Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (1)

Ci sono momenti della Storia di un paese che segnano grandi cambiamenti e restano nella memoria come avvenimenti-cardine. E’ il caso, ad esempio, della Guerra di Genpei.

Ce ne sono altri che non spalancano le porte a una nuova era, ma sono molto indicativi del loro tempo. Spesso sono tralasciati, ed è uno sbaglio. Come spiega Gaston Bouthoul nel suo Polémologie, la guerra è il più evidente dei fenomeni sociali. Nella guerra tutto è condensato: economia, società, storia, religione, costume… Studiare in dettaglio una guerra è come fare un carotaggio di un dato strato storico.

Oggi vorrei parlare di un tizio che quasi nessuno si fila: Taira no Masakado.

E’ così poco filato che le pagine italiane lo nominano appena e in francese l’unico testo approfondito sul tizio (salvo sorprese) l’ho scritto io.

In inglese la situazione è migliore: il nostro amico viene nominato in numerosi libri e ha ben un (1) saggio tutto per sé. Il saggio è stato scritto da Karl Friday, che uno dei ricercatori più fighi di sempre, ma resta il fatto che il personaggio è quasi del tutto ignorato dalla storiografia occidentale.

E sinceramente non capisco perché. E’ un ganzo!

Ma andiamo con ordine.

Giusto per ricordare i due poli di Honshu: al Centro la corte, all’est i pascoli

La famiglia

come ogni buona storia di formazione che si rispetti, è importante cominciare dalla famiglia.

E’ il nono secolo quando il terzo figlio dell’Imperatore Kanmu (737-806) riceve dei pascoli in appannaggio. Sono terre nel Bandō, selvaggia terra di predoni e allevatori di cavalli.

Il Principe in questione era un pezzo grosso e, da buon pezzo grosso, non mise mai piede in nessuno dei suoi poderi.

Stesso non si può dire dei suoi discendenti: suo nipote Takamochi fu nominato vicegovernatore della provincia di Kazusa. E’ Takamochi a trapiantare il suo ramo dinastico nelle lontane terre orientali.

E’ importante fare due parentesi qui:

-Kazusa, come anche Hitachi e Kōzuke, è una provincia-beneficio. Il che significa che per legge i governatori di tali provincie sono sempre Principi Imperiali. Si tratta di una sine cura, dacché col cacchio che un Principe muove il culo fino alla provincia, e col cacchio che guasta il suo prezioso tempo in triviali faccende amministrative. Un Principe ha roba più importante da fare, tipo comporre versi, partecipare a rituali o gareggiare in agoni poetiche.

No, non sto scherzando, e non immaginatevi roba tipo Versailles, o una nobiltà indolente. Comporre poesia di buon livello è un incubo (l’unica cosa peggiore è tradurla). E ad ogni modo, dal punto di vista della classe dirigente dell’epoca, quanto elencato non era solo un passatempo elegante e pio, ma un’attività serissima volta a mantenere l’Impero in pace.

Sì, se non componi poesie decenti gli dei s’incazzano e ti nuclearizzano.

E non fate tanto gli spocchiosi, che noi ci siamo bevuti la favola della Mano Invisibile.

E’ difficile comporre poesie che giungano allo spirito

Seconda parentesi: come qualcuno potrà immaginare, avere una Corte di gente che non combina nulla di materialmente produttivo costa caro. Soprattutto quando la nascita di un individuo comporta automaticamente un certo rango, funzione e rendita.

Se i Principi devono ricevere certe risorse, allora, come far fronte al loro proliferare?
La soluzione è semplice: dopo un certo numero di generazioni, i principi vengono cancellati dai registri della casa regnante e viene assegnato loro un cognome (roba triviale da comuni mortali!). I Principi cessano così di essere tali e diventano Taira o Minamoto.

Takamochi è uno di questi “principi sprincipati”: riceve il nome Taira e viene spedito come vicegovernatore in Kazusa. Essendo questa una provincia-beneficio, la carica di vicegovernatore comporta, di fatto, la stessa autorità di una carica di governatore.

Trapiantato nelle lande orientali, Takamochi mette al mondo otto figli. I quattro che interessano a noi si chiamavano Yoshimochi, Kunika, Yoshikane e Yoshimasa.

