Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (3.2): L’Impero colpisce ancora

Vento freddo soffia sulla plaga di cenere. E’ una spianata corrosa dagli elementi, sotto un perenne cielo di piombo senza sole e senza pioggia. Lapidi consunte punteggiano la terra sterile.

I nomi a stento si leggono. Laramanni’s weblog, Wunderkind trilogy, Druhim Vanashta

E’ il cimitero dei blog defunti.

Nessuno viene qui, è una regione dimenticata.

Sassolini franano da un monticello di cenere e detriti. Il mucchietto sobbalza.

Una crepa si apre nel fango rinsecchito.

Emerge un indice, un indice puntato, attaccato a un pugno chiuso. Il ditino sentenzioso si erge lento e rachitico in mezzo al cimitero. Da sotto la polvere arriva ovattata una voce nasale.

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ACTUALLY…

Vi sono mancata?

No, non credevo nemmeno io.

Ad ogni modo risiamo qui, in questo luogo di recriminazioni e lagne, a trascinare a calci nel culo la mia serie di articoli preferita, ovvero le mirabolanti avventure del mio compare Masakado, altresì noto come Nuovo Imperatore!

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Masakado in abito di Corte

La scorsa puntata avevamo lasciato Masakado in cresta all’onda della vittoria: ha raso al suolo Hitachi e si è mangiato senza colpo ferire le 8 provincie del Bandō, dove ha piazzato uomini di fiducia per gestire l’ordinaria amministrazione. I funzionari sono stati impacchettati con riguardo e inviati sotto scorta alla Capitale. Il nostro ha anche preso cura di scrivere una lettera al Ministro degli Affari Supremi Fujiwara no Tadahira. In un elegante rimbalzo tra captatio benevolentiae, recriminazioni e velate minacce, Masakado segnala al suo vecchio patrono di essere aperto al dialogo, almeno in principio.

Il ribelle non ha di che essere troppo ottimista, però: tutto questo casino è scoppiato perché voleva far fuori suo cugino Sadamori e suo cugino Tamenori. Ora come ora, vittoria o meno, i due cugini sono sempre vivi e sempre a piede libero.

Oggi però vorrei fare una brevissima pausa dalle vicissitudini familiari dei guerrieri orientali per dare un occhio a ciò che capita alla Capitale. E “ciò che capita alla Capitale”, in questo momento, è una grandinata di rogne come poche se ne è viste in tempi recenti.

Solito promemoria, sia mai che vi scordate dove ci si trova

La notizia della presa della provincia di Hitachi arriva a Heian (attuale Kyoto) il 2 del dodicesimo mese dell’era Tengyō (939). Il 22 arrivano dei messaggeri da Shinano, e di nuovo il 27 e il 29: Masakado ha preso Shimōsa e Kōzuke. La sera stessa arriva anche il governatore di Musashi: la provincia è perduta.

E’ una sventagliata di pessime notizie, e ricordiamoci che la Corte ha già una bella gatta da pelare con la flotta pirata di Fujiwara Sumitomo.

Ho parlato di Sumitomo in dettaglio in questo articolo. Qui basti sapere che questo ex-funzionario ha barattato un mediocre impiego nell’amministrazione civile per una folgorante carriera di predone e piromane.

A differenza di Masakado, il nostro è un criminale puro e semplice. Depreda villaggi e navi. I funzionari che cadono nelle sue grinfie sono torturati e uccisi, o rispediti alla Corte con naso e orecchie mozzate. Le loro mogli e parenti sono stuprate e buttate in mare. Roghi sono appiccati lungo la riva del fiume verso la Capitale.

E in questo clima arrivano le notizie dall’Est. Masakado, quello che nessuno ha mai preso davvero sul serio, si è appena mangiato un terzo del Paese.

E’ quasi sicuro che Masakado non volesse fare il re indipendente né il nuovo Imperatore, ma volesse solo costringere la Corte a patteggiare.

Non è l’impressione che ne tirano però gli aristocratici: per loro è evidente e sicuro che il prossimo obbiettivo di Masakado sarà la Capitale stessa.

Ma l’Imperatore Suzaku e la sua Corte non sono tipi da aspettare imbelli i comodi altrui! Senza por tempo in mezzo organizzano riti e preghiere.

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Può sembrare stupido o naif per il lettore contemporaneo (forse).

Credi che un guerriero orientale stia marciando verso casa tua con migliaia di predoni assetati di sangue, e che fai? Paghi la Wanna Marchi per mettergli il malocchio.

E’ sempre bene evitare di ragionare in questo modo. Dopotutto l’interesse della Storia è anche cercare di capire un punto di vista distante nel tempo e nello spazio. Tadahira, Suzaku e tutti gli altri erano sinceramente convinti di poter influenzare il destino di Masakado con la magia. Ogni tempo ha il proprio mito, ogni società le sue idee bizzarre. Noi, per esempio, crediamo nel trickle-down.

Un mago taoista (il tizio in bianco sulla destra) offre un qualche tipo di lettura a un gruppo di principoni in ghingheri (Immagine tratta dal Tamamonomahe)

Fermo resta che nessuno mantiene il potere col solo aiuto della Wanna Marchi, e l’aristocrazia di Heian prende anche misure pratiche per schiacciare la ribellione.

Per prima cosa vengono spediti a Shinano degli ispettori speciali (kogenshi).

In secondo luogo ci si preoccupa di difendere la Corte: degli inviati speciali (keikokushi) sono spediti alle barriere che delimitano la regione della Capitale, di modo da bloccare le vie d’accesso alla Città Fiorita.

Torri provvisorie sono tirate su in fretta e furia lungo la cinta del Palazzo (sì, Heian non aveva mura, e le mura della “cittadella” non avevano strutture difensive permanenti, nessuno se ne capacita ma questa cosa è rimasta per SECOLI).

Mentre riti e preghiere continuano, vengono nominati in meno di una settimana dei Prosecutori Speciali (tsuibushi), funzionari militari con carica temporanea la cui missione è quella di riportare la pace nei circuiti a loro assegnati. Vi risparmio i nomi, ma basti sapere che quasi tutti sono militari professionisti con esperienza.

In tutta questa fervente attività, un nome risalta fuori: Minamoto Tsunemoto.

Vi ricordate di lui?

Non è un guerriero, è un funzionario civile. E’ stato mandato nell’Est e si è azzuffato con un magistrato locale in una disputa fiscale presto degenerata nei disordini di Musashi.

Al tempo, Masakado era intervenuto riportando la pace, ma Tsunemoto aveva comunque rischiato di lasciarci la pelle. La cosa gli era rimasta di traverso ed era tornato alla Capitale per accusare Masakado e amici di tradimento e ribellione.

Come da prassi, era stato buttato al gabbio nel mentre che l’inchiesta si sviluppava.

Oh beh, ora che Masakado si è pappato otto provincie il problema non si pone più davvero. Tsunemoto viene tirato fuori di galera per essere nominato generale in seconda nell’esercito lealista (lo ritroveremo più tardi nell’organigramma della spedizione ufficiale).

