The Handmaid’s Tale: m’è garbato ma c’ho da ridire lo stesso

Nei mesi in cui sono stata fantasma, pare che un paio di persone abbiano effettivamente sentito la mancanza del blog.

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Eh, non me lo spiego nemmeno io, ma il mondo è bello perché è vario.

Quindi mi accingo a punire costoro con ciò che meritano: la mia indispensabile opinione su robe che passano in TV!

The Handmaid’s tale – la serie

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Un briciolo di contesto

The Handmaid’s tale, tradotto in italiano con La storia dell’ancella, è una serie uscita su Hulu, tratta dall’omonimo libro di Margaret Atwood.

Uscito nel 1985, The Handmaid’s tale è un romanzo distopico che esplora le conseguenze del potere volto a preservare se stesso . L’elemento portato alle estreme conseguenze qui è il potere patriarcale, in particolare il patriarcato di stampo fondamentalista cristiano.

In un futuro non troppo remoto, la fertilità degli esseri umani crolla. Un attentato terroristico spaccia la gran parte del parlamento statunitense e un gruppo fondamentalista chiamato Sons of Jacob prende il controllo del paese. Ribattezzati Gilead, gli Stati Uniti vengono trasformati in una dittatura puritana.

Le donne sono quelle che perdono più diritti sotto il nuovo regime: non possono più scegliere, divorziare, abortire, possedere beni o anche solo leggere. Le loro funzioni sono strettamente limitate. Le Wives sono le mogli dell’élite, amministrano le loro case e vestono in blu. Le Marthas sono domestiche e vestono in verde. Le Econowives vestono abiti a strisce colorate ed esercitano tutti i compiti muliebri per le classi subalterne, a cui sono assegnate come ricompensa.

Una branca a parte è dedicata alle donne fertili ma immorali (donne che sono state promiscue, divorziate o che hanno tenuto altri comportamenti poco biblici), che sono ridotte in schiavitù e costrette a concepire figli per l’élite. Queste sono le ancelle: vestono in rosso e sono assegnate alle famiglie dei Comandanti. Una volta al mese il marito stupra l’ancella in un balordo rituale in cui la moglie regge ferma la disgraziata.

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Nell’eventuale necessità di un atto sessuale, è necessario fare in modo che nessuno si diverta!

Una volta sgravato il pargolo, l’ancella lo allatta fino allo svezzamento e poi passa a una nuova famiglia. In tutto ciò, le ancelle prendono il nome del proprietario di turno (tipo Offred, impiegata da Fred Waterford, “of Fred”) e sono controllate e indottrinate da delle “zie” (Aunts), che vestono marrone e si preoccupano di applicare le draconiane leggi di Gilead.

Nel libro, un’ancella di nome Offred racconta via delle cassette la propria vita, com’era prima del colpo di stato, l’indottrinamento, e infine la sua esistenza in Gilead. Attraverso il punto di vista di Offred, possiamo esplorare le contraddizioni, l’ipocrisia e la crudeltà insita dell’ideologia patriarcale, come anche i metodi repressivi e propagandistici usati dai dirigenti per mantenere il controllo sulla popolazione.

La serie

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Parte del successo della serie è PROBABILMENTE legato al clima politico in America

La prima serie di The Handmaid’s tale ha aperto col botto nell’aprile del 2017 e ha ricevuto applausi pressoché universali, portandosi a casa un sacco di premi, tra cui diversi Emmys e un Golden Globe per miglior serie tv nella categoria drammatica.

Prova del famoso complotto nazifemminista volto a sterminare i maschi vincendo premi tv, ovviamente.

Anche il pubblico però sembra aver apprezzato, con un 95% Su Rotten Tomatoes.

Una serie acclamata dai critici, diretta in buona parte da donne e con sottotono femminista. Ma vi pare che non la guardavo?

Prima di cominciare è opportuno specificare: ho letto molto a proposito questo libro, ma non ho letto ancora il libro stesso, quindi il mio commento porta soprattutto sulla serie tv.

Serie tv su cui, ovviamente, ho da ridire.

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We are not amused

Il primo problema che ho con la serie (e col libro, di conserva) è la faccenda del calo della natalità.

All’interno del genere distopico, l’improvviso crollo della fertilità è ricorrente, ne sono un esempio storie come When she woke o The children of Men. L’idea che la razza umana appassisca lentamente è piuttosto attraente per la sottoscritta, ma al di là della sete di estinzione della Tenger, questo elemento è strutturalmente problematico qui.

L’infertilità generale è uno degli elementi decisivi nella genesi di Gilead (la sopravvivenza dell’Umanità è in gioco!) e nella vita dei personaggi (un personaggio commette un “reato” punibile con la morte, ma essendo una donna fertile viene risparmiata).

Ora, una distopia è un esercizio nel portare alle estreme conseguenze elementi reali. In altre parole, è un “avvertimento” contro cose che esistono. Per esempio, il pensiero unico e la sorveglianza capillare insiti nel regime comunista russo sono ciò che ha favorito l’ascesa e il mantenimento dello stalinismo, ed è pertanto normale che giochino un ruolo così prominente in 1984.

La misoginia e il patriarcato hanno molto poco a che vedere con un catastrofico calo delle nascite. Il trattare le donne come incubatrici che cucinano e stirano è una costante di tantissime culture, a prescindere dal numero di pargoli per famiglia.

E’ vero che il tasso di fertilità mondiale è calato. Ciononostante il problema principale di oggigiorno non è una carenza in gristiani. Con tutto il calo di natalità, abbiamo comunque un surplus di umani rispetto alle risorse (anche a causa di sfruttamento predatorio, Cambiamento Climatico, ecc.).