Gli ultimi tre sposano le figlie di un notabile locale, un tipo chiamato Minamoto no Mamoru, funzionario di terza classe della provincia di Hitachi.

Per avere un’idea di dove stanno di casa i nostri amici. Yoshimasa non figura perché non sono riuscita a trovare l’esatta posizione della sua base principale. Molto probabilmente si trovava in Hitachi, assiama a quella di Mamoru e Kunika.

Ora, quando pensate a un “clan” di questo periodo, non figuratevi i legami stretti e gerarchici del periodo Sengoku o Edo. Siamo ne cuore di Heian, il legame tra genitori e figli è l’unico legame di sangue che conta. Quello fraterno ha una qualche importanza, senza troppo trasporto. Cugini? Ah!

I legami che avevano una solidità rimarcabile erano, per contro, quelli di matrimonio e l’alleanza personale tra gregario e capo.

Forse dipende dal fatto che i parenti stretti te li appioppa il karma, mentre quelli d’alleanza te li scegli, ma sta di fatto che queste parentele artificiali sono il cemento che regge la società di questa gentry provinciale. Sposandosi tutti con le figlie di un uomo solo, i tre fratelli entrano a far parte della sua famiglia.

Ora, questo può essere un problema quando il suocero si trova ai ferri corti con uno dei tuoi parenti. Un nipote, ad esempio.

Le disavventure tragicomiche dei grandi guerrieri del Bandō sono raccontate nello Shōmonki, un testo di poco successivo ai fatti.

Ma veniamo al nostro eroe: Masakado.

Masakado fa polpette di qualcuno, opera di Yoshitoshi Tsukioka

Figlio di Yoshimochi, non sappiamo di preciso quando è nato né quanti fratelli avesse o in che ordine, perché i guerrieri di questo periodo non scrivono, mortacci loro. Si ipotizza che il nostro sia nato nei primi anni del 900 e che abbia passato parte dell’infanzia o dell’adolescenza a Mutsu (suo padre sarebbe stato Chinjufu shōgun e governatore militare della regione, almeno per un periodo). Nel 935 Masakado è l’erede principale della cospicua fortuna di suo padre.

Masakado è un dogō, un ricco proprietario terriero, con basi fortificate in due distretti nella parte occidentale di Shimōsa.

Non pensate a fortini arroccati su perrupi: in quest’epoca una base è una fattoria fortificata con un muro di terra e tronchi, qualche torretta, eventualmente un fossato.

Quanto al nostro eroe, non immaginatevi un rude provinciale senza maniere. Masakado passa un periodo della sua giovinezza alla Capitale (a quest’epoca è Heian, ovvero l’attuale Kyōto), probabilmente al servizio del Fujiwara no Tadahira. Costui è un pezzo grosso, il capo dei Fujiwara, futuro Ministro degli Affari Supremi e, all’occorrenza, Uomo Più Potente del Giappone.

Non è inusuale per un alto aristocratico circondarsi di clienti (in senso romano) provenienti dalle provincie. Va bene che l’amministrazione è triviale, ma in qualche modo la roba deve arrivare alla Capitale, e cosa di meglio che dei rapporti personali con i barbari uomini di buonsenso basati sul posto? Di solito il patto tra aristocrazia centrale e aristocrazia provinciale è in questi termini: i provinciali mantengono l’ordine, fanno arrivare le vettovaglie e curano gli interessi del patrono, e il patrono protegge il cliente in caso di grane legali o politiche, fa in modo che sia nominato funzionario e che faccia carriera. Una mano lava l’altra, insomma.

Tuttavia, alla differenza di altri giovanotti nelle stesse condizioni, Masakado non ottiene mai nessuna funzione governativa. E’ possibile che la morte intempestiva del padre lo abbia privato degli agganci necessari a continuare un altrimenti decente carriera alla Capitale.

O magari non ha mai voluto far carriera, magari allevare cavalli era la sua grande vocazione (e siamo sinceri, vivere in un posto dove è ufficialmente vietato morire non è proprio facile).
Quale che sia la spiegazione, nel 930 Masakado torna in provincia, la Corte perde un tattico coi controcazzi e un uomo con poca intelligenza politica ma con capacità diplomatiche di tutto riguardo.