L’11 della prima luna del terzo anno di Tengyō, la Corte emette un editto ufficiale di condanna contro Masakado e i suoi. Coloro che si schiereranno contro il ribelle orientale saranno ricompensati con terre, ranghi e funzioni. E per chi riuscisse a ucciderlo, la Corte riserva in premio l’abito di Porpora e l’abito di Cinabro, ovvero il quinto e quarto rango di Corte.

E’ un premio straordinario. Ottenere il quinto o quarto rango comporta tutta una serie di rendite e possibilità, ma non solo: col quinto rango un uomo entra ufficialmente nell'”alta” aristocrazia. Vuol dire passare dal gruppo che subisce le decisioni al gruppo che le decisioni le prende. Un premio del genere può determinare il futuro della famiglia per decine, centinaia di generazioni! E’ la chiave d’accesso al “Popolo del Cielo”.

Il 14 vengono nominati dei funzionari di 3° rango delle diverse provincie perdute. Costoro cumulano la loro funzione con ōryoshi, una funzione temporanea prettamente militare volta ad imporre gli ordini imperiali in zone, hum, “complicate”.

Tra costoro (i futuri enforcers dell’Impero nell’Est) troviamo dei nomi noti, ovvero due fratelli Taira, Kinmasa e Kintsura.

No, non potete sapere chi siano, perché finora non credo di averli mai nominati.

Ma potete indovinare.

Sono cugini di Masakado. Perché ovvio che sono cugini di Masakado. Per la precisione, figli di Yoshikane, lo zio-nemesi che il nostro ha annientato un da un po’ di tempo ormai.

E le vecchie conoscenze non finiscono qui: l’ōryoshi di Hitachi è il malefico Sadamori! Il nemico giurato di Masakado (e la ragione dietro alla presa di Hitachi per cominciare, ma non stiamo a sottilizzare).

L’ōryoshi di Shimotsuke invece è una faccia nuova: Fujiwara Hidesato.

“Faccia nova” per modo di dire, in realtà. Hidesato è un uomo notevole, per cui val la pena spendere qualche parola.

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Fujiwara Hidesato camuffato da persona perbene
Dettaglio da 
Sōshū Sashima Dairi-zu (総州猿島内裏図) di Toyohara Chikanobu (1838-1912)

Hidesato è un discendente di Fujiwara Uona. Membro del ramo principale dei Fujiwara, Uona è stato Ministro della Sinistra, ovvero la seconda carica più importante dell’Impero (la prima è ovviamente Ministro degli Affari Supremi, perché Imperatore non conta).

Essere alto papavero è una gran ganzata, ma chi sporge la testolina espone il collo, e Uona viene falciato in pieno da uno scandalo che gli costa l’esilio in Kyushu. E’ la fine della sua carriera e della carriera dei suoi discendenti. Il suo quarto figlio, Fujinari, non ottiene nemmeno un impiego alla Capitale. No, il disgraziato viene nominato funzionario di terzo rango nella provincia di Shimotsuke.

Da figlio di Ministro a subalterno fisso in una provincia orientale è una colossale culata in terra.

Fujinari però è uno tosto: non si perde d’animo e si rimbocca le maniche. Con gli anni riesce a scattare di carriera e diventare vicegovernatore della provincia. Sempre un cazzo rispetto a ciò che gli prometteva la vita solo pochi anni prima, ma nessuno ha mai coltivato niente sui sogni infranti. Invece di accanirsi a voler tornare in seno alla Corte, Fujinari sposa una brava ragazza di una buona famiglia del posto, e volta le spalle per sempre a una carriera nell’alta aristocrazia, ma senza tagliare del tutto i contatti con la Gente del Cielo.

Le generazioni si susseguono in provincia, e Shimotsuke si rivela essere un buon posto per i Fujiwara di Uona: il nonno di Hidesato diventa governatore, e il padre di Hidesato diventa funzionario di terzo rango e ōryoshi.

Oryoshi, protettore della pace dell’Imperatore. Ah!

Hidesato è il primo della famiglia a potersi considerare un “guerriero”. Lo vediamo comparire per la prima volta ne sedicesimo anno dell’era Engi (916), alla testa di una banda di delinquenti armati.

Il figlio del commissario è un mariuolo pericoloso e violento, che sorpresona, eh?

Se suo padre e suo nonno si erano assestati in una dignitosa carriera di funzionari, il giovane Hidesato opta per il mestiere che più gli si confà: il brigante. Il Nihon kiryaku lo nomina di nuovo nel 929 come capo-predone della regione.

Sono anni selvaggi di cui si sa poco, se non che il nostro fa un sacco di danni. Me l’età porta giudizio, e pochi anni dopo il nostro pare tornato dal lato buono della legge. Dopotutto nel 939 Hidesato ha ormai la cinquantina suonata, e uno nella sua posizione non arriva a quell’età senza un minimo di buonsenso: non è più un giovane arciere avventuroso, è un uomo maturo con famiglia ed è bene iniziare a preparare un buon nido per la vecchiaia.

E così abbiamo il wonder team di inviati per pacificare il Bandō! Un ex-brigante redento, tre ex-condannati per tradimento… di tutti gli ōryoshi, solo 1 (un tal Tōyasu) ha la fedina penale pulita. Chiaramente per la Corte serve un ribelle per acchiappare un ribelle.

Gli ōryoshi sono scelti di solito tra gente locale o con forti legami sul posto. La speranza è che usino la propria posizione per tirare dalla loro parte le bande armate della zona.

La strategia della Corte non si basa solo su di loro, però: viene organizzata una spedizione ufficiale da manuale!

Il 18 viene nominato un Gran Generale per la Pacificazione dell’Est (Seitō taishōgun), ovvero il capo dell’esercito “ufficiale”.

Per avere un’idea di quanto la Corte prendesse sul serio la minaccia Masakado basti pensare che la funzione di Seitō taishōgun era stata abolita nell’811. Ricompare in questa occasione (100 anni dopo) e mai più fino al XII° secolo.

Organigramma della spedizione ufficiale. Notare il nome di Minamoto Tsunemoto tra i generali in seconda.

Il tizio nominato generalissimo dell’est non è un militare, ma un funzionario civile sulla settantina, di rango medioalto. Costui è affiancato da 4 generali in seconda tra cui ex-funzionari scacciati da Masakado. Senza dubbio costoro sono stati scelti per via dei loro contatti sul territorio.

Il 18 e il 20 vengono anche scelti dei “sovrintendenti” (gungen e gunsō), tre Fujiwara che si erano distinti per i loro ripetuti sforzi di NON proteggere la pace dell’Imperatore. Si tratta del trio Tōkata, Shigeyasu e Fumimoto, tre sgherri del pirata Sumitomo che hanno saltato la barricata in cambio di ranghi e funzioni. Fumimoto in particolare era stato il braccio destro di Sumitomo in occasione del linciaggio del vicegovernatore della provincia di Bizen.

Gente ammodo insomma.

