Storie che precorrono i tempi: Gaslight

Contrariamente a quanto si possa pensare, la Tenger non è stata arrestata per traffico illecito di foto di gatti, si è solo trovata imburbata in un ginepraio di grane di cui 65% legate all’Obsolescenza Programmata degli anziani del clan.

Per celebrare le fine di questo intervallo di grane, ho deciso di parlare di un argomento leggero e piacevole: la tortura psicologica.

Oggi parliamo di Gaslight.

gaslight!

Public Service Announcement: gaslighting

In molti avrete sentito questo termine buttato in giro: gaslighting. La American Dialect Society lo aveva selezionato come “Most Useful/Likely to Succeed” come parola dell’anno per il 2016.

In fin dei conti vinse “dumpster fire” (lol), ma è vero che gaslighting è diventato molto popolare da quando Trump è al governo (incredibile, lo so).

Trumpismo a parte, gaslighting è comunemente usato per descrivere situazioni di maltrattamento coniugale, sette religiose e propaganda politica per mentecatti.

Il termine gaslighting indica una serie di comportamenti che mirano a invalidare e demolire la percezione della realtà dell’interlocutore, i suoi sentimenti e i suoi limiti.

In un articolo del 22 gennaio di quest’anno, Psychology Today elenca 11 segni allarmanti associabili con il galighting: tra questi spicca mentire in modo sfacciato, negare l’evidenza, l’uso del ricatto affettivo come arma, una discrepanza marcata tra le parole e le azioni…

“Lo sai che ti amo tantissimo e voglio solo proteggerti, non ho mai detto che non mi fido di te, e non è vero che ti ho dato della puttana, pensa a come ci resterebbero i bambini se dovesse succederti qualcosa, e hai considerato come mi sento io quando vai fuori vestita così? TORNA QUI, MALEDETTA PUTTANA!”

Insomma, ci siamo capiti.

A tutti è successo di essere vittime di una o più di queste tecniche, nell’intimità della propria famiglia, in ufficio o in pubblico. Chi si ricorda quel momento magico in cui Kellyann Conway, consigliere della Casa Bianca, coniò il termine alternative facts?

Il termine comincia a essere usato in Psicologia negli anni ’60: nel 1969 Barton e Whitehead lo usano per descrivere dei casi in cui tecniche del genere sono state impiegate per ottenere che un parente molesto fosse diagnosticato matto e rinchiuso.

In realtà già negli anni ’50 questo tipo di rapporto patologico interessava i ricercatori. Nel 1954 Revitch parla di “paranoia coniugale”, ovvero un fenomeno in cui nella coppia l’individuo con sintomi ansiosi è quello sano e il vero malato è quello che pare del tutto asintomatico.

Nel1955 Arieti si preoccupò di studiare i meccanismi perversi attraverso cui un soggetto patologico riesce a “far impazzire il partner”, in particolare creando situazioni tali da scatenare stati psicotici in qualcuno di sano mentre la persona veramente malata (all’origine della situazione) non mostra alcun segno di psicosi.

Il gaslighting richiede 2 soggetti: chi lo pratica, e una vittima suscettibile (per qualsivoglia ragione) di interiorizzare ciò che il gaslighter proietta su di loro. In “The Gaslighting Syndrome”, comparso nel Canadian Journal of Psychiatry nel 1982, Kutcher afferma che caratteristiche essenziali per questo fenomeno in seno a una coppia sono: una relazione sadomasochistica tra i coniugi, gelosie sessuali e un tentativo deliberato, da parte del partner aggressivo, di porre fine alla relazione facendo ricoverare il congiunto.

Come sottolineato da Sweet in “The Sociology of Gaslighting”, uscito l’anno scorso nell’American Sociological Review, il gaslighting non ha solo una dimensione psicologica, ma sfrutta il contesto culturale e sociale contingente, come ad esempio un’associazione culturalmente radicata tra femminilità e irrazionalità. Certi contesti si prestano più di altri a questo tipo di tortura psicologica.

E’ però interessante notare che il termine non nasce nel contesto della medicina psichiatrica.

“Gaslight” o “Gaslighting treatment” era un’espressione gergale in America già negli anni ’50, comparendo per la prima volta in televisione in un episodio di The Burns Allen Show del 1952

Ma da dove viene il termine?

La risposta più succinta è: da un teatro londinese. Ma andiamo con ordine.

Gaslighting: What You Need to Know – HAWC

E’ il 1944, e sul grande schermo esce Gaslight, un film gotico di ambientazione vittoriana, protagonista la giovane Paula (Ingrid Bergman) e il suo esotico e misterioso marito Gregory (Charles Boyer).

Il gotico è un genere che nasce nel romanzo nel XVIII° e resta particolarmente popolare per più di duecento anni, specie tra le donne. E’ generalmente caratterizzato da una protagonista femminile che si trova confinata in una magione, attorniata da minacce misteriose, di solito associate in qualche modo alla sfera sessuale.

Tra 1940 e 1948 il cinema americano produce una notevole sventagliata di filmoni gotici, da Rebecca (1940) a Sleep My Love (1948). Le storie di questo tipo hanno spesso elementi ricorrenti: una protagonista giovane e innocente incontra un uomo affascinante, misterioso (spesso più anziano), per cui prova attrazione e timore. Dopo un breve ed appassionato corteggiamento, la pollastra sposta il Bello Misterioso e i due rifluiscono in una Casa Gigante e Antica legata in qualche modo al passato o al lignaggio di uno dei due. Lei si trova quindi smarrita e imprigionata nel palazzo, dove si manifestano fatti sempre più strani e inquietanti, che la portano prima a dubitare dell’amore del Bello Misterioso, e poi a chiedersi se il tizio non voglia farla fuori.

Rebecca (1940) | Rhyme and Reason
-In che storia siamo?
-Una dove la fanciulla giovane e naive sposa il bello ricco e misterioso. incontrato ieri

-Voglio scendere!

Il fatto che gli anni ’40 conoscano un revival di questo genere di esplorazione freudiana del sesso non deve sorprendere: questi film tendono a essere popolari presso le donne, e durante la guerra le donne diventano un pubblico pagante moto importante per l’industria.

Non solo: il gotico ha spesso un potenziale sovversivo non indifferente. Il genere è stato spesso interpretato come un’allegoria della donna che, trovandosi stretta nel suo ruolo tradizionale di mogliettina ingenua e obbediente, cerca di liberarsi dal controllo del marito-padrone (letteralmente la donna imprigionata in una casa antica e cadente).

Negli anni ’40, molte donne si trovano a dover abbandonare quello che era considerato il loro ruolo tradizionale di casalinghe, finiscono in fabbrica, finiscono nell’esercito. Come era già accaduto durante la Prima Guerra Mondiale, si apre un periodo di transizione in cui i ruoli sociali sono rimessi in discussione e molte si ritrovano a svolgere mestieri considerati fino ad allora prettamente maschili.

A questo proposito consiglio un video del mio divulgatore preferito, Indy Neidell.

La situazione evolve bruscamente quando, finita la guerra, centinaia di migliaia di donne si trovano ricacciate a pedate nei loro vecchi ruoli, cosa che lascia molte confuse, insoddisfatte, e con la netta sensazione di essersi fatte fregare.

Non solo: subito prima dell’entrata in guerra gli Stati Uniti avevano registrato un boom senza precedenti di matrimoni affrettati. E ora che Johnny torna dalla guerra bello spettinato dallo shellshock e pieno di malattie veneree fino agli occhi, arriva il boom dei divorzi e delle separazioni. Pure questo ha contribuito al successo del motivo dello “sposare uno sconosciuto e trovarsi imprigionata in una situazione orribile” così comune nel gotico.

In generale, il gotico parla di una donna che si trova in una situazione nuova e potenzialmente pericolosa che non sa bene come interpretare. La sua percezione del mondo è valida? I suoi sospetti sono giustificati? O è solo una fanciulla confusa (e un po’ frigida) che semplicemente non capisce?

Il famoso ma sono io che sbaglio?

Un sentimento che doveva accomunare molte donne in quel decennio.

Nei film gotici di inizio decennio, i sospetti di lei si avverano di solito errati, come in Rebecca (1940) o in Suspicion (1941). No, il marito non la odia/non sta cercando di ucciderla, è lei che ha frainteso. Il lieto fine viene quindi concesso a un prezzo: l’invalidazione dell’esperienza della protagonista. Il nemico non è mai stato il marito (anche se magari questi compie atti oggettivamente aberranti durante il film): il nemico sono le insicurezze che offuscano la testolina innocente di lei. Il film è visto dal punto di vista di lei, ma, per nostra fortuna, c’è un personaggio maschile (il marito), che ha la capacità di correggere i vizi nella percezione di lei e svelare l’inghippo.

La cosa interessante è che nel contesto culturale dell’America del 1941, non proprio il picco del femminismo, molti spettatori non apprezzano questo tipo di twist. Probabilmente essendo stati portati a vedere il mondo dal punto di vista di lei, la facile risposta “no, va tutto bene, sei tu che sei insicura e non capisci” non poteva essere soddisfacente. In altre parole, gli sceneggiatori facevano del gaslighting nei confronti del pubblico, e ciò non è mai soddisfacente.

Nel 1941 ancora non esisteva una parola per descrivere questo ribaltamento arbitrario della realtà, ma Hollywood percepisce presto che una fetta del pubblico pagante non è contento. Nei film di durante e dopo la guerra, la struttura del film cambia, si risolve con una validazione dell’esperienza di lei. Sia in Shadow of a Doubt (1943) che in Sleep, My Love (1948) i sospetti di lei sono più che fondati.

Fino a Rebecca il Bello Misterioso, l’Eroe “Byroniano”, è qualcuno che sotto gli spigoli ama teneramente l’eroina (lei è troppo immatura per rendersene conto, poverella). Ma con la guerra la musica cambia.

Il comportamento rude e paternalistico, segno di affetto e di mascolinità fino al 1941, cessa di essere considerato tale. Non è un tratto mascolino, è un campanello di allarme che suggerisce gravi turbe nel personaggio maschile.

In questa seconda fase i mariti sono predatori che stanno deliberatamente demolendo la sanità mentale delle mogli, distruggendo la loro fiducia in loro stesse e nel proprio giudizio. Non solo: spesso in questi film il marito sfrutta il vantaggio sociale ed economico offertogli dal contesto per imprigionare e maltrattare la moglie, aggiungendo una sottile critica politica.

Hitchock Pitches 'Curve Balls' During Film Festival | WGLT
-Credimi, sono una brava persona!
-Uh oh, nice guy alert…

Ma non crediate: questi film sono comunque tirati fuori da Hollywood, e il messaggio potenzialmente sovversivo del gotico viene ovviamente stemperato e smorzato: è sempre un personaggio maschile a confermare l’esperienza dell’eroina, a confermare che i suoi sospetti sono legittimi. Come si accennava in questo articolo, alla fine la narrativa dominante è comunque la narrativa della classe dominante.

Nei film americani spesso questo deuteragonista positivo è giovane e figo e con un interesse romantico più o meno credibile verso la protagonista. Il messaggio implicito è che il sistema patriarcale in cui si svolge la storia (che pure ha permesso al cattivo di angariare la protagonista per due ore di film) non ha niente che non va, è lei che ha scelto male il marito. Al secondo giro andrà tutto certamente meglio. Si capisce che questo nuovo arrivato è più gentile, che sarà comunque il partner dominante (ovvio!), ma che sarà meno tirannico e autoritario dell’altro.

Ti senti oppressa da una società patriarcale? Prova il Patriarcato-light!

La versione americana di Gaslight si situa perfettamente in questa vena.

Le origini

Gas Light - Wikipedia

Gas Light nasce il 5 dicembre 1938 nel Richmond Theater di Londra: si tratta di un thriller in tre atti ambientato nel 1880, frutto della penna di Patrick Hamilton.

Hamilton, commediografo e romanziere, è anche l’autore della pièce originale Rope (1929), adattata da Alfred Hitchcock nel 1948 e già citata da questo blog in riferimento alla tecnica della finta scena-continua, perfezionata in modo straordinario nel recente 1917.

Nella pièce, Bella è la moglie infelice e nervosa di Jack Manningham, un marito tirannico, distante e infedele che non perde mai occasione di bistrattare la moglie e i suoi bizzarri comportamenti. Comportamenti di cui Bella non ha assolutamente memoria, ma che Jack insiste essere frequenti e molesti.

Ogni notte, Jack esce senza offrire troppe spiegazioni. Bella nota che durante l’assenza del marito, le luci a gas della casa baluginano in modo inconsueto, ma Jack è categorico: non c’è nessuna anomalia nell’impianto, Bella vede roba che non esiste, Bella sta diventando pazza ed è ormai una un fardello senza valore sulle sue spalle.

La crudeltà di Jack è resa efficace non solo dal contesto storico e sociale in cui si svolge il dramma (in quanto moglie, Bella è letteralmente alla mercé di suo marito), ma fa leva sulle debolezze e il trauma pregresso di Bella: la madre di lei è impazzita, e Bella teme di finire nella stessa maniera. Un timore che Jack conosce e sfrutta senza ritegno.

Gas Lighting in the Victorian Age | Ringling House Bed and Breakfast
Luce a gas in casa: in miglior modo per leggere la sera o morire avvelenati nella notte!

Bella comincia a credere di star davvero impazzendo, quando si presenta alla porta un poliziotto: Rough, lo sbirro, le racconta che la casa dove abita era una volta la residenza di una ricca donna di nome Barlow, assassinata da qualcuno che certamente cercava i suoi famosi e preziosi gioielli. Né l’assassino né i gioielli sono mai stati trovati, ma Rough ha il forte sospetto che Jack sia legato a questo vecchio crimine.

La pièce ha successo, e arriva trionfante in America col nome di Angel Street, dove per 3 anni di fila è ripetuta a Broadway, recitata da niente meno di Judith Evelyn (Rear window, 1954; Giant, 1956) e il leggendario Vincent Price (A Royal Scandal, 1945, Abbott and Costello Meet Frankenstein, 1948, House of Wax, 1953, House of Usher, 1960… insomma, una frana di film, molti horror, è Vincent Price, Rattigan in The Great Mouse Detective, sapete chi è!).

Making the Unbelievable Believable: Vincent Price on Playing the Villain,  Elizabethtown, KY, 1980 | Seeker of Truth
Vincent Price e Judith Evelyn

Visto che era andata così bene a teatro, gli inglesi decidono di adattarla per il cinema.

Il primo film

Gaslight (1940) - IMDb

Nel 1940 Gaslight esce in sala sotto la direzione del prominente regista Thorold Dickinson (alcuni lo conosceranno per The Queen of Spades, 1948). Nel ruolo dei due personaggi principali abbiamo Anton Walbrook (Victor and Victoria, 1933, The Life and Death of Colonel Blimp, 1943, The Queen of Spades, 1948, I Accuse!, 1958) e Diana Wynyard (On the Night of the Fire, 1939, Kipps, 1941).

Entrambi sono già attori famosi nel 1940. Walbrook è di origini austriache, e questo viene inserito nel film, dove il marito, ora chiamato Paul Mallen, parla con un indefinibile accento e ha misteriose origini forestiere. E’ ormai cominciata la Seconda Guerra Mondiale, e sia nel film originale che nel remake americano il cattivo diventa uno straniero, un continentale.

Gaslight (1940 and 1944) | Movie classics
“I fart in your general direction!”

L’originale inglese segue molto da vicino la pièce teatrale. Ms. Boyer è una ricca zitella. Tra i suoi vari beni, un pugno di rubini che da soli valgono migliaia e migliaia di sterline.

Una notte, un ladro aggredisce Ms. Boyer e la uccide, ma, pur mettendo a soqquadro la casa, è chiaro che non riesce a trovare i rubini. Sconfitto, l’assassino strappa al cadavere un medaglione e fugge.

Anni dopo, il detective Rough esce di messa in Angel Street, accanto alla casa del crimine, e nota che la villa è di nuovo abitata. I nuovi inquilini sono un uomo dall’aria familiare e la moglie, una donna dallo sguardo nervoso, infelice e sfuggente. Rough era nella squadra che per prima investigò l’omicidio in Angel Street, e il delitto irrisolto gli è sempre rimasto di traverso, anche perché Rough aveva un sospetto: il nipote della vittima. Purtroppo l’indagine si era conclusa in un nulla di fatto.

I nuovi arrivati però risvegliano la vecchia ossessione di Rough, che decide di ficcanasare con discrezione.

Viene presto a sapere che si tratta effettivamente di una coppia sposata: Bella e Paul Mallen, e che lei, a detta della serva, è un po’ pazza. Si dimentica cose, è cleptomane, nasconde oggetti a caso per poi scordarsi dove li ha messi…

Molto presto scopriamo che in realtà Paul Mallen sta attivamente minando la salute mentale di sua moglie. E’ Paul che nasconde gli oggetti, ed è Paul che alza la voce, si mostra ferito e offeso quando lei protesta la propria innocenza, è Paul che relega la moglie in casa e la isola dalla famiglia, perfino dal cagnolino di lei, l’unica creatura che le è rimasta come compagnia.

Nel suo pezzo “Two or three things I know about Gaslight”, Sarris afferma che i personaggi della pièce e del film non sono veri e propri personaggi quanto “tipi”: la mogliettina virtuosa e vittima, il marito malvagio, la cameriera zoccola…

In realtà i profili psicologici di Bella e Paul sono estremamente raffinati, e corrispondono alle caratteristiche descritte dalla psicologia 30 anni dopo il film.

Bella è cresciuta in un contesto estremamente patriarcale. Capiamo che è orfana e che è cresciuta con dei cugini, cosa che può averla resa particolarmente vulnerabile al love-bombing di un abile manipolatore. Sappiamo che ha sposato Paul nonostante i suoi cugini disapprovassero, e che si è trovata gradualmente isolata e allontanata da amici e parenti. Sola e lontana da ogni altro contatto umano che non sia il marito, Bella esita perfino a comparire a una finestra, per paura di indispettire Paul, da cui ormai è del tutto dipendente (economicamente ma anche emotivamente). L’unico suo affetto è ormai un cagnolino, ma pure questo non va bene, e Paul le vieta di tenerlo in carte stanze, spesso con la velata minaccia di sbarazzarsene proprio.

Bella non crede di essere pazza, Bella sa di non aver nascosto oggetti, ma non ha altri riferimenti che Paul. Rinchiusa in casa, privata di ogni possibile contatto umano, Bella gradualmente deperisce.