Ad ogni modo i guerrieri del Bandō hanno reputazione di esser gente litigiosa, e nel 931 il nostro eroe si trova già ai ferri corti.

Con chi?

Ma con lo zio, ovviamente, Yoshikane. Credete che la moda di odiarsi tra parenti stretti sia recente? Ah! Le vostre cene di Natale sono pinzillacchere! In tempi più civili zii e nipoti si scannavano mettendo a ferro e fuoco il vicinato, altro che commenti infidi e regali brutti!

Lo Shōmonki non scende nel dettaglio sugli hows, and the whys, and the do-you-mind-if-I-don’ts (cit.), ma ci dice che l’oggetto del contendere è “una donna”. Una delle interpretazioni dominanti è che la signorina in questione fosse la figlia di Yoshikane. La ragazza avrebbe sposato l’aitante Masakado senza l’approvazione del padre.

Ah, molto Shakespeariano, no?

Secondo il Konjaku monogatari shū la vera ragione sarebbe stata la robba (IE l’eredità del padre di Masakado), ma una cosa non esclude l’altra. Magari si erano scerrati per robba e per questo Yoshikane si opponeva all’unione.

Questa tensione non sfocia in bagno di sangue, il che è notevole, ma dopotutto pare proprio che Masakado sia stato un uomo posato e di buon senso, non uno che si divertiva ad attaccar briga. Ciò lo rende più unico che raro nel contesto.

L’inizio del cicciaio: l’agguato di Nomoto

Trattandosi del Bandō, la quiete non può durare troppo. Un bel giorno del 935 (o, per dirla alla giapponese, il quarto giorno del secondo mese del quinto anno dell’era Jōhei), Masakado e una nutrita banda di gregari e alleati sta attraversando a cavallo il territorio di Minamoto no Mamoru.

Non siamo sicuri del perché questi allegri compari si trovassero a spasso in Hitachi, ma sappiamo che sono tanti e sono armati. Non che la cosa si traduca automaticamente per intenzioni bellicose: a più riprese Masakado fa mostra di muscolo proprio per evitare un confronto.

Secondo Friday, tutto comincia quando Mamoru rompe i piatti con un tale Taira no Maki, un piccolo guerriero locale. Maki non ha nessuna parentela di sangue con Masakado, ma è un suo gregario.

Siamo agli albori della banda feudale: il rapporto tra capo e gregario è ancora molto reciproco ancorché asimmetrico. Un capo che molla un gregario nella merda non è un capo degno e può perdere ogni sostegno in meno di niente.

Incombe a Masakado farsi portavoce del suo uomo, e quale modo migliore per far valere i propri argomenti se un po’ di sana e genuina intimidazione?

Solo che Masakado non conta sulla paranoia dei Minamoto. Siccome c’è rischio di uno scontro armato, i figli di Mamoru optano per la strategia “fuori il dente, fuori il dolore” e assaltano Masakado nelle vicinanze del villaggio di Nomoto.

Brutta idea. Bruttissima idea.

A volte anche il più scanzonato degli omicidi può avere conseguenze impreviste…

I tre Minamoto non hanno pianificato ammodo la loro sorpresa, e si trovano a scoccare frecce controvento. Il che, col libbraggio ciofeca degli archi di questo periodo, è un grosso problema. Le frecce cadono a caso, picchiettano inoffensive sulle capocce del capetto Taira.

-I Minamoto.- Masakado strofina il pollice su un graffietto rimasto sulla carrozzeria dell’armatura. -Venivo proprio a cercar voi. Tempuccio oggi, vero?

-Vero.- Il maggiore dei fratelli sorride. -Abbiamo sentito dire che ti piacevano le sorprese…

-Oh, mi piacciono da morire.

Masakado e i suoi fanno a fettine i tre ragazzi Minamoto. Poi la loro bande. Poi si dicono “ormai abbiamo scaldato i cavalli, e la giornata è partita ad ogni modo, tanto vale continuare”.

I villaggi di Nomoto, Ōgushi, Ishida e Toriki sono messi a ferro e fuoco, i contadini massacrati, le donne stuprate, i campi distrutti, i villaggi obliterati. In un pomeriggio, una quindicina di chilometri quadrati di buona campagna sono rimodellati in una plaga di terra bruciata e ciccia per corvi.