Per la cronaca, Tōkata e Shigeyasu rimasero a Corte e finirono i loro giorni come grassi burocrati, mentre Fumimoto tornò a scorrazzare con Sumitomo e finì morto ammazzato male come è spesso il caso con i pirati.

藤原純友(安政2年、芳直画、築土神社蔵)

Fujiwara Sumitomo, dal pennello di Utagawa Yoshinao (metà XIX°)

Le spade rituali simbolo dell’autorità militare sono consegnate al generalissimo l’8 del secondo mese. E’ passato un mese e mezzo dalle prime notizie di Hitachi, e finalmente pare che l’esercito lealista sia pronto a darsi una mossa.

Si tratta di un esercito strutturalmente simile a quello previsto dai Codici.

Tuttavia la scelta degli uomini è degna di nota: un alto funzionario civile presiede una spedizione i cui capi esecutivi sono non solo militari di professione (quasi tutti, Tsunemoto è ancora un newbie), ma in molti casi uomini con rancori personali verso il capo ribelle.

In questo modo i nobili contano di certo di sfruttare gli interessi privati degli ufficiali, il tutto mantenendo sotto controllo la situazione.

E’ una tattica vecchia come il mondo. Hai una banda di facinorosi che minaccia il tuo potere? Mandagli contro un’altra banda di facinorosi che minaccia il tuo potere. Mal mal che vada se ne saranno ammazzati un po’ tra di loro, e per te è tutto di guadagnato.

Non è il caso per tutti. Ovvio che Sadamori aveva ragioni personali per voler far la guerra al cugino. Ma Hidesato?

Si potrebbe argomentare che lo zio di Hidesato era uno dei funzionari deposti da Masakado nella sua folgorante conquista dell’Est, ma pare una motivazione molto debole.

Nah, Hidesato è un bandito e un avventuriero. Ha fiutato ricompense ed è probabilmente per quelle che è arrivato. Dopotutto il nostro era già funzionario provinciale durante la conquista del Bandō e si era guardato bene dall’opporsi a Masakado.

Ora la faccenda è diversa: la Corte gli sta offrendo qualcosa in cambio dello sforzo.

Non che la partita fosse già decisa, eh. Quella di Hidesato è pur sempre una scommessa, niente gli assicura che l’esercito lealista uscirà vincitore da questa guerra. Anzi, il 26 arriva la notiziola che Masakado, alla testa di 13.000 guerrieri, sta andando a papparsi anche Mutsu e Dewa, le due provincie settentrionali. Non aiuta il fatto che uno dei fratelli di Masakado sia un personaggio importante nella regione, con legami stretti con i funzionari e le élites locali.

Il territorio controllato da Masakado all’apice della rivolta

Kawajiri sostiene che, con ogni probabilità, Masakado prese effettivamente il controllo anche di questa ultima regione.

E’ l’inizio del terzo anno dell’era Tengyō (940) e Masakado è de facto padrone di un terzo tondo dell’impero.

Come accennato nell’articolo precedente, il nostro non si era peritato di creare una struttura di potere originale, ma aveva piazzato dei fidi a tener la barca pari mentre lui si dedicava all’attività più importante di tutte: dare la caccia ai suoi cugini, Sadamori per primo. Alla testa di 5.000 uomini, il nostro passa Hitachi al colino per diritto e per rovescio, ma dopo 10 giorni gli infami parenti restano introvabili.

La caccia non è del tutto vana però: una banda incappa in un gruppo di fuggitivi sulle rive del lago Hiroma. Il gruppo viene braccato, catturato, malmenato e spulciato. E nel mucchio saltano fuori due donne. Sono la moglie di Sadamori e la vedova di Minamoto Tasuku (uno dei primi a prendere le armi contro Masakado, e uno dei primi a morire).

Essere donne, prigioniere di alto profilo e in mano alla soldataglia è una combinazione terribile, e le due sono subito aggredite, stuprate e pestate mentre un piantone corre ad avvertire i capibanda del fortunato ritrovamento.

I due si precipitano sul posto e sfilano le disgraziate dalle grinfie dei loro uomini. Sono ridotte male, ma sono ancora vive.

Ora, è importante sottolineare che in questa regione e in questo periodo la moglie di un uomo non diventava automaticamente membro della famiglia di lui. La linea materna aveva un’importanza pari (e talvolta superiore) a quella paterna: se una donna della famiglia X sposava un uomo della famiglia Y, lei restava comunque un membro della famiglia X. In certi casi era addirittura il genero ad essere “inglobato” nella famiglia della moglie.

In altre parole, Masakado è in guerra con Sadamori, non necessariamente con sua moglie, e lo stesso vale per la vedova di Tasuku. Peraltro, conto tenuto del clima da guerra civile, cercare conflitto con altri notabili locali non è necessariamente una buona idea.

I due capibanda intercedono per le due tizie, chiedono a Masakado che sia fatta loro la grazia di tornare a casa indisturbate. Masakado accetta e offre alle due dei doni in guisa di compensazione.

Non solo: stando allo Shōmonki, il nostro si perita anche di scrivere alla moglie di Sadamori per “sondare il suo cuore”.

La domanda viene formulata sotto forma di poesia:

Benché sia lontano, voglio chiedere al vento messaggero: dove risiede il fiore strappato dal suo ramo?

Il senso della poesie pare d’acchito chiedere notizie: dove andrai?

Anche se un secondo senso è facilmente indovinabile: che intenzioni hai?

La risposta di lei è molto più criptica:

Benché sia lontano, il profumo dei fiori si diffonde, e non mi sento sola.

Potrebbe essere un semplice ringraziamento, il “profumo dei fiori” potrebbe indicare la benevolenza di Masakado che l’ha salvata dalle mani dei guerrieri e le ha permesso di tornare a casa.

Potrebbe anche trattarsi di un velato avvertimento: ti ringrazio del tuo aiuto, ma sappi che non sono sola, non venirmi a cercare.

Non possiamo essere sicuri che queste poesie siano autentiche, ma per quel che sappiamo della struttura familiare della regione in questo periodo è probabile che Masakado abbia davvero cercato di conciliarsi la famiglia di lei.

Stupri a parte, la caccia di Masakado resta infruttuosa, e nel frattempo si è arrivati alla fine del primo mese, che nel nostro calendario corrisponde grosso modo al marzo del 940. E’ l’inizio della stagione agricola, e buona parte dei guerrieri sono anche contadini, allevatori o possiedono poderi e devono supervisionare i lavori.

Dobbiamo ricordare che il grosso dell’esercito è comunque formato da banrui, uomini che non hanno un legame personale con Masakado e lo seguono per timore o per profitto. Questa gente non è disposta a sacrificare il raccolto per il capo, e questo Masakado lo sa. A inizio primavera i banrui disertano, è una dura realtà dell’esistenza.

Il nostro decide quindi di scogliere l’esercito e se ne torna a casa con un migliaio di guerrieri.

