la campagna, più il materiale si consuma e deve essere sostituito. Inoltre il morale si erode.

Anche attaccare una città per rimpinguare la cambusa può essere controproducente in quanto, in linea di massima, il difensore è in vantaggio. Un assedio stanca, demoralizza e non sempre porta i frutti sperati. E questo espone lo Stato a un pericolo anche più grande di una guerra persa: il collasso.

Gli assedi possono essere molto pericolosi… fetchez la vache!

Uno dei segreti del restare alla testa di uno Stato grande come la Cina è tenere tutti i capetti sotto controllo. Hai bisogno di loro, e loro vogliono farti le scarpe. Una volta che avrai consumato le tue armi, spompato i suoi soldati, demoralizzato i tuoi ufficiali ed esaurito le tue finanze, sarà impossibile tenere tutti i signorotti sotto controllo. Col giogo tarlato, ne approfitteranno per sgropparti giù dal trono e sbranare il Paese in mille territori in guerra tra loro.

Non c’è bravura in una campagna lunga. Più dura e più il pericolo aumenta. La bella guerra, è la guerra rapida, e questo non cambierà mai.

Sulla stessa linea, Sun Zi spiega che chi eccelle nell’impiego dell’esercito non coscrive la gente due volte, né trasporta una terza le provviste. Il primo senso è ovvio: bisogna vincere una guerra nell’arco di una sola mobilitazione. Le conseguenze di due leve generali di fila, in un’economia preindustriale (e non solo) possono essere disastrose. Quanto alla parte sui rifornimenti, significa che l’esercito va rifornito una volta sola alla partenza, una al ritorno, nel mezzo deve rifornirsi sul territorio nemico. Per usare le parole di Sun Zi: 1 corbello di cibo loro vale come 20 dei nostri.

Per quanto riguarda i soldati, Sun Zi è chiaro: ciò che spinge a uccidere il prossimo è la rabbia, ciò che spinge a ottenere vantaggi per il proprio paese sono i beni materiali. La prima parte è abbastanza chiara. La seconda sembra riferirsi alla possibilità di saccheggiare. Tuttavia Wang Hsi, citato da Sawyer, interpreta questa frase come un sistema di ricompense che lo Stato accorda ai meritevoli, perché permettere alle masse di procacciarsi ricchezza da sole sul campo può danneggiare la disciplina militare.

E Wang Hsi ha ragione, difatti, nel prosieguo, Sun Zi parla chiaramente di ricompense: quanto dieci carri nemici sono catturati, ricompensa quelli che hanno catturato il primo.

Peraltro, consiglia di impiegare i carri nemici dopo aver cambiato le insegne. Allo stesso modo, consiglia di trattar bene i soldati catturati, in modo da poterli ri-arruolare dalla propria parte.

 

Tornando all’offensiva, il nostro stratega sostiene che il meglio è preservare la capitale nemica, che distruggerla è il “secondo” meglio. Stesso dice per l’esercito, le compagnie, ecc, giù giù fino alle squadre. Questo viene di solito interpretato seguendo la linea della “guerra veloce” di cui prima. L’interesse non è schiacciare il nemico, ma sconfiggerlo alla svelta mantenendo il massimo delle sue risorse intatte (per poterle assorbire, sull’antico adagio di “questi non sono nemici, sono contribuenti”).

Ciò ha senso in un contesto come quello Cina, una guerra di conquista territoriale. Ovviamente cessa di averne in casi differenti, come le piccole guerre che scoppiavano in Giappone all’Epoca di Heian, in cui il fine era rendere il nemico inoffensivo: era vitale distruggere tutto sul suo territorio, tutte le case, tutti i campi, tutti gli uomini, insomma un bagno di sangue allucinante. Noto questo per sottolineare che la strategia resta il timone: perché stai combattendo? Cosa vuoi? A seconda se un tale esercito vuole ottenere bottino, terra, sottomissione o distruzione, il modo di condurre le operazioni cambierà.

Peraltro, Sawyer cita l’interpretazione di D.C. Lau, secondo cui la frase di cui sopra significherebbe invece che il principale è preservare la propria capitale, e che la distruzione del nemico è il famoso “secondo” meglio. Tuttavia tradizionalmente non è mai stata un’interpretazione in voga, e l’idea di infliggere il meno danno possibile è compatibile con le principali correnti di pensiero cinesi (Confucianesimo, Taoismo, Legismo).

E qui c’è il secondo quote celebre di Sun Zi: ottenere cento vittorie su cento battaglie non è suprema eccellenza. Soggiogare un nemico senza combattere è la vera eccellenza.

La vera vittoria è quella che costa meno, è quella che non richiede una guerra, è la vittoria diplomatica. E prima che io mi perda in deliri sulla quintessenza di un atto risultante nell’assenza dell’atto stesso… vi ricordate la citazione di Allibis?

Se ancora non ci vedere niente di strano o cretino, vi do un indizio: è pensata all’inizio di una fottuta battaglia. “Senza combattere” un emerito cazzo, quando i tuoi sono già schierati e se le danno di santa ragione è tardi per ambire alla “suprema eccellenza”.

Ma continuiamo. Se volete altre ragioni per odiare quel cumulo di merda che è la saga di Unika, potete andarle a cercare nel blog del buon Zweilawyer.

Per coloro che sono ancora qui, Sun Zi, nella sua grande bontà, spiega in dettaglio cosa significa la frase, e se Allibis avesse letto il libro invece di scippare qualche frase a cazzo da citazionifighe.com, avrebbe evitato di scrivere balordaggini cosmiche.

La più alta realizzazione dell’Arte della Guerra è infatti attaccare i piani del nemico, poi le sue alleanze, poi il suo esercito, e per ultimo, se devi, le sue città fortificate. Sun Zi ha orrore degli assedi, e dice chiaro e tondo di cimentarcisi solo se non se ne può fare a meno. Stima tre mesi per la preparazione delle macchine necessarie (mantelletti et similia), e altri tre per le fortificazioni necessarie a tenere un lungo assedio (pensateci ogni volta che nel vostro romanzo il re di turno si alza dal trono e bercia “partiremo domani!”).

Se un generale non sa aspettare e lancia un attacco alle mura, coi suoi soldati che assaltano a cazzo “come formiche”, Sun Zi stima che perderà almeno un terzo degli effettivi senza peraltro prendere la città. Insomma, avete presente quando la cavalleria di Berserk carica delle muraglie di cinta, no?

