Storie di documenti: specchi imperiali e tabelle di conversione

Una delle cose che mi fan salir l’Inquisizione è incrociare gente per cui la Storia non è altro che una fila di date, un incedere Magnifico e Progressivo di nozioni da mandare a memoria. Questa visione è un abisso di ignoranza atroce.

Credete che lo storiografo sia solo un masochista che si diverte a ricordare stronzate?
No cari miei, uno storiografo E’ MOLTO PIU’ MASOCHISTA DI QUANTO PENSIATE!

E oggi voglio dimostrarvi di cosa è fatto il quotidiano dei disadattati che si iscrivono in dottorato.

Oggi affrontiamo la storia dei materiali.

Può apparire come un argomento sterile e noioso rispetto ad altri settori, tipo la storia della filosofia, la storia politica o religiosa, ecc. Tuttavia la storia dei materiali, come quella militare, ha diramazioni vastissime. Possiamo immaginare l’impatto ambientale di una società dal modo in cui costruiva i tetti, e grazie a ciò possiamo interpretare con molta più sicurezza le fonti.

Tutti i furbi che studiano avvincenti rivolgimenti sociopolitici non possono evitare di fare i conti, di quando in quando, col sudicio, col rancio degli schiavi, con l’artigiano o col tipo di scarpe usate dai soldati.

E quindi oggi non parliamo di eccitanti gesta guerriere. Oggi parliamo di specchi.

Specchio imperiale conservato allo Shōsō-in

No, non si tratta di vezzosi accessori per signorine di buona famiglia. Siamo nella seconda metà dell’VIII° secolo, e gli specchi di questo periodo riflettono poco e male. Non sono optional frivoli, ma oggetti magici e simboli di potere.

Senza entrare nel merito del ruolo dello specchio sul Continente, basti sapere che, fin dall’alba della Storia Giapponese, questo oggetto ha avuto un’importanza capitale nell’Arcipelago.

Dalla prima comparsa del Giappone nelle fonti, nel Libro dei Wei, composto verso la metà del VI° secolo, notiamo la rilevanza di questo artefatto. Nel capitolo dedicato ai barbari delle isole, lo Wajinden, si parla difatti di Yamatai, un regno prominente in mezzo a una marmaglia di staterelli bellicosi. Yamatai, embrione dello stato nipponico, è governato da una regina-sacerdotessa, Himiko, che vive reclusa in un santuario.

Secondo il testo, Himiko avrebbe mandato un’ambasceria a Daifang nel 280. Da lì, gli inviati sarebbero stati rimbalzati alla capitale Wei di Luoyang. Il sovrano Wei aveva proclamato Himiko “regina dei Wa, amica dei Wei”, e le aveva rispedito indietro vari doni, tra cui spade, perle, stoffe e 100 specchi di bronzo.

Il ritrovamento archeologico di specchi cinesi nei grandi kofun del Kinai è un elemento a favore della veridicità della storia. Sempre l’archeologia ha permesso di vedere come interi stocks di specchi di uno stesso atelier siano stati seppelliti in tombe disseminate ai quattro angoli del Paese. L’interpretazione dominante di questo fatto è che l’invio di specchi in dono facesse parte del cerimoniale diplomatico che legava capi regionali alla nascente Corte di Yamato.

Lo specchio è portatore di un forte valore religioso: compare anche nel Kojiki nel celeberrimo episodio della caverna, in cui la dea solare Amaterasu fugge dal cielo (un mito molto simile a quello greco di Demetra alla ricerca di Persefone).

Nel corso della Storia, lo Specchio è diventato, assieme alla Spada e al Gioiello, uno dei tre regalia della Corte Imperiale. Avere il controllo di questi tre oggetti sacri significava avere il controllo della Dinastia. Un imperatore poteva essere sostituito, lo Specchio Imperiale no. Tanto è vero che alla battaglia di Dan no Ura i Taira cercarono di affondare i tre regalia piuttosto che lasciarli cadere in mano ai Minamoto (ma di questo parleremo un’altra volta).

 

Ok, ok, cominciamo!

Tagliando corto sull’importanza storica, spirituale, politica e magica dello specchio, veniamo a noi!