Sadamori e Hidesato, intanto, non sono in Hitachi. Si sono acquattati in Shimotsuke con le loro bande di guerra (ovvia, soprattutto la banda di Hidesato e relativi alleati), in attesa di una buona occasione. E questa è una buona occasione.

A questo punto Sadamori e Hidesato hanno un decreto imperiale con la promessa di ricompense. Possono usarlo per levare truppe locali e convincere banrui riluttanti a correre dei rischi.

Ed è esattamente quel che fanno: in poco tempo, i nostri ammassano 4.000 uomini.

Masakado è popolare, ma un guerriero di questo periodo è fedele alla propria famiglia. Chi ha seguito Masakado mentre lui vinceva non ha nessun problema morale a cambiare partito ora che Hidesato è sceso in campo con una nutrita banda e un decreto.

La resa dei conti si avvicina.

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A questo punto della vicenda, qualsiasi cosa può capitare.

La Corte ha deciso di trattare con Sumitomo e non con Masakado probabilmente perché ha paura di Masakado. Sumitomo è un pirata, un mercenario, vuole soldi, vuole potere, vuole navi, ricchezze, tutte cose facili da capire e da cui la Corte si può, volendo, separare.

Ma Masakado?

Masakado ha preso un terzo del paese. Lascia intendere di voler trattare, ma vuol trattare davvero? Magari non vuole diventare Nuovo Imperatore, ma a questo punto potrebbe diventare Nuovo imperatore! E se tratti con lui, e ottieni il ritiro delle sue truppe e la restituzione delle provincie, chi ti assicura che al prossimo screzio con le autorità locali non ricapiti di nuovo?

Come puoi imporre la legge ad un uomo che ha dimostrato capacità del genere?

Non puoi. E pertanto non lo puoi tollerare. Anche se ha dato prova di buona volontà, anche se ha dato prova di voler trattare, anche se è un uomo di buonsenso che non ama la violenza gratuita (caratteristica rara tra i suoi pari). E’ un uomo che ha dimostrato di poter sfidare la Corte e vincere, e questo lo rende molto più pericoloso di una marmaglia di predoni piromani che mozzano nasi e bruciano villaggi.

Ovvio che con i se e con i ma la Storia non si fa, ma per quel che ho potuto imparare di Masakado, è probabile che, se la Corte avesse trattato e condannato Sadamori una volta per tutte, il nostro se ne sarebbe tornato a casa sua a fare l’allevatore. E’ quello che fa durante il primo interludio tra i disordini, e in generale l’impressione è che Masakado non avesse davvero l’ambizione di governare su un terzo di Honshū. Masakado era un uomo che amava la propria casa, la propria moglie e la propria pace di vivere.

Ironicamente, due degli uomini coinvolti nella repressione della rivolta saranno all’origine di lignaggi che finiranno per aggrapparsi alla Casa Imperiale come spire di convolvolo, fino a scalzarla dal potere esecutivo reale e a relegare il Figlio del Cielo in secondo piano.

Chissà, forse se Suzaku avesse trattato con Masakado, la Storia intera del Giappone sarebbe stata diversa.

Ma questo è materiale per un prossimo articolo. L’ultimo della saga!

MUSICA!


Puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata


Approfondimenti

Il pirata Sumitomo

Breve storia del sistema militare giapponese, dalle origini a Masakado

La banda di guerra


Bibliografia

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In lingua occidentale

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Archeologia sperimentale e ardimento: la Nave Drago di re Harald

Haugesund è un cittadina in Norvegia. Non molto grande, non molto piccola, un trentamillaio circa di abitanti, affacciata sullo stretto di Karsmund nel Rogaland.

Niente di che come posto, non fosse che qui, nel marzo del 2010, seguendo il sogno dell’imprenditore Sigurd Aase, parte uno dei progetti più fighi di sempre: la costruzione di un drakkar oceanico!

Gatti vichinghi. Le corna sono photoshoppate: i veri gatti vichinghi non hanno corna sull’elmo.

Senza entrare nel dettaglio della storia e della struttura delle navi scandinave (materiale che richiede almeno un articolo completo), “drakkar” è un termine generico per “nave scandinava”. Data la propensione marittima e perniciosa della gente del nord, possiamo capire come queste navi siano state oggetto di ricerca e studi.

Un esempio archeologico straordinario è dato dalle celeberrime e spettacolari navi conservate a Oslo: l’elegante esemplare di Oseberg, la spartana di Gokstad e la tenace di Tune.

La seconda è sempre stata la mia preferita. Lunga 23 metri e larga 5 e spicci, questa bellezza era una cacciatrice, sulla pista di pesca, guerra e saccheggio. Ma poteva attraversare l’oceano?

La nave di Gokstad in tutta la sua famelica bellezza

La grande nave di Haugesund, costruita in solida quercia (sì, le navi erano di quercia, non d’abete come vorrebbero farci credere quei mentecatti di History Channel mortacci loro!), supera in taglia della Gokstad, con 35 metri di lunghezza, un albero di 8 metri e una capacità di carico di 95 tonnellate. Il nome di questa belva è Draken Harald Hårfagre, in memoria di Harald Bellachioma, noto per essere stato il primo re di Norvegia e per essere morto pluriottantenne nel suo letto (un’impresa che non tutti i capi scandinavi potevano vantare, nel X° secolo).

La Draken Harald Hårfagre e la sua vela di seta

Il nuovo drakkar può mettere ai remi 50 persone, proprio come le navi che, di media, componevano la flotta da guerra norvegese dopo che un sistema di leva marittima fu implementato verso la metà del X° secolo.

Tutto molto bello, ma un esperimento non è niente senza una metodologia precisa (capito Thomas Morton?). Come è nata ? Non abbiamo manuali sulla costruzione di navi. Abbiamo dei reperti archeologici, ma a parte i tre tesori al museo navale, si tratta di frammenti incompleti.

Quella che però abbiamo è una tradizione vivente di costruttori di barche. Nonostante ci siano ovvie differenze tra le barche costruite oggi da costoro e quelle che hanno raggiunto la Groenlandia, molte delle tecniche usate sono rimaste più o meno inalterate. In particolare, la caratteristica principale delle barche moderne e di quelle antiche è la tecnica con cui sono state costruite, un sistema detto “clinker“, in cui le assi della chiglia si sovrappongono l’una sull’altra come le tegole di un tetto.
voilà! Dopo due anni di lavoro la Draken Harald Hårfagre è pronta a solcare il mare e perpetrare la tradizione di archeologia sperimentale norvegese (tra cui citiamo uno deglii uomini più ganzi di sempre, quel matto di Thor Heyerdahl).

Sigurd Aase sorride perché ha investito i suoi soldi in trappole mortali per solcare i mari in nome della ricerca storica. Sii intelligente, fai come Sigurd Aase.

E’ importante notare che la Draken Harald Hårfagre non è una ricostruzione. Ci sono state ricostruzioni fedeli di reperti, nel passato, come la danese Stallone del Mare(la Havhingsten fra Glendalough), che ricrea una delle navi di Skuldelev, sito irlandese. La Havhingsten è un mirabile esempio di archeologia sperimentale, ma non è abbastanza sicura da prendere il mare (oggi è considerato come socialmente inappropriato quando ti affoga la ciurma in piena traversata).