Il personaggio di Paul è uno dei migliori antagonisti che mi sia capitato di vedere in un melodramma.

Paul è freddo e calcolatore, ma assolutamente capace di apparire affezionato e gioviale. Paul alterna la tortura psicologica a momenti di apparente tenerezza e attenzioni. Paul scherza, sorride, suona il pianoforte per sua moglie, e per un attimo possiamo capire come Bella si sia innamorata di lui. E’ bello, sicuro di sé, protettivo, sagace.

Ma non è che una strategia, volta a rinforzare la dipendenza psicologica di sua moglie. Da un momento all’altro, Paul cambia. Umilia Bella flirtando apertamente con la cameriera, la accusa di essere una cleptomane, mente spudoratamente e nega di aver mentito anche davanti all’evidenza, torreggia su Bella, la minaccia, ma soprattutto la incolpa. E’ colpa di Bella se il loro matrimonio non funziona, è colpa di Bella se lui si arrabbia, è Bella che lo costringe a prendere certi provvedimenti.

In un passaggio particolarmente angoscioso, Bella supplica il marito di permetterle di andare a trovare i cugini. Paul ovviamente è irremovibile, ma per consolarla le propone di uscire. E’ qualcosa che non fanno da tantissimo tempo, e che riempie Bella di gioia. Ma è subito chiaro che Paul non ha un momento di compassione, e che si tratta dell’ennesimo trucco.

Lo scopo di Paul è presto chiaro: far ricoverare Bella.

Come accennato, il contesto storico e culturale entra in gioco: quando il cugino di Bella si presenta alla porta, preoccupato per lei, Paul ha ogni diritto di impedire l’incontro, ed è precisamente ciò che fa. Bella sembra non avere scampo.

Il titolo del film, come quello della pièce originale, deriva dal baluginio dei lumi a gas. Nottetempo, Paul sgattaiola nell’attico della casa, dove è ammucchiata la roba della morta, e cerca i rubini. Questo provoca rumori di passi e una fluttuazione nella fiamma dei lumi, che Bella nota subito. Quando Bella prova a parlarne con Paul, Paul semplicemente nega e la tratta come una pazza.

Fuori dalla casa, Rough e la famiglia di Bella si organizzano per soccorrerla prima che il marito provochi troppi danni e prima che la faccia rinchiudere in un grullocomio.

Come si intuisce presto, Rough scopre che Paul è molto probabilmente il nipote e l’assassino di Ms Boyer e che è tornato con un nuovo nome per cercare i rubini.

In un’ultima scena, Bella ha l’occasione di prendere la sua rivalsa sul marito, ed è alla fine di questo momento culmine che i ruoli si ribaltano completamente. Appare finalmente chiaro che Paul non è solo una carogna, Paul è malato. E’ pazzo da legare. E’ sempre stato pazzo da legare, lo era quando ha strangolato Ms Boyer e lo era mentre torturava sua moglie.

Un pazzo che pur avendo sposato una bella donna innamorata, obbediente e ricca, è rimasto fissato in modo maniacale sui famosi rubini. Quando riesce a liberarsi, Paul non cerca di scappare o di aggredire Bella: Paul si getta sui rubini. La recitazione di Walbrook è eccellente in questo frangente e veicola in modo efficace la profonda malattia di Paul.

Il remake

Gaslight (1944) Official Trailer - Charles Boyer, Ingrid Bergman Movie HD -  YouTube

Il film non fu preso molto sul serio dalla critica, ma al pubblico piacque. Dopo il discreto successo della pièce a Broadway, i diritti per il film furono comprati dalla Metro-Golwyn-Mayer, che pretese la distruzione di tutte le copie esistenti dell’originale inglese. Altro che cancel culture!

Per nostra fortuna, la MGM non riuscì ad annientare l’originale, che restò praticamente introvabile fino agli anni ’70.

Nella versione americana, proiettata nel 1944, i personaggi sono ribattezzati Paula (Ingrid Bergman) e Gregory Anton (Charles Boyer). Ah, e la cameriera zoccola è interpretata da una giovane Angela Lansbury!

A Penchant for the Master: Angela Lansbury in Gaslight – Pale Writer
“Da grande voglio fare l’assassina seriale la romanziera di gialli”

Il regista a questo giro è il leggendario George Cukor, conosciuto in particolar modo per la maestria con cui riusciva a mettere in scena i personaggi femminili. Per molti si tratta di un vero e proprio “regista delle donne” (che non era un complimento ai tempi e lui non era proprio entusiasta di questo appellativo).

Di sicuro molti conosceranno almeno alcuni dei film di Cukor: Little Women (1933), fu il primo regista di Gone With the Wind (1939, poi rimpiazzato da Victor Fleming), My Fair Lady (1964), Love Among the Ruins (1975)…

Charles Boyer aveva già avuto una carriera degna di nota, tra cui alcuni classici come Break of Hearts (1935) o Hold Back the Dawn (1941), spesso nei panni dell’amante sensuale e vagamente esotico. Quanto a Ingrid Bergman, la nostra aveva pure all’attivo una serie di film notevoli, tra cui Dr Jekyll and Mr. Hyde (1941), Casablanca (1942) e For Whom the Bell Tolls (1943), per il quale era stata anche nominata come Miglior Attrice. Niente Oscar per la Bergman nel 1943, ma niente paura, arrivò nel 1944 proprio per il suo ruolo in Gaslight!

Il remake resta molto simile al film originale, ma cambia numerosi elementi di contorno che conferiscono un carattere molto diverso alla storia. Tanto per cominciare il film americano è più lungo di ben 30 minuti rispetto all’originale inglese. Nell’originale la storia comincia a un punto in cui Paul ha iniziato a maltrattare e isolare la moglie già da un po’. La manipolazione e il love-bombing sono insinuati, intuibili.

Il remake mostra invece l’inizio della relazione. Se da un lato non si sente la mancanza di questo preambolo nel film inglese, dall’altra questa parte del film americano è narrata in modo sottile ed elegante. Rispetto a quello inglese, il film americano ritarda moltissimo la rivelazione che Gregory non è una così brava persona. Allo stesso tempo gli indizi sono presenti sin dalle primissime scene.

All’inizio della loro relazione, Paula ha dei dubbi: tutti sta andando troppo velocemente. Decide quindi di prendersi una settimana di solitudine per riflettere a mente fredda se vuole davvero posare un uomo incontrato 15 giorni prima oppure no. Gregory sembra accettare questa pausa senza fare una piega, ma quando Paula arriva alla stazione di Como lui è già lì ad aspettarla. Un gesto apparentemente romantico, che Paula prende benissimo, ma che chiaramente viola un limite che lei aveva posto.

Anche dopo il matrimonio diventa presto chiaro che sotto la patina di premura e protezione, Gregory infantilizza e isola sua moglie. Presto, Gregory crea situazioni che causano grande ansia a Paula, ma da cui lei non può districarsi senza contravvenire alle norme sociali del contesto. E alla fine, manipola la conversazione finché non è Paula a chiedere scusa a lui.

L’originale inglese è estremamente circoscritto: a parte pochissime scene al commissariato, in una villa o in un cabaret, la quasi totalità della storia si svolge nella casa o nella piazzetta antistante. Il film americano invece si sbraca su numerose location diverse, da Venezia, alla Torre di Londra.

Uno dei cambiamenti più radicali è però il personaggio del detective: nell’originale Rough è un panciuto sbirro determinato a intervenire per una questione di giustizia e per soccorrere una donna che non conosce (e che non ha particolare intenzione di conoscere) ma che si trova nei guai fino al collo. Rough è disinteressato e umano.

Ma in America, per citare Hellzapoppin’!, ci vuole una storia d’amore eterosessuale e monogama, sennò Gesù piange. Quindi il vecchio Rough viene tosto sostituito dal giovane e cavalleresco Brian Cameron, detective anche lui, con una cotta molto improbabile per Paula (che ha visto di sfuggita una volta per la strada e con cui non ha mai parlato, ma bon, è la Bergman, un po’ si capisce).

La fine

Il film inglese si chiude a chiasmo con l’inizio: in una delle prime scene, Bella appare da dietro una finestra chiusa, per fare timidamente segno a un venditore di muffins. Alla fine, solo lei, suo cugino e Rough restano a casa. Rimasta sola con chi la ama e la rispetta, Bella apre le tende ed esce sul balcone, lasciando entrare la luce del giorno, sul suo viso un misto di sgomento e sollievo. Il suo matrimonio è finito, ma Bella non è sola, è libera di ricostruirsi.

Il film americano si chiude con Brian e Paula sul tetto della casa. Il cielo è buio e nuvoloso, ma Brian le assicura che l’alba si avvicina. Le chiede di poterle fare visita in futuro, e Paula accetta di buon grado. Il film si chiude con un bit comico da parte dell’impicciona del posto, che reagisce alla scena con pettegola sorpresa.

Come interpretare questo cambio radicale di fine?

Come nota Hagberg in Stanley Cavell on Aesthetic Understanding, la fine del film di Cukor può essere interpretata come positiva… o anche no. Hagberg nota che la scena ricorda moltissimo quella in cui Paula incontra Gregory alla stazione (anche in quel caso troviamo il personaggio comico dell’impicciona), e sottolinea che Brian, come Gregory, non conosce davvero Paula: sta proiettando su di lei una fantasia romantica del tutto infondata. L’implicazione sarebbe quindi che il pattern è destinato a ripetersi, perché la cultura e la società in seno a cui si è svolta la vicenda non sono cambiate, e si prestano quindi a una ripetizione del fenomeno. Paula non può davvero liberarsi dell’influenza di uomini che non la conoscono davvero: in un sistema ingiusto possono esistere solo cattive scelte.

A mio modesto parere si tratta invece di un finale positivo, almeno in principio. Paula si trova sì in un posto buio e solitario, ma Brian le promette la luce: compagnia, un nuovo inizio. L’apparire dell’impicciona potrebbe essere semplicemente un elemento comico che alleggerisce il tono drammatico delle ultime scene. La reazione positiva di Paula e la musica celebrativa che segue con i titoli di coda suggeriscono che Brian sarà un buon partner, il patriarca-light di cui si è parlato prima.

Personalmente preferisco la fine inglese per due ragioni:

1-E’ palese che l’ossessione di Gregory per i gioielli è morbosa e irrazionale. Si capisce che, tra lui e Paula, quello patologico è sempre stato lui. Ma Gregory resta comunque padrone di sé fino alla fine, al punto da razionalizzare la propria situazione fino all’ultimo: “tra noi due ci sono sempre stati qui gioielli”. Gregory non perde mai la sua compostezza.

Al contrario, nel finale inglese Paul si rivela essere un vero e proprio squilibrato. Appena rimasto solo con sua moglie, Paul non le chiede subito di liberarlo: le prime parole che pronuncia sono “i rubini”. Paul non è un delinquente affetto da una malsana ossessione: Paul è del tutto disconnesso dalla realtà.

La Psicanalisi ci dice in effetti che spesso, in casi di gaslighting, quando la vittima smette di essere ricettiva al trattamento, è il gaslighter (la persona davvero patologica nella coppia) che sviluppa sintomi. Uno di questi casi è proprio citato da Calef e Winshel nel loro articolo del 1981.

E’ straordinario constatare che la risoluzione di un film del 1940 sia così vicina alla teoria ufficiale della Psicoanalisi di 30 anni dopo!

2-Mentre l’intervento di Rough è disinteressato e motivato da uno slancio puramente altruistico, quello di Brian non lo è. Brian ha una cotta per Paula, ergo un interesse personale non indifferente. Non che ci sia niente di male con un personaggio che fa la cosa giusta per interesse personale, ma è una storia che ciccia fuori troppo spesso per i miei gusti, Preferisco di gran lunga una storia in cui il personaggio fa la cosa giusta perché è la cosa giusta.

Fine spoiler

Resta il fatto che i due film restano eccellenti e consiglio la visione di entrambi. Si tratta di storie che letteralmente precorrevano i tempi: questo tipo di manipolazione, così studiata a partire dagli anni ’60, viene perfettamente analizzata e mostrata.

Gaslight 1940

Recitazione Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.pngQuesta immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png
Analisi psicologica dei personaggiQuesta immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png 
SceneggiaturaQuesta immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png 
Narrazione densa e concisaQuesta immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png 
FinaleQuesta immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png 

Gaslight 1944

RecitazioneQuesta immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png 
Analisi psicologica dei personaggi Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png
Descrizione elegante della fase iniziale della relazione Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png
Sceneggiatura Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png
Narrazione più elaborata e dettagliata Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png
Brian Bad_grumpy
Scena clou subito prima del finale Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è good_grumpy.png

MUSICA!


Bibliografia e letture aggiuntive

Il fenomeno del gaslighting

BARTON Russell, WHITEHEAD J. A., « The gas-light phenomenon », The Lancet, 1969

CALEF Victor, WEINSHEL Edward M., « Some Clinical Consequences of Introjection: Gaslighting », The Psychoanalytic Quarterly, gennaio 1981

KUTCHER S.P., « The Gaslight Syndrome », The Canadian Journal of Psychiatry, 1982

SMITH C., SINANAN K., « The ‘Gaslight Phenomenon’ Reappears: A Modification of the Ganser Syndrome », British Journal of Psychiatry 1972

SWEET Paige L., « The sociology of Ghaslighting », American Sociological Review, 2019

YAGODA Ben, How old is gaslighting

11 segno di gaslighting: https://www.psychologytoday.com/us/blog/here-there-and-everywhere/201701/11-warning-signs-gaslighting

https://www.theringer.com/2017/2/21/16038252/the-origin-of-gaslight-the-buzzword-for-trumps-america-c1131a1afa2a

Il film

Gaslight 1940

CLARENS Carlos, « The Cukor Touch », Film Comment 19, no. 2, 1983

HAGBERG Garry L., Stanley Cavell on Aesthetic Understanding, Palgrave MacMillan, Harfield, 2018

LEITCH Thomas M., « Twice-Told Tales: The Rhetoric of the Remake », Literature/Film Quarterly 18, no. 3, 1990

ROSEN Marjorie, « How The Movies Have Made Women Smaller Than Life », Journal of the University Film Association 26, 1974

SARRIS Andrew, « Two or three things I know about Gaslight », Film Comment 12, no. 3, 1976

SUH Judy, « Women, Work, and Leisure in British Wartime Documentary Realism », Literature/Film Quarterly 40, no. 1, 2012

WALDMAN Diane, « “At Last I Can Tell It to Someone!”: Feminine Point of View and Subjectivity in the Gothic Romance Film of the 1940s », Cinema Journal 23, no. 2, 1984

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Horror vintage: Arsenico e Vecchi Merletti

L’autunno è arrivato a la Tenger è precipitata da un mese e mezzo in un tunnel di malanni e ospedali, ma la cicciopelosi non mi impedirà di scrivere per il blog. Perché il motto della Fortezza è Accanirsi Sempre.

Conto tenuto del periodo (e della difficoltà di mettere insieme un articolo storico decente), oggi  parleremo di uno dei film più belli di sempre: Arsenic and Old Lace, tradotto in italiano con Arsenico e Vecchi Merletti.

Un po’ di storia

La Seconda Guerra Mondiale sta riducendo l’Europa a un colossale mattatoio, gli americani entrano in guerra e migliaia di uomini e donne vengono risucchiati nel mastodontico sforzo bellico.

Tra costoro c’è anche il quarantaquattrenne Frank Capra. Il nostro si è arruolato dopo l’attacco a Pearl Harbour ed è impegnato in una serie di film di propaganda nota come Why we fight. Capra era già un mostro sacro di Hollywood a questo punto, con successi come It Happened at Night (1934), Mister Smith Goes to Washington (1939) o Meet John Doe (1941).

Si tratta di film importanti, con forte messaggio morale e investimento.

Capra era un fervente patriota, ma anche un uomo d’affari, e nel  ‘41 decide di ritagliare il tempo anche per una commediola facile e leggera, qualcosa con cui fare un po’ di quattrini veloci per mantenere la famiglia durante il suo servizio militare.

Opta per una commedia che sta sbancando a Broadway, Arsenic and Old Lace.

La pièce nasce dalla penna di Joseph Kesselring, figlio di immigrati come Capra. Nel ’35 Kesselring era già riuscito a piazzare una commedia a Broadway con There’s Wisdom in Women (1935), ma è Arsenic and Old Lace a garantirgli un vero successo.

Partita come dramma su una vecchia assassina che avvelena i propri pensionanti per soldi, la storia viene rimaneggiata per diventare una strepitosa commedia noir.

La pièce sbanca tra il 1941 e 1944, con 1444 spettacoli a Broadway e 1337 a Londra. Il successo attira l’attenzione dei fratelli Warner, che ne comprano i diritti. Gli scaltri produttori Howard Lindsay e Russel Crouse però pongono come condizione che nessun motion picture fosse rilasciato finché lo settacolo era à l’affiche.

Capra era più che deciso a essere il regista dietro l’adattazione cinematografica della pièce, ma la clausola sul rilascio rallentato era un problema. Capra avrebbe dovuto convincere Jack Warner a investire in un film che sarebbe poi finito in congelatore per anni!

Il nostro però non si scoraggia: l’adattamento è facile e la storia esilarante, è un’occasione troppo ghiotta per passarla.

Capra procede con tattica. Per cominciare si accaparra i servizi delle straordinarie attrici Jean Adair e Josephine Hull (lei potreste averla vista in Harvey (1950), un’altra commedia spassosissima). Poi riesce ad assicurarsi lo straordinario Cary Grant come attore protagonista, la cui sola presenza garantisce un successo di pubblico. Infine il nostro fa fare alla zitta una previsione di spesa. Filmando in una sola location e limitando i tempi di realizzazione a quattro settimane, Capra sperava di tagliare sul budget e investire tutto sugli attori, i veri pezzi forti del film.

Stando a The Lost One: A Life of Peter Lorre, l’incontro tra Capra e Jack Warner andò come segue:

“Non tirarmi dalla finestra finché non mi hai ascoltato.”

“Che diavolo c’è?”

“Volgio fare Arsenico e Vecchi Merletti.”

“Da quale finestra vuoi essere tirato?”

“No, no, ho tutto pronto. Ho il cast, la star, il set, il budget, tutto è pronto!”

“Lo sai che non posso fare il film.”

“Hai me per far il film. Che è un bene. E ho tutto pronto e ti farò un film della Madonna e questo è un bene!”

“Oh, figlio di puttana, hai tutto pronto, potresti cominciare domani, vero?”