Il documento che studieremo oggi risale al 762 e viene dal tesoro dello Shōsō-in. L’edizione su cui lavoreremo non è manoscritta (GRAZIE A DIO), ma è tratta dalla collezione Dai Nihon komonjo (volume 15).

Prima di saltare nella lettura di questo APPASSIONANTE pezzo però occorre munirsi degli strumenti adatti. In particolare, parlando qui di quantità e misure, sarà necessario dotarsi di una tabella di conversione. Non abbiamo dati diretti del periodo in esame, ma abbiamo la next best thing: una serie di cifre tratte dai Regolamenti dell’era Engi (Engishiki) redatti all’inizio del X° secolo. Si tratta di una codificazione successiva, ma che con ogni probabilità riporta senza troppe variazioni le misure stabilite dai Codici Ritsuryō di fine VII°-inizi VIII°. La nostra edizione è quella curata da Torao Toshiya (vol. 1, 2000).

Misure di lunghezza:

1 () = 2,97 m

10 shaku ()
100 sun ()

1 shaku = 29,7 cm [o 35,6 cm se si parla di “grandi shaku]

10 sun

100 fun ()

1 sun = 2,97 cm

10 fun

1 fun = 3mm

Misure di distanza

1 ri () = 534 m circa [salvo nel caso specifico di misure di terreno agricolo, ma non complichiamoci troppo la vita! NdTenger]

300 bu ()

1.800 shaku

1 bu = 178 cm CIRCA

6 shaku

Misure di superficie

1 chō () = 12.000 mq

10 tan ()

3.600 bu

1 tan = 1.200 mq

360 bu

1 bu = 3,33 mq

Misure di capacità

1 koku (/) = 80 l CIRCA

10 to ()

100 shō ()

1000 ()

1 to = 8 l CIRCA

10 shō

100

1000 shaku ()

1 shō = 0,8 l CIRCA

10

100 shaku

1000 satsu ()

1 = 8 cl CIRCA

10 shaku

100 satsu

1 shaku = 8ml CIRCA

Misure di peso peso, le Grandi Libbre

1 tai-kin (大斤) = 674 g

3 shō-kin (小斤)

16 dai-ryō (大両)

64 dai-bun (大分)

180 monme ()

1 dai-ryō = 42,125 g

4 dai-bun

11 monme

24 dai-shu (大鉄)

1 dai-bun = 10,53 g

2,75 monme

6 dai-shu

1 monme = 3,75 g

2,14 dai-shu

1 dai-shu = 1,75 g

Le Piccole Libbre

1 shō-kin (小斤) = 225 g

16 shō-ryō (小両)

64 shō-bun (小分)

180 monme

1 shō-ryō = 14,06 g

4 shō-bun

11 monme

1 shō-bun = 3,51 g

2,75 monme

Con la tabella alla mano, attacchiamo il testo!

Come prima cosa a destra leggiamo la data: Quindicesimo giorno del primo mese del sesto anno dell’era Tenpyō-hōji [762, NdTenger]

Segue l’oggetto del testo: Ordine per la fusione di quattro specchi imperiali [il carattere “” è un onorifico, NdTenger]

I caratteri in piccolo sono l’equivalente di una nota a pie’ di pagina e danno le dimensioni: ogni specchio dovrà avere un diametro di 1 shaku (29,7 cm ) e uno spessore di 5 fun (1,5 cm)

Quanto alla materia prima:

  • Rame puro: 70 kin [il testo dice Grandi Libbre, ma non è possibile, verrebbero specchi da 20 Kg! Un esemplare dell’epoca conservato allo Shōsō-in ne pesa scarsi 4. NdTenger] (15,75 Kg). Di queste, 48 (10,8 Kg) saranno forniti dall’atelier che si occupa del lavoro, e 22 (4,95 Kg) saranno fornite da diverse fonti.

  • Stagno bianco [si presume una lega brillante di stagno e piombo, NdTenger]: 5 kin e 16 ryō (1,35 Kg).

Totale del metallo: 17 Kg (con una proporzione grossolana di 90% rame e 10% lega di stagno), ovvero 4,27 Kg a specchio.

Veniamo al resto del materiale necessario per la fusione e la finitura!