Al villaggio di Ishida Masakado controlla le capocce mozzate.

-Toh, questa è di mio zio Kunika.

Kunika ha un figlio, Sadamori. Masakado lo conosce bene: hanno servito insieme alla Capitale. Solo che Masakado è tornato a casa a mani vuote, mentre quel damerino leccaculo sta facendo una bella carriera nell’Ufficio delle Scuderie.

-Dì…- Azzarda Maki -Quel tuo cugino alla Capitale… dici che si risente per questa faccenda che abbiamo ammazzato suo padre?

-Oh di sicuro.- Masakado ributta la capoccia di Kunika nel mucchio delle teste mozzate. Attorno a loro il villaggio arde, le donne urlano, i feriti sono trascinati fuori dalle baracche e sgozzati come agnelli. -Il lutto gli scombinerà il programma. Non puoi andare in ufficio se sei in lutto, i capi dicono che porti sfiga.

-Mi sembra un’idea cretina.

-Non sarebbe la prima idea cretina che hanno, alla Capitale.

-Allora che si fa?

Masakado fa un gesto vago. -Gli scriverò una lettera. Meglio che lo venga a sapere da me che non da qualche altro fesso che passa per caso.

-Che pensi di scrivergli?

-Oh, qualcosa tipo “Ciao cugino. Ho ucciso tuo padre. Mi spiace tanto, ma era al posto sbagliato al momento sbagliato. Potessi tornare indietro farei tutto diverso!”

-Davvero?

-No, non davvero razza di scimmia!- Masakado si arriccia un baffo. -Sai che pensavo… mio zio Yoshimasa non sta lontano da qui.

-Pensi che voglia vendicare suo fratello?

-Ah! Penso che è genero di Mamoru.- Fa un gesto verso quello che un tempo era un villaggio e che ormai è un girone infernale. -Questa è roba di Mamoru. Il che vuol dire che è della figlia di Mamoru. Il che vuol dire che è di mio zio. E ora che Kunika è morto è di mio zio a maggior ragione. E’ ovvio che cercherà di fare qualcosa di sconsiderato.

Masakado potrebbe tornare alla sua base e prepararsi a difendersi. Ma così facendo porterebbe il conflitto a casa. Inoltre, la sua banda è composta di gregari, ma anche di alleati (i banrui). Costoro seguono il capo per profitto o per timor, hanno poco da vincere e molto da perdere. Se Masakado mette fine alla spedizione e torna indietro, i banrui torneranno ai loro villaggi e il nostro perderà un sacco di prezioso manpower. Se vuole vincere contro Yoshimasa, deve restare sul campo.
C’è un problema però: Yoshimasa è un funzionario provinciale, e la pena per chi uccide un funzionario è, in teoria, la perdita di ogni diritto. Chi viene dichiarato Nemico dello Stato, non ha più nessuna protezione: chiunque può ucciderlo e pretendere una ricompensa.
Allo stesso tempo, la Corte è reticente ad applicare la legge in modo troppo severo. Fintanto che nessuno disturba i convogli di rifornimento, gli aristocratici tendono a catalogare i massacri nel Bandō sotto “so’ ragazzi”.

Masakado opta per una strategia di guerriglia e raid. Per otto lunghi mesi lui e i suoi allegri compari scorrazzano per Hitachi, costringendo suo zio Yoshimasa a corrergli dietro.

Questo ha un doppio beneficio: per un verso Yoshimasa è costretto a dissipare le proprie energie e sfiancare i propri partigiani, e allo stesso tempo non è in grado di andare in Shimōsa e spianare le basi di Masakado.

Masakado e un uomo a piedi, ricostruzione Osprey

Mentre questo teatrino si svolge tra pantani e foreste, la lettera di Masakado arriva alla Capitale, insieme a tante altre notizie per Sadamori: le sue terre sono state trasformate in cave di mota e gente bruciata, sua madre è rimasta barbona per la campagna, suo padre è morto e suo cugino sta seminando morte e distruzione col contagocce.

Senza por tempo in mezzo, il rampante burocrate ottiene un congedo (consegnatogli con le pinze e l’incoraggiamento “cavati subito di qui, te e la tua sfiga!”) e torna in tromba nel Bandō.

La situazione che trova è FUBAR.