Una brutta persona potrebbe dire addirittura che il tasso di natalità ha raggiunto un livello ottimale, è la mortalità che è troppo scarsa, ma non divaghiamo.Risultati immagini per blackadder death meme

Un’altra celebre opera che studia gli effetti del potere assoluto sugli oppressi

Il punto è, oggi e ora misoginia e narrativa patriarcale sono reali, e sono quelli che la Atwood prende di mira nel suo libro. Però non dipendono da una scarsa fertilità.  Un esempio sono appunto gli Stati Uniti, in cui il tasso di natalità è rimasto pressoché stabile dal  1990 in poi  (e che quando la Atwood scrisse il libro era perfino in leggera rimonta). Nonostante ciò hanno un Presidente che pare l’incarnazione di una barzelletta sessista pronunciata in un singolo rutto in un bordello livornese. Nonostante ciò ci sono persone come Kevin Williams che sostengono che l’aborto dovrebbe essere punito con l’impiccagione.

E’ vero che la stagnazione demografica viene usata come scusa per spingere quella porcheria immonda della propaganda pro-life. Se la catastrofe demografica fosse stata una scusa usata dai Sons of Jecob, avrebbe potuto funzionare. Ma no, è reale, non nascono più figlioli.

In altre parole, una piaga di infertilità fulminante non è un elemento reale, non ha avuto un ruolo strutturale nell’evoluzione e mantenimento del patriarcato. Pare che sia inserita qui meramente come elemento scatenante per la trama.

Aggiungere un elemento alieno come questo inficia un po’ l’analisi sociale.

Da un punto di vista puramente narrativo, offre vantaggi e svantaggi.

Un vantaggio è che il regime oppressivo è una risposta a una minaccia reale e pressante. Può essere una risposta sbagliata, ma un qualche tipo di azione drastica è percepita come necessaria e urgente davanti a qualcosa che minaccia la specie.

Da un punto di vista speculativo, questo è problematico perché la misoginia non è una risposta a una catastrofe urgente, non è necessaria e non è nemmeno costruttiva. Gli evangelisti americani non vogliono vietare l’aborto per risolvere un qualche problema reale: lo vogliono vietare perché sono delle sottomerde (semplificando). Il loro “problema reale” non è che l’umanità è in pericolo, è che le donne possono scegliere cosa fare coi loro corpi (ovvove e vaccapviccio!).

Sul piano puramente narrativo, questo fa dei Sons of Jacob gente pazza e pericolosa, ma mossa da buone intenzioni che sono giustificate da un reale pericolo. Aumenta il conflitto (gli antagoniti non sono cattivi per il gusto della cattiveria).

Di contro, introduce un secondo problema, comune in questo genere di film, che a me piace chiamare “e quindi ora?”.

Prendiamo l’esempio di What happened to Monday?: c’è un problema di sovrappopolazione e il governo adotta SoluzioneBruttaRandom. La SoluzioneBruttaRandom è sbagliata e cattiva e viene nullificata dall’eroico sforzo dei protagonisti.

Ok, e quindi ora?

Il problema che ha portato all’adozione di SoluzioneBruttaRandom è ancora presente. Le opzioni sono due: o gli eroi propongono una SoluzioneBuonaRandom, o si stabilisce che l’estinzione di massa è la scelta più etica.

In The Handmaid’s tale c’è lo stesso problema. Sappiamo che solo Gilead ha imposto il sistema delle ancelle. Il Messico non si sa che fa, ma è detto chiaro che non sta funzionando. In Canada la gente sta meglio e non ci sono ancelle ma non è spiegato che cosa si siano inventati per ovviare alla denatalità.

Non sarebbe troppo male se non fosse che questo aspetto (fondamentale nella storia) non viene mai affrontato.

Ridurre la gente in schiavitù e stuprarla è sbagliato. Ok, e quindi ora?

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In una scena Offred affronta una diplomatica messicana, venuta per trattare un qualche tipo di “importazione di ancelle” verso il Messico. Offred fa notare il piccolissimo dettaglio che si tratta di schiavitù, stupro e repressione. L’ambasciatrice le risponde “eh sì, brutta cosa, ma da noi non nascono marmocchi da 6 anni e non sappiamo che altro fare”.

Ergo la soluzione del Canada per qualche ragione non è applicabile in Messico.

E quindi ora?

In un’altra scena Offred e il Comandante parlano del “prima e dopo Gilead”. Mentre il Comandante offre collaudati argomenti da evangelista scoppiato (le donne sono più felici ora che possono realizzare il loro “destino biologico” di uteri ambulanti, prima erano comunque oggettivizzate dal consumismo edonista, ecc.), il fatto che la razza umana sia sull’orlo dell’estinzione non viene nemmeno sfiorato.

La sterilità dilagante, ancorché verosimile, viene usata meramente per spingere la trama a pedate. Potrebbe arricchire il conflitto, ma no, come in What happened to Monday? restiamo a chiederci “ok, quello che fanno in Gilead è sbagliato, e quindi ora?”.

Il secondo punto che mi crea problema è la protagonista: June/Offred.

In buona parte ciò dipende dal tipo di romanzo da cui è tratta la serie.

L’interesse principale della letteratura distopica è la speculazione: si tratta (in teoria) dell’analisi di un meccanismo reale e di come questo può danneggiare l’umanità se lasciato senza controllo.

Il romanzo distopico pone l’accento sul contesto più che non sui personaggi. Il protagonista spesso è il più  normale possibile, perché lo scopo è esplorare l’effetto che il potere ha sull’essere umano qualsiasi.

Winston Smith è una persona normale che cerca di ribellarsi come può. Se fosse un genio del computer capace di hackerare i teleschermi e mandare in crush il Big Brother, il romanzo sarebbe del tutto differente. Sarebbe magari un romanzo d’azione, ma la sottile analisi dell’effetto della dittatura sulla persona qualsiasi sarebbe in buona parte persa.