  • Cera: 1 dai-ryō (674 g)

  • Polvere di ferro: 4 dai-ryō (168, 5 g)

  • Lingotti di ferro: 2

  • Tela di seta a tessitura semplice: 1 (2,97 m)

  • Tela di seta grezza a tessitura semplice: 2 shaku (59,4 cm)

  • Borra di seta: 2 ton (337 g)

  • Tela di canapa: 1 (2,96 m)

  • Cote a grani grossi: 2

  • Cote piccole a grani fini: 2 sacchetti

  • Olio di sesamo: 1 gō (8cl)

  • Carbone di legna: 12 koku (960 l)

  • Carbone da forgia: 6 koku (480 l)

  • Calce: 1 tai-kin (674 g)

  • Frecce: 20

La funzione dei vari materiali non è spiegata, ma sappiamo che gli scribi hanno tendenza ad aggruppare le diciture per tema.

La cera serve senza dubbio per creare lo stampo dello specchio (l’argilla non compare nella lista ma viene nominata in una nota più avanti).

Le frecce sembrano uno strano ingrediente. E’ possibile che la parola sia usata qui in senso lato, per indicare asticelle di bambù cave (simili all’asta di una freccia) che permettano l’uscita dell’aria durante la colata.

Non abbiamo dettagli per quel che riguarda l’uso della stoffa e del ferro, ma notiamo che sono elencati assieme alle pietre per lucidare. Se guardiamo altri tipi di artigianato, tipo la creazione di oggetti laccati, l’artefatto viene lucidato con l’uso di polvere di ferro impastata nell’olio e chiusa in un panno di diversa grana. E’ probabile che lo stesso valga per gli specchi: il tocco finale di lucidatura veniva forse dato alla stessa maniera.

Artigiani in un atelier dell’VIII° secolo

A partire dalla linea 8 si parla del personale necessario e delle “unità” che sono assegnate ad ogni uomo. Queste “unità” non sono spiegate, ma si tratta senza dubbio di “razioni giornaliere”. Notiamo che alcuni professionisti ne hanno più di altri, di certo perché il loro lavoro richiedeva più giorni di servizio.

In tutto si parla di 124 razioni, ovvero di 124 giornate lavorative complessive.

  • 5 fonditori (64 razioni). Si considera che passeranno 8 giornate a fondere e 56 a rifinire.

  • 1 cesellatore (15 razioni)

  • 1 tornitore (2 razioni)

  • 2 tornitori aggiuntivi (2 razioni)

  • 1 fabbro (3 razioni)

  • 2 assistenti di forgia (40 razioni). Riguardo al servizio di questi due tizi si considerano 12 giorni per andare a recuperare l’argilla a Nara, 2 come assistenti agli intagliatori, 3 di assistenza presso i vari artigiani e 23 come factotum.

Abbiamo un totale di 12 persone. Possiamo supporre che costoro impieghino una ventina di giorni in tutto per terminare i 4 specchi.

Nel frattempo questa gente deve mangiare, e il documento elenca con precisione chi ha diritto a cosa!

 

  • Riso: 2 koku, 4 to e 8 shō (195,2 l), ogni uomo riceve di media poco meno di 2 l al giorno. Tale riso poteva essere mangiato o scambiato per altri prodotti nei mercati della Capitale.

  • Sale: 4 shō, 9 e 6 shaku (3,97 l), ovvero ogni uomo riceveva circa 32 ml di sale al giorno (sempre di media).

  • Alghe: 13 kin e 10 ryō (circa 9 Kg), ovvero 74 g di alghe al giorno per uomo, se si conta in Grandi Libbre. Se odiamo i nostri artigiani possiamo ipotizzare Piccole Libbre, il che darebbe un totale di circa 3 Kg in totale per 25 g di alghe al giorno, ma sembra un tantinello esagerato.

  • Alghe Arame: 10 kin e 8 ryō (circa 7 Kg) per 84 razioni (certa gente lavora più a lungo di altra), per una media di 84 g di alghe a capoccia per 84 giorni.

  • Carne/pesce salati: 8 shō e 4 (6,72 l), razioni per 3 artigiani per 84 giorni, ovvero un misero 80 ml al giorno a capoccia di media.

  • Aceto: 4 shō e 2 (6,56 l) per 84 giorni lavorativi, 78 ml al giorno di media.

  • Stuoie di paglia: 2

  • Stuoie [di pianta non identificata]: 2

  • Stuoie di bambù sottile: 2

  • Cuscini rotondi: 6.