“Sì, posso!”

Al cast di fenomeni viene aggiunto Peter Lorre nel ruolo di Dottor Einstein. Alcuni lo riconosceranno come l’antagonista in M (1931) o lo smerciatore di esseri umani in Casablanca (1942). Lorre, che in questi film e in quello di Capra brilla nel ruolo di tedesco viscido, era un ebreo ungherese esule in America e aveva già lavorato con Coppola quando questi era al soldo della Columbia.

I nostri filmano dal 20 ottobre al 16 dicembre 1941. Capra lascia briglia sciolta ai suoi attori, senza accanirsi sull’attinenza al copione. Dopotutto era un cast col botto e tutti si scatenarono sul set ridotto che avevano a disposizione. In definitiva, la realizzazione finì con un giorno di ritardo, ma più di 99.000$ al di sotto del budget previsto di 1.220.000$.

Come da accordo, la prima dovette aspettare fino al 1944, proprio nel clou infernale della realizzazione della serie Why We Fight.

La brevità del progetto e il suo rilascio tardivo, nonché l’assenza dei tipici temi affrontati da Capra, portò i critici a snobbare il film. In realtà Arsenic and Old Lace ha più livelli di lettura, come spesso i film di Capra. Ad ogni modo fu un successo di popolo e si avverò lucrativo per tutti (tranne che per Capra stesso).

Ed ebbe un successo grandioso perché il film è assolutamente delizioso.

Il Film

Mortimer con zia Abby e zia Martha

Mortimer Brewster (Cary Grant) è uno critico teatrale che rinuncia alla propria carriera di “attivista antimatrimoniale” per convolare a nozze con Elaine, la figlia del pastore vicino di casa. Prima di fuggire in viaggio di nozze, i due piccioncini saltano su un taxi e passano da casa. Mentre Elaine corre a fare le valige, Mortimer ne approfitta per salutare le due adorabili ziette che lo hanno allevato dopo la morte dei genitori.

Capiamo presto che Mortimer, rimasto orfano in tenera età, è stato rallevato con amorevole cura da Abby e Martha, due sorelle rimaste zitelle e due vecchine dolci come lo zucchero. Le “signorine”, come pretendono di essere chiamate, sono persone un po’ all’antica, molto devote e molto impegnate in opere di bene. Aiutare i bisognosi è la loro grande vocazione. Tra le loro varie iniziative, c’è quella di prendere uomini in difficoltà come affittuari, per un prezzo simbolico, di modo da offrir loro un tetto e un riparo.  Le due si prendono anche cura di Teddy, il fratello picchiatello di Mortimer, un matto pittoresco ma innocuo, convinto di essere Teodoro Roosvelt.

Il presidente Teddy

Le nostre sono deliziate dalla notizia delle nozze di Mortimer e organizzano un impromptu té con torta. Mentre sono in cucina, Mortimer approfitta della visita per cercare il suo ultimo manoscritto.

Il nostro fruga in giro, apre una cassapanca e trova un cadavere.

Oibò

Un uomo, morto mortissimo, nella cassa sotto la finestra.

Dopo il primo shock, Mortimer si dice che Teddy ha finalmente schiodato e fatto del male a qualcuno. Con la morte nel cuore, informa le povere adorabili zie di questo fatto terribile. Teddy non può più stare in casa, è diventato pericoloso. Dovranno mandarlo al manicomio di Happy Dale.

Le zie lo rassicurano: non c’è di che preoccuparsi, Teddy non c’entra, il signore l’hanno ammazzato loro con un vino di sambuco avvelenato.

Due care signore mosse da carità cristiana

In breve le ziette, sempre pronte a far del bene, attirano in casa loro uomini soli al mondo per porre fine alle loro sofferenze. I loro “ospiti” sono poi sepolti con rito cristiano in cantina, dove il picchiatello Teddy scava foss convinto di essere sul cantiere di Panama.

Uno sconvolto Mortimer si trova a dover accettare che le sue amatissime zie sono due assassine seriali (come gran parte della gente della famiglia, la cui storia Mortimer descrive come: “Hellzapoppin! scritto da Strindberg”) e che la follia fa parte del suo corredo genetico. Non solo, il nostro si trova davanti l’impossibile scelta di chiamare la polizia. Il tutto menre deve nascondere la terribile scoperta a una novella moglie sempre più spazientita.

Mortimer decide che, se riesce a far rinchiudere Teddy a Happy Dale, le zie saranno costrette a sospendere gli omicidi in quanto troppo deboli per occultare il cadavere.

Mentre architetta questo improbabile piano però, il terzo fratello torna a casa: Jonathan, un assassino e delinquente di carriera, che si trascina al seguito un chirurgo estetico alcolizzato (Lorre). Il nostro ha bisogno di occultare un cadavere (un altro!) e di farsi fare una nuova faccia dal suo complice.

E sicché da “mi fermo cinque minuti a salutare le zie, che abbiamo il treno!”, Mortimer si trova impantanato in casa con Roosvelt che suona la tromba, tre assassini seriali, un delinquente alcolizzato e una dozzina di cadaveri.

La situazione peggiora in un crescendo di ritmo e orrore, nella miglior tradizione della commedia anno ’40!

Immagine correlata

Una necessaria nota sulle chiavi di lettura

Come accennato, il film è stato snobbato come “semplice commedia” dai critici del tempo. Iiiiih, che schifo una storia raccontata bene e basta, no?

In realtà oltre che snob i critici furono anche densi come la melassa.

Come fa notare Gunter nel libro The Capra Touch, la commedia di Kesselring aveva un sottotono macabro e critico, che persiste nel film.

Sia Kesselring che Capra erano figli di immigrati e avevano sperimentato sulla propria pelle il “sogno americano”. Avevano sperimentato di prima mano la grande contraddizione tra la libertà, le promesse, le opportunità, e la violenza, lo sfruttamento e la discriminazione che si nascondevano appena sotto la superficie.

Come la propaganda americana, le adorabili ziette di Mortimer, la famiglia benestante, la bella casa accanto al pastore non sono che la crosta zuccherosa, la promessa allettante sotto cui si cela follia, violenza e sangue.

Il copione calca e porta al ridicolo e all’esilarante un grottesco e caricaturale senso di “libertà”. Quando Mortimer confronta le zie riguardo alla loro brutta abitudine di spacciare uomini vulnerabili, zia Abby ribatte con dolcezza: “Mortimer, noi non ti impediamo di fare ciò che ti piace. Non vedo perché tu dovresti interferire con noi”.

Quando il tuo nipote preferito ti dice che uccidere la gente non è carino

La satira tocca anche l’America stessa e la sua storia. La bella casa dei Brewster, famiglia storica e osservante, ha una cantina piena di cadaveri e ospita una famiglia di squilibrati assetati di sangue.

La pièce teatrale finisce su una nota macabra, sottintendendo che la contraddizione tra violenza e libertà insita nella società americana non avrà mai soluzione. Il film di Capra ha un finale molto più ottimista. Dopo aver preso atto delle contraddizioni e ipocrisie della famiglia Brewster (e della società americana in generale), dopo aver accettato che omicidio, violenza e sfruttamento fanno parte del pacchetto, lo spettatore è lasciato su una nota positiva di un futuro complicato ma non segnato per sempre dagli errori del passato. Che poi era ciò che lo spettatore voleva sentirsi dire, nel pieno di una Guerra Mondiale.

Il finale leggermente diverso cambia molto in fatto di tema, ma entrambi sono risoluzioni accettabili alla storia che viene presentata. In defiitiva, sia la pièce teatrale che il film sono eccellenti opere.

L’unico punto in cui la pièce teatrale fu certamente migliore del film?

Jonathan era recitato da Boris Karlof. E questa la capirete quando vedrete il film!

 

Trama Good_Grumpy
Attori Good_Grumpy
Ritmo Good_Grumpy
Regia Good_Grumpy
Sceneggiatura Good_Grumpy
Satira di costume Good_Grumpy
Le due ziette sono tra i migliori personaggi mai scritti Good_Grumpy

 

Al di là di dotte interpretazioni decostruite e filosofici dissensi su libertà e violenza, Arsenic and Old Lace ha un cast straordinario ed è da pisciarsi dal ridere.

Le due vecchiette assassine sono un mito assoluto e il mio personale modello. Da vecchia voglio essere uguale, dall’abito edoardino, alle torte fatte in casa, ai dodici cadaveri in cantina!

CARICAAAAAA!


Bibliografia

GUNTER Matthew, The Capra Touch: A Study of the Director’s Hollywood Classics and War Documentaries, 1934–1945, 2011

YOUNGKIN Stephen, The Lost One: A Life of Peter Lorre, 2005

Un articolo su Criterio Channel

Joseph Kesselring su Wikipedia

La pagina Wiki della pièce teatrale

La pagina Wiki di Capra

La pagina Wiki del film

 

Dunkirk

E’ il 1940, la Francia ha perso la guerra e decine di migliaia di soldati alleati sono imbottigliati a Dunkerque. Con i crucchi che gli rodono la groppa, gli inglesi cercano disperatamente di reimbarcare il loro esercito, in previsione del prossimo stadio: l’attacco nazista all’Inghilterra.

E questo è, in pratica, la totalità del film.

Spoiler: a me questo film è piaciuto tantissimo.

Nolan racconta gli ultimi giorni dell’assedio di Dunkerque, spaccando la storia in tre parti: terra, mare e aria. Rispettivamente, si tratta di un soldato che cerca di imbarcarsi, un civile che porta la sua barchetta privata in Francia per aiutare nell’evacuazione (cosa che capitò davvero) e un pilota di Spitfire con la missione di proteggere la flotta e le Little Ships (le barchette civili coinvolte nel trasbordo).

Cominciamo subito col dire che io non sono una fan di Nolan. Non perché Nolan sia un cane, eh! Nolan è un realizzatore estremamente competente e alcuni dei suoi pargoli mi sono anche piaciuti (notamente Inception), il fatto è che spesso i suoi film li trovo tanto spettacolari quanto traballanti nella sostanza. Come per altri artisti, tipo Polanski, mi piace lo stile, ma i contenuti mi lasciano spesso freddina. Ha anche una certa tendeza alla trombonaggine che non si sposa proprio con i miei gusti (The Nolan ray!)

E poi bon, c’è Interstellar, che a mio modesto parere ha solo stile e un contenuto da schiaffi nel viso.

Sì, lo so che molti adorano Nolan, NON VI TEMO, BRING IT ON!

Questo film è a parer mio l’esatto contrario: lo stile non è una vernice glitterosa sopra un rottame, ma un eccellente veicolo per un racconto solido.

Come accennato prima, da un punto di vista narrativo questo è un film minimalista. La storia è semplicissima, i personaggi pure, tanto che (come ha fatto notare il Duca) non hanno nemmeno un vero e proprio arco di trasformazione.

Questo è stato uno degli aspetti criticati: per qualcuno ciò ha reso l’esperienza vuota, per altri non è stato un problema. Posso capire chi non ha avuto un vero e proprio coinvolgimento emotivo e ho poco da dire a riguardo. E ‘ una scelta deliberata, o ti garba o non ti garba. Ci sono buone ragioni per apprezzare la scelta, e buone ragioni per odiarla. Ma di questo ha parlato con più dettaglio e competenza mon ami le Duc.

Foto colorata della divisione corazzata tedesca alle porte di Dunkerque

Le scelte deliberate non riguardano solo la struttura della trama: certi aspetti storici sono stati cambiati, cosa che ha fatto inalberare (comprensibilmente) gli appassionati.

Per molti di questi dettagli, la ragione narrativa dietro la decisione è palese. Ad esempio, il pilota di Spitfire si trova a combattere contro dei Messerschmitt 109. Questi hanno il naso di un bel giallo acceso. Problema: i Me 109 che volarono su Dunkerque non avevano pitture gialle.

In altre scene, gli ufficiali portano il berretto invece dell’elmetto (per la gioia dei cecchini).

In entrambi i casi pare palese che la cosa non è dovuta a sciatteria o pigrizia da tastiera nel culo, ma da una necessità di trama: rendere gli elementi riconoscibili. Uno spettatore che non sia un appassionato di aviazione vintage potrebbe avere serie difficoltà a distinguere un Me 109 da uno Spitfire, specie durante una rocambolesca scena di dogfight nei cieli. Ugualmente, il fatto che i due ufficiali siano senza elmetto in un mare di soldati con l’elmetto li rende più individuabili.

Sono scelte di compromesso tra l’attinenza storica e la fruibilità dell’opera, e in entrambi i casi comportano degli svantaggi (anacronismo per quel che riguarda gli aerei e poco realismo per quel che riguarda gli ufficiali).

Si può essere d’accordo con la scelta, oppure no. E’ possibile portare argomenti validi per entrambe le opzioni. Ad ogni modo queste licenze sono anni luce avanti rispetto alle porcate che si possono vedere in Vikings (“oh, ma se non vestiamo i vichinghi in corpetti in latex da bourlesque poi il metallaro quindicenne non s’immedesima!”).

Ugualmente, Nolan ha optato per un set molto più sobrio di quel che era in realtà la spiaggia di Dunkerque.

Sì, avete presente il luogo comune secondo cui Hollywood deve sempre aggiungere un 25% di esplosioni? Qui è avvenuto l’esatto contrario! Con tutti i botti, i cecchini, gli stuka e i lanci di ciabatte che il film ci sciorina davanti, la realtà storica è stata molto, molto peggiore. C’erano più botti, più pallottole, molti più uomini, cadaveri, rottami…

Anche in questo caso però si può ricondurre il fatto a una scelta cosciente, volta a rendere la vicenda più semplice da seguire. Così com’è Dunkirk è un film ansiogeno e incalzante. Una resa più dinamitarda dello scenario sarebbe stata più storica, ma si correva il rischio di sfiancare lo spettatore.

Di nuovo, si tratta di un compromesso, e si possono portare argomenti validi da un lato come dall’altro.

Son qui da 36 secondi e ancora nessuno ha cercato di uccidermi… OH WAIT!

Altri aspetti criticati possono essere riconducibili allo strettissimo Punto di Vista adottato nel film. Ad esempio, si è criticato il fatto che nel film appaiano solo tre Spitfires attivi nella difesa della ritirata da Dunkerque. In realtà erano molti di più. Uno potrebbe argomentare che la vicenda dei piloti prende solo poche ore, e si potrebbe supporre che in quel preciso momento e in quella frazione di cielo erano solo in 3. Stesso vale per i francesi, quasi invisibili (di questo parleremo anche dopo). Il Punto di Vista a terra è quello di un tommy esausto e terrorizzato. Il personaggio non è una cattiva persona (dà una mano al prossimo quando ne ha occasione), ma è consumato da un unico problema: scappare. In quel frangente, non gliene frega niente dei francesi. A stento li vede. Ed è realistico che sia così.

Altre scelte sono molto meno giustificabili: il film di Nolan pare implicare che le Little Ships furono responsabili per il miracolo di Dunkerque. La partecipazione dei civili è senza dubbio uno splendido esempio di gagliardia, solidarietà, coraggio e abilità. Migliaia di uomini sono stati salvati in questo modo. Tuttavia il grosso del lavoro è stato fatto da (sorpresa sorpresa) i Destroyers.

E’ ovvio che, da un punto di vista narrativo, far salvare soldati esausti da valorosi civili è molto più poetico e simbolico eccetera. E’ certamente una bella scena, ma una licenza alla realtà che non era indispensabile (la storia delle Little Ships è abbastanza spaccaculi così com’è, non ha bisogno di essere gonfiata). E’ un po’ una trombonata, ma alla fine è un film di Nolan, una trombonata da qualche parte ce la deve infilare!

Altri difetti non hanno giustificazioni. Tipo la totale assenza, tra gli inglesi, di facce scure.

Non è tanto un problema particolare di questo film (di nuovo, magari il protagonista semplicemente non li incrocia), quanto della narrativa in generale. Spesso Hollywood tende a ritrarre le Guerre Mondiali come un conflitto tra europei bianchi.

Non voglio buttarmi in una disamina sull’importanza delle minoranze in narrativa, perché è un discorso complicato che merita un articolo a parte. Il fatto è, c’è una ragione se i Me 109 hanno il naso giallo, se i francesi appaiono poco, se i tedeschi sono demoni senza faccia. C’è una ragione anche dietro ai 3 Spitfire (se sono solo tre contro la Luftwaffe la lotta appare impari, ergo più eroica e drammatica) o al ruolo sproporzionato delle Little Ships.

Qual è la ragione dietro alla totale assenza di truppe Commonwealth? Che scopo narrativo serve, a parte il fatto che non gliene frega un cazzo a nessuno?

Al di là del discorso da social justice warrior, si tratta qui di sciatteria. Non cambiava niente metterli, sono stati scordati perché sticazzi. Che non è molto diverso dal vichingo in giubba nera perché “fa figo”. La sciatteria è sempre un difetto.

Tornando alla storia, Nolan ha scelto un punto di vista estremamente ristretto. I tedeschi sono ombre senza faccia che appaiono dal niente quando meno te lo aspetti. Gli stuka sono mostri volanti che ti piombano addosso strillando come Nazgul. Ti sembra che il tuo compagno pilota ti stia salutando dal suo aereo ammarato? In realtà è bloccato nella carlinga e sta chiedendo aiuto mentre affoga.

Il film è magistrale nel rendere il senso di tensione, panico e smarrimento, guadagnandosi complimenti da critici e veterani della Dunkerque quella vera. Le informazioni sul conflitto vero e proprio sono minime, solo quelle strettamente necessarie perché lo spettatore profano riesca a raccapezzarsi.

Personalmente ho anche trovato magistrale l’accenno alle truppe francesi. Ricoprono pochissimo tempo, e ciò è coerente col Punto di Vista, ma i pochi dati che vengono offerti bastano a tracciare un’immagine precisa della situazione.

Nella prima scena in cui appaiono, sono mostrati mentre presidiano la strada e proteggono la ritirata inglese. In una seconda scena, dei soldati francesi esausti e disperati cercano di imbarcarsi con gli inglesi, che li respingono senza complimenti. Le poche scene in cui i francesi compaiono rendono in modo magistrale una situazione crudele (gli inglesi stanno lasciando indietro gli uomini che hanno protetto la loro ritirata) e inevitabile (gli inglesi devono tutelare prima di tutto il loro esercito, primo perché è uno dei migliori in campo e secondo perché grazie al cazzo!). Il senso di ingiustizia e impotenza è chiaro, non necessita lunghi dialoghi o scene drammatiche.