 

Sun Zi da anche un rapido vademecum su come gestire le proprie forze:

Se i tuoi sono 10 volte i loro, circondali;

5 volte i loro, attaccali;

2 volte i loro, dividi. Qui si può interpretare come “dividi i tuoi” (puoi creare un secondo fronte senza essere in minoranza numerica) o “dividi i loro”. Stringi stringi non cambia, visto che dividendo i tuoi e attaccando su due fronti dividi anche i loro.

Pari forze, puoi provarci;

Se sei in minoranza, cerca di girargli intorno;

Se sei in schiacciante svantaggio numerico, evitali.

Si noti poi il pilastro di tutto ciò: il generale. Il generale è non solo il pilastro portante dell’esercito, ma, dato il ruolo vitale della sfera militare, è il trave portante dell’intero Stato, e non deve aver tarli.

 

Da buon militare, Sun Zi procede a elencare il numero di stronzate che un sovrano può escogitare per mettere scompiglio nel proprio esercito:

Intralciare l’esercito: dare ordini senza conoscere la situazione, ordinando a sproposito di avanzare o ritirarsi;

Non sapendo una ceppa di affari militari, ostinarsi a dirigerli di persona e gestirli come farebbe con l’amministrazione civile: confonde gli ufficiali;

Non conoscere l’equilibrio tattico dei poteri nell’esercito ma pretende di assumerne il comando: gli ufficiali avranno dei dubbi.

Se hai un esercito con ufficiali confusi e dubbiosi, il rischio che i signorotti feudali zompino sull’occasione e di trancino i tendini da dietro diventa alto.

E infine, per concludere questa prima parte dell’Arte della Guerra, i cinque fattori che determinano la vittoria. Preparatevi per la sagra del “vabé, ma è troppo ovvio, ci avrei pensato io se non che non ci ho pensato io”.

Sarà vittorioso chi:

  1. sa quando si può combattere e quando non si può combattere;
  2. sa come impiegare i piccoli e grandi numeri;
  3. i cui ranghi superiori e inferiori hanno gli stessi desideri;
  4. essendo preparato, aspetta un nemico impreparato;
  5. ha un generale capace e un sovrano che non interferisca con quest’ultimo.

E infine l’ennesima celebre massima: chi conosce il nemico e se stesso, non correrà pericolo in cento battaglie; chi non conosce il nemico ma conosce se stesso, otterrà a volte la vittoria, a volte patirà una sconfitta; chi non conosce né il nemico né se stesso… sarà eradicato come è giusto che sia.

 

E’ tutto per la prima parte! Fate i bravi mentre io non ci sono! Tra due settimane, un altro articolo in pubblicazione automatica.

 

Mi aspetto che al mio ritorno le punte di freccia siano scrupolosamente affilate e le corde d’arco sostituite!

MUSICA!

 

Doppia proiezione: Godzilla e The edge of tomorrow

Questo sarà il mio ultimo post supervisionato (cercherò di metterne uno o due in programma per il mese in cui sarò assente), e ho deciso di lasciarvi con una segnalazione doppia, tanto per gradire.

GODZILLA


Per usare un’espressione inglese, this movie was all over the place. Un pensiero mi ronzava in testa mentre mi godevo i canonici 45 minuti di pubblicità inutile, seduta in un cinema-congelatore: è un film di mostri alti quaranta piani che massacrano a caso e radono al suolo città. Sarà per forza divertente, cosa può andare storto?

Mi sbagliavo.

Oh, se mi sbagliavo.

Il film si apre con Ken Watanabe che, dei dell’Olimpo, sembra essersi fumato l’intero Sudamerica. Lui e la sua assistente, Tizia, scendono sottoterra per trovare lo scheletro di un bestione grosso grosso che più grosso non si può, o il set di Flinstones 2 revenge of the brontosaur, non si capisce bene. Attaccate alle costole del coso ci sono una specie di crisalide dormiente e i resti di una seconda crisalide, aperta. Ora, la cosa uscita dalla sacca esplosa si capisce essere un qualche genere di vermone gigante che più gigante non si può. Ne deriva che questi macro-chewingum siano, tecnicamente, uova.

Tizia punta quella dormiente e fa “sono spore”.

Spore. SPORE. Boh. Vabé, tanto tra poco arriva Godzilla (sì, ci piacerebbe), tengo duro…

Cut, siamo a una centrale nucleare giappa. Un terremoto squassa tutto e si abbatte sui genitori del protagonista, entrambi tecnici alla centrale. To be fair, l’ultima scena tra i due non è fatta male. Mi ha toccata meno dei pochi secondi dedicati agli anonimi crucchi chiusi nella pancia della nave in Affondate la Bismarck, ma la scena di per sé funziona.

Ecco, fatevi un favore, invece di Godzilla scaricatevi procuratevi legalmente questo qui

Il protagonista cresce e diventa un marine in licenza con moglie e bimbetto soprammobile (una cosa originale). Questo tizio è uno dei grossi problemi: è un protagonista di merda. E’ privo di qualsiasi interesse! E’ un tipo mediamente gentile, mediamente buon soldato, mediamente arrabbiato col babbo, mediamente medio. Noia. Noia, noia, noia. Ha così poca personalità che uscita dal cinema non sapevo nemmeno come cazzo si chiamasse. D’ora in poi mi riferirò a lui con Coso.

Il padre convince Coso che ciò che ha fatto crollare la centrale quindici anni prima è ancora lì e sta parlando. Lo coopta per infilarsi nella zona di quarantena a recuperare dei floppy disc. Coso, che prima era tutto “hai rotto con questa mania, stai distruggendo la famiglia”, passa in un attimo a “ok, ti accompagno”. Peraltro, durante il crollo del reattore un pochino di radiazione sarà uscita no? Dopo un trattamento del genere e 15 anni alla pioggia e alle lumache, cosa fistia credi di leggere su un floppy? Boh, floppy giapponesi, fuck proof!

Da qui cominceranno pesanti SPOILERS, quindi se non volete rovinarvi (sì, vabé) la visione di questa deliziosa pellicola, passate oltre.

[SPOILER mode/ON]

Coso e Coso Padre vengono arrestati. Il bacone di cui sopra s’è fatto una bella pupa sul reattore, ha ciucciato tutte le radiazioni e svarfalla in una roba volante grossa come una portaerei, schiacciando il vecchio inutile sotto una gru inutile. Good riddance. Coso guarda il vuoto con aria fumata e decide di tornare a casa.

