Vita da campo: Coudekerque-Branche 2016

Sabato

Foto d’epoca scattata dopo la poco nota battaglia di Legnate sul Groppo, dove un gruppo di Gallo-romani affiancò l’esercito napoleonico per combattere gli scoiattoli. Sulla destra, un ausiliario danese in borghese. (Foto di Nanette)

Mi sento come se ogni fibra del mio corpo fosse stata centrifugata.

Di solito il venerdì notte mi comporto da persona adulta e vado a letto presto, senza bere. A questo giro mi son distratta e ho dormito 3 ore appena. Non sarebbe tanto male se non fosse che dormo 3 ore da una decina di giorni per finire un lavoro…

Per fortuna la giornata è uggiosa e il campo è deserto. Posso covarmi la fatica.

Risiamo in quel di Dunkerque, per il mio campo preferito. Anche quest’anno i Cechi non sono venuti. Tagli alla cultura, fondi ridotti, et voilà, non puoi più permetterti di chiamare la compagnia strafica di Gustavo Adolfo. Sic transit gloria mundi.

I napoleonici in compenso sono venuti in forze. Il che è cosa buona perché puoi sempre contare sui napoleonici per qualche rissa multiepoca.

Ci sono anche i coloniali, i tizi del quindicesimo, il ventesimo secolo, il secondo impero…

E ci sono dei soldati della Wehrmacht. Devo ammettere che quando i loro ufficiali passano con le svastiche sulla giacchetta, mi sale un piccolo brivido.

Hide yo’ wife, hide yo’ kids! (Foto di Michel Langrenez)

E’ un campo sonnacchioso. Il tempo è stato così di merda che venerdì sera ci si è impantanata una delle macchine. Roba che s’arriva al parco e SBLORCH, imputtanata fino ai finestrini. Per fortuna gli yankees del ’39-’45 hanno i gipponi, sennò la si lasciava lì per gli archeologi del futuro.

Il pubblico è rado e poco interessato a noi poveri predoni scandinavi, ergo movimentiamo la vita col Gioco del Ciondolo.
Il Gioco del Ciondolo è una trovata di Bothvar per i nuovi membri: ti si mette al collo un cordino con una zampa di corvo; il tuo lavoro è tenerlo fino alla fine del campo, il lavoro del resto della compagnia è fregartelo. Se te lo fai fregare, paghi pegno.

A questo giro il corvo tocca a Lis. Non è cominciata bene. Venerdì sera gliel’ho già fregato io, mentre eravamo a bere nella tenda del centurione. E’ tutta questione di disinvoltura e polso…

Un’altra novità rispetto all’anno scorso, oltre all’assenza di pubblico e la gara del ciondolo, è il nuovo piano per lo Stato d’Emergenza. La Francia impone ‘sta roba da Novembre. Il lato antipatico è che non puoi fare un sacco di roba, il lato positivo è che sono riusciti ad arrestare un sacco di malvagi ecologisti. Perché fanculo i bombaroli, la radicalizzazione delle carceri, l’assenza di controllo in ghetti infami, quello che davvero angosciava noi parigini era il fatto che dietro un qualsiasi cantone poteva appostarsi un volontario di Greenpeace.

Quindi insomma, niente sfilata di 15 Km quest’anno, perché Al-Bagdadi potrebbe mandare qualcuno con un coltellaccio a cercare di sgozzare una carovana di gente corazzata come un tank, armata fino ai denti e con consolidata esperienza sportiva.

No, non sto scherzando.

La cosa non mi dispiace davvero: sono esausta e la schiena mi fa un male cane. Quindi buono, ci risparmiamo la Grande Marcia. Quello che non ci viene risparmiato è il discorso del sindaco.

Uno dei balocchi dei nostri amici ‘mmerigani (Foto di Nanette)

Di ritorno al campo, facciamo del nostro meglio per essere il più storicamente accurati possibile. Giusto per il principio, visto che non passa un’anima. C’è chi si mette a giocare al gioco del Re, ci si occupa della mangiogna, chi si allena in una piccola lizza. Tutto è così quieto che comincio a sperare che, magari, quest’anno non ci saranno feriti!
Ne approfitto per riposare. Mi avvolgo nel mantello e mi raggomitolo sulla paglia dietro la rastrelliera delle armi. Fa freddo, ma tanto se non dormi all’addiaccio non puoi davvero dire di aver vissuto il campo fino in fondo.

Il torpore mi sale addosso. Sono giorni che lavoro come un nordcoreano, ho un mal di schiena che mi uccide, un’orertta di riposo mi farà bene…

BAM

-MA PUTTANA L’EVA!

Qualcosa mi si è schiantato ‘ntelle stiene con la grazia di uno scooter lanciato contro un palo della luce. Emergo dal mantello incazzata come un gatto che ha scoperto i gavettoni. Un elmo. Qualche mentecatto ha preso un cazzo di elmo e me l’ha tirato tra le scapole!

-Oddio!- Il Fortunato e in piedi accanto allo stand, l’aria colpevole di un cane accanto a un divano sventrato. -Non ti avevo vista.