E gli specchi sono realizzati!

Una dozzina di artigiani, un atelier, una ventina di giorni, cibo e risorse, per ottenere magnifici oggetti di prestigio ad alto valore diplomatico.

L’impatto ambientale di questi artefatti comprende carbone di legna (prodotto particolarmente dannoso), trasporto di materiale e cibo fresco, produzione di seta (coltivazione di gelsi e allevamenti di bachi), produzione di cera, ecc. Si tratta di oggetti che, oltre a richiedere capacità particolari e manodopera specializzata, necessitano un notevole investimento di risorse.

Occorre anche considerare che la frenetica attività e la concentrazione demografica avevano disboscato buona parte del Kinai, che in questo periodo comincia a risentire del sovraccarico umano. Ciò rende la fabbricazione di oggetti d’arte come questi più onerosa, ma sempre meno che importare i dannati oggetti direttamente dalla Cina!

 

Specchio ritrovato nel tumulo di Yanoura nel dipartimento di Saga

La lettura di documenti del genere può apparire arida e noiosa. Non è di certo eccitante come il resoconto della rivolta di Masakado, ma io ho una passione malsana per numeri e nomenclature. Sono diretti, precisi, ordinati. Offrono una finestra nella vita quotidiana del tempo e un contesto necessario alla produzione artigianale del periodo. Quando si passa allo studio di ambascerie e doni imperiali, è importante che il dato “TOT specchi” (o simili) non sia semplicemente una cifra sulla carta, ma che comporti per lo meno una nozione del lavoro e dell’investimento che tali oggetti comportavano.

Peraltro, ora avete un’idea migliore di cosa significa lo studio dei documenti. Roba del genere è all’ordine del giorno QUANDO TUTTO VA BENE. Pensateci due volte prima di cacciarvi in questo ginepraio.

MUSICA!

(Ok, l’argomento è stato scelto anche per poter linkare questa canzone a fine articolo, che ce posso fa’)


Bibliografia

Il testo è stato analizzato durante il seminario della professoressa Von Verschuer Charlotte

Dai Nihon komonjo, Shōsō-in monjo, vol.15 p.182-183, VIII° secolo

FARRIS William Wayne, Sacred Texts and Buried Treasures, University of Hawai’i Press, Honolulu, 1998

Population, Disease, and Land in Early Japan, 645-900, Harvard-Yenching Institute Monograph Series 24, 1995

TORAO Toshiya, Engishiki, Shuueisha, vol.1 , 2000

Von Venrschuer Charlotte, Le riz dans la culture de Heian – mythe et réalité, Collège de France, 2003

Paleografia casalinga: dall’800 con furore

Di recente ho dovuto abbandonare la Ville Lumière per dar manforte al resto del clan. La casa di famiglia deve essere ristrutturata e questo significa riordinare e far posto.

Ora, io non ho idea di come funzionino le cose nelle famiglie normali. Nel nostro caso abbiamo per le mani uno scatapeus gigante che non è stato pulito da almeno trent’anni, e in cui detriti di generazioni e generazioni si sono stratificati e pressati in un nuovo tipo di sedimento, la Scartoffite.

Non esagero quando dico che per lavorare nelle cave di scartoffite sono necessari guanti, tutta, mascherina e protezione per i capelli.

In capo a una settimana avevamo trovato animali morti, merda, larve rinsecchite, avanzi di cibo lasciati lì dall’VIII Armata Alleata, il vaso da camera di Garibaldi e un numero imprecisato di manuali di buona condotta per signorine ‘800.

In mezzo a tutto il letamaio però sono saltate fuori anche cose divertenti. Oggi parleremo quindi di paleografia casalinga!

I due esemplari che conto mostrarvi sono stati ritrovati in un mucchio di ricette scritte a mano da generazioni di madri di famiglia. Perché erano lì? Non ne ho la più pallida idea.

So però da dove arrivano: si tratta di carte appartenenti alla famiglia Frangialli, smollate ai Sacerdotti in tempo immemore perché “nostro figlio verrà forse a cercarle, vi dispiace mica tenerle per noi per qualche mese?”

Un secolo dopo, il signor Frangialli ancora non si è fatto vivo, e a questo punto spero davvero che non lo faccia (non mi piace quando gente di più di 115 anni viene a farmi visita!).