Frattanto la seconda SPORA si sveglia e scappa. Scappa da una base militare sorvegliatissima piena di roba radioattiva. Sì, un bruco grosso come un Fracciarossa spana la montagna e i militari manco se ne accorgono. Tah tah, soldatini distratti! Sempre con l’Ipod nelle orecchie!

Il secondo mostro non ha ali ma è grande 4 volte il coso volante. Le due Camole dell’Apocalisse decidono di trasferirsi a San Francisco passando per le Hawaii perché è un posto simpatico per il primo appuntamento e da copione se il protagonista non va dai mostri i mostri devono andare da lui.

Eh, il protagonista. Coso ha moglie e figlio a San Francisco, e che fa?

-Telefona alla moglie per dirle “soprattutto non lasciare la città, non ti muovere e non cercare rifugio, resta sulla rotta di collisione, possibilmente con una maglia rossa addosso!”

-Si trova accanto al mostro, non citofona ai compagni e li lascia avanzare diritti nelle fauci della belva: 20 buoni soldati sono morti, la missione è fallita, ma lui è salvo, un eroe.

-Si trova sempre tra i piedi delle belve, ma in qualche modo tutti muoiono tranne lui, che fino alla fine risulta utile quanto Windows Vista.

Parentesi: la cosa che più m’innervosisce della brutta narrativa è quando gli autori mettono le basi per del buon conflitto, e lo mandano a puttane per pura pigrizia. Un uomo bloccato in una posizione vulnerabile che deve scegliere tra salvare se stesso o salvare i compagni, ad esempio, è un buon setup: Coso è l’esploratore, la vita dei suoi e il successo della missione dipendono da lui. Allo stesso tempo è terrorizzato dal mostro colossale che sgranocchia testate nucleari, ha una moglie e un figlio che lo aspettano. Una mossa ed è morto, un attimo di esitazione e sono i suoi a morire, che fare?

Gestita bene, poteva essere un’ottima scena!

Peccato che non un istante l’attore dia prova di dilemma o dubbio. Non lo vediamo tremare di terrore, il pollice sulla radio, il rumore del treno dei suoi che arriva, il sudore che gli cola sulla faccia.

No. Vediamo lui in posizione vulnerabile che passivamente lascia compiersi la tragedia.

Nemmeno dopo ha la decenza di mostrare il minimo rimorso. Alla fine Coso è perfettamente in pace con se stesso. Sono morti tutti e ho appena mandato a puttane una missione da cui dipende la vita di milioni di civili, ma hey, io ho portato a casa la pelle quindi è tutto ok. Alé.

Intanto i due mostri vanno in giro a devastare roba, alla ricerca di radiazioni. Tranne quando decidono di fare altro, tipo uno che va a demolire Las Vegas. Perché, boh, ragioni. Ma non è grave, dopotutto what happens in Vegas stays in Vegas.

I militari americani hanno infine un’idea geniale: mettiamo un bombone di non so quanti megatoni (MEGATONI) su una barca, lo portiamo in mezzo al mare per attirare i mostri via dai civili e lo facciamo scoppiare. Il blast dovrebbe bastare ad annichilirli.

Il che è interessante. Stando a questo fighissimo sito, con un’esplosione superficiale, una bomba da 1 Megatone avrebbe un fireball radius di più di 1 Km e provocherebbe ustioni di 3° grado su un raggio di più di 10 Km.

Però…

I mostri sono attirati dalle radiazioni. Quindi che vadano dietro a depositi di scorie e centrali ci sta, perché anche negli impianti migliori qualche fuga c’è sempre.

Ma le bombe?

Per quanto ne so, un bomba emette radiazioni se e solo se detonata!

Ma chissenefrega, abbiamo diritto a una delle rare scene in cui Watanabe articola un paio di parole. Cerca di dissuadere il generale americano dal piano atomico. Secondo Watanabe bisognerebbe giusto sedersi e aspettare Godzilla, che fino ad ora è stato praticamente solo nominato (sì, in un film chiamato Godzilla, Godzilla brilla per la sua assenza). Quando il generale gli dice che non può fidarsi di un Grande Antico, Watanabe gli fa “il mio babbo era a Hiroshima”.

Ma il 6 d’agosto c’era il raduno nazionale dei Babbi, a Hiroshima? Son tutti morti là, oh! Ma Nagasaki? O, che ne so, Tokyo?

Anyway, Godzilla arriva. In teoria dovrebbe essere è il super-predatore, il primo anello della catena alimentare, e dovrebbe quindi magnarsi le due Camole Atomiche.

In realtà le mena e basta. Praticamente in questo film Godzilla è la gattara del pian di sotto che viene a fare una scena perché i ragazzi di su fan casino e le buttano mozziconi di sigarette sul terrazzo.

Che per carità, anche nei film vecchi i mostri si accoppano di nocchini e basta, ma allora evitare infilare battute di Tizia su come Goji sia un PREDATORE potrebbe essere una buona idea.

Se pensavate che fosse scemo il Godzilla del 1998, dove l’esercito americano riesce a perdersi un dinosauro di 15 piani nel centro di Manhattan, well, in questo riescono a perdersi un coso volante grosso come il Vaticano. E non c’è nemmeno Jean Reno col Taxi della Morte a sollevare il tono.

Questo film ignora l’ABC dello storytelling fin nei minimi dettagli. Se avessero dato 50 milioni all’Aliprandi sarebbe venuto uguale (se ci rimetteva Re Precisamente sarebbe stato addirittura meglio).

Ah, la bomba dite?

Il nostro eroe la mette su una carriola galleggiante, la indirizza col pilota automatico verso il mare aperto e sviene. In 5 min, la bomba da non so quanti megatoni fa pif senza provocare nessun danno. Boh.

Ah, e chicca: la bomba da non so quanti megatoni è stata portata lì A BRACCIA da quattro tizi. Perché prender la pena di armare i tuoi di inutili mitragliatori? Arma quei quattro di ciabatte, con la forza che hanno ti spiattelleranno i Lepidotteri dell’Inferno in meno di nulla!

Insomma, una boiata di epiche proporzioni. Solo per appassionati.

Non vale nemmeno la pena di fare la Grumpy-classifica: non c’è niente di buono in questo film. Un’ora e mezza di stupidità.