Il film Running man è divertentissimo. Ma la fine analisi sociale finisce sullo sfondo quando The Governator in tony sgargiante corre in giro cazzottando gente e snocciolando battutacce di pessimo gusto.

Insomma, in un romanzo distopico, il protagonista è spesso poco attivo, qualcuno che cerca di sopravvivere ed opporsi con mezzi molto limitati.

Questo funziona bene in un romanzo, o in un film, ma in una serie di 10 puntate da un’ora?

Quelle puntate vanno riempite, e non possono essere riempite solo da gente che si fa pestare.

Offred è un personaggio spesso molto passivo.

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Ovviamente non succede

Intendiamoci: è verosimile che lo sia. La maggioranza della gente al suo posto lo sarebbe. Ma per un format di 10 ore, questo è un problema.

Nel libro, Offred registra i propri pensieri e la propria storia. Ciò è di per sé un atto rivoluzionario. E’ una donna che trova il modo di conservare la propria individualità in un mondo che le ha tolto i mezzi, la famiglia, il lavoro, la libertà e anche il nome. In un mondo che vuole annullarla come persona, Offred trova il modo di “preservarsi”, anche a rischio di brutali punizioni.

Nella serie, Offred non registra niente, abbiamo la sua voce narrante e basta. Questo la rende più passiva della sua controparte letteraria.

Aiuta il fatto che l’attrice che la interpreta è Elisabeth Moss, che è bravissima. Doppiamente bravissima, conto tenuto che recita la parte di una donna che, nel 99% dei casi, non può mostrare le proprie emozioni, deve abbassare al testa e inghiottire le parole.

Purtroppo resta il fatto che la nostra subisce per la stragrande maggioranza del tempo. Di nuovo: verosimile, ma non molto compelling per 10 ore di visione.

Ci sono momenti in cui la nostra fa cose. Ad esempio nasconde un pacchetto di lettere di ancelle per conto della resistenza. Purtroppo queste lettere giocano un ruolo molto marginale nella prima serie e un ruolo cretino e basta nella seconda. L’impressione è che ‘sto benedetto pacchetto sia stato tirato nella storia non per arricchire il contesto, l’analisi o la vicenda, ma per dare a Offred qualcosa da fare.

In un paio di casi la serie pare non rendersi nemmeno conto della passività di Offred.

C’è un cliché inaffondabile, che è quello del protagonista che marcia deciso verso la telecamera alla testa della squadra, di solito in slow motion. E’ un sotterfugio trito e ritrito ma a cui siamo affezionati, e che di solito viene usato dopo che il personaggio ha compiuto un qualche tipo di atto simbolico (magari ha fatto esplodere qualcosa).

Offred per qualche ragione si cucca due camminate in slow motion, nessuna delle due davvero giustificata.

Nel quarto episodio Offred scopre un messaggio lasciato dalla disgraziata prima di lei. Il messaggio la incoraggia a non arrendersi e ciò è inframezzato da flashbacks in cui le altre ancelle danno prova di solidarietà verso una June ferita e invalida. Tutto si conclude su note ottimiste, una camminata in slow mo e Offred che chiacchiera di come sono ancelle, e hanno una divisa, e non si faranno macinare dai padroni!

Ok, quindi questo episodio sprona Offred a prendere in pugno la situazione, magari convince le altre ancelle a scioperare, o ribellarsi, o assassinare tutti nel sonno in una catarsi di sangue e fuoco!

No, nell’episodio 5 Offred è punto e da capo.

Il messaggio che la rincuora ha senso se presentato per ciò che è: un piccolo gesto che aiuta questa disgraziata a sopportare la propria situazione ancora un po’.

Invece no, camminata lenta, note pimpanti di piano, mo’ ve se famo un culo così, e un niente di fatto.

La seconda volta è ancora peggiore. Senza troppi spoilers, nell’ultimo episodio Offred e le altre si trovano a dover lapidare una di loro. Una delle ancelle, Offglen, si oppone. E’ l’unica ad osare e viene brutalmente picchiata e trascinata via.

Ma questo sprona Offred, che lascia cadere il sasso e se ne va, seguita dalle altre, mentre Aunt Lydia urla che ci saranno conseguenze. Camminata in slow mo e passo coordinato, mo ve se famo il culo 2 il ritorno!

Cosa fanno?

Niente.

Ritornano ordinatamente ognuna a casa sua in attesa della mannaia, ma con la camminata tosta davanti alla telecamera che fa sempre figo.

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Non dico che non sia un atto di eccezionale coraggio rifiutarsi in una situazione del genere, ma boh, la camminata stile Deadpool mi pare molto fuori luogo. Anche contando che non è stata nemmeno Offred la prima a fronteggiare l’autorità. Offglen è stata la prima a rifiutarsi e l’unica a soffrire una punizione immediata. Dovrebbe essere lei a cuccarsi la camminata figa, no? Mah.

Offred resta un personaggio passabile, verso cui è facile provare empatia. La sua passività è verosimile e giustificata dal contesto. Uno però si chiede se non fosse meglio, per una serie a puntate, seguire un personaggio in una posizione diversa che sia quindi più attivo. Perché i personaggi attivi ed affascinanti certo non mancano, e sono uno dei grandi pregi di questa serie!

Prendiamo la prima Offglen/Emily: è un ex-professoressa universitaria, lesbica, sposata e con un figlio. Dopo aver perso la famiglia ed essere finita in schiavitù, Emily collabora con la resistenza. Allaccia una relazione con una Martha. Viene arrestata. Uccide un guardiano. Insomma, è una donna che non ha niente da perdere ed è disposta a qualsiasi cosa pur di resistere.