Senza spoilerarvi la fine su chi vive e chi muore, il film si chiude con il discorso di Churchill. E’ una chiusura appropriata, che presenta alla fine le due dimensioni estreme del conflitto: la Guerra Mondiale e la lotta del singolo per restare vivo.

La sempiterna lotta del soldato

Questo film è uno dei migliori esempi recenti di show don’t tell. I personaggi non parlano di cosa provano, di cos’hanno vissuto o di cosa ne pensano dela situazione: la scena e la recitazione da sole ci danno tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. Nolan fa un uso eccellente del medium visivo a sua disposizione.

In Dunkirk possiamo godere di tutti i pregi di Nolan, senza (quasi) nessuno dei suoi difetti.

Regia

 

Fotografia

 

Recitazione

 

Saltuaria sciatteria o trombonaggine

 

Musica

 

Ritmo

 

Gli stuka. Tutto è meglio con gli stuka.

 

E’ un film perfetto?

No. But close.

Lo straconsiglio. In particolare se avete occasione di vederlo su grande schermo.

MUSICA!

P.S., anche se non lo specifico alla fine di ogni recensione, ci tengo a ricordare che i Grumpies disegnati da Christian Stocco sono bellissimi. Nel caso qualcuno non ci avesse fatto caso.

The Frisco kid

Il 29 agosto è morto Jerome Silberman, in arte Gene Wilder.

Per certe povere anime Gene era “il tizio dei meme”

Gene è stato un attore di chiara fama e uno dei più importanti attori comici giudei. Il mondo lo ha ricordato citando i suoi ruoli più conosciuti, come l’iconico Willy Wonka nel film Willy Wonka & the chocolate factory del ’71, o il giovane Victor Frankentsein (leggesi Fran-ken-steen) in Young Frankenstein nel ’74.

Gene Wilder è stato un attore straordinario, con un’energia, una mimica e una sottilità uniche. Oggi voglio ricordarlo parlando di un film meno conosciuto ma a parer mio particolarmente significativo per quel che riguarda Wilder: The Frisco Kid.

The Frisco kid


Nel 1850, Avram Belinski viene scelto per diventare il rabbino della nascente comunità ebraica di San Francisco (“Frisco”). Avram lascia quindi la campagna polacca e si ritrova allo sbaraglio negli Stati Uniti, dove viene prontamente raggirato, massacrato di botte e abbandonato in mezzo al niente.

Rimasto a piedi con la sua Torah, Avram comincia un fortunoso viaggio in un continente esotico e sconosciuto. Il nostro incrocia la strada di un rapinatore di banche (Harrison Ford), che prende lo sprovveduto rabbino in simpatia e lo guida (o si fa trascinare) in un lungo periplo attraverso montagne, deserti, indiani, frati trappisti e quant’altro.

Il film avrebbe tutti i numeri per essere un successo: l’idea del “pesce fuor d’acqua” è un classico ricorrente ma può essere realizzata bene, e le avventure tragicomiche di un rabbino polacco nel selvaggio West offrono un sacco di buone occasioni.

Gli attori sono tutti bravi, a cominciare dal duo protagonista: Harrison Ford, fresco di Star Wars, ritrova il ruolo del delinquente duro ma di buon cuore, e Gene Wilder, uno dei migliori attori comici di tutti i tempi.

Il regista scelto era anche promettente:  Robert Aldrich è il realizzatore che ci ha portato classici come The dirty dozen (1967) o The longest yard (1974).

Tuttavia il film non ebbe particolare successo né fu apprezzato dalla critica. Tutt’ora, è uno dei film meno conosciuti di Wilder. Ed è strano, perché il rabbino askenazi dovrebbe essere considerato come il suo ruolo iconico per eccellenza!

The Frisco kid è a parer mio un film gravemente sottovalutato, ma devo ammettere che le critiche negative che ha ricevuto non sono proprio immeritate. The Frisco kid ha pregi e difetti.

“Io ho letto questo libro. Non ho capito una sola parola.”

Il primo pregio del film è il protagonista: Avram Belinski è un personaggio adorabile. Si tratta di un uomo semplice, ottimista e ingenuo, scaricato senza riguardi in una terra pericolosa e spietata. Belinski non ha la minima idea di cosa lo attende quando parte, né ce l’ha il capo rabbino. Nel primo dialogo che hanno a proposito del suo viaggio in America, Avram chiede dove sia San Francisco e il capo rabbino gli risponde: “By New York”.

Come no, proprio accanto.

Nonostante le disavventure, Avram mantiene la propria gentilezza d’animo e il proprio senso di meraviglia per le novità che incontra. La recitazione impeccabile di Wilder rende perfettamente il personaggio ed è difficile non provare simpatia per il povero diavolo.

La grande forza del film è però anche una delle debolezze: l’evoluzione del personaggio di Avram è sbilanciata tutta sulla fine. Il clou della sua crescita è precipitato nell’ultima mezz’ora di film, in cui Avram si rende conto che, nel suo rispetto per le regole religiose, ha perso di vista ciò che davvero conta nella vita (“I choose a piece of paper instead of you”). Come può essere un buon rabbino in queste condizioni?

E’ un buon dilemma, peccato che sia scatenato e risolto in un paio di dialoghi alla fine del film.

Ma parliamo di Harrison Ford: il suo personaggio è visto è rivisto, il bandito di buon cuore Tommy Lillard. La mancanza di originalità è di per sé problematica, ma quello che affossa Tommy è soprattutto la mancanza di caratterizzazione.

Pur avendo buone battute, Tommy non è un personaggio molto curato. Lo vediamo come delinquente, e nella scena dopo viene in aiuto ad Avram, senza particolare ragione a parte il fatto che il rabbino pazzo gli rimane simpatico. L’intento era senza dubbio di mostrare come la compagnia di Avram riesca ad addomesticare un incallito criminale e riportare alla luce il buono che c’è in lui, ma la faccenda non è curata con attenzione ai dettagli e Tommy Lillard resta un personaggio dimenticabile, simile a tutta la pletora di “criminali buoni” visti in narrativa prima e dopo di lui.

Il film alterna anche momenti eccellenti con momenti superflui. Un esempio può essere la parte sugli indiani, in cui Avram cerca di spiegare che il suo Dio è onnipotente ma non fa venire a piovere (tranne quando cambia idea). Il dialogo è seguito da una scena di danza ben trovata, ma fin troppo lunga.

La sosta al monastero trappista è, da un punto di vista narrativo, del tutto inutile. Da un punto di vista comico però le scene in cui Avram deve sforzarsi di stare zitto sono deliziose.

Gene Wilder e Harrison Ford in kippah. You’re welcome.

Nell’insieme, The Frisco kid ha diversi difetti, ma anche tanti pregi. Nonostante le debolezze, è un film molto divertente, e uno dei film più giudei che abbia avuto occasione di guardare. The Frisco kid non è un western, è una commedia ebraica ambientata nel West, recitata dal miglior attore comico del cinema ebraico occidentale.

L’ingenuità e l’onestà del rabbino lo rendono un personaggio buffo e triste, ottimista e tragico. Lo sprovveduto inerme che mantiene il proprio ottimismo in barba alla sofferenza è un personaggio ricorrente della narrativa ebraica, e un personaggio che può avere risonanza con chiunque.

L’”arco” della storia non è ben equilibrato  
Il personaggio di Ford, indispensabile nella storia, non è curato nel dettaglio né approfondito  
La trama  
Gene Wilder  
Il personaggio di Avram Belinski  
La sceneggiatura  

 

The Frisco kid non è un film perfetto e avrebbe potuto essere migliore, ma resta una commedia assolutamente deliziosa e squisitamente yiddish, consigliatissima.

MUSICA!

Per chi vuole altre letture:

La pagina wiki del film

Un articolo sull’argomento

Catastrofi epiche: Gods of Egypt

Vi è mai capitato di andare a vedere un film noto per essere pessimo e di ritrovarvi, con incredula sorpresa, davanti a un prodotto più che dignitoso?

A me non è mai capitato.

Abbiate paura. Abbiate molta paura.

Questo film è un capolavoro assoluto e chi non la pensa così ha torto. E’ il Nirvana dell’orrido, il Santo Graal del trash!

E il fatto che in un film intitolato Gods of Egypt non ci sia nemmeno un attore egiziano non è che lo zucchero a velo su questa fenomenalenale torta di che cazzo sto guardando!

Immaginate che qualcuno abbia preso Lory del Santo (regista della celeberrima serie The Lady), le abbia dato 170 milioni di dollari e le abbia chiesto di realizzare i filmatini in Computer Grafica di un videogioco del 2004. Aggiungete Leonida di 300 e Jamie Lannister nei panni di Jamie Lannister. Metteteci Aladdin della Disney, ma togliete la scimmietta, così che il ladruncolo acrobata si ritrovi a parlare da solo come uno psicotico. Aggiungete una spolverata di humor anni ’80 stile episodio ciofeca di Friends. Dategli la trama di una puntata mediocre di Xena principessa guerriera.

Mixate tutto e… avrete comunque qualcosa di meglio di questo film.

Ammirate! Pensavate che Foodfight fosse il fondo del barile quanto a CG? SBAGLIAVATE!

La trama è quella del re leone: il fratello del re ammazza quest’ultimo ed esilia il nipote (legittimo erede). Costui deve ritrovare la propria forza per salvare il regno dal folle usurpatore, ma durante il suo viaggio scoprirà che il vero potere non viene da fuori, ma dal Quore. Jaimie Lannister salva tutti grazie al Potere dell’AmiciziaTM.

No, non sto scherzando.

In ciò ci sono sottotrame che da sole stordirebbero un elefante. Tipo Seth Butler che prende il potere con la stessa strategia di Lillard in In the name of the king di Uwe Ball, ovvero spaccia il sovrano durante la benedizione urbi et orbi e dice “bon, il tipo è morto, io sono il nuovo capoccia”.

Il primo provvedimento di Seth Butler, peraltro, consta nell’alzare la tariffa per l’ingresso al Paradiso.

No, non è per dire. L’ingresso al Paradiso si paga. In oro o altri beni. C’è una scena nell’Oltretomba, con la bilancia e tutto, dove i ricchi pagano ed entrano, e i poveri vengono distrutti.

Io mi chiedo, che contano di farci, gli dei, con i quattrini? Li investono? Li accumulano? Qual è il piano di sviluppo economico sul lungo periodo?

Seth ad esempio accumula oro in una piramide. Magari ci nuota dentro come un muscolacciuto e depilato Paperone. O magari vuole investire tutto in un’astronave (why does God need a starship? cit.)

Si capisce che parte almeno del malloppo è usata per costruire un’armatura. Ok, ma è una sola armatura. Una massa di oro pari al Titanic, tutta magicamente pigiata nella carrozzeria di un pandino? E se davvero avevi bisogno di tutto ‘sto oro, non potevi confiscarlo e basta? C’era bisogno di far girare la filiera dell’Oltretomba?

Insomma, tornando alla trama (termine usato qui nel senso più lato possibile), Seth Butler prende il potere con la stessa facilità con cui io prendo l’autobus, schiavizza tutti, frega la ragazza a Jamie Lannister (Hator la dea Vacca) ed esilia quest’ultimo. Dopodiché chiama John Murdoc e gli fa costruire una torre alta altissima. Visto come se l’è cavata nella città deglli Strangers, direi che Johnny è l’uomo giusto.

Tornando alle astronavi, Butler decide di andare a trovare suo padre, il dio Rah. Costui sta su una nave spaziale e non scende mai. La scena del loro incontro è pregnante, la luce è drammatica, le espressioni tese, tutto urla “sviluppo personaggi angst trauma!”

-Mi hai schiaffato in un deserto di merda dove non c’era un cazzo da fare a parte crossfit!- Si lagna Butler –Non mi hai mai voluto bene!

-Ma no che ti volevo bene.- Replica Rah –Vieni, guarda.

Un vermone cosmico della Madonna emerge dal buio. Rah gli tira una forchettata e il vermone se ne va.

-Vedi, questo vermone viene tutti i giorni per mangiare il mondo.- Spiega Rah. –E io tutti i giorni devo star qui su a fiocinarlo. E’ una vita di merda. Allora mi son detto, “ci vuole qualcuno che venga su a fare ‘sta vita di merda al posto mio”. Ti ho schiaffato nel deserto perché TU sei quello che intendo inchiodare qui in eterno, mentre tuo fratello se la spassa nella valle dei fiorellini. Vedi come ti voglio bene?

Seth acchiappa una seggiola e sfascia il vecchio di legnate. E fa bene.

Solo che Seth non ha fatto i conti con Aladdin!

Su terra il nostro ha una fidanzata con due tette gigantesche.

-Dobbiamo trovare il modo di rimettere al potere Jamie Lannister.- Fa lei. –Dovresti rischiare la vita per restituirgli gli occhi magici e quindi i poteri!

-Come fai a sapere che ha degli occhi magici a cui sono vincolati i poteri? Siamo due morti di fame, da dove ti viene ‘sta conoscienza sulla fisiologia divina?

-Ho due tettone giganti.

-Ok, vero. Però Jamie Lannister è un pirla, perché dovrei rischiar la pelle per lui?

-Ho due tettone giganti.

-Ok, vero.

I due rubano i piani segreti della piramide in cui sono gli occhi di Jamie (una roba che a confronto le trappole di Indiana Jones sembrano fedeli ricostruzioni storiche) e ne recuperano uno. Per vendetta, John Murdoc ammazza una delle tette. Dramma!

Insomma, Jamie, Aladdin e Hator si ritrovano in un avventuroso viaggio alla ricerca dell’altro occhio. Sì, perché in questo universo tutti gli dei hanno un pezzo di corpo magico da cui traggono tutto il loro potere, e se smonti i pezzi magici puoi fare una superarmatura spakkaculi fortissima.

Suona stupido da morire, e lo è. Ma a parte ciò, è realizzato malissimo. La natura degli dei non è mai spiegata, il che lascia lo spettatore perplesso davanti all’idea che tu li possa smontare e rimontare come pupazzetti lego. Vi ricordate come nel film del Signore degli Anelli (che peraltro a me nemmeno garba ‘sto granché) erano riusciti a rendere il carattere diverso di elfi, nani, hobbit e uomini così che, al di là delle apparenze, dal loro modo di parlare e pensare fossero chiare le differenze di razza e longevità?

Bene. Qui non c’è niente del genere.

Gli dei di questo film sono usciti dritti dal Jersey shore. L’unica differenza con gli umani è che sono più alti, e tendenzialmente più stupidi.

A sinistra, un personaggio divertente; a Destra, Jamie Lannister sogna la pensione.

Questo film è un DISASTRO. Nonostante sia una visione divertentissima e trash in modo delizioso, non riesco a immaginare a chi possa genuinamente piacere.  E’ stato fatto a pezzi dalla critica, e a ragione. Tutto trasuda schifo a livelli epici. Il tono, le scene, i personaggi, i dialoghi…

La cosa triste è che il regista si è sentito in dovere di andare su Facebook a lagnarsi di come i critici non capiscano la vera arte.

Un bello scivolone per Proyas. Come? Il suo nome non vi dice nulla?

E’ il regista di The Crow, e di Dark city.

Yup. La mente malvagia dietro questo armageddon cinematografico ci ha regalato un grandissimo cult e quello che dovrebbe essere un cult, Dark city, uno dei miei film preferiti in assoluto.

Iste mundus furibundus falsa prestat gaudia

Il cast  
La Computer Grafica  
La storia  
Aladdin  
Rah redivivo  
Ogni singolo dettaglio di questa boiata colossale
Il vermone  

 

Questo film è ancora più assurdo di Dungeons & Dragons. Trascende l’assurdo e diventa spettacolare!

Consigliatissimo anche per i non amanti di trash: è così stupido che chiunque può trovarci roba di cui ridere. E mal che vada, la ragazza di Aladdin ha delle tette grandi così.

E’ un film del’Asylum che ha un budget di 170 milioni di dollari! Chi non lo guarda è complice!

MUSICA!

Serio e faceto: The revenant & Deadpool

Pasqua è trascorsa e io ho sempre meno fede negli esseri umani. Ergo questa settimana, invece di parlare di sanguinosi scontri che i protagonisti potevano probabilmente evitare con un minimo di pianificazione e buonsenso, mi butterò su un argomento più leggero: il cinema!

The revenant

 

Hugh Glass è una guida per un gruppo di cacciatori di pelli. Quando dei nativi li attaccano, è Glass che deve portare i suoi in salvo attraverso le montagne, lontani dal fiume Missouri e verso lo Yellowstone.

Purtroppo per tutti, Glass è aggredito da un orso e malamente masticato, tanto da non essere più in grado di camminare. Non potendo portarsi dietro un ferito in barella, il capo della spedizione decide a malincuore di lasciarlo indietro, insieme a un paio di compagni. La loro missione è accudire Glass fino a che non sarà defunto (nessuno crede troppo in una guarigione) per poi seppellirlo. Si offrono tale Fitzgerald, il giovane Bridger e il figlio di Glass, Hawke.

Restare fermi in un posto solo, però, è pericoloso, e Fitzgerald non ha nessuna intenzione di rischiare la pelle per un moribondo. Dopo aver assassinato il figlio di Glass, il tipo convince Bridger che un gruppo di indiani si sta dirigendo verso di loro, e i due abbandonano il ferito nella sua stessa fossa, senza armi e senza aiuto.

Solo con le proprie ossa rotte, in mezzo alla foresta innevata, Glass deve trovare il modo di sopravvivere, tornare dai suoi e vendicarsi.

Il film si ispira a una storia vera. Hugh Glass è esistito davvero, era davvero un cacciatore nella lontana terra di frontiera e prese parte alla spedizione di Ashley lungo il fiume Missouri. Nel 1823 lui e gli altri degli Ashley’s hundreds furono davvero attaccati da degli indiani Arikara e poso dopo Glass fu davvero aggredito da un orso e masticato così male da lasciar le costole esposte.

La storia non è verificabile al di là di ogni dubbio, ma pare che in effetti Glass sia stato lasciato con un tale Fitzgerald e un ragazzo (probabilmente Bridger), incaricati di accudirlo. Davvero questo Fitzgerald avrebbe convinto il ragazzo ad abbandonare il ferito e avrebbe lasciato Glass ai corvi dopo avergli fregato il fucile.