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EDIT: l’argomento non è proprio lo stesso, ma si parla sempre di lui, il grande Gijira! Perché Godzilla non esiste? Have fun!

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THE EDGE OF TOMORROW


Ero preparata a una Godzillata. Perché? Tanto per cominciare perché è un film americano per il grande pubblico. In secondo luogo era sfacciatamente ispirato a All you need is kill di Hiroshi Sakurazaka, romanzo giapponese di fantascienza di cui Gamberetta parlò qui e di cui magari parlerò io più in dettaglio un de ces quatre.

Il romanzo in sé era carino, per quel che ricordo. La fine era un po’ raffazzonata, ma con i loop temporali è facile mischiarsi i pennelli, come dicono i mangiarane. A memoria, gli darei un 6/7 su 10.

Nel film il protagonista, che nel libro doveva essere un soldato giapponese, viene interpretato da niente meno che Tom Cruise. L’allarme NinjaCrucco suonava a tutto spiano. E i mostri, che nel romanzo sono simili a rospi, qui sono simili… a nulla. Sono dei cosi tentacoluti che schizzano in giro frustando le natiche degli astanti.

Qui il Trailer.

Quindi ecco, ero partita molto prevenuta.

Tuttavia, sono rimasta piacevolmente sorpresa!

Blimey, this movie is actually good!

A parte il soggetto e il nome della deuteragonista, non ha nulla a che fare col libro. Per intenderci, hanno mixato insieme All you need is kill con Starship troopers. E la roba che hanno messo insieme non è male!

Ma concentriamoci sul film.

La terra è stata invasa dai Mimics, una razza di alieni infallibili che hanno raso al suolo l’Europa.

Mimics

Questa è la prima grande differenza col romanzo: in All you need is kill i Mimics non sono veri esseri viventi, e sono stati spediti da una civiltà aliena per preparare il pianeta allo sfruttamento. Si accenna addirittura a un dibattito tra questi alieni, peraltro mai descritti, riguardo allo sterminio delle razze viventi della Terra (perché il pianeta sia sfruttabile, questi misteriosi conquistatori devono trasformarlo in una palla desertica), e alla fine la fame di risorse vince. E’ un comportamento molto umano (spiacenti per i vostri orsi polari e le vostre api, io voglio un SUV, drill baby, drill!) e a me non era affatto dispiaciuto.

Nel film i Mimics si limitano a occupare la Terra. A un certo punto i personaggi attraversano l’entroterra francese: solo le grandi città sono distrutte, i prati sono verdi e i campi floridi. Questo ovviamente diminuisce di molto il senso di urgenza. Nel romanzo la Terra non è solo rubata, è distrutta!

Ad ogni modo, anche nel film abbiamo a che fare con alieni invincibili. Tutto sembra perduto, quando tale Rita Vrataski riesce finalmente a ottenere una vittoria. Armati di nuova speranza, gli uomini rilanciano il contrattacco dall’Inghilterra, sulle coste francesi.

Il protagonista del film è il Maggiore Cage (Cruise), un vigliacco e gran figlio di cagna che viene spedito al fonte a calci nel culo. Il perché il suo stato maggiore lo scarichi nelle mani degli inglesi non viene mai spiegato e resta uno dei grandi “boh”. Il che è peccato perché è quello a dare il via alla vicenda. Difatti, dopo un balordo tentativo di diserzione, Cage è ficcato in una squadra e destinato a essere scaricato in prima linea la mattina dopo.

E veniamo a un altro problema notevole del film. I soldati combattono infilati in delle grosse armature meccanizzate, piene di gadget e roba figa. Ora, Cage per sua stessa ammissione non ha mai fatto gavetta, non ha mai nemmeno ricevuto un vero addestramento. Lui lo sa, gli altri lo sanno. Non metti un’arma super-tecnologica nelle mani del primo fesso che passa, specie se sei sicuro che non la sa usare. E’ uno spreco di costoso materiale, ed è rischioso.

Ad ogni modo, Cage viene scaricato sul fronte, dove riesce a uccidere un super-Mimic.

E anche questo è un problema. Nel romanzo, Keiji è un professionista addestrato, non è strano che con un po’ di fortuna riesca a far fuori un grosso bestio. Il Cage del film non sa nemmeno come si fa a sparare. Mah, come botta di culo pare un po’ tanta roba.

Ad ogni modo, ammazzando il super-Mimic (un Alpha, nel film), si schizza di sangue.

E muore.

E si risveglia la mattina prima, appena arrivato alla base.

O ficcate a Cruise un casco uguale, o date a questa comparsa più screen-time!

Questa è la premessa del film. I Mimics non perdono mai perché alcuni di loro, gli Alpha, possono manipolare il tempo e “ricaricare” la giornata ricordando quello che è successo e quindi migliorando. Uccidendo l’Alpha, Cage è diventato il bottone RESET ambulante, e ogni volta che muore il giorno ricomincia.

Cage si mette in contatto con Rita, che gli spiega che anche lei aveva avuto la stessa esperienza ed era stato grazie a quella che era riuscita a vincere. Rita sottolinea anche che tutto dipende dal sangue, e una trasfusione ti fa perdere il potere: lei infatti è rimasta ferita, non è morta, l’hanno soccorsa e paffete, potere perso.

E questo è un altro grosso problema: come fa Rita a essere sicura di aver perso il potere senza morire? Boh.

Insomma, Cage e Rita si trovano a dover trovare il centro nervoso degli alieni (Omega) e farlo saltare per poter salvare il pianeta dall’invasione.

La cosa migliore del film è il tono. Serio e faceto sono gestiti molto bene: la storia non è buttata in farsa, ma è percorsa da un umorismo noir che ho molto apprezzato. Il fatto che il film non si prenda troppo sul serio rende i problemi di cui sopra molto più sopportabili.

Venendo ai personaggi, i comprimari non sono molto interessanti (c’è lo scienziato incompreso, i soldati rozzi ma di fegato, il generale severo e testardo…), Rita è passabile. Il personaggio di Cruise è il vero protagonista e, a differenza del vigliacco di Godzilla, cambia di vita in vita, e cambia molto. Comincia come verme schifoso, dai primi 2 minuti vuoi vederlo morire. E la cosa bella è che sei accontentato. Again and again and again and again!