La Havhingsten alla carica!

La nave norvegese, per contro, è equipaggiata con strumenti moderni, in caso di necessità.
La Draken Harald Hårfagre è finalmente messa in acqua nel 2012. La prima parte (il vascello) è a posto, manca il resto (la ciurma). Fino al 2012 nessuno, nemmeno quel matto di Thor Heyerdahl, aveva provato a manovrare una nave di questo tipo e di queste dimensioni. I partecipanti hanno quindi dovuto imparare a remare, far vela, manovrare. Per due anni la nave ha quindi costeggiato le spiagge norvegesi, mentre i suoi marinai prendevan la mano.

La ciurma, sotto il comando del Capitano Ahlander, conta 32 persone tra uomini e donne. Metà di costoro sono marinai collaudati, l’altra metà è composta da volontari (molti di quali studenti universitari e ricercatori, noti per l’eccellente forma fisica e le prodezze atletiche).

La nave non ha un “sottocoperta”: lo spazio sotto il ponte è così scarso che a stento basta per le provviste. Una tenda permette ai partecipanti di riposare al riparo, più o meno. Può ospitare 16 persone e i turni sono precisi: 4 ore di lavoro, 4 ore di riposo.

Una confortevole crociera sull’Oceano! (foto dalla Pagina Facebooc dell’impresa, vedi Bibliografia)

Nel 2014 la Draken Harald Hårfagre ha finalmente avuto il suo primo battesimo oceanico, con una traversata da Haugesund a Liverpool (Merseyside per la precisione).

Immagino il drakkar arrivare sulle onde, scudi alle fiancate, manco a dire “oh, hey, vi siamo mancati?”.

Il viaggio non è stato facile: i prodi marinai sono stati per mare per circa 3 settimane, in un tempo di merda. Nei pressi delle Shetland una bufera spezza l’albero come un grissino e lo schianta sul ponte.

I nostri decidono che forse è meglio avviare il motore: va bene l’archeologia sperimentale, ma se non sopravvivi per raccontare l’esperienza, l’intera faccenda è inutile.

Dal 17 luglio al 5 agosto 2014, la Draken Harald Hårfagre resta in porto. Quando riparte, gli indigeni sono, per la prima volta, tristi di vederla andar via. Ah, come cambiano i tempi!

Sul serio, se lo sarebbe immaginato un sassone che un giorno una nave vichinga sarebbe stata salutata con “so fare thee well my, own true love“?
La nave riparte sulle note della triste canzone The leaving of Liverpool, e via, per nuove avventure! E’ ora di tornare sui luoghi tanto visitati dai simpatici antenati: l’isola di Man, le Orkneys, le Shetland e le Ebridi. Prima di lasciare il porto di Stornoway, il Capitano assicura ai giornalisti che i vichinghi “hanno preso quest’isola un tempo, e noi torneremo!”
No so gli scozzesi, ma io comincerei a preoccuparmi.

Il 23 aprile del 2016, i prodi marinai della si sono riuniti di nuovo per la cerimonia della Testa di Drago, ovvero la cerimonia in cui la testa mitologica veniva montata sulla prua della nave (sì, le “teste” iconiche delle navi vichinghe non erano fisse, ma venivano montate in caso di lungo e periglioso viaggio).

Il drago apre gli occhi! (foto dalla Pagina Facebook, vedi Bibliografia)

Il 26 la Draken Harald Hårfagre è partita verso l’Ovest!

Quasi subito, una delle sartie si spezza. La nave ripara nelle Shetland, per rinforzare l’attrezzatura.

Il 2 maggio i nostri sono a Torshavn, nelle Isole Faroe. La traversata dalle Shetland non è stata facile, con onde alte e vento forte. La nave ha tenuto, ma la ciurma è esausta. Il Capitano ha deciso di fare una pausa ed evitare di ritrovarsi in mezzo a una bufera, in alto mare, con una ciurma di gente scoppiata.

La rotta per l’Islanda (foto dal sito dell’impresa, vedi Bibliografia)

Il viaggio è di nuovo in corso in questo momento e la nave si trova sulla via per l’Islanda (potete seguire lo spostamento sul loro sito).

Addio alle Faroe (foto dalla Pagina Facebook, vedi Bibliografia)

Questa impresa non solo ci permette di studiare da vicino lo svolgimento di un viaggio del genere, ma pompa linfa vitale nella ricerca storica di un periodo difficile da esplorare. Tutti coloro che hanno preso parte a questo bellissimo progetto hanno la mia più sincera stima.

Vi invito a seguire le vicende della nave da vicino.

Questo è tutto e TO GLORY AND VALHALLA!

MUSICA!
(Then place me on a ship of OAK, History Channel, QUERCIA!)

BTW, se qualcuno si stesse chiedendo “perché non Tyr, hanno un album su Eric il Rosso, ci stava a ciccio di sedano, la ragione è: da quando li ho visti live mi stanno sul cazzo da morì. E sì, la loro musica mi garbava anche.


Bibliografia

Il sito ufficiale dell’impresa

Un ritratto dettagliato della nave

L’arrivo in Merseyside

La partenza da Merseyside

La nave a Stornoway

L’arrivo nelle Faroe

La cerimonia della testa di Drago

La pagina Facebook della nave

Il canale YouTube dell’impresa

La pagina wiki della nave

Il sito informativo di Avaldsnes

Sulla tecnica del clinking

Sulla tradizione di fabbricazione di barche in Norvegia

Il museo danese dove si trova la Stallone del mare

Il museo delle navi vichinghe di Oslo

Illustri sconosciuti: Fujiwara no Sumitomo

Il sole è tornato, la fine dell’anno si appropinqua, e sto navigando nella merda senza terra in vista. Ergo mi sono detta che poteva essere à propos dedicare il primo articolo di giugno a un altro navigatore sventurato: Fujiwara no Sumitomo.

E’ uno di quoi momenti…

Sumitomo è considerato il capo di una delle principali rivolte dell’epoca di Heian e uno dei più acerrimi nemici della Corte. Eppure, per ragioni a me ignote, Sumitomo non se lo fila nessuno. Granted, non è simpatico come altri grandi ribelli della storia giapponese, ma resta degno di nota. A tutti piacciono i pirati no? Eppure, a parte essere citato di sfuggita in diversi saggi nel capitolo “Immagino sia obbligatorio accennare a questo tizio”, ho scovato solo DUE saggi specializzati su di lui. Bizarre, bizarre.

Il contesto

La zona del Mare Interno

Prima metà del X° secolo. Il Giappone attraversa un periodo di carestie ricorrenti ed epidemie disastrose. Malnutrizione e povertà sono conseguenze immediate di questi fenomeni, seguite a ruota da fuga dalle campagne, insubordinazione civile, aumento del crimine.