Prima volta in anni che mi concedo un pisolino pomeridiano, e messer Grigliata mi prende a elmate il groppone.

Nel pomeriggio qualche raro visitatore si fa coraggio. Raccatto le mie stanche ossa e mi metto al pezzo: spiegare i pezzi, far provare le armi ai bambini senza che s’infilzino a vicenda, rispondere a domande creative come “ma i cani esistevano al tempo dei vichinghi?”…

Il Fortunato si palesa. Mi chiedo se dopo le elmate sulla groppa vuole anche prendermi a cartoni nel viso, così, per sport. No. Vuole la mia armatura per passare l’Ordalia.

L’Ordalia è un’altra delle nostre buffe trovate (strettamente facoltativa): chi si sottomette all’Ordalia deve sfidare a duello gli altri membri dell’associazione, uno alla volta, fino a totalizzare 40 duelli di fila.
Perché?

La domanda che spinge le sorti dell’Umanità non è mai “perché”, ma “perché no?”.

Nel caso del Fortunato il “perché no” potrebbe essere che ha una pessima cera e da stamani pasteggia ad antidolorifici e stimolanti.

-Senti coso, sei sicuro di voler fare l’Ordalia oggi? Sei un rottame.

-Ma no, tranquilla, fidati!

Fidomi. E perché no? Stiamo parlando del baldo giovane che si è tuffato in un rogo incandescente e che manca poco affoga per voler inseguire un drakkar a nuoto.

Gli carico addosso la lamellare e mi lavo le mani della sua sorte.

Tempo una dozzina di duelli, non si sentono più botte e rintocchi.

Il Fortunato è scivolato sull’erba bagnata e si è dislocato un ginocchio.

I paramedici arrivano all’istante. Di solito non si allontanano mai troppo del nostro campo, perché siamo sempre noi a farci male. E’ antipatico da ammettere, ma è vero: per una ragione o per un’altra, ogni anno a Coudekerque succede un casino. L’anno scorso era una lancia in un occhio, due anni fa un compare che prendeva a cornate un trave, e via a rimontare. C’è una maledizione!

Legnate (Foto di Nanette)

La sera scende sul campo, il Fortunato torna cionco. E’ peccato che debba essere invalido, perché abbiamo grandi progetti per la notte.

Dopo cena ci armiamo, raccattiamo i romani e i galloromani, e sgattaioliamo di là dalla strada, nel campo post-1700. La notte è fredda, la nebbia affoga gli alberi, il cielo brilla la luna piena. E’ tempo di raid!

Le prime vittime sono i napoleonici. Le loro tende sono appena visibili nella foschia.

Ci schieriamo, un bel muro di scudi eterogenei, le armi in asta in seconda linea, quelli in leggero sui fianchi. Bothvar sguaina la spada.

-Al mio segnale, scatenate il LULZ!

Li vediamo correre a raccattare i loro moschetti. Ah, troppo tardi! Carichiamo nel buio. Spari e lampi di cartucce a salve. Alcuni di loro privano a bloccarci puntando i moschetti contro gli scudi. Nobile tentativo, dispiace quasi girargli intorno e saltar loro sul groppone. Mi azzuffo con uno di loro per prendergli il moschetto. Finiamo a terra nel casino generale, mi rialzo. Al diavolo, tientelo, meglio buttarsi nel match di spintoni col resto della banda…

Dal buio emerge il colbacco del compagno Roccia.

E’ un armadio dei sapeurs che di solito va in giro con un martello da fabbro. A questo giro è a mani nude. Ci carica. Acchiappa me e l’Ulf come se stesse facendo una bracciata di paglia, ci tira su di slancio manco fossimo due bimbetti e ci butta in un fosso. Mortacci sua. Ci riarrampichiamo sulla sponda che già la banda si sta rimettendo in moto.

Questo genere di raid ha un effetto valanga. Ripartiamo che siamo il doppio degli effettivi, armati di scudi, giavellotti spuntati, spade, accette, sciabole e moschetti. Peccato non poter portare anche il cannone!

Arriviamo al limitare della parte Prima e Seconda guerra mondiale. Non ci sono alberi qui, la luna piena illumina la nebbia di luce bluastra. Dei fantasmi neri attraversano di corsa il prato, il lampo di una fucilata a salve. Aha, sono in vena di giocare. Ma ormai siamo troppi. Passiamo sopra il loro campo senza fare distinzioni. Canadesi o crucchi, Grande Guerra o WWII, che tanto al buio son tutti uguali o quasi.

Frego un berretto a caso a un nemico mentre un gruppo di energumeni non meglio identificati conquista con le armi una gigantesca grigliata di salsicce e inizia a distribuirle tra urla di giubilo. Sotto un tendone brilla una luce elettrica, illumina divise americane. Ci precipitiamo di corsa verso di loro.

La nostra prima linea tonfa in terra con la grazia di un capodoglio spiaggiato.

-Reticolato! Girate intorno! Reticolato!

Sono solo cavi di nilon. Se fosse stato filo spinato davvero ora saremmo a sbrandare i paramedici.