Grumpy Cat approva

Le morti a ripetizione sono trattate con macabro sarcasmo, il che è un grande pregio. Vedere Cage schiattare e risvegliarsi con crescente nonchalance e abitudine mi ha strappato più di un sorriso. La ripetizione delle vite peraltro è gestita bene, senza essere tediosa.

Ma c’è un ultimo problema.

Il finale.

Cage riesce a far saltare l’Omega schiattando anche lui. Il sangue dell’Omega lo tocca.

Cage si risveglia a inizio film e tutto inizia a ripetersi. Pare che debba rifare tutto da principio, invece no: è tornato indietro nel tempo, ma con l’Omega morto, quindi tutti sono felici e stanno riprendendo possesso del territorio. Lui non è più un peso morto scaricato nelle mani degli inglesi, ma un onorevole ufficiale. Ritrova Rita, viva e vegeta, che non lo riconosce, non avendolo mai incontrato in questo loop.

Che cazzo di fine è? E’ di nuovo in un loop o no? E’ tornato indietro nel tempo o finito in una realtà alternativa? O ha completato tutte le mini-missioni e vinto il best ending di fine gioco?

La fine m’ha lasciata cadere sul culo. Non è brutta, è solo WTF. Non l’ho proprio capita. Ed è peccato, perché l’insieme del film è molto godibile.

 Potete riprendere a leggere, il pericolo è passato.

 

Tornando alla trama, non ho capito perché scopiazzare mezzi elementi da un romanzo e fare una roba del tutto diversa.

Il soggetto è identico al romanzo di Sakurazaka, Rita è quasi uguale, ma il protagonista è diverso e la vicenda non à nulla a che vedere (ma NULLA) ed è invece la stessa di Starship troopers (trovare il Cervello). Perché dare lo stesso nome a Rita e ai Mimics, se non hai intenzione di seguire la trama? Non sarebbe stato più semplice mettere nomi diversi e giusto notare “Ispirato al romanzo tale e tale”?

Mi chiedo se non sia una questione di diritti. Se i realizzatori non abbiano trovato un qualche sotterfugio per scopiazzare un romanzo tutto sommato poco conosciuto in Occidente e non pagare le royalties al suo autore.

Infine, meglio il film o il romanzo?

Difficile da dire, sono così differenti! Il romanzo ha meno contraddizioni del film, ma entrambi hanno un problema alla fine.

Keiji è un personaggio molto più attachant di Cage, ma Cage migliora sul finale e il suo cambiamento è forse più drastico di quello che subisce Keiji.

Il gioco di parole Killer Cage si perde nel film, ed era una buona nota su cui chiudere il romanzo.

Salvo il personaggio pittoresco del sergente Farrel, i dialoghi del film sono standard. Niente di memorabile, ma nemmeno niente di stupido. Nel romanzo sono un pochino più eleganti e originali, per quel che mi ricordo.

Ma veniamo alla grumpy-classifica

La storia (Starship troopers è uno dei romanzi più belli di sempre, All you need is kill ha un concetto molto caruccio, e sono combinati bene: i realizzatori hanno preso il meglio di due mondi)
L’evoluzione di Cage
Comprimari banali
Rita
Gli americani scaricano uno dei loro ufficiali agli inglesi senza nessuna spiegazione
Gli inglesi ficcano in mano a un novellino armi ultratecnologiche costosissime e complicate
Cage, che non ha avuto nessun tipo di addestramento, è capace di guidare veicoli anche se non li ha mai provati in un loop precedente
Il susseguirsi delle vite è gestito bene e non noioso
Uno dei twist era un po’ telefonato, ma passava
C’è Parigi allagata, fun for everybody!
I dialoghi sono a tratti buoni, in genere dignitosi
C’è una marcata vena comica nel massacrare Cruise ancora e ancora
Cruise non mette mai il casco
La computer grafica era dignitosa, i Mimics che escono dalla sabbia sono belli
Alle volte Rita agisce senza nessuna buona ragione
Cruise recita. E’ incredibile, ma vero. Recita.
Come faceva Rita a essere sicura di aver perso il potere, senza spararsi un colpo in testa?
L’ultimo combattimento è una buona sequenza d’azione
La fine. Che cazzo è successo?

11 Grumpy sorridenti, 8 disapprovanti.

Se vi piacciono i film d’azione e di fantascienza, è un film che consiglio. In definitiva, gli manca la scintilla che ne faccia davvero un BUON film, e certi errori scemi si potevano evitare. I dialoghi potevano essere più curati, ma l’arco del personaggio è ok. Come detto, le trame dei due romanzi sono ben integrate, e nonostante i miei dubbi su nomi e logica delle scelte, la storia del film di per sé tiene.

Non direi che sia un film ASSOLUTAMENTE IMPERDIBILE, ma se vi capita dateci un’occhiata, è ganzo e divertente.

E parlando di morti ammazzati e divertimento, MUSICA!

Breve storia dei disordini in Mutsu

Bonsoir mesdames et messieurs!

Forse qualcuno di voi avrà sentito parlare degli emishi.

Hanno una discreta fama, anche se certuni se li sbagliano con gli Ainu (e no, per quando ne so non hanno assolutamente nulla a che fare). Il nome può essere tradotto con “barbaro dell’est”, e indica una popolazione che per più di quattro secoli tenne testa alle mire espansioniste della dinastia di Yamato. Oggi non parleremo di loro nello specifico, bensì più in generale dei conflitti che martellarono il loro territorio: il Tōhoku, con un focus particolare sulla provincia di Mutsu.

Yup, un altro articolo di roba militare, ditemi che non vi mancava!

Nell’VIII° secolo la dinastia imperiale poteva considerarsi ben impiantata ed avviata da almeno un secolo (le riforme e basi del governo furono ultimate con la conclusione dl Codice Taihō nel 704, come si accenna anche in questo articolo). Tutto il Giappone era occupato. Beh, tutto no. Un fazzoletto di terra con dentro un piccolo villaggio resisteva infatti all’assedio romano HAEM, ma il vasto Tōhoku, continuava a porre problema.

Lo abbiamo già accennato nell’articolo sull’esercito di Heian: il sistema centralizzato, le tasse, e un servizio militare inadatto alla realtà agricola del Pase, avevano e continuavano ad avere un impatto drammatico sulla gente della regione, meno densa che nelle provincie centrali. Non aiutava il fatto che la frontiera orientale fosse ancora in espansione: gli imperiali rosicavano con gran pena il territorio abitato da una popolazione di cavalieri rinomati e grandi arcieri, gli emishi per l’appunto.