Il Mare Interno, vicino alla regione della Capitale, beneficiava di una situazione più stabile e di un’agricoltura più sviluppata rispetto ad altre zone come le lande orientali, con un tenore di vita mediamente più alto. Ciò nonostante, la zona annoverava anche le famiglie più povere del Paese, pigiate sulle coste a vivere di sale e pesca.

Il Mare Interno era anche un centro importantissimo per il commercio domestico e internazionale. Il porto di Hakata era un punto d’approdo per mercanti del Continente. Beninteso, il commercio internazionale era scarso e strettamente controllato dal Governo. L’arrivo e permanenza dei mercanti stranieri era supervisionato dal Dazaifu, il Governo militare di Kyūshū, situato nel nord dell’isola. Qui si faceva un inventario della mercanzia e lo si spediva alla Corte, che aveva diritto di prelazione. Una volta che i sacrés ci-devants avevano finito di fare la spesa, i mercanti potevano trattare con altri sudditi.

Con l’inizio del X° secolo gli scambi col Continente furono ridotti. Le provincie di Buzen e Nagato continuarono a fare un po’ di commercio nero, finché nel 911 il Governo non diede un giro di vite a cattivo: ridusse il numero di navi straniere autorizzate ad attraccare e proibì ai propri sudditi di lasciare il Paese.

Ora, il Mare Interno è sempre stato un posto da pirati, che potevano allungarsi lungo il fiume Yodo fin nella provincia di Yamashiro, ma queste bande non avevano mai rappresentato una minaccia seria. Troviamo un sacco di riferimenti alla loro esiziale presenza nel IX° secolo, ma siamo onesti: la Capitale non aveva né mura né fortificazioni degne di questo nome. Se queste bande fossero state numerose e capaci, i danni sarebbero stati molto maggiori.

Come si può immaginare, dopo la stretta sul commercio estero, il Mare Interno era diventato ancora più importante, un centro pulsante di commercio domestico. Ora, trasporti e traffici erano gestiti da clan locali legati per clientelismo a delle famiglione di Corte, tipo i Fujiwara. Come tutto il resto della vita economica, amministrativa e politica del Paese, durante l’epoca di Heian i legami di dipendenza personale presero un posto sempre più grande. In altre parole, via queste famiglie locali, il commercio e i trasporti erano di monopolio degli alti aristocratici. Secondo Matsuhara una delle ragioni di conflitto che spingevano gli uomini al saccheggio e alla pirateria era proprio questa offensiva del settore privato nella vita economica del Mare Interno.

Questa zona e la penisola di Kii erano il territorio di caccia favorito di questi gruppi. Impiegavano navi da pesca e da trasporto, robette a vela singola e remi, con una capacità di circa 27 tonnellate quando andavano bene.

Ve lo dico subito: la marina giapponese fa e farà piangere i gattini fino al XIII° secolo almeno. Ora, notiamo un cambiamento tra il IX° e il X° secolo, non riguardo alle navi, ma riguardo alle ciurme : mentre nel IX° la maggior parte era composta da criminali occasionali che lavoravano nei trasporti, più una massa di pescatori e morti di fame, quelli del X° erano, almeno in parte, dei toneri.

Cosa sono i toneri?

Energumeni della provincia impiegati dal Governo, di solito nelle sei Guardie. Queste bande, più addette alla prevaricazione e il casino gratuito che al mantenimento dell’ordine pubblico, erano in teoria incaricate di gestire la sicurezza e la logistica della levata delle tasse destinate alle Guardie. Costoro, come la maggior parte degli uomini in questo periodo, erano invischiati in una rete di clientelismo, che complica sempre le cose.

Il clientelismo e i legami di dipendenza privata generano impunità, e l’impunità è una minaccia all’ordine pubblico. Sicuro come la morte, questi uomini delle provincie erano spesso in conflitto con le autorità locali, forti della protezione dei loro patroni privati.

Nei primi due decenni del X° secolo la Corte aveva cercato di risolvere il problema di questi toneri turbolenti prima assegnandogli dei lotti di risaie per rimetterli all’agricoltura, poi scaricando il barile sulle spalle degli zuryō (governatori di provincia dalle competenze militari accresciute). Nessuna delle due strategie funzionò.

E’ in questo contesto che emerge Sumitomo, uno dei più scellerati nemici dello Stato. O così pare.

Sumitomo era un rampollo di nobile famiglia, i Fujiwara, no less. Suo padre Yoshinori era nipote dell’Imperatrice, cugino del giovane imperatore Yōzei e di Tadahira. Fujiwara no Tadahira fu uno dei politici più influenti del periodo e, ai suoi tempi, l’uomo più potente del Giappone (nonché Reggente degli imperatori Suzaku e Murakami).

Alberi genealogici! Tutti amano gli alberi genealogici!

Yoshinori non apparteneva al ramo dominante, ma seguì una carriera più che onorevole: ottenne il quinto rango, fu funzionario della Casa dell’Imperatrice, Ciambellano e governator della provincia di Suō.

Tutto molto bello, non fosse che nel frattempo il capo dei Fujiwara d’allora, padre di Tadahira, fece deporre l’Imperatore Yōzei. Pare che il sovrano fosse un matto da catena e che ci fosse un omicidio di mezzo. Ad ogni modo Yōzei e sua madre furono messi da parte.

Una decina d’anni dopo (895), Yoshinori fu spedito a Kyūshū come Aggiunto minore del Dazaifu con la missione di cacciare dei pirati coreani. Secondo Shimomukai, Sumitomo, che all’epoca doveva avere una decina d’anni, lo accompagnò in missione per farsi le ossa.

Le cose non finirono bene: Yoshinori mollò la funzione in anticipo e non fu ricompensato per il proprio impegno (peraltro infruttuoso). Morì poco dopo, seguito nella tomba dal padre, il nonno di Sumitomo.

La disgrazia di Yōzei e la morte prematura del padre e del nonno lasciarono il giovane Sumitomo senza protezione o appoggi politici. Suo fratello minore se la cavò abbastanza bene, ma lui rimase senza rango e senza funzioni di prestigio. Uno smacco duro da accettare.

Non sappiamo cosa combinò nei trent’anni seguenti la morte del padre. E’ possibile che abbia esercitato delle funzioni militari, tipo il takiguchi (guardia personale dell’Imperatore), ma non possiamo esserne sicuri. E’ anche possibile che sia stato impiegato nella Casa di uno dei figli dell’Imperatore Daigo.

Sumitomo ricompare nei radar nel 932, quando viene nominato Funzionario di terza classe della provincia di Iyo e messo ad assistere Fujiwara no Motona, il cugino più giovane del suo defunto padre. E’ probabile che Motona stesso lo avesse raccomandato in nome delle sue competenze tattiche, dacché Motona era uno zuryō e aveva una missione precisa: risolvere un nuovo, recente rigurgito di pirateria nel Mare Interno, faccenda che stava minacciando il monopolio Fujiwara sui traffici marittimi.