La seconda Offglen è contenta di essere un’ancella. Era poverissima prima di Gilead, e costretta a prostituirsi per miseria. Ora è mantenuta in una casa da gente che, tutto sommato, la tratta bene. Le basta, le va bene così. Ma quando le impongono di far del male a un’altra ancella si rifiuta, perché è comunque una persona empatica e di fegato.

Moira riesce a scappare dal centro di detenzione e indottrinamento, ma viene ricatturata e costretta a scegliere tra una vita di stenti in una colonia contaminata e una vita di stenti (ma con la droga) in un bordello.

La lista continua: ci sono un sacco di personaggi ganzi nella serie, tutta gente che si trova ad agire più di Offred.

Serena Joy (interpretata da Yvonne Stahovski), la moglie di Waterford e uno degli antagonisti principali, è il mio personaggio preferito in assoluto.

Nel libro, Serena è una donna in là con gli anni, afflitta dall’artrite e infelice nel suo ruolo marginale. Nella serie Serena è più giovane e più reattiva. Si scopre che lei è il vero cervello dietro al marito, che prima del ribaltone Serena ha giocato un ruolo cardinale nell’organizzazione del colpo di stato.

E’ una donna che ha costruito con determinazione, intelligenza e metodo il nuovo sistema… e ci si trova ora intrappolata. E’ una versione tragica di Phyllis Schlafy, una fervente fondamentalista antifemminista che riuscì a frenare il progresso dei pari diritti con grande efficacia.

Il patriarcato è sempre stato protetto e perpetrato grazie a donne come Serena Joy o Phyllis Schlafy, donne che hanno interiorizzato la misoginia inerente del sistema e che lavorano attivamente alla sua conservazione in cambio di potere e status. Non vogliono emancipazione per sé stesse, vogliono controllo sul prossimo, e lo possono ottenere attraverso il sistema patriarcale. Serena orchestra gran parte della congiura, partecipa alla costruzione di Gilead, ma alla fine suo marito la mette da parte.

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Serena è anche una fonte inesauribile di reaction pics. 50 sfumature di disappunto.

Potrei andare avanti a parlare della serie: come storia distopica, offre di conserva un sacco di spunti di discussione.

In generale, ha delle cose che non mi sono piaciute, ma nell’insieme gli elementi positivi (o quantomeno interessanti) superano quelli su cui ho da ridire.

Plotpoint dell’infertilità subitanea
Format poco consono al tipo di storia
Elementi come il razzismo sono del tutto assenti nel worldbuilding
Camminate in slow mo
Recitazione
Una compagine di personaggi secondari interessanti e ben fatti
Atmosfera
Antagonisti ben delineati e non appiattiti a macchiette
Sceneggiatura
Serena Joy

 

Per certi versi il romanzo è un mostro sacro, e la serie è di certo degna di interesse. Nonostante l’abbia menata fin qui su tutte le cose che non mi garbano, molte altre mi son piaciute. Non è per tutti (non è una storia d’azione, la protagonista non ha un vero e proprio arco, ecc.), ma invito a tentare per lo meno la prima puntata.

E la seconda serie?

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No.

La prima si conclude dove si conclude anche il romanzo, quindi con la seconda serie gli sceneggiatori hanno dovuto inventarsi tutto da zero senza le idee della Atwood.

E niente, secondo me l’esperimento è un fiasco.

L’ho vista a pezzi e bocconi e ho lasciato perdere. Immaginate tutte le cose che non mi son piaciute nella prima, aggiuingete più scene di violenza più morbose e meno motivate, e buchi di trama estemporanei (che nella prima serie, vivaddio, non c’erano).

Non dico che sia tutta da buttare: ci sono belle trovate, momenti notevoli, e un arco interessante nel personaggio di Serena Joy. Ma nell’insieme non mi è garbata abbastanza da finirla e pertanto non la consiglio.

Ora scusatemi, devo andare a scrivere una fanfiction dove Serena Joy, Ramsay Bolton e Standartenführer Hans Landa conquistano il mondo con il loro esercito di zombie sovietici a cavallo di tirannosauri.

MUSICA!


Letture aggiuntive

La pagina wiki del libro

La pagina wiki delle serie

Qualcuno fa notare che la seconda serie non è all’altezza

Una critica alla prima serie

Un altro lungo e ponderoso articolo sulle implicazioni femministe delle serie

Tumuli a buco di serratura e altre stravaganze post-mortem

Sono mesi e mesi che il blog giace in abbandono. Per il grande ritorno (si fa per dire) ho deciso di scegliere un argomento gioioso, celebrativo e ottimista: PRATICHE FUNERARIE!

Pratiche funerarie mostruosamente poco pratiche.

Quote by Terry Pratchett, Artist Paul Kidby

Stiamo parlando del misterioso periodo di prima della scrittura, l’alba dello Stato, quando dalla bolgia di polities senza nome un embrione di Impero maturava. Quando la misteriosa Himiko, amica dei Wei e regina-sciamana dei Wa, governava dal suo palazzo-tempio. Quando Yamatai si costruiva, un clan alla volta, un territorio alla volta. Quando gli Imperatori mitici, bisnipoti del Sole, bastonavano barbari e facevano bizzarre osservazioni geomantiche dall’alto di colline.

E’ il periodo delle Tombe Monumentali.

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Tomba monumentale in quel di Sakai

Ho già accennato al Periodo Kofun nel mio articolo su Egami Namio e l’introduzione del cavallo in Giappone.

Oggi vorrei in particolare concentrarmi sulle tombe stesse, con un occhio di riguardo a una tipologia particolare e iconica: le tombe a forma di buco di serratura.