EDIT: il nord-est de Giappone

In principio, la Corte tentò di arginarli arruolando locali e coloni in una guardia di frontiera fatta apposta, i chinpei. Pensate che bellezza, un corpo d’armata intero, tutto per loro! Manco a dirlo, i chinpei non riuscirono a mettere una pezza alla situazione.

Nella seconda e terza decade dell’VIII° secolo, la Corte decise di cambiare sistema, e creò il Chinjō, più tardi chiamato Chinjufu, governo militare locali finalizzato a pacificare la regione. Nel 724 quest’organo era già in funzione e la sua sfera d’influenza fu accresciuta nel 759. Nel 776, gli imperiali si sentivano abbastanza sicuri da lanciare una massiccia campagna di sottomissione.

Volete sapere com’è andata?

E’ andata che la campagna durò fino all’811. 35 anni di cazzotti fitti come grandine e una spesa immane. Ma almeno avrà esaurito questi barbari delle colline, no?

Non proprio. Ma per la Corte l’operazione fu ufficialmente un successo!

Sì, scene del genere succedevano anche sull’Arcipelago…

Nel 792, come accennato nell’articolo sull’evoluzione dell’esercito, il sistema delle milizie locali reclutate tra i coscritti (gundan) fu abolito in tutto il Pese, ma NON nella provincia di Mutsu. Questa zona combinava tre caratteristiche problematiche: era una regione di confine, era tarlata da guerra, brigantaggio, rivolte emishi, ed era anche, colmo di sculo, la prima fonte aurifera dell’Impero. Insomma, i coscritti del Chinjufu si trovarono in una situazione in cui non potevano vincere ma non potevano nemmeno perdere.

Per dare un’idea di a che punto la situazione non fosse pacificata, basta citare la grande rivolta del capo emishi Aterui, che dal 787 e per quindici anni continuò a imperversare.

Nell’801 fu finalmente nominato Seii tai shōgun (Generale in capo per la pacificazione dei barbari) tale Sakanoue no Tamuramaro. Ci tengo a sottolineare che il Seii tai shōgun di questo periodo non ha niente a che fare col generalissimo del periodo Muromachi e men che meno con quello dl periodo Edo. Si tratta di una carica militari temporanea.

Tamuramaro veniva da una famiglia dell’antica aristocrazia militare, e fu uno dei pochi a riuscire a imporre un qualche sembiante di pace. Nell’802 fece costruire la fortezza di Isawa e spinse per ridurre l’esercito di occupazione da un lato, assorbendo d’alto canto i capi fushū (emishi sottomessi alla Corte), che furono integrati nell’amministrazione locale. Un esempio tra tutti, gli Abe, clan emishi sottomessosi e assegnato alla magistratura distrettuale dall’878.

L’operazione di pacificazione fu ufficialmente dichiarata un successo e sospesa nell’811. Needless to say, la realtà è che la Corte aveva abilmente trasformato il “problema emishi” in un “problema fushū”, il che non migliorava un granché le condizioni della regione, che rimase turbolenta.

Manco a dirlo, nell’878 i fushū di Dewa si ribellarono di nuovo, e a questo giro il Governo dovette sbattere il muso sull’indebolimento del suo apparato militare, totalmente inadeguato contro migliaia di fushū incazzati. I disordini si diffusero anche in Mutsu, minacciando il regolare invio d’oro alla Capitale.

I sacrés ci-deavants si rimboccarono le maniche, per una volta, e crearono i kondei, un corpo d’armata “professionale” messo insieme grazie alle famiglie militarizzare di funzionari di distretto. Il nocciolo dei kondei: l’arciere pesante a cavallo!

Frenate l’entusiasmo. Se a Corte erano riusciti a indovinare il tipo di tecnologia vincente, i numeri rimasero comunque troppo deboli. Si tratta di un successo tattico, ma di una clamorosa batosta strategica.

Secondo Seki, i problemi costanti in questa regione e l’incidenza elevata di violenza armata avrebbero giocato un ruolo fondamentale nella nascita di una nuova classe di guerrieri professionisti.

Long story short, la grande rivolta dell’878 si calmò col tempo, tornando alla normale situazione di ordinaria follia. Per qualche decennio. Tra 935 e 940 scoppiò un bisticcio familiare che s’incarognì fino a passare alla Storia: i Disordini di Jōhei e Tengyō, culminati con la rivolta di Taira no Masakado. Il signore in questione è uno dei miei eroi preferiti e avrà un largo spazio su questo blog perché la sua storia è assolutamente appassionante! Ora però non è il momento di parlarne: la rivolta in questione non avvenne nello specifico in Mutsu o Dewa (l’epicentro fu la vicina regione del Bandō) ma coinvolse anche combattenti del Tōhoku. Di più, uno dei fratelli cadetti di Masakado, Masatane, era il genero dl vicegovernatore sovra-numerario di Mutsu. Dopo la morte (SPOILER?) dl ribelle, genero e suocero furono condannati e perseguitati dalla Corte.

Bisogna notare che in questo periodo il potere reale di un funzionario dipendeva soprattutto dalla sua rete di legami personali e dal potere privato che riusciva a esercitare tramite terre/uomini/alleati, più che non dalle risorse che la funzione gli garantiva. La funzione portava con sé un gran prestigio, ma senza network un uomo era ostaggio della situazione.

I vincitori di questi disordini, ovvero quel filibustiere di Fujiwara no Hidesato, Minamoto no Tsunemoto e quel gran figlio di baldracca di Taira no Sadamori, non solo godevano di legami locali e di funzioni ufficiali, ma potevano vantare un lignaggio risalente alla Corte (Tsunemoto e Sadamori potevano addirittura rivendicarsi discendenti di imperatori!). Costoro sono interessanti perché sono i fondatori di lignaggi Seiwa-Genji e Kanmu-Heike, i due clan che si scannarono nella Guerra di Genpei e che finirono per scalzare gli aristocratici nella seconda metà del XII° secolo.

Tornando a noi, costoro approfittarono della gloria della vittoria e del favore della corte per costruirsi basi locali e una rete di alleanze. Come abbiamo visto nell’articolo sull’evoluzione dell’esercito, il nuovo sistema militare e di controllo del territorio non si fondava più sui coscritti (anche se i loro servizi continuavano ad essere richiesti talvolta per ordinaria amministrazione), ma su bande private, gente legata da legami personali da uomo a uomo.