Dopo 6 settimane nella foresta, Glass riuscì a trascinarsi fino a un avamposto. Rimessosi in piedi, il nostro partì alla ricerca dei suoi ex-compagni per esporre loro i suoi sentimenti riguardo all’intera vicenda. O per staccar loro la testa, una delle due.

Nella realtà, Glass dovette rinunciare alla vendetta. Bridger era un ragazzino ai tempi e il nostro decise di perdonarlo. Quanto a Fitzgerald, quando lo trovò questo si era arruolato nell’esercito statunitense, e uccidere un soldato era una faccenda poco igienica.

Il film non segue la storia vera alla lettera, aggiungendo sottotrame come quella del figlio di Glass o la ricerca del capo indiano. Rispetto ad altri film del tipo “ispirato a una storia vera” resta comunque molto vicino alla fonte.

“Ricapitoliamo: lo mangia un orso, precipita da un perrupo, atterra su un formicaio, mentre cerca di trascinarsi via una freccia lo centra senza ucciderlo, e alla freccia ci trova legata una bolletta del gas…”

La trama è molto semplice, come semplice è la vicenda a cui si ispira. Iñárritu non risparmia nulla al suo protagonista, che appare minuscolo in una Natura sterminata e indifferente. Il paesaggio ha un ruolo centrale, con lunghe riprese e momenti di apparente immobilità. Più il film procede, più si ha l’impressione che le vere protagoniste siano le montagne, un regno di neve e lento ritmo stagionale in cui gli uomini si agitano e si scannano per ragioni più o meno gratuite.

Passaggi onirici si alternano con momenti molto realistici, aumentando il senso di solitudine e smarrimento.

La lentezza del ritmo è spezzata da scene di lotta cruente e rapide. In particolare l’ultima rissa riesce a essere sanguinosa e cruda come poche, senza mai apparire esagerata o “hollywoodiana”.

Ma di cosa parla davvero il film?

The revenant non spiattella il proprio messaggio e alla fine lascia la conclusione aperta a interpretazione.
Il tema portante pare venato da un forte nichilismo. Che tu sia un brav’uomo o un criminale, che tu persegua la vendetta o che tu rinunci, niente cambia. Sei solo, in un mondo selvaggio in cui la tua vita può finire da un momento all’altro per le ragioni più disparate. Un attacco indiano, orsi, un uomo in cerca di vendetta, il divertimento sadico di qualcuno… giusto o infame, ogni individuo deve lottare per tirare la prossima boccata d’aria.

Non c’è vera redenzione, se non la realizzazione che ogni fisima è futile e che la sola cosa reale è l’istinto di sopravvivenza davanti alle avversità.

Fin qui tutto bello, ma devo dire che ci sono delle parti di The revenant che mi hanno lasciato perplessa.

Ad esempio, Quando Di Caprio cade in acqua in un uggioso tardo pomeriggio: nonostante le ossa rotte, la neve e la sfiga, il nostro trova il modo di accendere un fuoco e asciugarsi senza andare in ipotermia o svenire dalla fatica. Non è impossibile quindi non lo definirei un buco di trama, ma resta molto poco probabile in un film che, per la maggior parte, è realistico.

Il subplot della ragazza indiana è un altro dente dolente per me. Il capo indiano è alla ricerca di sua figlia, rapita da dei bianchi. Nel far ciò, collabora con dei francesi, anche loro a cacia nella stessa zona. A loro, il capo porta pelli in cambio di cavalli e armi.
Codesti mangiarane sanno le motivazioni del capo E sono quelli che hanno rapito la ragazza!

Viene da chiedersi come la banda di nativi non si sia accorta, in uno dei suoi scambi coi francesi, che questi tengono dei prigionieri. Sono tutti a zonzo nel bosco, non è come se i froggies potessero nascondere la pulzella in cantina.
Ma diciamo che i frogs riescono a imbucare la ragazza in un cespuglio durante gli incontri col capo e gli altri guerrieri.
Perché dovrebbero correre il rischio di uno scazzo violento con una numerosa banda indiana? Si tratta di una squaw, non possono procurarsene un’altra che non sia la figlia di un capo fumino?

Anche perché non è che i francesi pianifichino di farci chissà cosa con questo ostaggio di riguardo, al contrario, la tizia è pura carne da stupro. Mi pare un comportamento da dodo, perfino per dei francesi.

The revenant non è un film perfetto in ogni aspetto, ma resta un’opera di ottimo livello. Peraltro, regia e recitazione, così come caratterizzazione e dialoghi, sono eccellenti. La lunga lista di premi e accolades ricevute è più che meritata.

Riassumendo…

Certi dettagli poco verosimili
Il subplot dell’indiana è poco credibile (ancorché non impossibile)
La storia
La recitazione
La regia
La scena dell’attacco dell’orso
I passaggi onirici
Il messaggio suggerito senza essere cacciato a pugni nella gola dello spettatore

 

Sia chiaro, non è un film che secondo me può piacere a tutti. E’ un film lento e freddo e spartano, a tratti surreale. E’ un po’ come Valhalla rising, senza storia cretina, senza dialoghi da lobotomia e senza colori saturati. Un bel prodotto, ma non proprio a gusto di chiunque. Ci sta che ritmo, tono e finale aperto vi risultino sgradevoli o frustranti.

Ciononostante, val la pena dargli una chance.

Dopotutto, è un film con il grande Gatsby, Mad Max e il generale Hux. Che volete di più?

Deadpool

Altro film, altro genere.

Cominciamo col dire che i film di supereroi non sono per nulla la mia tazza di tè. Non guardavo i cartoni da ragazzina, non ho mai letto i fumetti, quindi per me i supereroi americani sono grosso modo dei tizi strapompati in costumini da sfilata di Carnevale a Mykonos.

Di quelli che ho visto, la maggior parte mi son risultati troppo campati per aria per esser presi sul serio, divertenti al meglio, con qualche rara eccezione.

Quando sono andata a vedere Deadpool non mi aspettavo niente di più di una boiata tutta cazzotti e battute cretine.

Ci sono cazzotti e battute cretine. E il film è divertentissimo!

Finalmente un supereroe psicopatico, violento, trollesco e che non riflette cupamente dal bordo di un cornicione nella città notturna. Sa anche disegnare!

La trama è elementare a livelli parodistici, ma non pretende di essere un film complesso o serio. E’ un film cialtrone e spassoso che si presenta come film cialtrone e spassoso. Ma andiamo con ordine.

Wade è un mercenario con “soft spots” e “hard spots”. La sua vita fatta di violenza e prevaricazione prende una nuova piega quando incontra Vanessa, una prostituta con un carattere esplosivo. Entrambi sono matti come cavalli e si intendono subito, iniziando un’appassionata liaison.

Tutto molto bello, finché Wade non ha un mancamento. All’ospedale, gli diagnosticano un cancro terminale. Incapace di affrontare la decadenza e l’agonia davanti alla donna che ama, Wade se la svigna e finisce nelle grinfie di una losca organizzazione, che gli promette di curare il suo cancro, regalargli superpoteri e rifargli la carrozzeria della macchina.

Essendo disperato e anche un po’ coglione, Wade zompa sull’occasione e inizia un trattamento a base di tortura, tortura, e un po’ di tortura. L’esperimento dovrebbe sottoporre il suo corpo a uno stress tale da provocare una mutazione.

Solo che questi buoni samaritani non hanno intenzione di fare di Wade un nuovo supereroe: il loro losco scopo è di farne uno schiavo ultra-potenziato da vendere al miglior offerente.

Dopo essere riuscito a evadere, Wade, ora sfigurato, assume l’identità di Deadpool e si lancia nella caccia al proprio aguzzino in un tripudio di schioppettate, mani mozzate e gente spiaccicata.

Non ho letto i fumetti di Deadpool né visto i cartoni, quindi baso il mio giudizio esclusivamente su questo film, e il personaggio è geniale. Per quanto un eroe immortale e de facto invulnerabile possa essere un problema (toglie tensione, sappiamo che è indistruttibile), la personalità di questo assassino seriale compensa in toto la cosa.

La vicenda ruota in buona parte attorno alla storia d’amore tra il protagonista e la sua ganza, e una volta tanto il legame tra i due risulta originale e credibile. Sono entrambi fuori di testa, ma l’intesa è realizzata molto bene senza essere melensa o noiosa.

La recitazione costituisce una fetta molto importante del buono in questo film. Tutti sono molto bravi, ma Reynolds in paricolare è da schiantare. Dopo filmacci come Amityville horror e Wolverine Origins, è un piacere vederlo in roba che vale almeno il prezzo del biglietto. Nella fattispecie, il personaggio di Deadpool è uno spasso, e Reynolds pare divertirsi come un matto nell’interpretarlo.

Tirando le somme…

La tizia ritrovata viva alla fine è improbabile perfino per gli standard di questo film
Qualche gag infelice, quella finale è telefonatissima
Deadpool
La recitazione
La cialtroneria autoironica
L’azione truculenta
Il rapporto tra il protagonista e la sua ganza
I personaggi di contorno

Non c’è molto da aggiungere. Non è un film profondo e non è un film che se la tira. A tratti le gag sono un po’ forzate, ma nell’insieme tutto fila bene, condito con una buona dose di gore e violenza tamarra. Mi piace quando un film non scorreggia più alto del proprio culo, per usare un francesismo. Deadpool non finge di essere più di quanto non sia.

A differenza di The revenant, questo film può piacere a tutti ed è consigliatissimo, a meno che non siate particolarmente sensibili al sangue.

MUSICA!

Star Wars, la Forza s’è appena svegliata e le ci vuole un caffé

Il 2015 è finito, finalmente. E’ stato un anno molto grumpy, e ho alte aspettative per il 2016.

Quindi, perché non inaugurare tutto con una recensione mainstream e coatta su un argomento tanto di moda?

Sono andata a vedere Star Wars, the Force awakens.

Mi è piaciuto?

Mettiamola così. Dopo averlo visto, sono tornata a casa, ho preso il cofanetto dei prequel (quella roba che nessuno guarda mai ma che dobbiamo avere in casa che sennò poi mi tolgono la tessera da nerd) e ho chiesto scusa alla facciona tonda di Anakin.

Sì, è così brutto. Perché i prequel avranno anche tutti i difetti del mondo (tra cui il fatto che se ne faceva anche a meno, che hanno più buchi di Jean Reno alla fine di Leon, che i dialoghi romantici facevano vomitare arcobaleni e che Jar Jar), ma la storia aveva un senso. E anche alcune idee buone, stringi stringi. L’idea che l’Impero fosse un parto della Repubblica stessa (c’è crisi, c’è bisogno di un uomo forte!) era bella, per esempio.

Questo qui è un pattume rimasticato.

Jar Jar Abrams ha chiaramente cercato di mettere le basi di una nuova saga legandola in modo solido all’originale, la più amata. E di per sé, era una buona cosa. Peccato che non abbiano saputo farlo.

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La trama è quasi la stessa dello Star Wars del ’77, solo che per metà abbiamo la vecchia gang e per metà la nuova, che mima quasi tutti gli stessi ruoli (Rey come la giovane Padawan, Poe come il giovane Solo, Kylo Ren –d’ora in poi noto come il Frignetta– come il giovane Vader) e che dovrebbe riprendere la fiaccola della storia.

Ora, i personaggi dello Star Wars originale non saranno stati la cosa più originale del mondo (il giovane prescelto, il contrabbandiere canaglia ma di buon cuore, la principessa idealista e arrogante, ecc.) ma erano scritti bene. Avevano un carattere, potevamo capire le loro ragioni e i loro scopi.

Con questi? Eh… Ma andiamo con ordine!

Specifico subito che ho visto questo film in italiano, con quello che è, a mia esperienza, il doppiaggio peggiore del decennio. Non sentivo roba del genere da quando, appena sedicenne, mi strafacevo di film di Kurosawa in italiano. Dopo anni che guardo solo film in lingua originale (che signorina snob sarei, altrimenti?), il doppiaggio mi dà sempre fastidio. Ma per Giove e Putifarre, ‘sta roba era dolorosa!

Insomma, comincia la storia con un testo da morte cerebrale in cui si dice grosso modo:

“I ribelli avevano vinto la guerra, ma siccome Leia e soci sono una manica di mentecatti coi pollici nel culo, dopo solo 30 anni la Repubblica è ridotta come la Somalia, l’Impero c’è di nuovo ed è anche più potente di prima, Luke ha ragequittato e i Jedi continuano ad essere estinti.”

Wow.

Tutti sono alla ricerca di Luke, che si è dimostrato il peggior mentore del secolo ma che hey, la profezia diceva che avrebbe portato equilibrio, quindi ciccia. Luke non ha lasciato indirizzo, ma ha seminato pezzettini di mappa da tutte le parti perché sennò non si riempiono due ore di film.

Il nipote di R2D2, d’ora in poi Monopalla, va con NonSolo su NonTatooine a prendere la USB con la mappa. Purtroppo, il Frignetta sbarca, cattura Poe e uccide tutti. Sembra finita per Poe, ma uno Stormtrooper decide a caso di disertare e lo libera.

Ok, STOP.

Esaminiamo i problemi qui.

Il guaio non è l’idea dello Stormtrooper disertore.

Il guaio è che il personaggio è scritto malissimo. Per capire un personaggio dobbiamo vederlo nel suo ambiente prima del suo grande Cambiamento. Pensate a un altro film a caso, per esempio Romancing the stone (Alla ricerca della pietra verde). Non cominciamo con Joan nell’autobus nella jungla, cominciamo con lei che vive sola col gatto e di lavoro scrive orridi romanzi romantici d’avventura. Siccome sappiamo che è una donna abitudinaria e sedentaria, siamo interessati quando la vediamo costretta dalle circostanze a intraprendere un rocambolesco viaggio in mezzo a liane, serpenti e narcotrafficanti.

Cosa sappiamo di questo tizio? Poco, e quel poco non ha senso. E’ un trooper, inquadrato fin dalla tenera infanzia. Il processo è così severo e disumanizzante che il tizio non ha nemmeno un nome. Una roba che a confronto la propaganda nazista è semolino.

Sarebbe un’ottima fonte di conflitto! Un personaggio che per tutto il film lotta per liberarsi dalle catene ideologiche e psicologiche di questo terribile sistema!

Invece no. Coso diserta. Perché? Non ce lo diranno mai. Capiamo che ha avuto paura alla prima battaglia, che ha avuto remore a spacciare dei civili. Sappiamo anche che, fino a questa piccola scaramuccia, Coso qui aveva sempre obbedito senza problemi.

Ok, quindi non si era mai trovato in una condizione rischiosa o davanti a una scelta morale che testasse la sua lealtà. Più tardi scopriremo che il tizio era addirittura un addetto ai cessi.

Perché un bidello la cui competenza e lealtà non è mai stata testata è stato scelto per una missione importante come la cattura di Poe? Non si tratta di una battaglia, si tratta di un’operazione di precisione con effettivi ridotti e (si presume) scelti. Quindi?

Se non conosco le ragioni e il background del personaggio, come faccio ad affezionarmi?

Una storia migliore, in 4 vignette.

Insomma, Finn, il trooper, decide di disertare perché la guerra è brutta o qualche stronzata del genere (complimenti al programma disumanizzante del Primo Ordine, che non lascerà nessuna traccia sul carattere di Finn). Potrebbe scappare nel parapiglia o fingersi morto, ma siccome c’è rischio che il Primo Ordine lo insegua, Finn decide di scappare col prigioniero importante, così invece di una squadra (o magari nulla) è sicuro di avere alle calcagna una bella fetta della flotta. Finn è stupido, da questo punto di vista, ma non temete, non è il solo.

Finn e Poe restano separati e Finn si ritrova solo su Jakku, dove per la legge delle Coincidenze che Levati e il corollario del Quanto è Piccolo il Mondo, dopo una passeggiatina incontra Rey, bella fanciulla del deserto.

Rey è la Donna che Tutto Può. E’ tipo Wonderwoman, Nuvolari, Richthofen e Gesù tutto in uno.

Dovrebbe essere una meccanica che campa recuperando pezzi da rottami stellari, un’orfana sfruttata e malnutrita in un pianeta desertico e crudele.

Essere malnutriti e sfruttati in Pakistan…

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…e su Jakku

Rey sa parlare con un droide mai visto prima (vi ricordate quando Luke non capiva niente dei bip bop bum di R2D2? Luke era una pippa), sa parlare svariate lingue aliene, sa parlare il wookie nonostante 30 anni prima il wookie fosse una lingua rarissima.

Rey viene aggredita da due goons cattivi e li mena entrambi senza nemmeno spettinarsi.

Rey non ha mai pilotato niente di significativo, ma una volta posato il suo grazioso didietro su una nave atipica (e modificata) non solo riesce a farla decollare, ma si scatena in acrobazie aereonautiche che le nostre Frecce gliela leccano.

E lo so cosa diranno alcuno. He, ma anche Luke!

No.

Intanto non è che siccome il primo Star Wars è ora un mostro sacro allora non ha difetti.

E poi no.

Luke viene presentato come il rampollo di una famiglia benestante, gente non ricca sfondata ma nemmeno povera, che vive e lavora presso un grande porto interstellare. Luke stesso non è un semplice rottamaio, ma è in grado di manipolare, riparare e modificare dei droidi. Non è un salto troppo grande supporre che gli sia capitato di pilotare roba più grossa del suo macinino.

In secondo luogo Luke non si mette alla guida del Millennium Falcon! Manovra il cannone, e la sola roba che guida è un piccolo X-wing dotato di copilota, R2D2. Alla resa dei conti quello che Luke fa è mirare bene e infilare due colpi ben piazzati. Non si scatena in acrobazie stellari a bordo di veicoli mai usati prima.

Ma torniamo a Rey. Han Solo le mette in mano una pistola che lei non ha mai usato. Non sa nemmeno come usarla. Ma dalle mezzo secondo e la tipa dà le pappine a Simo Haya.

Mai preso una spada laser in mano, ma tiene testa al Frignetta.

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Ho ho ho, chi ha avuto l’idea della guardia laser?

E la forza? Vi ricordate come Luke debba allenarsi per lungo tempo?

Rey, senza mai averci provato prima, spacca il culo al Frignetta, il pupillo del nuovo Imperatore e uno capace di sbatacchiare la gente in giro (ma solo quando serve alla trama) e bloccare un colpo di folgoratore a mezz’aria (qualcosa che non abbiamo mai visto fare a nessun Jedi figo prima).

Ora, so cosa qualcuno sta per dire:

-Ma Tengy, ti lamenti sempre che non ci sono personaggi femminili forti, e ora che te ne danno uno rompi?