 

Il primo esemplare che vi propongo oggi è un’avvincente storia illustrata.

Trascriszione:

I

Master Tidi proves do be indisposed – Miss Bianca making particular observation upon the phenomena

 

I

Mastro Tidi è indisposto – La signora Bianca esegue pedisseque osservazioni del fenomeno

II

Malady proving to be of the most alarming sort,

Miss Bianca tries strong medicaments and efficient means.

 

II

Dacché la malattia si avvera essere quanto mai allarmante, la signora Bianca tenta forti medicine e metodi efficaci.

III

Which prove to have a very good effect.

 

III

La cosa ha effetti molto positivi.

IV and last

So now Miss Bianca is to be seen again on the Pincio bringing (?) Mr Tidi.

 

IV e ultimo

Sicché ora la signora Bianca può esser vista di nuovo sul Pincio portare a passeggio Mr. Tidi

 

Come si nota, il documento non è datato, ma l’abito della signora Bianca nell’ultimo riquadro presenta il taglio tipico della moda del primo decennio del ‘900. Non ci sono indizi che spingano a supporre, da parte dell’autore, la scelta deliberata di abbigliare la signora Bianca con abiti anacronistici. Quindi possiamo ipotizzare con relativa sicurezza che il documento è da collocarsi, indicativamente, tra il 1900 e il 1910.

Un altro indizio ci è dato dal nome dell’eroina in questa frizzante storia di iniziativa e inventiva: Bianca.

Il pezzo in analisi è stato infatti trovato insieme ad altre carte, una delle quali (analizzata poco più in basso) è una lettera datata 1879 e firmata Blanche Capelli, ovvero Bianca Capelli, sposa di Ugo Frangialli e conoscente della famiglia Sacerdotti.

E’ evidente che il luogo di ritrovamento non può essere considerato del tutto affidabile per l’identificazione e datazione del documento. Tuttavia, ci pare sufficiente per ipotizzare l’alta probabilità che la giovane autrice della lettera e la matura signora protagonista del racconto siano, invero, la stessa persona.

Ok, direte, è un buffo fumetto su una tizia che svermina il cane. Strana cosa da ficcare in mezzo a ricette o libri di cucina, ma poco più che una bizzarra curiosità.

E’ vero.

Ma colgo questa occasione per introdurvi ad un esercizio accademico di grande importanza, un esercizio che chiunque voglia buttarsi nelle Scienze Sociali deve saper eseguire: la supercazzola universitaria (livello: Dottorato).

Cominciamo!

Venendo al contenuto della storia e all’interpretazione del testo in quanto tale, vediamo la signora Bianca riconoscere nel deretano del proprio cagnolino chiari sintomi di infestazione da parassiti. Con sicurezza e spirito pratico, la signora somministra un robusto clistere alla bestiola, che, nel riquadro III, caga un pitone di 8 metri.

Da un punto di vista figurativo, il valore artistico dell’opera ci pare indiscutibile. Notate con quale sicurezza e maestria l’artista ha ritratto la sofferenza della bestia, nelle fauci aperte e nelle zanne digrignate, o nel collo arcuato durante l’espulsione dell’anaconda nel terzo riquadro.

Il cappellino a punta è chiaramente ispirato al copricapo dei dottori della Peste del 1629-1630. In questo contesto è un palese simbolo di malattia e sofferenza, ma anche di ridicolo e oscurantismo reazionario. Mostra quanto sia paradossale e sciocco cercare la soluzione al male in una millantata tradizione radicata in un fumoso passato falsamente glorificato.

La signora Bianca, d’altro canto, viene ritratta con attributi scientifici (la lente, il clistere), all’epoca sicuramente associati con la professione maschile del ricercatore e del medico. Spoglia di ornamenti e ninnoli femminili, la signora impugna gli attrezzi e agisce con piglio e prontezza, incurante di convenzioni e stigma sociale. Nell’ultimo riquadro la vediamo torreggiare al centro della scena, trionfante e sicura.

Questa breve novella è chiaramente una rappresentazione simbolica dell’emancipazione femminile, allora sul nascere (la prima Giornata Internazionale della Donna fu tenuta in alcuni paesi europei nel 1911, due anni dopo il lancio del Women’s day negli USA). Non è un caso che il cane si chiami MASTER Tidi. Tidi rappresenta la società dominata dagli uomini!