Una banda era costituita da un capo, accompagnato da jūrui, “followers”, uomini che gli erano fedeli e prossimi grazie a legami intimi e solidi. Una banda poteva essere molto piccola, un cavaliere con un paio di uomini a piedi, o contare anche più di cento persone. Ma un capo non doveva condurre una guerra vera (o anche proteggere il proprio territorio) solo col loro sostegno: il profitto o la paura potevano assicurargli l’appoggio di altre bande o altri uomini, banrui, “alleati”, con cui aveva legami moto più deboli. Per più informazioni sulle bande del X°, rimando a quest’altro articolo. Qui vi basti sapere, ormai il fenotipo del guerriero lealista, del ribelle, del brigante o dell’emishi insubordinato è praticamente identico: un arciere pesante a cavallo che predilige tattiche di guerriglia a battaglie campali.

Tornando alla provincia di Mutsu, la quiete rivenne in modo relativo, fino alla metà dell’XI° secolo. Era un po’ che in zona non capitava una qualche catastrofe nazionale, finché il governatore di Mutsu e il vicegovernatore del forte di Akita (in Dewa)non attaccarono briga con un grosso fushū di Mutsu, Abe no Yoritoki, guerriero alla testa di sei distretti.

Abe no Yoritoki, figuratevi un po’, rifiutava di pagare le tasse dovute sul vasto territorio che controllava. Il governatore di Mutsu e il vicegovernatore della fortezza di Akita lo attaccarono con (dice) diverse migliaia di muoni, e gli Abe gli ruppero clamorosamente le corna. Era già successo che un notabile locale riempisse di calci un governatore, e a volte era finita molto, molto male (vedi l’affare Masakado).

La Corte ebbe vento della cosa, e onde evitare che il casino degenerasse, nel 1051 spedirono tale Minamoto no Yoriyoshi come nuovo governatore della provincia. Yorioshi si era già distinto, vent’ani prima, assieme al padre Yorinobu, nella repressione della rivolta di Taira no Tadatsuna (non lontano da Mutsu, peraltro, ma che volete, nell’Est ci facevan buca i matti e gli irrequieti). Fu lui a stabilire una prima solida base in Sagami, futura piazzaforte dei Minamoto.

Nel caso di questo piccolo problema, Yoriyoshi mostrò buon piglio diplomatico, e sul momento l’operazione parve un successo: le acque si quietarono. Ma mai fidarsi delle acque chete: nel 1056 il calderone si scoperchiò di nuovo, con più entusiasmo di prima. Sadatō, figlio di Yoritoki, rilanciò le ostilità. Di nuovo la Corte spedì Yoriyoshi con la funzione di governatore di Mutsu, ma a questo giro non ci fu verso di mettere buoni gli Abe. La guerra durò per anni, finché, nel 1062 gli imperiali non riuscirono a tirare dalla loro parte i Kiyohara, un grosso clan di fushū di Dewa, che fecero il mazzo agli Abe.

Legend has it, Takenori, il capo di Kiyohara, si sarebbe presentato con un esercito di “10.000 uomini” (contro i 3.000 di Yoriyoshi). Per l’XI° secolo mi sembra una stima molto ottimista (all’apice della sua gloria Masakado avrebbe contato su un totale di circa 8.000 uomini, alleati compresi, dubito che qualcun altro possa aver fatto di meglio). Ad ogni modo dice che il vasto esercito di Takenori fosse diviso in sette parti, ognuna sotto la guida di un membro della famiglia, e questo è verosimile.

Un guerriero del X°

Yoriyoshi e Takenori assaltarono nel 1062 la fortezza di Kuriyagawa, fecero fuori Sadatō e spezzarono la groppa degli Abe. Non li sterminarono (non usava ancora all’epoca): i sopravvissuti furono deportati in Iyo e in Shikoku. Risalteranno fuori in forma smagliante durante il periodo “medievale”.

Da notare che ancora in questo conflitto (seconda metà dell’XI° secolo!) le truppe di leva e le truppe ufficiali, previste dai Codici e teoricamente ancora esistenti, servirono solo come supporto alle truppe private di Yoriyoshi e dei Kiyohara.

La carica di Yoriyoshi era scaduta al momento dell’ultimo showdown, il che faceva di lui un partecipante “privato”, cosa che non solo lo escludeva dalla ricompensa ufficiale me tecnicamente ne faceva un fuorilegge (ricordo che era illegale, in teoria, mobilitare più di 20 uomini senza un decreto imperiale). Tuttavia la Corte sapeva quando chiudere un occhio sulla forma, e lo ricompensarono comunque col Quarto Rango e il posto di governatore a Iyo. Suo figlio Yoshiie (sentito nominare, forse?) passò al Quinto Rango e divenne governatore di Dewa.

Ciononostante, i veri vincitori nel gioco furono a conti fatti i Kiyohara: Takenori ottenne i sei distretti prima appartenuti agli Abe, il Quinto Rango di Corte, e la funzione di chinjufu shōgun. Nessun fushū aveva mai conquistato tanto onore. Inoltre, con l’eredità degli Abe, il buon Takenori allungava i tentacoli sia nella provincia di Mutsu che in quella di Dewa. E se pensate che questa situazione non fosse una promessa di casino, siete degli inguaribili ottimisti.

Andiamo con ordine.

Takenori aveva un nipote, Sanehira, che divenne capo del clan. Sentendosi la situazione sdrucciolare, Sanehira cercò di serrare la presa sui propri parenti e vassalli, attizzando i calabroni. Un membro anziano, Kimiko no Hidetake, decise che non era invecchiato con un arco in pugno per farsi calpestare da un novellino, e si schierò apertamente contro di lui. Nel 1083 Sanehira mandò i suoi partigiani in Dewa per dare una lezione al parente serpente. Cattiva idea. Hidetake non era solo e Sanehira aveva due fratelli che non gli volevano bene: partita la spedizione, i due, Iehira e Kiyohira, lo attaccarono nella sua base di Mutsu.