Mille e un gusti di kofun

“Kofun” (古墳) significa, letteralmente, “antico tumulo”. E’ un termine impiegato per descrivere un tipo di sepoltura diffusa tra la fine del III° e dell’VIII° secolo.

La varietà nella categoria è immensa, in forme, taglie, struttura e corredo. Ne abbiamo piccoli, grandi, con fossato, senza, con più fossati, quadrati, tondi, ottagonali, a forma di uccello padulo (ok, forse questo no)!

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Ad esempio, questo è un kofun, il mausoleo di Nintoku a Sakai

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Sempre il kofun di Nintoku, se lo fotografi senza droni e in controluce

Anche questa puzzetta qui è un kofun!

Come accennato, parleremo in particolare del kofun a buco di serratura, così chiamato dagli occidentali perché la traduzione letterale di zenpō-kōen kofun fa ridere i polli (“antico tumulo che è tondo davanti e quadrilatero dietro”).

Cominciamo subito col dire che l’idea di fare un montarozzo grosso sul defunto non è una cosa originale. La mia modesta opinione è che i primi uomini volessero premunirsi contro eventuali evasioni post-mortem di nonnetti rompicoglioni e zie ficcanaso. So che quando certuni dei miei parenti stirano le zampette la tentazione di sotterrarli sotto un cumulo di mattoni e una colata di cemento stile sarcofago di Chernobyl è piuttosto forte.

Ad ogni modo, sto divagando.

Quale che sia la motivazione d’origine, sta di fatto che i tumuli esistono in Europa e in Asia, dalle valli del Kazakistan alla Corea e al Giappone. Che la gente del Regno di Wa seppellisse così i propri capoccia non è quindi cosa strana.

Ci sono due caratteristiche uniche alla situazione giapponese: la taglia e la forma.

I tumuli maggiori in Giappone hanno perimetri di centinaia di metri. Sono circondati da fossati multipli. In origine erano strutturati a gradoni e ricoperti di pietre, poi decorati con migliaia di haniwa, statue in terracotta di varia foggia. E questo senza contare la camera funeraria, il sarcofago e il corredo funebre.

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Ricostruzione del Kamezuka-kofun in Oita. I cilindri in terracotta che vedete sono haniwa

Provate a immaginare per la costruzione del tumulo di Nintoku: le migliaia di operai e artigiani specializzati, vasai, fabbri, orafi, con tutta la logistica che ne consegue. E’ necessario trasportare l’argilla, il minerale di ferro (che molto spesso era importato dalla federazione di Gaya, nel sud della Corea). Gli alloggi per tutta questa gente, le bestie da soma, i cuochi, gli sguatteri, i portatori, i cavatori…

Immaginate la plaga disboscata, tronchi e ramaglie ammassate per forni e bivacchi, la polvere, le mosche, il tanfo di sudore e di bufali. Incidenti sul lavoro un giorno sì e l’altro anche. Sacerdoti e sciamani, astronomi e santoni che ispezionano i lavori. I carri con i lingotti di ferro, quelli con la polvere d’oro e il mercurio, scortati da uomini a piedi armati di scudo e lancia. I cavalli trascinati ai fossati per i sacrifici rituali.

Haniwa a forma di palazzo, dal kofun di Imashirozuka

Alle volte è facile dimenticare le più triviali delle questioni logistiche, tipo dove cacava tutta questa gente? Avevano secchi e la portavano via? Avevano scavato trincee?

E tutto questo per seppellire una, due persone.

Bello sbattimento. E io che non volevo pagare per il “dott.” in ottone sulla lapide di mio nonno…

Insomma, chiunque sia finito ad ammuffire sotto tonnellate di terra, pietra e terracotta poteva mobilitare interi villaggi e monopolizzare il lavoro di migliaia di adulti. Ce lo aspetteremmo in uno stato avanzato, da una società stratificata e complessa. Ma quale che sia la definizione che diamo di “stato”, il Giappone del III° e IV° secolo di certo non qualifica.

Un plastico degli scavi di Kami, dal museo di Osaka

E’ però importante notare che, anche prima del III° secolo, il Giappone non era estraneo alle sepolture ridicolmente grandi. Nel sito di Kami, nella regione di Ōsaka, abbiamo trovato una tomba del periodo Yayoi (250 a.C. – 300 d.C.), rettangolare, di 15m per 25m.

Né è davvero una novità un corredo funerario ricco: nel sito Yayoi di Tatetsuki, nel dipartimento di Okayama, abbiamo ritrovato qualcuno seppellito con perle, monili e altra roba.

Quello che secondo Tsude Hiroshi distingue in modo essenziale le tombe del periodo Yayoi da quelle del Periodo Kofun non è il tumulo o la ricchezza del tesoro funerario, ma la forma a serratura.

Come vedete questo tipo di tumulo ha una parte a pianta tonda, una a pianta quadrangolare (spesso non rettangolare) ed è costituito da gradoni (spesso tre).

允恭天皇陵古墳(市の山古墳・古市古墳群)レーザー測量

Kofun a serratura (fonte in bibliografia)

E’ dura capire da dove sia arrivata questa nuova forma architettonica. C’è chi suppone che sia un’elaborazione giapponese di un concetto continentale, tipo le tombe-palazzo Han del I° secolo d. C. Secondo alcuni ricercatori coreani sarebbe una forma architettonica nata nella Penisola e poi importata sull’Arcipelago.

E’ vero che si trovano tumuli molto simili ai kofun a serratura in Corea, tipo il tumulo Jukam-ri, nel sud della regione di Jeolla. Tuttavia questo tumulo data del V° o VI° secolo, ovvero ben dopo l’inizio del Periodo Kofun in Giappone. E’ forse forse più probabile che sia stato il Regno di Wa a influenzare la sud Corea, con buona pace loro.