La Donna, la signora Bianca, constata con acutezza come la società patriarcale sia sofferente e tormentata dai parassiti, rappresentazione lapalissiana degli stereotipi e della violenza che la cultura maschilista infligge alle donne e, di conseguenza, a sé stessa.

Spogliandosi dei propri ammennicoli e vezzi, la Donna interviene e infligge una cura traumatica ma necessaria alla Società. La signora Bianca non ha timore di essere giudicata o di ricevere una spruzzata di diarrea nel viso. Sa cosa c’è da fare e non esita. Il suo coraggio purifica la Società dall’infame serpente velenoso dell’autorità patriarcale, che striscia via, sconfitto.

Nell’ultima scena il cane ha perso il ridicolo cappellino e ora cammina felice. La signora Bianca può rivestirsi degli abiti vezzosi, non è più costretta a rinnegare la propria femminilità per difendere la propria indipendenza, bensì è libera di affermarsi ed essere riconosciuta.

Trionfante sugli infidi parassiti del Pregiudizio e dell’Oppressione Borghese, la Donna marcia verso un futuro radioso di eguaglianza, giustizia e libertà!

Il cane appare piccolo in questa illustrazione, e ciò simboleggia l’insicurezza maschile di vedersi sminuire dall’emancipazione femminile. Mostra il timore di certi uomini di essere offuscati, discriminati, in pratica di subire ciò che le donne hanno subito per secoli.

Ma l’artista sfata questa sciocca paura: come qualsiasi osservatore attento può notare, il cane non cammina sullo stesso piano della signora Bianca. Mr Tidi non è rimpicciolito, ma appare più piccolo dacché è più lontano! Legati insieme, la signora Bianca e il suo amato cagnolino, avanzano su percorsi paralleli e compagni, senza che nessuno dei due adombri l’altro.

Questo è un chiaro grido di denuncia e solidarietà tra i sessi, un’affermazione di progresso ed emancipazione!

Sembra che stia coccolando il gatto, in realtà sta ricevendo istruzioni dai Missi Dominici dell’Imperatore Interplanetario Kittoh de Destroyah (sì, l’Universo è dominato dai gattini, SVEGLIA!)

Il secondo documento che voglio proporvi non ha la carica sovversiva e moderna del primo, ma può aiutare alcuni dei miei lettori a rimettere certi dispiaceri nella giusta prospettiva.

Sono sicura che a molti di voi sarà capitato di ritrovarsi nella tanto temuta friendzone. E’ di certo una situazione dolorosa.

Tuttavia c’è di peggio, come la vispa penna della signorina Blanche sta per mostrarci.

Trascrizione

San Pellegrino, 1er Septembre 1879

Monsieur!

Un évènement imprévu vient changer le cours des affaires que nous étions en train de traiter avec vous! Aussi ne vous étonnez pas si au lieu d’être maman qui est intermédiaire entre vous et moi c’est moi qui le devient entre elle et vous.

Oui, monsieur, il faut que je vous l’avoue ; les efforts que vous avez faits pour blesser [?] mon cœur, ont eu un résultat inattendu ! Mon cœur froid et insensible ne s’est pas laissé toucher ; –

celui si tendre de ma mère a malheureusement subi l’influence à laquelle le mien a su résister et ce [adjective ?] cœur s’est éperdument épris de vous !

Le mot est lâché, et je n’ai maintenant autre chose à faire, que de vous prier de [verbe?] auprès de celle qui désormais ne vit plus que pour vous.

Oui, Monsieur! – Ses yeux ne voient qu’une image – c’est la vôtre – Ses lèvres n’ont qu’un soupir, c’est votre nom –

Son cœur n’a qu’un désir – c’est vous-même !

Hâtez-vous donc de venir consoler par votre présence ce cœur si profondément blessé d’amour pour vous ! –

Yeux bruns vous attendent, voulez-vous y jeter !

Croyez-moi avec la plus haute estime votre bien dévouée

Blanche Capelli

à Mr. E. C. M.

 

Italiano

San Pellegrino, 1 Settembre 1879

Signore!