Occorre aprire una parentesi per illuminare il casino che Takenori e suo figlio erano riusciti a combinare nella loro famiglia. Prendiamo Kiyohira. Non era davvero un ragazzo Kiyohara, ma il figlio di Fujiwara no Tsunekiyo, partigiano e genero di Abe no Yoritoki. Dopo la guerra, Takenori fece ammazzare Tsunekiyo e regalò la sua vedova e il bambino al proprio figlio Takesada, così, come bottino. Mai lasciare vivi gli eredi. Mai. Forse nella speranza di evitare possibili manie di vendetta, Takesada adottò Kiyohira e prese sua madre come sposa principale. Iehira nacque da questo matrimonio.

Abbiamo quindi tre figli del capofamiglia, e nessuno dei tre del tutto “fratello” con gli altri due! Un capolavoro! Sanehira e Iehira avevano lo stesso padre, ma non la stessa madre; Kiyohira e Iehira avevano la stessa madre ma non lo stesso padre.

Sotto assedio dei suoi due mezzi-quasi-circa-fratelli, Sanehira tenne botta fino all’arrivo di Minamoto no Yoshiie nel 1083, appuntato di fresco governatore di Mutsu. Yoshiie scrisse alla Corte per ottenere un ordine ufficiale contro Iehira, ma gli aristocratici non muovono mai le natiche se i convogli delle tasse arrivano: gli risposero che era una gatta di Kiyohara e se la pelassero tra di loro, dopotutto erano stati Takenori e Takesada a creare i presupposti. Sottolineo che tutti i Kiyohara pagavano regolarmente le tasse, quindi la faccenda non interessava il Governo (mi piace peraltro il casino selettivo di Kiyohara: dobbiamo mandare una banda a bruciare i loro raccolti, un’atra a difendere la nostra residenze, voglio rinforzi alla palizzata e oh, ma l’hai spedita la dichiarazione dei redditi?).

Yoshiie e Sanehira decisero, fuck it, e scesero in campo senza decreto. Sanehira partì per Dewa una seconda volta, e una seconda volta i fratellini cercarono di rosicchiargli la coda, ma a questo giro si trovarono le bande di Yoshiie tra i piedi. La situazione girava male, ma per la fortuna di tutti Sanehira ebbe la cortesia di schiattare di un malanno sulla via di Dewa e gli altri due si sottomisero a Yoshiie, perché finché si tratta d’infilare la testa di tuo fratello su una picca non ci sono problemi, ma Yoshiie era il governatore, il capo di una potente famiglia e di una vasta rete di alleanze, un detentore del Quinto Rango e un uomo ben ammanigliato alla Corte.

Yoshiie decise di esser salomonico e assegnò tre distretti a ogni fratello, scontentandoli entrambi in un combo fenomenale. Iehira era incazzato dacché, come figlio legittimo di Takesada, si considerava legittimo capo del clan. Kiyohira era adottato, ma in quanto nipote di Abe no Yoritoki si considerava probabilmente l’erede legittimo dei sei distretti appartenuti a suo nonno.

Fu il minore a muoversi per primo, perché come tutti sanno i minori sono infidi: attaccò la base del fratellastro e, per buona misura, fece fuori sua moglie e i suoi figli. Kiyohira si appellò a Yoshiie, che rispose.

Verso la fine del 1086 i guerrieri erano di nuovo in campo: Yoshiie assediò Iehira alla palizzata di Numa con “3000 guerrieri a cavallo”, ma dovette lasciar perdere a causa della neve. Poco male, zompò di nuovo sul suo bersaglio alla palizzata di Kanezawa, appoggiato da suo fratello minore Yoshimitsu che era venuto con dei compari apposta dalla Capitale per non perdersi la festa. Verso la fine del 1087 riuscirono finalmente a tagliare le unghie a Iehira, che finì morto ammazzato. La linea principale dei Kiyohara si era estinta.

Ma l’allegria della vittoria durò poco, dacché la Corte aveva una sorpresona in serbo per Yoshiie: avendo lui combattuto sì per punire un ribelle, ma senza un permesso ufficiale, non gli spettava nessuna ricompensa! Non solo: fu sollevato l’anno dopo come governatore e costretto a ripagare di tasca propria i fondi sottratti alle tasse per finanziare la guerra.

E non è finita. Yoshiie era alla testa di guerrieri, e i guerrieri non combattono per nulla. Furono le sue casse a fornire i fondi di che ricompensare i veterani.

Questa può apparire come una batosta economica di epiche proporzioni per Yoshiie, e lo fu. Ma per un altro verso i guerrieri che si erano battuti per lui furono molto ben impressionati dallo stoicismo e la galanteria con cui Yoshiie s’infilò le mani in tasca. Avrebbe potuto rimandarli a casa con un pugno di mosche, e ne avrebbe avuto ben donde, e invece si era salassato e aveva ricompensato i loro sforzi. Yoshiie perse soldi, ma guadagnò reputazione, e tra i guerrieri questa contava almeno quanto la ricchezza materiale.

Dal canto suo Kiyohira vinse il jackpot: non solo aveva eliminato due fastidiosi fratellastri, ma fu governatore di Mutsu e di Dewa, ereditò le terre degli Abe e dei Kiyohara, fu nominato chinjufu shōgun. Di venuto l’uomo più potente della regione, riprese il nome di suo padre giustiziato, Fujiwara. Vinse, in poche parole, su tutta la linea. Il sito di Hiraizumi, di cui parleremo magari un giorno, si sviluppò parecchio proprio sotto l’ala di Kiyohira e d suoi discendenti.

Le guerre del Tōhoku ebbero anche l’effetto di rinforzare le basi provinciali di Taira e Minamoto e, avendo dato linfa a entrambi, furono una delle radici del futuro conflitto tra i due clan. E non pensate che da quelle parti due guerroni a stretto giro di boa fossero bastati a sottomettere del tutto la regione: secondo Souyri, il Tōhoku restò de facto semi-indipendente fino in pieno XII° secolo! Gli Ōshū Fujiwara, fondati da Kiyohira, restarono i signori del posto fino a tutta la guerra di Genpei.

Finalmente, nel 1189, Minamoto no Yoritomo, altro marmocchio risparmiato a sproposito, li sconfisse in via definitiva e costrinse il Tōhoku, a calci nel culo, sotto la coppa del Bakufu di Kamakura. Ma questa è un’altra storia.

Se solo i Fujiwara del nord-est avessero avuto armigeri così bravi e prestanti ^_^

E come al solito, MUSICA

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BIBLIOGRAFIA

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