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Esempio di tomba Yayoi quadrata a sommità piatta, da “San.in no shigū tosshutsu-kei funbo”

Per altri studiosi si tratta di una naturale evoluzione dei tumuli Yayoi. Di certo la gente di Yayoi costruiva tumuli circondati da fossati. Inoltre abbiamo quelle che sono chiamate “tombe quadrate a sommità piatta” (方形台状墓), tumuli a pianta quadrata con proiezioni agli angoli. E’ un’ipotesi stuzzicante, anche contando che questo tipo di sepoltura era prevalente nel Kinai, cuore palpitante del kofun a serratura.

Oltre alla forma, la taglia, come detto su, è degna di nota. A partire dal IV° secolo iniziamo a trovare kofun a serratura monumentali, e continueranno a crescere e a diffondersi fino al loro picco assoluto nel V° secolo.

Il tesoro funerario è pure degno di attenzione: come sottolinea anche Egami nel suo Minzoku kokka (1967), il corredo del primo periodo, fino al IV° secolo incluso, è costituito da oggetti sacri e rituali, in particolare da specchi di bronzo.

Si tratta spesso di specchi cinesi fabbricati tutti dallo stesso atelier e con lo stesso stampo. Il più tipico è lo specchio con bordo a sezione triangolare e decorato con motivi di animali e divinità.

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Esempio di specchio con bordo a sezione triangolare e motivi di animali e divinità (三角縁神獣鏡)

Nel Libro dei Wei, quando la regina Himiko scrive all’Imperatore, costui risponde mandandole in dono un centinaio di specchi. Tale oggetto aveva un valore rituale e di prestigio ed era usato come dono diplomatico. Sull’Arcipelago, un capo che era riuscito a procurarsi uno stock di preziosi specchi cinesi poteva a sua volta usarli come dono per cimentare alleanze e amicizie con subalterni o altri capi. Almeno parte di questo “patrimonio” in specchi seguiva il capo nella tomba.

Tutti questi elementi (la taglia, la forma, i gradoni, gli specchi, le statue, ecc.) contribuivano a fare della tomba monumentale un luogo sacro di indubbia importanza. Ma in che termini?

Non avendo fonti scritte (mortacci loro!) siamo costretti a ipotizzare.

Secondo Mizuno Masayoshi e Kondō Yoshirō, il kofun rappresentava il luogo di sepoltura del capo, ma anche il luogo in cui l’autorità del capo stesso veniva trasmessa. In altre parole, non si trattava di una semplice tomba, ma di una fonte radiante di autorità legittima.

In particolare è stato tirato un parallelo tra i tre gradoni dei kofun a serratura e i tre gradoni delle colline cinesi dedicate al Jiaosi, un rito rivolto al Cielo che l’Imperatore Han officiava nei dintorni della Capitale.

Come fa notare Hirose, c’è il piccolissimo dettaglio che il kofun è una tomba (un’elaborata reggi-carcassa), mentre la collina del Jiaosi no. E’ però possibile che i tumuli monumentali, in quanto fonti dell’autorità regale, abbiano in effetti svolto una funzione simile alle colline a gradoni cinesi.

Un’altra possibilità per spiegare i tre livelli è data da Sofukawa Hiroshi: è possibile che i tre gradoni fossero un riferimento al monte Kunlun. Nella mitologia Han, il monte Kunlun (che pure ha 3 livelli) era il luogo di residenza del sovrano dopo la morte (e figura nell’arte funeraria, come nelle pitture del sarcofago nella tomba di Mawangdui).

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Possibile rappresentazione del monte Kunlun

Tirando le somme, col IV° secolo vediamo diffondersi nella regione di Nara tombe monumentali separate dalle sepolture del resto della plebaglia. Questo suggerisce un cambiamento radicale rispetto alla fine del Periodo Yayoi. Tanto per cominciare siamo davanti, de toute évidence, al fiorire di una classe dirigente capace di mobilitare risorse e lavoratori su una scala senza precedenti. La società si è evoluta da una clanica/tribale a una più stratificata e complessa, con un concetto di autorità nuovo.

Non solo: col IV° e V° secolo i kofun si diffondono in altre regioni, fino all’isola di Kyūshū e buona parte dell’Isola di Honshū. L’adozione di questo metodo di sepoltura stravagante è con ogni probabilità il sintomo del diffondersi dell’influenza e del controllo del Regno di Wa sul resto delle polities isolane. Scambi di doni, soft power, conquista cruenta o politica delle cannoniere? Non possiamo saperlo per certo, ma è sicuro che la Corte di Wa di questo periodo allunga i propri tentacoli e tira a sé quelli che prima erano territori indipendenti.

I kofun monumentali non sono peraltro l’unico elemento che ci spinge a ipotizzare la nascita di una élite capace di reclamare un monopolio sul surplus economico.

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Vignetta del 1896, perché certe cose sono eterne. Almeno nel V° secdolo l’élite aveva la decenza di farsi ammazzare a sciabolate, ogni tanto

I villaggi del periodo Yayoi sono tipicamente circondati da un qualche tipo di fortificazione (palizzate, fossato, ecc.). Verso la fine del periodo iniziamo a vedere in certe regioni l’emergere di granai più grandi del consueto. Qualcuno sta cominciando ad ammassare più beni degli altri, ma ancora le costruzioni non sono separate in termini spaziali dal resto delle capanne e magazzini.

Col III° secolo la situazione cambia: i villaggi non sono più fortificati, ma magioni con grandi magazzini cominciano a spuntar fuori come funghi, e queste sono fortificate. In altre parole, vediamo comparire un’élite che si separa anche in termini di spazio dal resto della plebaglia, che reclama le risorse per sé e che può permettersi di garantire la protezione dei villaggi limitrofi.