Se Sadamori vuole avere una qualsivoglia chance di continuare una carriera decente, deve rimettere in sesto la propria base economica e ripartire il prima possibile. La prima cosa da fare è cercare la pace con suo cugino. Sadamori prende carta e pennello.

“Caro Masakado- scrive -Sono sicuro che avevi delle buon ragioni per uccidere mio padre. Sappi che non ho nessuna intenzione di vendicarmi, e se potessimo far pace di modo che io possa cavarmi il prima possibile da questo buco di merda tornare quanto prima alla capitale, credo che saremmo tutti e due più felici”.

Sigilla la lettera, la dà a un galoppino con la consegna “per mio cugino. Lo troverai probabilmente a sfilettare le truppe di mio zio in qualche posto strategicamente vantaggioso”.

La fine di Yoshimasa: la vittoria di Kawawa

Il 21 del decimo mese, Masakado si accampa senza troppa discrezione nei pressi del villaggio di Kawawa, nel distretto di Niihari.

Lieto di poter finalmente incastrare il nipote, Yoshimasa si affretta sul posto con tutta la precipitazione di un Dodo che vede per la prima volta una scialuppa portoghese e vuol fare amicizia.

E come il dodo, Yoshimasa ha una brutta sorpresa. Masakado non è scemo: lo sta aspettando.

Gli uomini di Yoshimasa si rompono le corna peggio degli egiziani nel Sinai. Secondo lo Shōmonki 60 dei guerrieri di Yoshimasa perdono la vita quella mattina d’autunno.

Può sembrare un numero ridotto, conto tenuto che nella sua vendetta Masakado ha distrutto 500 “focolai” (modo di contare i nuclei familiari), ma una sessantina di uomini costituiscono una ragguardevole banda di guerra. Con questa vittoria, Masakado ha annientato la banda personale di Yoshimasa.

Militarmente e politicamente parlando, Yoshimasa è finito. Sparisce dalle fonti e dalla scena, del tutto obliterato. Masakado ha ottenuto una vittoria totale.

Con l’autunno alle porte, il nostro ritorna a casa, pieno di bottino e gloria. Non solo ha protetto uno dei suoi gregari, non solo ha cancellato un fastidioso notabile rivale, ma ha anche fatto fuori due zii. Far fuori gli zii è sempre un gran piacere!

Sembra una storia a lieto fine (o forse no, dipende per chi fate il tifo), ma non è finita.

Come accennato nella sezione riguardante la famiglia, Masakado ha un altro zio. Un ultimo zio. E un cugino fellone.

Il grande casino nel Bandō è appena iniziato.

MUSICA!

Per chi volesse maggiori precisazioni sui guerrieri di questo periodo, rimando agli articoli sull’evoluzione del sistema militare e sulla banda di guerra.

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata
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YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira, Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

FUJIWARA Tadahira, Teishin kōki (Notes journalières de l’ère Teishin), Iwanami shōten, Tōkyō, 1956

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In lingua occidentale

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HALL John Whitney , Government and Local Power in Japan, 500 to 1700, Center for Japanese Studies Univesity of Michigan, 1999,

RABINOVITCH Judith N., Shōmonki, The story of Masakado’s Rebellion, Tōkyō, Monumenta Nipponica, Sophia University, 1986

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PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

Archeologia sperimentale e ardimento: la Nave Drago di re Harald

Haugesund è un cittadina in Norvegia. Non molto grande, non molto piccola, un trentamillaio circa di abitanti, affacciata sullo stretto di Karsmund nel Rogaland.

Niente di che come posto, non fosse che qui, nel marzo del 2010, seguendo il sogno dell’imprenditore Sigurd Aase, parte uno dei progetti più fighi di sempre: la costruzione di un drakkar oceanico!

Gatti vichinghi. Le corna sono photoshoppate: i veri gatti vichinghi non hanno corna sull’elmo.

Senza entrare nel dettaglio della storia e della struttura delle navi scandinave (materiale che richiede almeno un articolo completo), “drakkar” è un termine generico per “nave scandinava”. Data la propensione marittima e perniciosa della gente del nord, possiamo capire come queste navi siano state oggetto di ricerca e studi.

Un esempio archeologico straordinario è dato dalle celeberrime e spettacolari navi conservate a Oslo: l’elegante esemplare di Oseberg, la spartana di Gokstad e la tenace di Tune.