Tre anni passarono senza che i due riuscissero a ottenere un risultato decente. Nel 935, Motona e Sumitomo tornarono alla Capitale con le pive nel sacco. Motona continuò la sua carriera con un governatorato, Sumitomo beneficiò di qualche pacca sulla spalla, un “le faremo sapere” e fu spedito a spasso senza ricompense.

La delusione

Lo ritroviamo di nuovo un anno dopo, nella provincia di Settsu, alla testa di una flotta di loschi figuri. Secondo lo Honchō seiki, aveva ricevuto l’ordine (senji) di tornare nel Mare Interno e spianare un po’ di pirati. A questo giro, Sumitomo risolse parte del problema arruolando una percentuale di detti pirati nella propria banda.

L’operazione fu un successo: senza troppo bisogno di martellar capocce, Sumitomo e il governatore di Iyo, Ki no Yoshito, trovarono una soluzione diplomatica. La maggior pare dei pirati, tra cui una trentina di capibanda di rilievo, si arresero senza combattere. Furono amnistiati e furono assegnate loro delle risaie.

Tutto sembra calmarsi, fino a tre anni dopo, quando Yoshito scrive alla Corte per avvertirli che Sumitomo ha di botto preso il mare coi suoi uomini. Non dice con quali intenti (Yoshito era amico di Sumitomo e cercherà di coprirlo fino alla fine), ma avverte che la cosa ha gettato un po’ tutti nello scompiglio.

Non si sa bene cosa intenda Yoshito con “prendere il Mare”. Per alcuni si tratta del Mare Interno, per altri Sumitomo si stava dando allegramente al contrabbando, in barba ai regolamenti di Corte. E’ probabile. Di certo aveva un dente contro il Governo, dato che, dopo anni di onorato servizio, non aveva ancora visto l’ombra di un riconoscimento. Sumitomo era rampollo della famiglia più potente del Giappone, i suoi zii e cugini erano tutti Alti Dignitari. Doveva bruciargli, e tanto.

Secondo il Sumitomo tsuitōki, Sumitomo aveva lanciato la sua flotta pirata con puri intenti criminosi. La voce era arrivata nella regione della Rivolta di Masakado, il più grande sollevamento guerriero del secolo, nelle regioni orientali. Con un casino del genere all’Est, quale momento migliore per rosicchiare la Corte a ovest?

In realtà è molto dubbio che Sumitomo fosse di persona implicato in attività troppo aggressive, ma di certo questo ragionamento era stato fatto da alcuni dei suoi compagni, ed era solo una questione di tempo perché anche il Mare Interno fosse coinvolto nel casino.

In seguito a questa misteriosa partenza, una serie di misteriosi incendi scoppiarono nella Capitale. Colposi? Dolosi? Il Sumitomo tsuitōki suggerisce che fossero opera di gente di Sumitomo, che da tempo aveva un programma piromane in testa.

Si tratta probabilmente una bufala, gli incendi erano quasi di sicuro accidentali.

La rivolta

Sumitomo in azione

La situazione cambiò di botto quando il Governatore di Bizen, Fujiwara no Sanetaka, decise di lasciare il suo posto senza preavviso e precipitarsi alla Capitale. A quanto pare, aveva avuto vento di un attacco piromane preparato dai pirati contro la città e stava cercando di dare l’allarme.

Non sappiamo di preciso queli informazioni avesse Sanetaka, perché fu intercettato: alle sue calcagna c’era infatti un uomo chiamato Fujiwara no Fumimoto. Non si sa bene che rapporto avesse costui con Sumitomo. Amici, colleghi, alleati?

Fumimoto e i suoi riacchiapparono Sanetaka e famiglia nella provincia di Settsu, sul finire dl 939. I ragazzi furono uccisi, la moglie stuprata e rapita. A Sanetaka furono mozzate orecchie e naso e fu lasciato andare. Che tornasse pure alla Capitale a raccontare e sue storie: febbre e cancrena si sarebbero prese cura di lui.

Uno dei seguaci di Sanetaka era riuscito, intanto, a dare l’allarme alla Capitale. Quel giorno i nobili scoprirono di avere una nuova rivolta pirata sotto casa e non solo. Un altro messaggero era arrivato il giorno stesso, questo qua dalle lande orientali: a Est, Taira no Masakado si stava mangiando una provincia dietro l’altro manco fossero biscotti. La Corte si trova con due rivolte a tenaglia. Sarebbe stata il vaso di coccio tra i due di bronzo?

Il Governo nominò in fetta e furia Ono no Yoshifuru come tsuibushi del circuito del San’yōdō.

Che vuol dire? Spiego.

“Tsuibushi” è una funzione “extra-codale”, trattata con più dettaglio in questo articolo. Si tratta di una carica militare temporanea conferita a un aristocratico e che dava autorità sui guerrieri di un Circuito (insieme di provincie).

E’ interessante notare che la provincia di Iyo NON fa parte del circuito del San’yōdō su cui Yoshifuru aveva autorità. Secondo autori come Shimomukai, questo significa che, a questo stadio, la Corte non considerava il buon Sumi come il capo della rivolta.

Tre spiegazioni principali si presentano:

Sumitomo era protetto dalla parentela di sangue che lo legava agli uomini più potenti del Paese (nel qual caso il legame di sangue presso l’aristocrazia del Kinai si avvererebbe particolarmente solido e vigoroso, a differenza del legame di sangue nei gruppi guerrieri orientali);

Sumitmo non c’entrava davvero niente e a capitanare i black-bloc del Mare Interno era Fumimoto;

E’ possibile che Sumitomo sia stato protetto almeno in parte da Yoshito, con cui pare avesse mantenuto un rapporto di sincera amicizia.

Quello che pare sicuro è che, dopo questa bravata, Fumimoto chiese aiuto al suo compare Sumitomo, che scrisse a Tadahira per dire che Sanetaka se l’era cercata e che, se volevano la pace e l’agio di difendersi dal ribelle orientale, dovevano scendere a patti. I pirati non chiedevano molto, solo ricompense degne per il loro apporto durante la pacificazione del 936.

Il ricatto parve funzionare: il primo mese del terzo anno dell’era Tengyō (940) la Corte concesse delle funzioni di sottufficiali a Fumimoto e due dei suoi scherani (che si presume furono subito arruolati contro i ribelli orientali). Quanto a Sumitomo, la Corte gli assegnò il V° rango, facendone ufficialmente un membro dell’Alta Aristocrazia.

Ora, i ribelli del Mare Interno non erano ben coordinati come ci si potrebbe aspettare. Nei giorni che corsero tra la decisione della Corte e la consegna dei diplomi di rango e funzioni, Fumimoto pensò bene di occupare l’attesa flagellando la flotta lealista della provincia di Bitchū.