E’ addirittura possibile che la classe dirigente in questione abbia attivamente scoraggiato la fortificazione dei villaggi, un po’ come Richelieu smantellò i castelli della nobiltà francese.

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Richelieu e il suo Umano da compagnia si apprestano a smantellare fortezze (Philippe de Champaigne)

Una svolta importante avviene nel V° secolo, il periodo d’oro dei tumuli a serratura. Un sacco di cose cambiano! Tra le tante, i kofun di questo tipo si diffondono, crescono in taglia e in opulenza. Le zone di Furuichi e Nakamozu, in quel di Ōsaka, annoverano migliaia di tumuli! Non solo, nel tesoro l’oggetto di prestigio che la fa da padrone non è più lo specchio cinese, ma la sana, pratica e tosta armatura. Questa non solo la puoi mettere per andare a picchiare la gente, ma è fabbricata nel Kinai, chilometro zero, ruspante ed equosolidale!

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Armatura in ferro, Museo Naizonale di Tokyo

Ne saltano fuori a mazzi, in certi tumuli troviamo decine di set completi di corazze, elmi, gorgiere, frecce, lance, finimenti per cavalli…

Questo cambiamento ha portato Egami Namio a teorizzare nientemeno che un’invasione su larga scala dell’Arcipelago. In altre parole, l’antica aristocrazia Wa, composta da sacerdoti e sciamani, sarebbe stata soppiantata a legnate da un popolo straniero guidato da un’aristocrazia militare.

Come discusso nell’articolo succitato, i dati archeologici non confermano questa ipotesi (anzi), ma è certo che il cambio di stile  nelle tombe e nel corredo indica una notevole evoluzione politica, sociale  e spirituale, di certo legata in buona parte alla pressione straniera, l’arrivo in massa di rifugiati coreani e la consolidazione della polity di Wa in Stato vero e proprio.

Questo è il periodo dei tumuli più grandi, come quelli attribuiti a imperatori di dubbia esistenza e mirabolanti leggende come Ōjin.

Il problema maggiore dello studio di queste tombe è che per il governo giapponese si tratta di monumenti sacri e pertanto off-limits. E’ impossibile scavarli o aprirli.

La cruda verità è che i nazionalisti non vogliono scoperchiarli e scoprire che PERDINDIRINDINA, MA SONO PIENI DI COREANI! Ecco!

Insomma, siamo incastrati a studiare solo i tumuli a serratura di mezza tacca, che probabilmente appartenevano al gradino subito sotto le élites più importanti. Non possiamo quindi essere sicuri se le armature sono una componente dominante anche nelle tombe più grandi oppure no.

In ogni caso, si parlava di immigrazione: il corredo dei kofun conferma gli stretti rapporti che il Regno di Wa intratteneva col Continente nel V° secolo. Un esempio possono essere delle perle trovate nel  kofun di Iwase senzuka, molto simili a degli esemplari tipici della regione di Kyongju in Corea. E’ molto probabile che si tratti di importazioni. In un kofun del complesso di Niizawa senzuka invece abbiamo trovato una corona d’oro molto simile a monili fabbricati dagli Yan settentrionali. E via così, gli esempi abbondano.

Un altro indizio sulla situazione diplomatica dei Wa ci viene dal Libro dei Song (Sō sho), scritto da Shen Yue nel 493 e che copre gli eventi dal 420 al 479. Shen Yue nomina “cinque re di Wa” che avrebbero spedito ambascerie dai Liu Song per guadagnare prestigio e legittimare il loro potere.

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Perché, in un periodo di fermento politico e diplomatico, capi e capetti dovrebbero investire così tanto in tombe di lusso?

Opere come queste servono in realtà diversi scopi. Tanto per cominciare, val la pena ricordare che nel V° secolo siti come Nakamozu e Furuichi erano relativamente vicini al mare. Non è da escludere che una delle funzioni dei kofun più grandi fosse quella di essere visibile dai marinai. Mercanti e viaggiatori che andavano e venivano tra il regno di Wa e il Continente erano costretti ad ammirare queste opere mastodontiche, mostruose, impressionanti. E gli ufficiali Wa potevano spiegare agli stranieri allibiti:

“Quello? Oh, niente, ci ho seppellito mio nonno buon’anima. E quello un pochino più piccoletto lì è per il mio cagnolino Fuffy. Sapete com’è, noi c’abbiamo così tanta gente e così tanta ricchezza e così tanto potere che alle volte non sappiamo bene cosa farci.”

In un periodo in cui i tuoi vicini sono falciati da gente tostissima con mire espansionistiche, non è una cattiva idea curare il proprio prestigio.

Lo stesso valeva per i capoccia delle altre polities Giapponesi: potevi seguire i Wa e partecipare della loro gloria e ricchezza, o potevi metterti contro i Wa e pagarne le conseguenze.

Secondo l’archeologo e storico Matsugi Takehiko, questi tumuli erano anche strumenti di propaganda e coesione sociale. Li definisce kyōshikei monuments (仰見型モニュメント), ovvero strutture a cui la gente guarda per definirsi, con soggezione e trasporto (un po’ come i fiorentini guardano la Statua del Mal di Testa). Si tratta di opere ciclopiche il cui ruolo sociale era creare un forte senso di appartenenza e identità culturale.

E’ anche molto probabile che, come accennato più su, il tumulo restasse un elemento attivo nella vita religiosa del Regno di Wa, e che il defunto rimanesse come protettore del popolo e della classe dirigente.