La seconda è sempre stata la mia preferita. Lunga 23 metri e larga 5 e spicci, questa bellezza era una cacciatrice, sulla pista di pesca, guerra e saccheggio. Ma poteva attraversare l’oceano?

La nave di Gokstad in tutta la sua famelica bellezza

La grande nave di Haugesund, costruita in solida quercia (sì, le navi erano di quercia, non d’abete come vorrebbero farci credere quei mentecatti di History Channel mortacci loro!), supera in taglia della Gokstad, con 35 metri di lunghezza, un albero di 8 metri e una capacità di carico di 95 tonnellate. Il nome di questa belva è Draken Harald Hårfagre, in memoria di Harald Bellachioma, noto per essere stato il primo re di Norvegia e per essere morto pluriottantenne nel suo letto (un’impresa che non tutti i capi scandinavi potevano vantare, nel X° secolo).

La Draken Harald Hårfagre e la sua vela di seta

Il nuovo drakkar può mettere ai remi 50 persone, proprio come le navi che, di media, componevano la flotta da guerra norvegese dopo che un sistema di leva marittima fu implementato verso la metà del X° secolo.

Tutto molto bello, ma un esperimento non è niente senza una metodologia precisa (capito Thomas Morton?). Come è nata ? Non abbiamo manuali sulla costruzione di navi. Abbiamo dei reperti archeologici, ma a parte i tre tesori al museo navale, si tratta di frammenti incompleti.

Quella che però abbiamo è una tradizione vivente di costruttori di barche. Nonostante ci siano ovvie differenze tra le barche costruite oggi da costoro e quelle che hanno raggiunto la Groenlandia, molte delle tecniche usate sono rimaste più o meno inalterate. In particolare, la caratteristica principale delle barche moderne e di quelle antiche è la tecnica con cui sono state costruite, un sistema detto “clinker“, in cui le assi della chiglia si sovrappongono l’una sull’altra come le tegole di un tetto.
voilà! Dopo due anni di lavoro la Draken Harald Hårfagre è pronta a solcare il mare e perpetrare la tradizione di archeologia sperimentale norvegese (tra cui citiamo uno deglii uomini più ganzi di sempre, quel matto di Thor Heyerdahl).

Sigurd Aase sorride perché ha investito i suoi soldi in trappole mortali per solcare i mari in nome della ricerca storica. Sii intelligente, fai come Sigurd Aase.

E’ importante notare che la Draken Harald Hårfagre non è una ricostruzione. Ci sono state ricostruzioni fedeli di reperti, nel passato, come la danese Stallone del Mare(la Havhingsten fra Glendalough), che ricrea una delle navi di Skuldelev, sito irlandese. La Havhingsten è un mirabile esempio di archeologia sperimentale, ma non è abbastanza sicura da prendere il mare (oggi è considerato come socialmente inappropriato quando ti affoga la ciurma in piena traversata).

La Havhingsten alla carica!

La nave norvegese, per contro, è equipaggiata con strumenti moderni, in caso di necessità.
La Draken Harald Hårfagre è finalmente messa in acqua nel 2012. La prima parte (il vascello) è a posto, manca il resto (la ciurma). Fino al 2012 nessuno, nemmeno quel matto di Thor Heyerdahl, aveva provato a manovrare una nave di questo tipo e di queste dimensioni. I partecipanti hanno quindi dovuto imparare a remare, far vela, manovrare. Per due anni la nave ha quindi costeggiato le spiagge norvegesi, mentre i suoi marinai prendevan la mano.

La ciurma, sotto il comando del Capitano Ahlander, conta 32 persone tra uomini e donne. Metà di costoro sono marinai collaudati, l’altra metà è composta da volontari (molti di quali studenti universitari e ricercatori, noti per l’eccellente forma fisica e le prodezze atletiche).

La nave non ha un “sottocoperta”: lo spazio sotto il ponte è così scarso che a stento basta per le provviste. Una tenda permette ai partecipanti di riposare al riparo, più o meno. Può ospitare 16 persone e i turni sono precisi: 4 ore di lavoro, 4 ore di riposo.

