L’estate incombe su di noi come la cresta di uno tsunami, le notti si accorciano e la pace di spirito di Tenger è stata archiviata tra i casi a pista fredda insieme ai files del Tamam Shud.
Ma è Pasqua, e non è appropriato essere troppo scoppiati durante questo lieto periodo. Occorre celebrare.
La mia più grande passione è la storia di gente mortamale. Con ragionevole distacco, viene un certo interesse per la cucina. In questi giorni di pantagruelici banchetti (so che vi state sfondando di cibo, dannati servi del Capitale!) volevo fare qualcosa che riunisse entrambi questi elementi.
Ergo oggi parliamo di Hannibal Lecter.
Hannibal
Hannibal Lecter appare per la prima volta nel 1981, nelle pagine del libro di Thomas Harris, Red Dragon. Per i quattro disgraziati che non conoscono questo personaggio, Lecter è uno psichiatra e serial killer cannibale, protagonista di una serie di romanzi prima e di film dopo.
La performance di Hopkins nei film Silence of the Lambs, Hannibal e Red Dragon è ormai iconica e il nostro dottore lituano è diventato il serial killer fittizio più famoso al mondo.
Purtroppo la popolarità del personaggio ha subito una leggera inflessione dopo l’ultimo film, Hannibal rising, del 2007. Hannibal rising è stato un fiasco tombale, sbeffeggiato dai critici e disprezzato da un’ampia fetta degli spettatori, al punto che fu nominato in ben due categorie per i Golden Raspberry Awards (Peggior prequel/sequel e Peggior scusa per un film horror). Non li ha vinti, but still.
5 anni dopo questa musata cinematografica, il nostro gourmet preferito è stato ritirato fuori dal cilindro da Bryan Fuller, per una nuova serie su NBC.
It’s nice to have an old friend for dinner (cit.)
La creazione di Fuller prende numerose libertà nella trama e nel cast. Per cominciare, la storia si svolge nello stesso periodo della serie TV (2013-2015). Hannibal non è più un orfano della Seconda Guerra Mondiale, ma un uomo nel fiore degli anni, psichiatra di Baltimora e occasionale collaboratore dell’FBI.
Questo non è l’unico cambiamento: il personaggio di Will Graham viene presentato sotto una luce originale, con un profilo più vulnerabile e torturato di come lo abbiamo visto in Red Dragon o anche in Manhunter.
Altri personaggi hanno subito cambiamenti ancora più radicali: il capo di Will, Jack Crawford, è interpretato da Lurence Fishburne invece che da un attore bianco; il personaggio dello psichiatra Alan Bloom diventa Alana Bloom, una donna, ecc.
Di solito guardo questo genere di “swap” con una certa dose di diffidenza. Non sono opposta all’idea: ho visto una versione di Much ado about nothing in cui il Principe era recitato (benissimo) da un attore nero, e la cosa non strideva per nulla. Tuttavia è pur vero che spesso questa pratica è usata per puro gusto dell'”edgy” e per mascherare l’assenza di idee originali.
Non è il caso di questa serie: il cast si sposa benissimo con la nuova versione dei personaggi e i cambiamenti non sono fatti per coprire la pigrizia del copione.
Hugh Dancy riprende il ruolo di Will Graham, un professionista brillante e dotato di una potente capacità immaginativa e empatica. In questa versione, la storia esplora più in dettaglio il conflitto di Will. Lo vediamo in azione sul campo e lo vediamo a casa, circondato dai suoi cani. La brutalità del suo lavoro e la fragilità delicata della sua vita privata offrono un contrasto che dà profondità a un personaggio che altrimenti, come dice Dancy stesso, “sarebbe giusto uno stronzo”. Dancy riesce peraltro a rendere molto bene lo stato precario in cui si trova il protagonista, costantemente in bilico tra sanità mentale e collasso nervoso.
Mads Mikkelsen interpreta la nuova versione di Hannibal, e a parer mio è l’attore perfetto per la parte. La strana fisionomia di Mikkelsen gli permette di apparire a tratti charming e divertente, compassato e cortese, a tratti del tutto privo di umanità, distante e minaccioso. Seguendo la serie, non è difficile capire come riesca a ingannare il resto del monto e nascondere il mostro che è in realtà.
I Comprimari sono pure ben tratteggiati. Fishburne in particolare rende benissimo il personaggio di un poliziotto competente e completamente devoto alla causa, con tutto ciò che ne deriva. Se da una parte Crawford è motivato dalla necessità di proteggere innocenti, dall’altra la sua assoluta dedizione lo spinge a sacrificare la sanità mentale di Will Graham come “male necessario”. Pur essendo un personaggio positivo, lavorare con lui può significare “fare un patto col diavolo”.