Con il VI° secolo il numero di kofun a serratura monumentali declina, e continua a declinare per tutto il VII°, fino a sparire, insieme ai grandi kofun in generale a prescindere dalla forma. Le tombe diventano più piccole, e spesso raggruppate tra loro (clusters). La quantità di armature pure diminuisce in favore della spada decorata, nuovo simbolo di autorità e prestigio da portarsi dietro nel Regno dei Morti. Dopotutto una spada rituale è più leggera di un’armatura e più pratica di uno specchio se vuoi stapparti una birra.

Vero, in certe regioni più remote la gente ha continuato a fare tumuli fin nell’VIII° secolo, ma si sa che i provinciali sono sempre in ritardo sulle mode: a quel punto la figata per tirarsela non era più una collina artificiale in cui chiudere il cognato, ma il tempio. Il regno di Paekche aveva infatti portato il Buddismo in Giappone, un set completo di sutra, statue e frati che fungevano da libretto delle istruzioni.

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Una foto da Google Earth di Nakamozu, in Sakai

Tirando le somme

I kofun monumentali a serratura sono stati uno strumento politico e culturale molto importante nella delicata fase di state-formation del Regno di Wa. La loro diffusione in altre regioni testimonia dell’adozione, da parte dell’aristocrazia locale, dei costumi Yamato. In altre parole, testimonia dell’avvicinamento, da parte di territori indipendenti, all’orbita Wa.

C’è un annoso dibattito su quanto il Regno di Wa del Periodo Kofun sia o meno uno “stato” e su che tipo di influenza o controllo la Corte poteva davvero esercitare sulle polities circostanti. Ok, i tuoi vicini hanno adottato il tuo stile di tombe, ma ti mandano tributi? Puoi esigerli? Puoi esigere ostaggi? Parteciperanno al tuo fianco in caso di guerra?

Per alcuni la Corte di Wa aveva una presa forte sui territori limitrofi. Per altri si trattava di una “federazione tribale” più o meno stabile. Secondo Sasaki (e la sottoscritta), il modello che meglio descrive la situazione è quello proposto da Tambiah per descrivere il Sud-Est Asiatico: il modello a mandala o galattico.

Secondo Tambiah, le varie polities del territorio (paesi, regioni, città, ecc), non sono “legate” (bounded) al centro, bensì “orientate verso il centro” (center-oriented). In altre parole, la polity centrale esercita un’attrazione su un certo numero di “satelliti” minori. Tale controllo si affievolisce man mano che ci si allontana dal centro.

I satelliti ripropongono al loro interno una riproduzione del modello centrale, ma sono a costante rischio di scissione.

Questo è verificato nel caso dei kofun a serratura: in certe regioni li vediamo comparire, poi sparire e poi riapparire più tardi. Per spiegarlo col modello di Tambiah, la classe dirigente di quella polity sarebbe finita nell’orbita Yamato e avrebbe preso a replicarne gli schemi. Si sarebbe poi allontanata dalla sua sfera di influenza, per riavvicinarsi infine anni dopo.

Lo sviluppo di clusters di kofun e il declino dei grandi kofun a serratura sono spesso interpretati come un segno che, se da una parte le tombe monumentali sono riservate a un gruppo sempre più ristretto di individui, dall’altro un numero sempre maggiore di persone ha il potere e i mezzi di permettersi un tumulo, sia pure di forma e taglia subalterna. E’ un segno del consolidamento del potere della Corte di Wa sul resto delle regioni.

Questo rafforzarsi dell’autorità Yamato, insieme con l’indebolirsi della minaccia straniera nel VII° secolo hanno certamente contribuito (tra le altre cose) a rendere i kofun monumentali desueti.

Nonostante certe regioni siano rimaste autonome (il nord-est resterà virtualmente incontrollabile fino al XII° secolo!), un nuovo tipo di Stato sta nascendo, uno fondato su leggi scritte, burocrazia, annali.

Con il tramonto dei grandi tumuli sorge l’epoca storica della parola scritta (e con buona pace di Fomenko, sì, abbiamo documenti scritti antecedenti al X° secolo cristiodio). L’epoca di Himiko si conclude, lasciando il posto all’epoca della Corte.

E i kofun?

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Sono sempre lì, quasi venti secoli dopo, e ancora non possiamo scavare queste tombe, non possiamo studiarle, perché i kofun monumentali continuano a svolgere la loro funzione: sono ancora e sempre fonti di unificazione, identità e legittimazione.

Magari un giorno le cose cambieranno, e noi cinici potremo fiondarci a scoperchiare sarcofagi e analizzare le ossa di dei dimenticati.

Nel frattempo ci tocca pazientare.

MUSICA!


Bibliografia

CLASSEN Henry J. M., “The internal dynamics of the Early State”, in Current Anthropology, Vol. 25, No. 4 (Aug. – Oct., 1984), pp. 365-379

Département culturel du bureau de la culture et du paysage de la ville de Sakai, Shikkoku, hakugin no buki, Recueil des lectures sur la culture de la ville de Sakai n° 6, 31 mars 2014, Sakai, p.200

EGAMI Namio, Kiba minzoku kokka, Chukō shinsho, Tōkyō,  1967

HIROSE Kazuo, Zenpōgōen-fu no seikai, Iwanami shinsho, Tōkyō, 2010

SASAKI Ken’ichi, “The Kofun era and early state formation”, in FRIDAY Karl, Routledge Handbook od Premodern Japanese History, Routledge, London, 2017, p.68-80

SHIRASHI Taichirō, Kofun, Yoshikawa kōbunkan, Tōkyō, 1989

TAKASHIMA Hideyuki, Kodai tōkoku chiikishi to shutsudo bungaku shiryō, Tōkyōdō shuppan, Tōkyō, 2006

TAMBIAH Stanley Jeyaraja, “The galactic polity in Southeast Asia”, in Culture, thought, and social action, 3–31, Harvard University Press, Cambridge, 1973

Foto del kofun a gradoni