Quanto a Sumitomo, ricevuto il diploma pensò bene di raccattare i suoi e presentarsi alla Capitale. Proprio negli stessi giorni scoppiò una serie di bizzarri incendi, mettendo le autorità sul chi-vive. Incidenti o incendi dolosi? Molto probabilmente la prima. Non erano fenomeni rari e nel diario di Tadahira sono definiti “fortuiti” (jikka). Fatto sta che quando Sumitomo arrivò a Kawajiri, nella provincia di Settsu, fu accolto da porti chiusi e guerrieri incazzati. Senza far scandalo, il nostro optò per un discreto ritorno a Iyo.

E’ importante notare che Ono no Yoshifuru non aveva ancora ricevuto l’ordine di avanzare contro i pirati, ma la sua nomina a tsuibushi non era stata revocata. Insomma, al Governo ci credevano un sacco in questa faccenda del compromesso coi pirati.

A ciò si aggiunge il fatto che, lo stesso giorno in cui Sumitomo aveva picchiato il naso sul porto sbarrato di Kawajiri, la Corte aveva ricevuto una lettera dall’Est: Masakado era stato freddato da una freccia. I ribelli orientali si stavano sgretolando, il fronte era assicurato, e ora la Capitale aveva tutto l’agio di sistemare i ribelli del Mare Interno. Ecco perché non bisogna mai fidarsi dei nobili.

Per spezzare una lancia in favore degli aristocratici, bisogna dire che gli amici di Sumitomo non erano proprio persone affidabili. Mentre quest’ultimo si era messo in viaggio verso Heian, due dei suoi bravi avevano ripreso raids e saccheggi ad glandus segugi. E’ chiaro che, se a un certo punto Sumitomo può essere considerato “capo” dei pirati, di certo la sua presa sulle bande armate era labile.

Il sesto mese del 940, la Corte diede infine l’ordine a Yoshifuru di avanzare. All’inizio gli andò bene: marciò attraverso Bizen, Bitchū e Bingo, costringendo Fumimoto a ripiegare in Sanuki. Tuttavia, il 18 dell’ottavo mese, Sumitomo, che si era tenuto fuori dal casino, decise di ributtarsi nella mischia. Secondo il Sumitomo tsuitōki era alla testa di 400 navi! (O barche. Hum…) Secondo Shimomukai, lo scopo dell’operazione era fare talmente tanti danni da costringere la Corte a trattare.

Sta di fatto che fece polpette della flotta lealista di Bingo e Bizen, e prese il controllo di Iyo e Sanuki. Yoshifuru dovette ripiegare su Harima. In compenso, verso la fine dell’ottavo mese, la sua sfera di autorità fu allargata anche al circuito del Nankaidō, in cui era compresa (surprise!) la provincia di Iyo.

E’ durante questa fase che il nome di un generale in seconda dell’esercito imperiale emerge: Minamoto no Tsunemoto, il fondatore della famiglia guerriera dei Minamoto! Esatto, è l’antenato di Yoritomo, cheers!

Frattanto, nel Mare Interno, la flotta del governatore di Sanuki era stata spazzata via. Sumitomo saccheggiò il governo provinciale di Awa e andò a becchettare le coste della penisola di Kii. Secondo il Sumitomo tsuitōki, la sua flotta contava ormai 1500 navi. Che pare tanto, granted. Sempre prendere le cifre con le molle. Quella che pare un’informazione sicura è il nome del suo “ammiraglio”: tale Fujiwara no Tsunetoshi.

Tsunetoshi era un tattico molto abile e un uomo accorto: la rivolta non poteva durare all’infinito, la Corte aveva le mani libere per contrastarla e non sarebbe scesa a patti. Probabilmente capì che era solo questione di tempo prima che la bilancia cominciasse a pendere dalla parte sbagliata, e mollò Sumitomo per riarruolarsi subito con lo sconfitto governatore di Sanuki.

Può parer strano lasciare un capo all’apice della gloria per un altro che ha appena perso. Soprattutto se ha perso per colpa tua. Ma Tsunetoshi sapeva di essere indispensabile, e sapeva che sul lungo periodo la Corte aveva più probabilità di prevalere. Seguendo l’antico principio di “combatti solo guerre vinte”, cambiò bandiera e guidò con successo un attacco alla base dei suoi ex-compagni. E’ grazie a lui se Sanuki tornò nelle mani del Governo.

In Sanuki Tsunetoshi fu raggiunto da Yoshifuru e insieme partirono contro Iyo e il grosso della flotta ribelle. La flotta lealista tagliò attraverso i pirati come un coltello nel burro, disperdendone la maggior parte. Ma non era finita: Sumitomo e Fumimoto erano sempre vivi e avevano ancora abbastanza energia per far danni. Grossi danni.

La progressione del conflitto. Nellla legenda a destra, le provincie toccate nel 2°, 3° e infine 4° anno dell’era Tengyō

Quel che restava della flotta ribelle si lanciò in una corsa frenetica al saccheggio sulle coste del Mare interno, spingendo verso ovest. Annientarono la flotta dello tsuibushi del Dazaifu e saccheggiarono la zecca della provincia di Suō. Non solo: il distretto di Hata, nella provincia di Tosa, fu messo a ferro e fuoco.

Dopo questo slancio distruttivo, i nostri bucanieri spariscono dai documenti. Per qualche mese non abbiamo più notizie (si erano nascosti?), ma risaltano fuori il quinto mese del quarto anno di Tengyō (941), quando Yoshifuru avverte la Corte che Sumitomo ha saccheggiato niente meno che la sede del Dazaifu, rastrellato un numero imprecisato di persone e che ha poi rivenduto come schiavi.

L’attacco al Dazaifu fu l’ultimo momento di gloria di Sumitomo: il 20 del quinto mese Yoshifuru lo riacchiappò nel porto di Hakata e lo fece a pezzi. La repressione dei fuggiaschi prese ancora settimane, ma la battaglia di Hakata fu la fine della grande rivolta dei pirati del Mare Interno.

Sumitomo e suo figlio riuscirono a sfuggire alla cattura e tornarono in Iyo. Sumitomo sperava forse di potersi nascondere, o forse voleva chiedere protezione a qualcuno. Sta di fatto che il 29 del sesto mese fu catturato insieme al ragazzino. Non ci fu nessun giudizio, entrambi morirono prigionieri poco tempo dopo.

Fumimoto e i suoi fratelli erano a loro volta riusciti a scappare, ma arrivati in Tajima un vecchio amico li denunciò ai lealisti, che li presero e li scapitozzarono senza troppe cerimonie.

Così si concluse la rivolta pirata più grande del periodo di Heian. Purtroppo abbiamo pochi dettagli sui tipi di legami che univano questi uomini o sulle loro motivazioni ultime. Quel che è certo è che il sollevamento non aveva una strategia uniforme e che molte delle bande erano tenute insieme da legami relativamente labili. All in all, la Corte riuscì ancora una volta a usare un ladro per acchiappare un ladro: sia durante la pacificazione di Ki no Yoshito che durante la rivolta di Sumitomo, il grosso del contributo militare fu portato da gente che aveva cominciato la stagione dalla parte dei ribelli.

That’s all for today, folks!

MUSICA!
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Bibliografia

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Fonti antiche

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