Una confortevole crociera sull’Oceano! (foto dalla Pagina Facebooc dell’impresa, vedi Bibliografia)

Nel 2014 la Draken Harald Hårfagre ha finalmente avuto il suo primo battesimo oceanico, con una traversata da Haugesund a Liverpool (Merseyside per la precisione).

Immagino il drakkar arrivare sulle onde, scudi alle fiancate, manco a dire “oh, hey, vi siamo mancati?”.

Il viaggio non è stato facile: i prodi marinai sono stati per mare per circa 3 settimane, in un tempo di merda. Nei pressi delle Shetland una bufera spezza l’albero come un grissino e lo schianta sul ponte.

I nostri decidono che forse è meglio avviare il motore: va bene l’archeologia sperimentale, ma se non sopravvivi per raccontare l’esperienza, l’intera faccenda è inutile.

Dal 17 luglio al 5 agosto 2014, la Draken Harald Hårfagre resta in porto. Quando riparte, gli indigeni sono, per la prima volta, tristi di vederla andar via. Ah, come cambiano i tempi!

Sul serio, se lo sarebbe immaginato un sassone che un giorno una nave vichinga sarebbe stata salutata con “so fare thee well my, own true love“?
La nave riparte sulle note della triste canzone The leaving of Liverpool, e via, per nuove avventure! E’ ora di tornare sui luoghi tanto visitati dai simpatici antenati: l’isola di Man, le Orkneys, le Shetland e le Ebridi. Prima di lasciare il porto di Stornoway, il Capitano assicura ai giornalisti che i vichinghi “hanno preso quest’isola un tempo, e noi torneremo!”
No so gli scozzesi, ma io comincerei a preoccuparmi.

Il 23 aprile del 2016, i prodi marinai della si sono riuniti di nuovo per la cerimonia della Testa di Drago, ovvero la cerimonia in cui la testa mitologica veniva montata sulla prua della nave (sì, le “teste” iconiche delle navi vichinghe non erano fisse, ma venivano montate in caso di lungo e periglioso viaggio).

Il drago apre gli occhi! (foto dalla Pagina Facebook, vedi Bibliografia)

Il 26 la Draken Harald Hårfagre è partita verso l’Ovest!

Quasi subito, una delle sartie si spezza. La nave ripara nelle Shetland, per rinforzare l’attrezzatura.

Il 2 maggio i nostri sono a Torshavn, nelle Isole Faroe. La traversata dalle Shetland non è stata facile, con onde alte e vento forte. La nave ha tenuto, ma la ciurma è esausta. Il Capitano ha deciso di fare una pausa ed evitare di ritrovarsi in mezzo a una bufera, in alto mare, con una ciurma di gente scoppiata.

La rotta per l’Islanda (foto dal sito dell’impresa, vedi Bibliografia)

Il viaggio è di nuovo in corso in questo momento e la nave si trova sulla via per l’Islanda (potete seguire lo spostamento sul loro sito).

Addio alle Faroe (foto dalla Pagina Facebook, vedi Bibliografia)

Questa impresa non solo ci permette di studiare da vicino lo svolgimento di un viaggio del genere, ma pompa linfa vitale nella ricerca storica di un periodo difficile da esplorare. Tutti coloro che hanno preso parte a questo bellissimo progetto hanno la mia più sincera stima.

Vi invito a seguire le vicende della nave da vicino.

Questo è tutto e TO GLORY AND VALHALLA!

MUSICA!
(Then place me on a ship of OAK, History Channel, QUERCIA!)

BTW, se qualcuno si stesse chiedendo “perché non Tyr, hanno un album su Eric il Rosso, ci stava a ciccio di sedano, la ragione è: da quando li ho visti live mi stanno sul cazzo da morì. E sì, la loro musica mi garbava anche.


Bibliografia

Il sito ufficiale dell’impresa

Un ritratto dettagliato della nave

L’arrivo in Merseyside

La partenza da Merseyside

La nave a Stornoway

L’arrivo nelle Faroe

La cerimonia della testa di Drago

La pagina Facebook della nave

Il canale YouTube dell’impresa

La pagina wiki della nave

Il sito informativo di Avaldsnes

Sulla tecnica del clinking

Sulla tradizione di fabbricazione di barche in Norvegia

Il museo danese dove si trova la Stallone del mare

Il museo delle navi vichinghe di Oslo