Non è l’unico a presentare un buon mix tra pregi e difetti. L’approfondimento psicologico è di solito molto curato.
Difatti uno dei punti positivi della trama, in particolare della prima serie, è l’equilibrio che Fuller è riuscito a creare tra l’Antagonista e il resto dei comprimari. Hannibal è un mostro geniale, uno “psicopatico perfetto”, ma le sue vittorie non sono mai regalate: Crawford e il suo team non sono degli incompetenti, al contrario, sono presentati come gente scelta e capace. E’ solo grazie a sforzi calcolati che Hannibal riesce a raggirarli.
Nelle visioni di Will, Hannibal appare come Wendigo, un mostro predatore che un tempo era uomo e che è mutato dopo aver consumato carne umana.
Il centro della serie è lo svilupparsi e l’evolvere dell’amicizia patologica tra Will Graham e Hannibal Lecter. Grazie alla sua straordinaria empatia, Will è in grado di comprendere gli assassini, capire il loro punto di vista, e questo affascina Lecter. La curiosità iniziale del nostro diventa pian piano un’ossessione: Will è l’unico capace di comprendere davvero la sua visione. Perfino Hannibal può sentirsi solo, nella sua fornitissima cucina.
Ci sono scene consacrate interamente all’approfondimento di questo aspetto, con Will e Hannibal soli nello studio, immersi in conversazione. Sono gestite molto bene (non troppo lunghe, non troppo corte) e scritte con cura.
Al di là dei personaggi, un aspetto preponderante della serie è lo stile. La serie è molto bella da vedere. Come lo dice lo stesso Fuller, Hannibal non è una storia realistica, non vuole esserlo. Tante altre serie esplorano trame verosimili e autentiche procedure di polizia. Fuller non voleva l’ennesimo thriller, voleva qualcosa di diverso. La serie che ne risulta ha elementi indubbiamente realistici, ma sconfina spesso nell’onirico, talvolta nel grottesco. Fuller stesso spiega che, per lui, Hannibal è da interpretare come “a very, very, very dark commedy”, a tratti una tragedia farsesca.
Sganasciamoci!
L’estetica della serie è barocca e fantasiosa, con uno sfacciato gusto del macabro. Tra totem di arti umani, montage di haute cuisine a base di gente, tizi trasformati in aiuole viventi, spesso pare che la direttiva principale fosse: “questi sono dei pezzi di cadavere, come possiamo farci qualcosa di esteticamente bello e originale?”
E io non mi lamento: spesso sono opere molto belle! Capisco però che questo genere di estetica macabra non piaccia a tutti, o che qualcuno possa trovarla gratuita ed esibizionista.
D’altro canto, c’è una ragione precisa per cui Fuller insiste su questo aspetto fino a renderlo caricaturale: la serie deve divertire. Non deve essere una cruda storia realista, non deve essere deprimente, deve essere interessante, noir, divertente, surreale.
Un esempio di questa logica ci viene spiegato in un’intervista: nelle varie stagioni (di certo non parche in violenza) non ci sono scene di stupro. Perché? Perché lo stupro non è divertente.
E l’omicidio allora?
Nemmeno l’omicidio, ma se il corpo della vittima viene trasformato in una farfalla di carne, allora smette di essere verosimile. Non è più realista, è spettacolo, uno spettacolo che Graham stesso definisce “kabuki”: è esagerato, barocco, raffinato.
Non puoi sorridere di una moglie picchiata e stuprata dal marito. Un cadavere trasformato in un violoncello umano invece è grottesco, artistico, fuori dalla realtà, e quindi può essere divertente.
Niente è più romantico di un mazzo di fiori
Per quel che riguarda la storia e le sotto-trame, abbiamo tre serie da 13 episodi ognuna: la prima introduce i personaggi e l’inizio dell’indagine sugli omicidi di Hannibal (conosciuto come Chesapeake Ripper). La seconda è liberamente ispirata dalle vicende del romanzo (e film ) Hannibal, con i fatti ambientati in Europa (Parigi, Lituania, Firenze), e infine la terza racconta la storia di Red Dragon, con Richard Armitage nei panni di Francis Dolarhyde (fa push-ups a testa in giù, le signore apprezzano).
“Ora tutti ti conoscono come ‘il tizio che ha fatto Thorin'”.
“No…”
“Lo Hobbit è il franchise più famoso che hai fatto.”
“No, smettila!”
“Tre film dove stai conciato come il lovechild di un rastafariano e uno Sherman.”