Non vorrei apparire come la Donna Che Chiede Troppo, ma oltre a un personaggio “forte” non è che noi fanciulle potremmo averne anche uno scritto bene? ‘Sta tizia totalizza Mary Sue a mani basse (ma non frigna troppo, il che è un punto a favore).

La storia segue a grandi linee roba già vista. I Cattivi hanno un’altra superpalla spakkapianeti, solo che questa è del tutto diversa dalla Morte Nera I e II perché questa è ancora più grande. Ma ha un punto debole che se colpito abbastanza provocherà l’esplosione dell’intera baracca. E Finn sa dove e come arrivarci perché lui puliva i cessi.

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Lo Starkiller è grande come un pianeta, conterà al minimo una cinquantina di milioni di impiegati. Ma ognuno di loro deve imparare a menadito i piani dell’intera palla. Perché dai, è credibile. Boh.

Intanto il Frignetta cattura Rey, perché lei ha visto la mappa del robot e ne hanno bisogno per completare il puzzle. Perché il Primo Ordine ha ricostruito il resto della roba basandosi su vecchi archivi. Perché la Repubblica non sia riuscita a fare la stessa cosa sarebbe stupido da spiegare.

Il Frignetta capisce che Rey è potente nella Forza, e quindi lascia a farle la guardia un singolo stormtrooper facilmente impressionabile.

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Il Frignetta, uno dei cattivi più deludenti della storia del Cinema

Insomma, i nostri riescono a scoppiare la palla e scappare (sorpresona), Han Solo muore perché costava troppo metterlo in Star Wars VIIIOld ideas strike back, il Frignetta si scatena in un’inutile duello con Rey e Finn e perde (peraltro, ho apprezzato il cazzotto sulla ferita come metodo di cura), i buoni si salvano e i cattivi fuggono.

Di ritorno alla base, sorpresa! R2D2, che era rimasto tra i piedi in standby da quando Luke era sparito, si riattiva. E vedi un po’ te i casi della vita, ha il resto della mappa! Perché in 30 anni nessuno ha pensato a controllare l’hard-disk del computer personale dello scomparso. Cristo…

Voler fare un elenco di tutte le cose stupide di questo film sarebbe impossibile. Ce ne sono a bizzeffe, saturano ogni singolo minuto di film. L’intera storia sembra rivolgere intorno al tema: “Leia e Han Solo sono pippe in tutto ciò che fanno”.

Hanno vinto la guerra, e 30 anni dopo la Repubblica è a catafascio, la guerra va male, sono divorziati, loro figlio è un serial killer e Han è tornato a fare il contrabbandiere indebitato. Ha anche la faccia di parlare del suo piccolo business come “quello che so fare meglio”. Coso, abbiamo visto due bande di creditori armati fino ai denti entrare senza colpo ferire nella tua nave. Mi sa che è chiaramente stabilito ormai che sei una ciofeca anche in quello.

L’unica scena genuinamente divertente è quella in cui il Fringetta sta avendo l’ennesima crisi di bizze, due stotmtroopers voltano l’angolo, capiscono l’antifona, si scambiano un’occhiata e voltano sui tacchi facendo finta di niente.

Insomma, un film esilarante per quanto è tirato via.

Due stormtroopers che se la filano  
Storia rimasticata…  
… ma arricchita con gustosissimi buchi di trama  
Zero cura nella sceneggiatura e nella caratterizzazione  
Finn è un buco di trama vagante  
Rey sa fare tutto anche se non ci ha mai provato  
Lo Starkiller è un coacervo di buchi di trama tale da inghiottire il sole  
Nessuno aveva nemmeno pensato a controllare la memoria di R2D2  
Il Frignetta  
Il nuovo Imperatore  
Come in Interstellar, l’unico personaggio memorabile è il robot  
Hai preso Brienne per fare Phasma, e la metti in due scenette di merda  
Luke deve essere il peggior maestro del secolo  

 

Insomma, è un pessimo, pessimo film. Lo ha detto anche Lucas, che ha definito vendere Star Wars
alla Disney l’equivante che vendere i propri figli agli schiavisti. C’era un’alternativa, sai Giorgino. Non vendere. E ora sappiamo cos’hai fatto dei tuoi figli naturali, mostro!

Comunque nessuno si mette contro la Disney (il cui amministratore delegato compare nel film nei panni dell’Ologramma di Snoke) e Giorgino si è dovuto rimangiare tutto.

Film consigliato solo per chi conta di andarlo a vedere a un orario di bassa frequenza e con un gruppo di amici trashomani. Perché se non si può ridere e commentare non ne vale la pena. E’ un’accozzaglia di roba talmente disperante che mi ha fatto seriamente rivalutare Star Wars Holiday Special.

Questo è tutto e che la Forza sia con voi!

MUSICA!

(E’ un appello a Hollywood, don’t waste your time always searching for those wasted years! Fatela finita col nuovo Star Wars, il nuovo Ghost Busters, il nuovo Star Trek e tutta la corte dei film zombies, dateci roba nuova, storie mai raccontate prima porca puttana!)

Dracula Untold

Oggi è la Festa dei Morti, festa in cui ricordiamo gli antenati e quanto la famiglia si sia degradata nei decenni. Quale maniera migliore di mancar di rispetto festeggiare se non parlando del più famoso non-morto della Narrativa tutta?

Oggi parleremo di Thorolf lo Storpiato.

Ok, no, sto scherzando. La storia di Thorolf ve la racconterò un’altra volta, magari.

Oggi voglio parlarvi di un film

DRACULA UNTOLD

 

Il soggetto del film è il seguente: i Turchi vogliono invadere la terra di Vlad Tepes. Per respingerli, Vlad si Vampirizza.

Il soggetto è l’unica cosa vagamente umana di questo pasticcio senza redenzione. Io non vedo un problema ad inserire elementi fantastici in un fatto storico, e la storia di Vlad Tepes, il sanguinario pazzoide impalatore, si presta a questo genere di idea. Insomma, se la metà di quello che la storiografia gli accolla è vero, potrebbe benissimo essere stato un succhiasangue. Il vampirismo sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi!

Ergo abbiamo un’idea non proprio originale ma fattibile, cosa resta da fare?

Accozzare la peggiore sceneggiatura della stagione. Preparatevi, perché questa roba è brutta. Non vince l’Altieri d’Oro 2014 solo perché 47 rōnin è uscito prima.

La storia comincia con un Narratore (bello che Untold cominci con qualcuno che racconta qualcosa).

Avete presente la sensazione d’imminente disastro che ho descritto nella recensione dei 47 rōnin? Ecco, qui si è assaliti dallo stesso terrore quando così, a crudo e senza anestesia, ci viene sparato nei denti che Vlad Tepes è un ex-giannizzero e Principe di Transilvania e tributario dei Turchi.

Inizio col botto, yeeeeeeeeh…

Sentite questi ululati in lontananza? E’ il buon Draculia che si dimena all’Inferno.

Se pensate che questa tripletta di assurdità sia la cosa più grave del film, sbagliate. Viene di peggio. Di molto peggio. Ma con ordine.

Il personaggio di Dracula è uno dei principali problemi del film, anche perché tutta la storia gira intorno a lui.

Dracula quello vero (oltre che essere molto meno avvenente di Luke Evans) è un personaggio affascinante. E’ stato uno dei più celebri assassini di massa della Storia, un despota crudele e un guerriero sanguinario. Era anche un principe determinato a proteggere il suo Paese e la propria dinastia. Era un combattente astuto, che non temeva di mettere a rischio la propria pellaccia. Era un tiranno, ed era un uomo nato e cresciuto in tempi spietati.

Si tratta di una figura complessa, ma di certo difficile da ritrarre come un Buono Hollywoodiano. Non è impossibile creare una storia in cui lo spettatore si trovi a fare il tifo per lui, ma è complicato. Un personaggio, anche un anti-eroe, per essere “gradevole” deve avere delle qualità con cui lo spettatore possa relazionarsi, e queste devono integrarsi con il suo lato peggiore. Richiede uno studio molto lungo e complesso.

E’ molto difficile. Ci saranno riusciti?

Ma secondo voi…

Per tutto il film lo vediamo giocare col suo bambino, amoreggiare con la moglie, parlare di pace, e poi così, di sfuggita, una comparsa accenna al suo soprannome: l’Impalatore.

Il fatto che abbia ammazzato nel peggior modo possibile “migliaia” di persone viene appena suggerito e non ha nessun impatto sul suo carattere.

“Eh, è uno che impalava gente per conto di un dittatore pazzoide, ma a parte quello è uno apposto, stacce!”

Anche quando Vlad imporchetta l’avanguardia turca (unico fatto storico sopravvissuto in questo macello), accade fuori campo.

Lo vediamo menare in battaglia (e sulle coreografie preferisco non pronunciarmi), ma combattere contro orde nemiche e disporre di feriti e prigionieri sono due cose molto diverse. Nel primo caso la tua vita è in imminente pericolo, nel secondo la loro vita lo è. Dei soldati in battaglia e dei prigionieri inermi non destano la stessa empatia.

Non vediamo Vlad prendere la decisione, non lo vediamo agire, non lo vediamo dare l’ordine tra i singhiozzi dei prigionieri, le preghiere e i rantoli dei feriti. Cosa gli passa per la testa in quel momento? E’ contento? E’ distaccato? E’ stanco?

Checcazzo, l’esecuzione di massa dei prigionieri turchi è LA cosa che tutti conoscono di Vlad Tepes!

Questo film è come un film su Magellano in cui si taglia il passaggio dello Stretto!

Peraltro, è un modo per vincere facile. E’ facile far vedere il Buono che stermina in una sequenza d’azione decine di minions of Hell inferociti. Ma mostrarlo mentre condanna degli uomini in catene? Molto più complicato. E infatti la cosa è solo raccontata. Per lo spettatore è solo una nozione. Un buono story-teller mostrerebbe la scena, metterebbe lo spettatore nella pelle del protagonista. In mezzo alle mosche e alle suppliche, lo spettatore deve vedere il massacro come l’unica, crudele soluzione.

Ora, se allo sceneggiatore di stammerda piace vincere facile, forse non doveva scegliere come protagonista Vlad Tepes l’Impalatore!

Con un film tutto incentrato su un personaggio rappiccicato con lo scotch, potete immaginare che il godimento sia piuttosto basso. Ma il protagonista non è il solo problema.

La storia


Il soggetto, come ho detto, non era male. Peccato che una volta sviluppato si muti in: Vlad sprofonda il proprio Paese e i suoi sudditi nella merda per salvare solo e soltanto il proprio bambino.

La vicenda comincia con Vlad che, alla ricerca di alcuni scout Turchi (…), scova una grotta con un Vampiro. Tenetelo a mente, perché il nostro eroe se ne scorda praticamente subito, ha altre gatte da pelare, tipo festeggiare la Pasqua!

Proprio mentre tutti mangiano e si divertono arriva un generale Turco. Non è stato annunciato né nulla, semplicemente varca la soglia. Così. Suppongo l’Enterprise l’abbia appena teletrasportato.

Il Turco è cattivo, e lo si capisce perché sorride malevolo, ridacchia malevolo e parla in tono mellifuo e malevolo.

Glad to meet you. I’m EVIL.

Il Turco vuole mille ragazzini (incluso il principino! OMG!) per diventare Giannizzeri!

-Ma come!- trilla Vlad –Non facevate più Giannizzeri da anni!

(Il corpo dei Giannizzeri ha continuato a esistere fino alla prima metà del XIX° secolo.)

-E invece sì!- il Kattivo ride mellifuo –Vogliamo mandarli a combattere all’Assedio di Vienna!

Ora, vabé che Maometto II era un ottimista, ma tiobono, l’Assedio di Vienna è del 1529, settant’anni dopo i primi scazzi tra Vlad e gli Ottomani! E’ come se in un film sulle 5 Giornate di Milano gli Austriaci Kattivi rastrellassero ragazzi per spedirli a Verdun!

Insomma, Vlad dice NO!

Non per mantenere il suo Paese indipendente, non per proteggere i suoi giovani sudditi, ma perché non vuole mandare il SUO bambino dai Turchi Kattivi!

No, non sto esagerando. Perfino il ragazzino trova la cosa cretina, ma Vlad e quella piaga egiziaca di sua moglie sono pronti a fottere l’intero principato per il loro pupo. They’re the best.

Maometto II giochetta con delle barchette durante un meeting ufficiale. No, non sto scherzando, hanno davvero filmato una scena del genere.

Per sconfiggere l’esercito nemico, Vlad va dal vampiro a farsi vampirizzare. Il Nosferatu de noartri accetta perché si annoia, e l’accordo è presto trovato.

Cosa significa essere vampiro in questo film?

Invulnerabilità, superforza, poter sentire e controllare tutte le creature della notte, velocità. In più, se Vlad riesce a resistere per tre giorni alla sete di sangue, tornerà umano. Insomma, fai il rodaggio, se i superpoteri ti convengono bene, sennò hai tre giorni per disdire.

E la vera idiozia comincia.

Dracula torna indietro e trova che in un pomeriggio l’avanguardia turca ha attraversato il confine, cinto d’assedio la sua capitale e sta facendo polpette dei sui uomini. Ho sempre amato quando gli eserciti al cinematografo si materializzano a destra e a sinistra in uno schioccar di dita, ma dato che i Turchi in questo film lo fanno per sistema di apparire ex nihilo nei posti più curiosi, ne deduco che sia un superpotere Ottomano. Dracula distribuisce un paio di pacche sulla schiena, esce da solo, disarmato e senza armatura, e a mani nude massacra mille soldati. Quando l’ultimo schiatta, i suoi arrivano. Soccorso di Pisa.

-Niente domande.- fa Dracula.

-Ok.- fanno i suoi.

Raccattano tutti e si spostano in un monastero-fortezza in cima al monte.

Un frate lo vede lanciare un’occhiata per aria ed evitare la luce. E io mi chiedo: perché non procurarsi un parasole? Se con “niente domande” eviti spiegazioni sul miracolo di cui sopra, credo che un ombrello possa passare relativamente inosservato…

Ad goni modo, Vlad evita di uscire alla luce, e il frate conclude all’istante che è stato vampirizzato.

-Il capo è un Vampiro!- Fa il frate.

-Bruciamolo!- Fanno tutti.

Danno fuoco all’edificio, ma una nuvola copre il sole per esigenze di trama. Vlad esce tutto fumante.

-Ma che cazzo!- Fa Vlad.

Convinti da questo inoppugnabile argomento, i suoi posano micce e paletti e tornano in riga senza fiatare.

Questi non sono Valacchi, sono un pollaio di papere. I miracoli più strambi li lasciano indifferenti, un nonnulla basta a scatenare un linciaggio, e due berci sono più che sufficienti a fargli accettare un demone come capo.

Sorge però un altro problema: ridendo e scherzando, i tre giorni passano, e Vlad si trova che il grosso dell’esercito nemico sta arrivano e manca poco all’alba in cui perderà i suoi poteri.

Certo, avrebbe potuto andare incontro al nemico la notte prima e sconfiggerli, ma avrebbe dovuto pensarci, e Vlad non è un drago dell’elucubrazione (ba-dum tssh!)

I nemici avanzano.

(Vai e menali).

Vlad guarda l’esercito in lontananza, senza sapere che fare.

(Vai e menali.)

Vlad continua per diversi minuti a guardare l’esercito in lontananza, senza sapere che fare.

(Maremma impestata, vai e menali!)

Vlad si ricorda che ha potere su tutte le creature della notte (GRAZIE!). E cosa decide di scatenare sugli Ottomani?

Pipistrelli.

Linci, lupi, naaah, sorci volanti!

E’ così stupido! E’ come se qualcuno avesse controllo su tutte le creature del Mare e decidesse di usare i pinguini!

Ma non divaghiamo, mentre Vlad è in giro a menare i turchi, un manipolo di nemici si materializza nel dongione, sempre grazie al potere del Tanto-Chi-Guarda-E’-Fesso. Il manipolo acchiappa il marmocchio e butta la donna di Vlad giù dal dongione. Dracula si precipita su di lei, mentre l’alba sorge e i suoi poteri si indeboliscono.

Lei, che non ha perso una goccia di sangue dopo 600 metri di caduta libera, apre gli occhi e parla.

Ok, siamo sicuri che il non-morto sia lui? Questa qui dovrebbe essere una sottiletta squagliata, cazzo chiacchiera!

Ma no, ci vuole la scena in cui lei gli chiede di morderla, in modo da dannarsi per l’eternità e conservare i poteri per salvare il bambino.

Ci sono mille altri modi in cui la situazione si potrebbe risolvere, senza dannare tuo marito in eterno, ma chissenefrega, la tizia insiste e insiste, e alla fine lui cede.

Stronza.

Vampirizzato in via definitiva, Vlad torna al mastio, dove vampirizza tutti i superstiti.

Li avverte che se eviteranno di bere sangue, tra tre giorni potranno tornare umani, salvarsi l’anima e…

Ah, no, scusate. Non glielo dice.

Vanno al campo Turco e iniziano a massacrare tutti.

Intanto Maometto II ha subito una notevole evoluzione: a inizio film voleva un tributo e delle reclute. Poi solo delle reclute. Ora tutta la faccenda si riassume in “voglio portar via tuo figlio per farti dispetto”.

I due si incontrano nella tenda del sultano, che ha sparpagliato monetine d’argento dappertutto. Come fa a sapere che l’argento indebolisce i vampiri? Boh, avrà sbirciato il copione. Il sultano è tutto contento all’idea di ammazzare Vlad e portar via suo figlio! Aha!

Resta il piccolissimo dettaglio che da “arruoliamo mille tizi” è approdato a “ho perso 10.000 militari di professione per un dodicenne inutile”. Ma non fatelo notare allo sceneggiatore.

Il sultano riempie Vlad di cazzotti, perché… boh, perché le scene d’azione non erano abbastanza cretine, e poi…

Ah, non c’è modo di dirlo senza che suoni stupido.

Poi Vlad si ricarica il mana grazie al potere dell’ammoreh e ammazza Maometto II.

Vlad se ne esce con suo figlio, ma i suoi compagni sono diventati Kattivi!

Perché? Vlad non è diventato cattivo (per gli standard del film almeno…), come mai questi sì?

Perché… perché…

Per ragioni!

Vlad scarica il marmocchio al solito Frate Ex Machina, poi separa le nubi con la forza del pensiero e fa crepare tutti i suoi sotto i raggi del sole.