Un evento imprevisto ha cambiato il corso degli affari che stavamo intrattenendo con voi! Peraltro, non stupitevi se invece di essere la mamma a far da intermediaria tra voi e me, sono io a diventar l’intermediaria tra lei e voi.

Sì, signore, devo confessarvelo: gli sforzi che avete fatto per ferire [? il verbo non quadra nel contesto, si tratta senza dubbio di un altro verbo avente come senso di “conquistare” o qualcosa del genere] il mio cuore hanno avuto un risultato inatteso! Il mio cuore freddo e insensibile non si è lasciato sfiorare… quello sì tenero di mia madre ha sfortunatamente subito l’influenza alla quale il mio ha saputo resistere. [Leggevo questo a tavola con la famiglia, a ‘sto punto è esploso lo stadio NdTenger] e questo [aggettivo?] cuore si è perdutamente innamorato di voi!

La parola è lanciata, non mi resta che una cosa da fare, ed è pregarvi di [Boh?! Andare?] presso colei che ormai non vive che per voi.

Sì, signore!  I suoi occhi non vedono che un’immagine – la vostra. Le sue labbra non hanno che un sospiro, è il vostro nome.

Il suo cuore non ha che un desiderio – siete voi stesso!

Sbrigatevi allora e venite a consolare questo cuore che soffre profondamente d’amore per voi!

Occhi bruni vi attendono, vogliate immergervici!

Vogliate credere nella mia più alta stima, vostra devotissima

Blanche Capelli,

al Sg. E. C. M.

Se avesse aggiunto dimenticato “posso chiamarti ‘papà?'” sarebbe stato un pelino troppo esagerato. Invece no, questa lettera è perfetta!

Si tratta chiaramente di una brutta copia (notare le correzioni e le parti aggiunte) di una lettera. Il testo suggerisce che lo sfortunato signor E. C. M. stesse spasimando per i begli occhi della signorina Capelli (e che la mamma di costei fosse vedova).

Non so come sia finita questa romantica storia d’amore. E’ molto probabile che il signor E. C. M. (abilmente ritratto a piè di pagina) si sia dato latitante, ma a noi piace credere che la storia d’amore abbia avuto un lieto fine per la signora Capelli Madre!

Certo è che la strategia della vispa signorina è originale e creativa. Perché ricorrere a un ti vedo più come un amico quando puoi optare per un io non sono innamorata, ma mia madre è cotta stracotta di te!

Potreste pensare “ah, ma lo posso fare solo se mamma è vedova o divorziata”. Beh, no. Siamo nel 2017, svegliatevi! Potreste alludere al fatto che i vostri sono una coppia aperta super-moderna! Un minimo di fantasia, approfittate delle conquiste!

Mia personalissima idea (non basata su niente in particolare): la mamma della signorina Capelli aveva pescato il signor E. C. M. come Genero Ideale e stava facendo pressione sulla figlia… che non voleva saperne. La signorina Bianca ha dunque deciso “se ti garba tanto, sposatelo te!”. La lettera potrebbe essere interpretata come “non mi garbi, sei ancora sul radar solo perché piaci tanto alla mamma”.

In ogni caso: OUCH!

Credi che la friendzone sia un problema? Benvenuto nella MOTHERZONE!

Un’ultima nota: noterete che il disegno presenta alcune similitudini stilistiche col rivoluzionario racconto illustrato analizzato più in alto. E’ possibile che il primo documento non sia la mano di un amico della signora Bianca, quanto un’opera realizzata da lei stessa. In questo caso la storia assumerebbe un carattere ancora più potente e autobiografico!

E’ possibile. Dopotutto la signora era in buoni termini con i Sacerdotti (durante il Fascismo Maria Sacerdotti fu feroce emancipazionista e presiedette la sezione fiorentina della Federazione Italiana Laureate e Diplomate degli Istituti Superiori) e con le suffragette Ada e Beatrice Sacchi (di famiglia mazziniana e fieramente progressista).

Tutto torna quindi, il valore simbolico del primo documento è confermato!

La morale della favola è: prima di buttare via blocchi di Scartoffite, dateci un occhio. Potreste trovarci piccole perle di surrealismo fossile!

E ora una canzone a tema!

MUSICA!


Per chi volesse saperne di più sulle signor Sacchi e Sacerdotti.