“Raaaaah!”
Detta così queste serie sembrano fighe fighissime!
Errr… circa.
Cominciamo col dire che a qualcuno non piaceranno, a prescindere dalla qualità. Lo stile è molto pervasivo, spesso artsy e pretenzioso. Per la maggior parte del tempo serve la storia, ma certe immagini paiono essere lì solo perché “è figo attaccare una scena in questo modo”. Questo può essere un problema, e può dare molto fastidio a certi spettatori. Personalmente, ero disposta a perdonare questi momenti di narcisismo spicciolo per amor del resto (trasformano la testa di un tizio in un’arnia, io approvo!).
Inoltre non tutti gli episodi e non tutte le serie sono allo stesso livello. La prima stagione in particolare è molto curata. Ci sono licenze artistiche, momenti inverosimili (specie nella posizione dei corpi delle vittime), ma non troviamo veri e propri buchi di trama. Nella terza sì, ed è un peccato.
Seconda e terza hanno anche altri problemi, con alcuni personaggi poco approfonditi o francamente inutili. Una tizia in particolare, che non voglio spoilerare, potrebbe essere tagliata dalla storia senza rimpianti. Questo è un grosso problema: siccome ci rendiamo conto presto che costei non va a parare da nessuna parte, sappiamo che le scene con lei sono delle perdite di tempo. L’unica cosa che redime in minima parte questo subplot del tutto superfluo è, di nuovo, l’estetica di uno degli omicidi.
Un’altra magagna è l’antagonista della seconda stagione, il malvagio Mason Verger: è caricaturale perfino per una commedia. Il tizio beve le lacrime dei bambini. Eddai Fuller, checcazzo!
C’è poi una presenza sempre più prepotente del fanservice.
Come detto, il soggetto principale dell’intera faccenda è il rapporto tra Will e Hannibal. Ora, per quanto a me piacciano storie di bromance o anche dichiaratamente omosessuali, a tratti il copione è un po’ troppo palese. Non che ci siano scene davvero ridicole, sia chiaro! Niente momenti stile anime con Will vestito da principessa o cagate del genere. Però a volte il concetto viene martellato in modo un pelo troppo palese. E non ce n’è bisogno: l’evolvere dei due personaggi è tracciato molto bene per la stragrande maggioranza della storia, abbiamo capito!
Peraltro, santo fanservice, abbiamo la bromance per le signorine e lo yuri per i signori. Parità di fantasia erotica, per Giove!
Infine, la seconda serie ha un ultimo grosso difetto a parer mio: tira in ballo il Mostro di Firenze.
Ora, io non sono tipo da triggerarmi aggratis, ma trovo di pessimo gusto usare un fatto di cronaca autentico in una storia del genere. Sarebbe bastato cambiare appena il nome (magari invece che “il Mostro” chiamarlo “la Bestia”? O “Cicci il Mostro di Scandicci”, tipo). Ispirazione e riferimenti vanno benissimo, ma scopiazzare pari-pari il nome è pigro, e la pigrizia mi sta sulle scatole.
Riassumendo
La trama, per la maggior parte |
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Il cast |
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Immagine e fotografia |
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La maggioranza dei personaggi sono memorabili, interessanti e ben scritti |
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I montage di cucina! Altro che Gordn Ramsay, dateci un programma su come fare gli ossi buchi di postino! |
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Atmosfera e ritmo |
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Buchi di trama, specie nella seconda/terza stagione |
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Alcuni personaggi inutili |
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Lasciate stare Cicci di Scandicci, per cortesia |
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La serie è stata apprezzata dalla critica, vincendo diversi premi, ma non ha avuto un gran successo di pubblico, il che ha portato alla morte del progetto dopo la terza stagione. Nell’insieme, non mi sentirei di definirlo un prodotto davvero eccelso, ma ha elementi interessanti e molto positivi. Non annoia, è divertente.
Tuttavia lo stile prepotente lo rende molto soggetto ai gusti. I personaggi sono ben costruiti e la scrittura è davvero buona, ma se non piace lo stile sarà impossibile approfittarne. Personalmente, l’estetica sfacciata e barocca mi è piaciuta molto, e anche nel peggiore episodio ho trovato qualcosa di interessante da apprezzare.
Infine, non credevo che fosse possibile eguagliare la performance di Hopkins per il personaggio di Hannibal, ma Mads Mikkelsen è davvero perfetto per il ruolo! Con la sua faccia da alieno e il suo accento bizzarro, riesce a dare un’interpretazione che vale davvero la pena vedere!
Consigliata, nonostante i difetti.
Scene dalla prima, seconda e terza stagione.