Perché hanno attaccato 15 minuti prima dell’alba?

Perché giorno e notte in Transilvalacchistan obbediscono alla volontà del regista.

In conclusione: Vlad ha sprofondato un Paese nella guerra, lasciato massacrare i sudditi, decapitato la sua classe dirigente e condannato i pochi superstiti alla dannazione eterna per proteggere il suo marmocchio.

In qualche modo sono riusciti a creare un Vlad ancora più riprovevole di quello vero! Complimenti! Peccato che il film ce lo presenti come un personaggio positivo!

Questo film è un disastro.

Ci sono scene che uno si chiede quale sostanza stupefacente le abbia ispirate.

Nella seconda scena del film, Vlad e i suoi stanno facendo un’escursione da qualche parte (forse). Trovano un elmo Turco in un torrente e ne deducono che degli esploratori sono nei paraggi. Vlad manda via tutti tranne due sacrificabili, e parte alla ricerca di costoro.

Primo: se ti cade l’elmo, lo raccatti. Se per esigenza di trama l’acqua lo trascina a valle, gli corri dietro (come Ferraù, in un’opera molto migliore di questa). Se degli esploratori hanno abbandonato un pezzo, vuol dire che hanno avuto dei problemi.

Secondo: Vlad è tributario dei Turchi e conoscente personale di Maometto II. Per quale ragione un gruppo di esploratori dovrebbe intrufolarsi di nascosto in casa sua?

Annose domande.

Vlad e i due bodycount salgono una montagna, trovano una grotta. L’aiuto-regista gli passa delle torce (giuro, non le avevano salendo!) ed entrano. Il pavimento è coperto di ossa. Vanno avanti. Trovano morti ammazzati in giro.

-Andiamo avanti!- trilla Vlad –Sono sicuro che non succederà niente di OH MIO DIO I MIEI UOMINI SONO MORTI CHI L’AVREBBE MAI DETTO!-

Vlad si salva perché è il protagonista, e un frate gli spiega che nella caverna ci sta un vampiro.

Di nuovo, mille domande:

Primo, il succhiasangue ha appena stecchito dei soldati Turchi, sai che la cosa potrebbe portare guai, che fai? Nulla, ovviamente, fai finta di niente. Eh, senti, Maometto ne ha migliaia di soldati, figurati se si accorge che gliene manca qualcuno!

Secondo, c’è un succhiasangue sulla montagna, che fai? Nulla, ovviamente, domani è Pasqua e se faccio lavorare i miei i sindacati mi rovinano!

Terzo, il succhiasangue in questione è appena stato scoperto, potrebbe ammazzare Vlad al prezzo di una scottatura passeggera, cosa fa? Nulla, deve aver fiutato l’idiozia congenita.

 

In un’altra scena, Maometto II avanza in un campo di battaglia, trova un suo generale ferito.

“Un messaggio dal Principe.- rantola questo.

Allora, e solo allora, Maometto II si accorge che dieci metri più in là, davanti al suo naso, la sua avanguardia al gran completo è a spiedini in mezzo alla pianura! Che ha, cecità selettiva? Può vedere solo un oggetto per volta?

Checcazzo, film! Checcazzo!

 

L’idea di base  
Il personaggio di Dracula
I comprimari
I Turchi che si teletrasportano
Maometto II che gioca con le barchette
La storia
La maledizione con rodaggio
La prima battaglia
“Non fate domande”
“Sto cercando di difendere i vostri figli o forse no”
I pipistrelli
La seconda battaglia
La moglie di Dracula
Le motivazioni dei Cattivi
Maometto II che sacrifica un esercito per noia
Dracula che “soccorre” i suoi compagni e sudditi
Il Vampiro nella grotta
Impalatore? Vabé, dai, è un bravo figliolo lo stesso
IL FINALE

 

Questo film è orrendo. Non ha niente di buono, non è interessante, non è fantasioso, il protagonista è una persona ripugnante che in qualche maniera riesce a essere anche peggio del personaggio storico a cui si ispira (e stiamo parlando di uno dei criminali più famosi della Storia!).

Consigliato solo per gli appassionati di trash.

E anche nel caso, fatevi un piacere: noleggiatevelo o procuratevelo in altri modi, ma non pagate un biglietto di cinema!

E di solito metto un acanzone metal a fine articolo, ma questo film NON MERITA UNA CANZONE METAL!
Here you go.

Doppia proiezione: Godzilla e The edge of tomorrow

Questo sarà il mio ultimo post supervisionato (cercherò di metterne uno o due in programma per il mese in cui sarò assente), e ho deciso di lasciarvi con una segnalazione doppia, tanto per gradire.

GODZILLA


Per usare un’espressione inglese, this movie was all over the place. Un pensiero mi ronzava in testa mentre mi godevo i canonici 45 minuti di pubblicità inutile, seduta in un cinema-congelatore: è un film di mostri alti quaranta piani che massacrano a caso e radono al suolo città. Sarà per forza divertente, cosa può andare storto?

Mi sbagliavo.

Oh, se mi sbagliavo.

Il film si apre con Ken Watanabe che, dei dell’Olimpo, sembra essersi fumato l’intero Sudamerica. Lui e la sua assistente, Tizia, scendono sottoterra per trovare lo scheletro di un bestione grosso grosso che più grosso non si può, o il set di Flinstones 2 revenge of the brontosaur, non si capisce bene. Attaccate alle costole del coso ci sono una specie di crisalide dormiente e i resti di una seconda crisalide, aperta. Ora, la cosa uscita dalla sacca esplosa si capisce essere un qualche genere di vermone gigante che più gigante non si può. Ne deriva che questi macro-chewingum siano, tecnicamente, uova.

Tizia punta quella dormiente e fa “sono spore”.

Spore. SPORE. Boh. Vabé, tanto tra poco arriva Godzilla (sì, ci piacerebbe), tengo duro…

Cut, siamo a una centrale nucleare giappa. Un terremoto squassa tutto e si abbatte sui genitori del protagonista, entrambi tecnici alla centrale. To be fair, l’ultima scena tra i due non è fatta male. Mi ha toccata meno dei pochi secondi dedicati agli anonimi crucchi chiusi nella pancia della nave in Affondate la Bismarck, ma la scena di per sé funziona.

Ecco, fatevi un favore, invece di Godzilla scaricatevi procuratevi legalmente questo qui

Il protagonista cresce e diventa un marine in licenza con moglie e bimbetto soprammobile (una cosa originale). Questo tizio è uno dei grossi problemi: è un protagonista di merda. E’ privo di qualsiasi interesse! E’ un tipo mediamente gentile, mediamente buon soldato, mediamente arrabbiato col babbo, mediamente medio. Noia. Noia, noia, noia. Ha così poca personalità che uscita dal cinema non sapevo nemmeno come cazzo si chiamasse. D’ora in poi mi riferirò a lui con Coso.

Il padre convince Coso che ciò che ha fatto crollare la centrale quindici anni prima è ancora lì e sta parlando. Lo coopta per infilarsi nella zona di quarantena a recuperare dei floppy disc. Coso, che prima era tutto “hai rotto con questa mania, stai distruggendo la famiglia”, passa in un attimo a “ok, ti accompagno”. Peraltro, durante il crollo del reattore un pochino di radiazione sarà uscita no? Dopo un trattamento del genere e 15 anni alla pioggia e alle lumache, cosa fistia credi di leggere su un floppy? Boh, floppy giapponesi, fuck proof!

Da qui cominceranno pesanti SPOILERS, quindi se non volete rovinarvi (sì, vabé) la visione di questa deliziosa pellicola, passate oltre.

[SPOILER mode/ON]

Coso e Coso Padre vengono arrestati. Il bacone di cui sopra s’è fatto una bella pupa sul reattore, ha ciucciato tutte le radiazioni e svarfalla in una roba volante grossa come una portaerei, schiacciando il vecchio inutile sotto una gru inutile. Good riddance. Coso guarda il vuoto con aria fumata e decide di tornare a casa.

Frattanto la seconda SPORA si sveglia e scappa. Scappa da una base militare sorvegliatissima piena di roba radioattiva. Sì, un bruco grosso come un Fracciarossa spana la montagna e i militari manco se ne accorgono. Tah tah, soldatini distratti! Sempre con l’Ipod nelle orecchie!

Il secondo mostro non ha ali ma è grande 4 volte il coso volante. Le due Camole dell’Apocalisse decidono di trasferirsi a San Francisco passando per le Hawaii perché è un posto simpatico per il primo appuntamento e da copione se il protagonista non va dai mostri i mostri devono andare da lui.

Eh, il protagonista. Coso ha moglie e figlio a San Francisco, e che fa?

-Telefona alla moglie per dirle “soprattutto non lasciare la città, non ti muovere e non cercare rifugio, resta sulla rotta di collisione, possibilmente con una maglia rossa addosso!”

-Si trova accanto al mostro, non citofona ai compagni e li lascia avanzare diritti nelle fauci della belva: 20 buoni soldati sono morti, la missione è fallita, ma lui è salvo, un eroe.

-Si trova sempre tra i piedi delle belve, ma in qualche modo tutti muoiono tranne lui, che fino alla fine risulta utile quanto Windows Vista.

Parentesi: la cosa che più m’innervosisce della brutta narrativa è quando gli autori mettono le basi per del buon conflitto, e lo mandano a puttane per pura pigrizia. Un uomo bloccato in una posizione vulnerabile che deve scegliere tra salvare se stesso o salvare i compagni, ad esempio, è un buon setup: Coso è l’esploratore, la vita dei suoi e il successo della missione dipendono da lui. Allo stesso tempo è terrorizzato dal mostro colossale che sgranocchia testate nucleari, ha una moglie e un figlio che lo aspettano. Una mossa ed è morto, un attimo di esitazione e sono i suoi a morire, che fare?

Gestita bene, poteva essere un’ottima scena!

Peccato che non un istante l’attore dia prova di dilemma o dubbio. Non lo vediamo tremare di terrore, il pollice sulla radio, il rumore del treno dei suoi che arriva, il sudore che gli cola sulla faccia.

No. Vediamo lui in posizione vulnerabile che passivamente lascia compiersi la tragedia.

Nemmeno dopo ha la decenza di mostrare il minimo rimorso. Alla fine Coso è perfettamente in pace con se stesso. Sono morti tutti e ho appena mandato a puttane una missione da cui dipende la vita di milioni di civili, ma hey, io ho portato a casa la pelle quindi è tutto ok. Alé.

Intanto i due mostri vanno in giro a devastare roba, alla ricerca di radiazioni. Tranne quando decidono di fare altro, tipo uno che va a demolire Las Vegas. Perché, boh, ragioni. Ma non è grave, dopotutto what happens in Vegas stays in Vegas.

I militari americani hanno infine un’idea geniale: mettiamo un bombone di non so quanti megatoni (MEGATONI) su una barca, lo portiamo in mezzo al mare per attirare i mostri via dai civili e lo facciamo scoppiare. Il blast dovrebbe bastare ad annichilirli.

Il che è interessante. Stando a questo fighissimo sito, con un’esplosione superficiale, una bomba da 1 Megatone avrebbe un fireball radius di più di 1 Km e provocherebbe ustioni di 3° grado su un raggio di più di 10 Km.

Però…

I mostri sono attirati dalle radiazioni. Quindi che vadano dietro a depositi di scorie e centrali ci sta, perché anche negli impianti migliori qualche fuga c’è sempre.

Ma le bombe?

Per quanto ne so, un bomba emette radiazioni se e solo se detonata!

Ma chissenefrega, abbiamo diritto a una delle rare scene in cui Watanabe articola un paio di parole. Cerca di dissuadere il generale americano dal piano atomico. Secondo Watanabe bisognerebbe giusto sedersi e aspettare Godzilla, che fino ad ora è stato praticamente solo nominato (sì, in un film chiamato Godzilla, Godzilla brilla per la sua assenza). Quando il generale gli dice che non può fidarsi di un Grande Antico, Watanabe gli fa “il mio babbo era a Hiroshima”.

Ma il 6 d’agosto c’era il raduno nazionale dei Babbi, a Hiroshima? Son tutti morti là, oh! Ma Nagasaki? O, che ne so, Tokyo?

Anyway, Godzilla arriva. In teoria dovrebbe essere è il super-predatore, il primo anello della catena alimentare, e dovrebbe quindi magnarsi le due Camole Atomiche.

In realtà le mena e basta. Praticamente in questo film Godzilla è la gattara del pian di sotto che viene a fare una scena perché i ragazzi di su fan casino e le buttano mozziconi di sigarette sul terrazzo.

Che per carità, anche nei film vecchi i mostri si accoppano di nocchini e basta, ma allora evitare infilare battute di Tizia su come Goji sia un PREDATORE potrebbe essere una buona idea.

Se pensavate che fosse scemo il Godzilla del 1998, dove l’esercito americano riesce a perdersi un dinosauro di 15 piani nel centro di Manhattan, well, in questo riescono a perdersi un coso volante grosso come il Vaticano. E non c’è nemmeno Jean Reno col Taxi della Morte a sollevare il tono.

Questo film ignora l’ABC dello storytelling fin nei minimi dettagli. Se avessero dato 50 milioni all’Aliprandi sarebbe venuto uguale (se ci rimetteva Re Precisamente sarebbe stato addirittura meglio).

Ah, la bomba dite?

Il nostro eroe la mette su una carriola galleggiante, la indirizza col pilota automatico verso il mare aperto e sviene. In 5 min, la bomba da non so quanti megatoni fa pif senza provocare nessun danno. Boh.

Ah, e chicca: la bomba da non so quanti megatoni è stata portata lì A BRACCIA da quattro tizi. Perché prender la pena di armare i tuoi di inutili mitragliatori? Arma quei quattro di ciabatte, con la forza che hanno ti spiattelleranno i Lepidotteri dell’Inferno in meno di nulla!

Insomma, una boiata di epiche proporzioni. Solo per appassionati.

Non vale nemmeno la pena di fare la Grumpy-classifica: non c’è niente di buono in questo film. Un’ora e mezza di stupidità.

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EDIT: l’argomento non è proprio lo stesso, ma si parla sempre di lui, il grande Gijira! Perché Godzilla non esiste? Have fun!

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THE EDGE OF TOMORROW


Ero preparata a una Godzillata. Perché? Tanto per cominciare perché è un film americano per il grande pubblico. In secondo luogo era sfacciatamente ispirato a All you need is kill di Hiroshi Sakurazaka, romanzo giapponese di fantascienza di cui Gamberetta parlò qui e di cui magari parlerò io più in dettaglio un de ces quatre.

Il romanzo in sé era carino, per quel che ricordo. La fine era un po’ raffazzonata, ma con i loop temporali è facile mischiarsi i pennelli, come dicono i mangiarane. A memoria, gli darei un 6/7 su 10.

Nel film il protagonista, che nel libro doveva essere un soldato giapponese, viene interpretato da niente meno che Tom Cruise. L’allarme NinjaCrucco suonava a tutto spiano. E i mostri, che nel romanzo sono simili a rospi, qui sono simili… a nulla. Sono dei cosi tentacoluti che schizzano in giro frustando le natiche degli astanti.

Qui il Trailer.

Quindi ecco, ero partita molto prevenuta.

Tuttavia, sono rimasta piacevolmente sorpresa!

Blimey, this movie is actually good!

A parte il soggetto e il nome della deuteragonista, non ha nulla a che fare col libro. Per intenderci, hanno mixato insieme All you need is kill con Starship troopers. E la roba che hanno messo insieme non è male!

Ma concentriamoci sul film.

La terra è stata invasa dai Mimics, una razza di alieni infallibili che hanno raso al suolo l’Europa.

Mimics

Questa è la prima grande differenza col romanzo: in All you need is kill i Mimics non sono veri esseri viventi, e sono stati spediti da una civiltà aliena per preparare il pianeta allo sfruttamento. Si accenna addirittura a un dibattito tra questi alieni, peraltro mai descritti, riguardo allo sterminio delle razze viventi della Terra (perché il pianeta sia sfruttabile, questi misteriosi conquistatori devono trasformarlo in una palla desertica), e alla fine la fame di risorse vince. E’ un comportamento molto umano (spiacenti per i vostri orsi polari e le vostre api, io voglio un SUV, drill baby, drill!) e a me non era affatto dispiaciuto.

Nel film i Mimics si limitano a occupare la Terra. A un certo punto i personaggi attraversano l’entroterra francese: solo le grandi città sono distrutte, i prati sono verdi e i campi floridi. Questo ovviamente diminuisce di molto il senso di urgenza. Nel romanzo la Terra non è solo rubata, è distrutta!

Ad ogni modo, anche nel film abbiamo a che fare con alieni invincibili. Tutto sembra perduto, quando tale Rita Vrataski riesce finalmente a ottenere una vittoria. Armati di nuova speranza, gli uomini rilanciano il contrattacco dall’Inghilterra, sulle coste francesi.

Il protagonista del film è il Maggiore Cage (Cruise), un vigliacco e gran figlio di cagna che viene spedito al fonte a calci nel culo. Il perché il suo stato maggiore lo scarichi nelle mani degli inglesi non viene mai spiegato e resta uno dei grandi “boh”. Il che è peccato perché è quello a dare il via alla vicenda. Difatti, dopo un balordo tentativo di diserzione, Cage è ficcato in una squadra e destinato a essere scaricato in prima linea la mattina dopo.

E veniamo a un altro problema notevole del film. I soldati combattono infilati in delle grosse armature meccanizzate, piene di gadget e roba figa. Ora, Cage per sua stessa ammissione non ha mai fatto gavetta, non ha mai nemmeno ricevuto un vero addestramento. Lui lo sa, gli altri lo sanno. Non metti un’arma super-tecnologica nelle mani del primo fesso che passa, specie se sei sicuro che non la sa usare. E’ uno spreco di costoso materiale, ed è rischioso.

Ad ogni modo, Cage viene scaricato sul fronte, dove riesce a uccidere un super-Mimic.

E anche questo è un problema. Nel romanzo, Keiji è un professionista addestrato, non è strano che con un po’ di fortuna riesca a far fuori un grosso bestio. Il Cage del film non sa nemmeno come si fa a sparare. Mah, come botta di culo pare un po’ tanta roba.

Ad ogni modo, ammazzando il super-Mimic (un Alpha, nel film), si schizza di sangue.

E muore.

E si risveglia la mattina prima, appena arrivato alla base.

O ficcate a Cruise un casco uguale, o date a questa comparsa più screen-time!

Questa è la premessa del film. I Mimics non perdono mai perché alcuni di loro, gli Alpha, possono manipolare il tempo e “ricaricare” la giornata ricordando quello che è successo e quindi migliorando. Uccidendo l’Alpha, Cage è diventato il bottone RESET ambulante, e ogni volta che muore il giorno ricomincia.

Cage si mette in contatto con Rita, che gli spiega che anche lei aveva avuto la stessa esperienza ed era stato grazie a quella che era riuscita a vincere. Rita sottolinea anche che tutto dipende dal sangue, e una trasfusione ti fa perdere il potere: lei infatti è rimasta ferita, non è morta, l’hanno soccorsa e paffete, potere perso.

E questo è un altro grosso problema: come fa Rita a essere sicura di aver perso il potere senza morire? Boh.

Insomma, Cage e Rita si trovano a dover trovare il centro nervoso degli alieni (Omega) e farlo saltare per poter salvare il pianeta dall’invasione.

La cosa migliore del film è il tono. Serio e faceto sono gestiti molto bene: la storia non è buttata in farsa, ma è percorsa da un umorismo noir che ho molto apprezzato. Il fatto che il film non si prenda troppo sul serio rende i problemi di cui sopra molto più sopportabili.

Venendo ai personaggi, i comprimari non sono molto interessanti (c’è lo scienziato incompreso, i soldati rozzi ma di fegato, il generale severo e testardo…), Rita è passabile. Il personaggio di Cruise è il vero protagonista e, a differenza del vigliacco di Godzilla, cambia di vita in vita, e cambia molto. Comincia come verme schifoso, dai primi 2 minuti vuoi vederlo morire. E la cosa bella è che sei accontentato. Again and again and again and again!

Grumpy Cat approva

Le morti a ripetizione sono trattate con macabro sarcasmo, il che è un grande pregio. Vedere Cage schiattare e risvegliarsi con crescente nonchalance e abitudine mi ha strappato più di un sorriso. La ripetizione delle vite peraltro è gestita bene, senza essere tediosa.

Ma c’è un ultimo problema.

Il finale.

Cage riesce a far saltare l’Omega schiattando anche lui. Il sangue dell’Omega lo tocca.

Cage si risveglia a inizio film e tutto inizia a ripetersi. Pare che debba rifare tutto da principio, invece no: è tornato indietro nel tempo, ma con l’Omega morto, quindi tutti sono felici e stanno riprendendo possesso del territorio. Lui non è più un peso morto scaricato nelle mani degli inglesi, ma un onorevole ufficiale. Ritrova Rita, viva e vegeta, che non lo riconosce, non avendolo mai incontrato in questo loop.

Che cazzo di fine è? E’ di nuovo in un loop o no? E’ tornato indietro nel tempo o finito in una realtà alternativa? O ha completato tutte le mini-missioni e vinto il best ending di fine gioco?

La fine m’ha lasciata cadere sul culo. Non è brutta, è solo WTF. Non l’ho proprio capita. Ed è peccato, perché l’insieme del film è molto godibile.

 Potete riprendere a leggere, il pericolo è passato.

 

Tornando alla trama, non ho capito perché scopiazzare mezzi elementi da un romanzo e fare una roba del tutto diversa.

Il soggetto è identico al romanzo di Sakurazaka, Rita è quasi uguale, ma il protagonista è diverso e la vicenda non à nulla a che vedere (ma NULLA) ed è invece la stessa di Starship troopers (trovare il Cervello). Perché dare lo stesso nome a Rita e ai Mimics, se non hai intenzione di seguire la trama? Non sarebbe stato più semplice mettere nomi diversi e giusto notare “Ispirato al romanzo tale e tale”?

Mi chiedo se non sia una questione di diritti. Se i realizzatori non abbiano trovato un qualche sotterfugio per scopiazzare un romanzo tutto sommato poco conosciuto in Occidente e non pagare le royalties al suo autore.

Infine, meglio il film o il romanzo?

Difficile da dire, sono così differenti! Il romanzo ha meno contraddizioni del film, ma entrambi hanno un problema alla fine.

Keiji è un personaggio molto più attachant di Cage, ma Cage migliora sul finale e il suo cambiamento è forse più drastico di quello che subisce Keiji.

Il gioco di parole Killer Cage si perde nel film, ed era una buona nota su cui chiudere il romanzo.

Salvo il personaggio pittoresco del sergente Farrel, i dialoghi del film sono standard. Niente di memorabile, ma nemmeno niente di stupido. Nel romanzo sono un pochino più eleganti e originali, per quel che mi ricordo.

Ma veniamo alla grumpy-classifica

La storia (Starship troopers è uno dei romanzi più belli di sempre, All you need is kill ha un concetto molto caruccio, e sono combinati bene: i realizzatori hanno preso il meglio di due mondi)
L’evoluzione di Cage
Comprimari banali
Rita
Gli americani scaricano uno dei loro ufficiali agli inglesi senza nessuna spiegazione
Gli inglesi ficcano in mano a un novellino armi ultratecnologiche costosissime e complicate
Cage, che non ha avuto nessun tipo di addestramento, è capace di guidare veicoli anche se non li ha mai provati in un loop precedente
Il susseguirsi delle vite è gestito bene e non noioso
Uno dei twist era un po’ telefonato, ma passava
C’è Parigi allagata, fun for everybody!
I dialoghi sono a tratti buoni, in genere dignitosi
C’è una marcata vena comica nel massacrare Cruise ancora e ancora
Cruise non mette mai il casco
La computer grafica era dignitosa, i Mimics che escono dalla sabbia sono belli
Alle volte Rita agisce senza nessuna buona ragione
Cruise recita. E’ incredibile, ma vero. Recita.
Come faceva Rita a essere sicura di aver perso il potere, senza spararsi un colpo in testa?
L’ultimo combattimento è una buona sequenza d’azione
La fine. Che cazzo è successo?

11 Grumpy sorridenti, 8 disapprovanti.

Se vi piacciono i film d’azione e di fantascienza, è un film che consiglio. In definitiva, gli manca la scintilla che ne faccia davvero un BUON film, e certi errori scemi si potevano evitare. I dialoghi potevano essere più curati, ma l’arco del personaggio è ok. Come detto, le trame dei due romanzi sono ben integrate, e nonostante i miei dubbi su nomi e logica delle scelte, la storia del film di per sé tiene.

Non direi che sia un film ASSOLUTAMENTE IMPERDIBILE, ma se vi capita dateci un’occhiata, è ganzo e divertente.

E parlando di morti ammazzati e divertimento, MUSICA!

47 Rōnin

Vi è mai capitato di vedere un trailer che promette veramente male? E poi andare a vedere il film con gli amici e trovarsi a dire… “dai, tutto sommato non è male!”

 

NON E’ QUESTO IL CASO.

Vi è mai capitato di trovare un barattolo senza nome e senza odore in frigo? Prendete una ditata di contenuto, ve la ficcate in bocca. E nel secondo successivo vi dite che forse avete appena fatto una grossa, grossa, grossa stronzata.

Ecco, sedere nel cinema durante i primi 10 secondi di film è stato esattamente così.

Ok, potevo aspettarmelo. Ma gente, se ci fossimo limitati a navigare in superficie senza mai esplorare gli abissi, quante cose ci saremmo persi? Qunti mostri avrebbero continuato a vivere accanto a noi, a nostra insaputa?

Ed è per questo che ieri, con due arditi compagni, abbiamo comprato i biglietti e ci siamo tuffati nelle onde torbide alla ricerca del Kraken. Non sapevamo, ahinoi, che ce n’era più di uno ad attenderci.

Il film si apre con un Narratore Onniscente che parla del Giappone, terra di magia e streghe. E ve lo dico da subito: eviterò di commentare sulla presenza di mostri e magia in quanto tali. Primo, perché sparare sulla croce rossa è poco elegante; Secondo perché almeno non fanno finta di avere attinenza storica come quell’orrore di Last samurai, e terzo, perche io non sono contraria all’introduzione di elementi fantastici in fatti storici. Ok, se avete letto la prima puntata su Altieri questo può parervi strano, ma non è il processo in sé a disturbarmi. Può essere fatto bene. Voglio dire, nel Macbeth Banquo spakka, e nell’adattazione Il castello del ragno di Kurosawa i fantasmi e la strega si integrano divinamente nel film!

In questo film… eh…

Ma torniamo a bomba. Io temevo che avessero combinato lo stesso troiaio che con Last samurai, ovvero, avevo paura che la parte del leone la facesse Keanu Reevs.

Ora, Keanu Reevs è il più forte e guerriero di tutti (perché come Altieri insegna noi occidentali siamo SEMPRE più bravi in TUTTO, è una questione genetica), ma stranamente non è lui quello con più screentime. Oishi, il capo dei rōnin nel film E nella realtà storica ha tutto sommato più parte.

E questo, che potrebbe essere un elemento positivo, è il primo punto “eh?!” del film. Se Keanu Reevs non fosse stato tra i piedi, la storia sarebbe filata uguale se non meglio. Tutta la parte su di lui, che è quella più fantasy e stramboide, sembra una specie di filler messo lì per sbaglio in fase di montaggio.

Cosa fa Keanu Reevs?

  • Si fa maltrattare dagli altri perché DIVERSO. E già questo è strano. Ok, non ha una faccia da giapponese, ma non è come se fosse biondo con gli occhi azzurri. Anche come altezza non si nota una particolare differenza con gli altri tizi. Eppure in qualche modo tutti indovinano che non è giappo anche solo vedendolo di sfuggita a cento metri di distanza. Boh. Sarò l’odore. Keanu, lavati!
  • E’ stato allevato dai tengu ed è capace di teletrasportarsi in combattimento. Cosa che fa 2 volte in tutto il film. Potrebbe vincere la guerra da solo, ma no. Perché i tengu sono cattivi e gli hanno graffiato la testa quando era bambino (che è un po’ una finocchiata per essere il marchio degli esseri più tremendi dell’Arcipelago, ma tant’é). Insomma, meglio lasciare i compagni morire e mettere a rischio la missione.
  • Procura delle armi ai 47. Delle spade dei tengu che tagliano rami grossi un braccio come un coltello caldo taglia il burro. Spade fighissime e fortissime!
    Bene, quindi potremo aspettarci spettacolari smembramenti, no? NO. Alla resa dei conti le spade sono spade e basta.

Ok, non sono corretta, qualcosa di vagamente influente per la trama in effetti la combina: fa agitare Asano, il che lo rende vulnerabile a una strega (don’t ask) e finisce col compiere l’imperdonabile e condannare se stesso e i suoi. Fine. Fors the win!

La storia è MOLTO lontanamente ispirata alla storia vera.

Avete presente come Clavell riprese dei fatti storici reali ma cambiò i nomi per sottolineare come la sua fosse una versione romanzata?

Ecco, qui hanno fatto il contrario. I nomi sono quelli veri. Il resrto è… well, il resto è Hollywood.

Ma cosa succede?

Nel vero incidente di Akō, Asano, il signore della provincia, s’infuriò con il suo collega Kira, sguainò la spada e lo ferì leggermente. Problema: lo shōgun era lì, e chissà perché sguainare una spada in Sua presenza era un crimine severamente punito. Avendo infranto la legge, Asano fu condannato a suicidarsi e il suo clan fu dissolto.

Questo portò 2 problemi morali:

Primo, la disputa era stata provocata da Kira. Ora, nonostante Asano avesse commesso la colpa più grave e fosse stato giustamente punito, Kira non fu toccato, anzi, il Bakufu lo protesse proibendo ai guerrieri di Akō di vendicarsi.

Secondo, derivante dalla prima, i guerrieri di Akō avevano l’obbligo morale di vendicare il loro signore, ma anche di obbedire al Bakufu. Ora, l’inequità palese della decisione imponeva che agissero per ristabilire l’equilibrio.

Nel film, Kira ingaggia una strega per spingere Asano a fare qualcosa di male. La strega, che, si capirà dopo, può controllare uomni per giorni e giorni, fa in modo che Asano ferisca Kira.

Perché in questo modo la storia è più logica. Avrebbe potuto fargli attaccare lo shōgun direttamente, ma forse Kira ci teneva a farsi affettare la groppa. E va di lusso che Asano non lo ammazza, perché lo attacca nel sonno, credendo che stia violentando la figlia. T’immagini che figata se invece di fargli un graffietto lo scapizottava? Ops.

Anyway, lo shōgun condanna Asano ma non scioglie il clan. Impone che dopo un anno, la figlia di Asano sposi Kira per evitare che si crei una faida tra due delle sue provincie. E la cosa non è nemmeno stupida di per sé. Non è vero, ma nella logica del film potrebbe anche funzionare. E’ falso, ma è coerente col personaggio dello shōgun.

Non fosse che appena quest’ultimo è uscito dal cancello, Kira licenzia e mette al bando tutti i guerrieri principali degli Asano. Certo, e sono sicura che il grande boss non avrà nulla da ridire, visto tutto il discorso “pacifichiamo questo casino senza nuovi rancori”.

Tutti sono cacciati tranne Oishi, il capo, perché Kira non se ne fida. Ok. Fallo stregare e spingilo al suicidio. Assassinalo. Imprigionalo per il resto della sua vita.

No.

Lo chiudono in un buco per un anno, poi lo tirano fuori e lo riportano a casa. Un mazzo di rose per il disturbo no?

Ovviamente Oishi si serve un cordiale, da’ un bacetto alla moglie e avvia la vendetta. Chi poteva aspettarselo.

Il film continua senza una logica, con costumi aleatori (giuro, metà dei guerrieri sono vestiti da mongoli e uno dei 47 è il sosia di Mazeppa con tanto di colbacco!), architetture assurde, paesaggi cinesi e fiori di ciliegio (per ricordarci che siamo in Giappone).

Alla fine, i 47 si trovano a un punto morto: non sanno come entrare nel castello del cattivo e non hanno molto tempo.

Ma guarda te i casi della vita, una troupe di attori passa proprio davanti al loro nascondiglio! Loro da lontano capiscono che sono attori che hanno già visto esibirsi una volta, che stanno andando a divertire Kira, li intercettano e gli fanno “hey gente, mica andate da Kira? Lo vogliamo uccidere, non è che potreste aiutarci ad entrare?”. E il capoccia della troupe “certo, dopotutto vi ho visti una volta nella mia vita e non ci siamo rivolti la parola, di certo siete brave persone e avete ragione voi!”.

 

Alé!

L’assalto al castello del Cattivo è qualcosa di ALLUCINANTE! Le sue guardie non solo non ci vedono (i 47 si arrampicano sul muro di cinta sottoil naso di una sentinella, senza che questa li veda), ma proprio quella sera, sempre per gli stessi casi della vita, hanno tutti la raucedine, sicché i 47 possono ucciderne un numero imprecisato a due passi dal Cattivo senza che MAI un solo soldato cacci un “Ouch!”.

Ma poi la battaglia scoppia!

La strega si trasforma in un drago sputafuoco capace di frantumare la roccia. E invece di spazzare via i nemici in un nanosecondo, si concentra su Keanu Reevs.

In piena mischia Oishi, che è stato colpito al braccio da una freccia, riesce a estrarre la medesima e scordarsi completamente di essere ferito.

Il guerriero gigante al servizio del Cattivo, una specie di penultimo miniboss, viene spazzato via da una bombetta che fa saltare in aria un edificio, lui e il muro di cinta! Bodycount di questo utilissimo gigante: zero.

Oishi ammazza Kira, monta su una muraglia mentre sotto tutti si legnano come se non ci fosse un domani, e fa: “Oy!”

Tutti lo sentono, tutti si fermano, tutti lo guardano.

Oishi mostra la testa mozzata che da quella distanza potrebbe anche appartenere all’usciere e fa “ho ucciso il vostro capo.”
E i cattivi fanno “oh, ok, allora è fatta”. E si inginocchiano per lasciarli partirte. Perché tutta la menata del “un samurai non vive sotto lo stesso cielo di chi ha ucciso il suo signore” vale solo per i buoni. O forse Kira stava sul cazzo a ogni singolo soldato.

Questo film è così tremendo che alla fine, per un istante, ho avuto il terrore che Tokugawa volesse graziarli tutti. Sono stati attimi di puro spavento, giuro.

Ma facciamo un piccolo riassunto!

I giapponesi parlano con accento giapponese, gli occidentali parlano senza accento
Keanu Reevs ha una faccia sola (faccia “sono al funerale di un tizio che non conosco”)
Kira non uccide subito Oishi
La strega può sparare palle di fuoco, manipolare gli uomini, diventare un drago… ma non lo fa mai quando serve
I costumi
Le architetture
Le scene d’azione assurde
Kira è uno dei cattivi meno interessanti e carismatici mai messi sullo schermo
12332 subplot che non hanno vera influenza sulla trama e potevano essere tagliati senza rimorsi
La strega non ha nessun motivo per servire Kira
L’orrida Computer Grafica
Gli elementi inutili (tipo il gigante corazzato)
I tengu
Lo scambio delle spade tra Oishi e uno dei suoi era una buona idea
Ma viene passata in 12 secondi ed è così poco sfruttata che a stento si nota
“Feel the depht of my lord’s courage” è una buona battuta
Ma dato che il suicidio di Asano è stato senza sangue e senza recitazione, la battuta non ha impatto
Keanu Reevs non ha vera influenza sulla trama e poteva essere tagliato senza rimorsi
Oishi e i suoi erano persone reali, che hanno davvero combattuto e sono davvero morte malamente, e la loro storia è stata trattata senza il benché minimo riguardo
Almeno questo film non ha pretesa di essere storico come quello schifo di Last samurai

16 Grumpy disapprovanti

4 Grumpy sorridenti

Il rapporto matematico la dice lunga sul valore del film.

E’ un film che straconsiglio! Oh, non da vedere al cine, per carità, a meno che i biglietti non costino tipo 3 euro… Ma se vi capita occasione, guardatelo. E’ un film talmente stupido, talmente incasinato, talmente buttato là e talmente pieno zeppo di clichés per giapp0minkia, che è in sé una piccola perla. Non al livello di The Conqueror, ma si mangia in un boccone Dungeons & Dragons. Un imperdibile per gli appassionati di “ommioddio che cazzo ho appena visto”!

E per finire con samurai, Giappone e clichés, ULFULS!

(e non fate quelle facce, avrei potuto linkarvi Gatsu daze ^_^ )

P.S. Zombie boy, pur apparendo nel poster E nel trailer, appare per 3 secondi netti e inquadrato di spalle.