Knock knock! (Foto di Nanette)

Ci pigiamo tutti sotto il telo. Siamo così tanti che riusciamo a stento a non darci gomitate nei denti. Certo, le armi non aiutano.

Gli yankees e alleati sono accoglienti, tirano fuori tre bottiglie di spumante e le buttano nel mucchio multiepoca. Chi non sta masticando salsicce bercia un assenso, gli altri berciano pure, inondando gli astanti di pezzi di maiale abbrustolito.

Un ufficiale del Primo Impero si arrampica sulla tavola, agguanta una bottiglia, sguaina la sciabola.

Vive l’Empereur!

La scapitozza con un elegante gesto del polso, blocca la fontana di spuma con la lama, passa la bottiglia in giro tra applausi e giubilo.

Uno yankee si arrampica a sua volta sul tavolo. Vuol far vedere che non è da meno. Sguaina una baionetta. Non elegante come la sciabola, ma ho già visto bottiglie stappate con un fluido fendente di sax, perché non la baionetta?

Primo colpo. Nulla. Secondo. La intacca. Riprova. Mi chiedo quanti torneranno al campo con schegge di vetro conficcate in faccia. In ogni caso, worth it!

All’ennesima la testa della bottiglia parte. Hooray!

Un canadese tira fuori un’altra fiasca. La brandisce con piglio deciso e l’accoltella senza esitazione. E’ la prima volta che vedo una bottiglia pugnalata a morte. Il vetro esplode in una pioggia di frammenti e bollicine. Tra gli incoraggiamenti generali, il tizio tracanna da ciò che resta del fiasco senza amputarsi le labbra sui bordi. Un miracolo.

Il bello del multiepoca (Foto di Michel Langrenez)

Il quindicesimo secolo è l’ultimo campo in cui trasciniamo le nostre carcasse. Le loro tende sono buie, nessuno in giro. Sono già a gallina. Una sola figura ci aspetta, immobile. Una vecchina con la cuffietta bianca, appoggiata a un bastone poco più alto di lei.

-Non dovreste far così tanto rumore.- Ci rimprovera. -I bambini dormono. Andate a nanna o vi faccio il didietro a strisce.

Le risponde un coro di rutti.

La vecchia impugna un bastone. Scrosci di risate. La vecchia mulina.

Hal è il primo a cadere con un guaito, altri si tuffano ai ripari, la vecchia indemoniata si butta nel mucchio seminando morte e distruzione. Hell hath no fury like that of a pissed off grandma.

Vicini di campo. Si può sempre contare su di loro per un’emergenza goliardica. (Foto di Michel Langrenez)

Non c’è niente di meglio che un fracco di legnate per calmare gli esagitati.

Gli spiriti si quietano, la banda si disperde. Il silenzio torna sul campo. E’ stato un bel raid. Ora latrine, e poi nanna.

Sulla via per i cessi, incrociamo un manipolo di crucchi. I loro elmetti a tartaruga sono inconfondibili anche al buio. Ci fermiamo a far due chiacchiere. Lis chiede a uno se può farle il saluto battendo i tacchi. Il tizio esegue. Che cortese. Ci separiamo.

Mi incammino con Lis. Si è fatta fregare la zampa un’altra volta durante la giornata e ora la tiene in pugno in continuazione.

-Deve essere figo fare ricostituzione crucca.

Io esito. Sì, deve essere figo, ma io non potrei mai farla. Per carità, so benissimo che ricostituzione e simpatie politiche non vanno necessariamente insieme, ma ho paura che gli spettri dei bisnonni vengano a tirarmi per i piedi se provo a mettere un’uniforme tedesca…

Usciamo dalle latrine. La notte è fresca e tranquilla. Lis tene la zampa di corvo nel pugno chiuso.

-Secondo te dove stavano andando?

Non lo so, non ci ho nemmeno pensato. Però è vero che avevano i fucili… E gli elmetti…. E stavano andando verso il nostro campo….

Urla e frastuono di gente che corre sull’asfalto. I crucchi emergono al galoppo lanciato dal buio. Uno in testa si volta indietro verso gli altri.

-Correte! Cristiddio, correte!

Ci sfrecciano accanto come saette. Dietro di loro, sempre al galoppo lanciato, Harald, una montagna di carne, ossa e furia omicida, armato di scudo romano e giavellotto. E dietro di lui Bothvar.. E tutto il resto della squadra, ovvero una banda di vichinghi e romani ubriachi.

Un altro grande giorno per la razza superiore.

Ci uniamo all’inseguimento e raggiungiamo i crucchi al bunker dove dormono. Entriamo. E’ stretto, soffocante. Un energumeno della prima guerra mondiale sbarra la strada alla stanza più interna. Sto per dirgli di scansare le sue chiappe teutoniche che i vichinghi reclamano birra, quando qualcuno scende le scale di corsa alle mie spalle e mi spintona avanti. Inconfondibile charme bavarese. E’ uno dei crucchi con l’elmetto. Ha un fucile.

Lo afferro con ambo le mani. Il tizio si mette a ridere, cerca di spingermi via, ma non sa che io ho l’istinto di sopravvivenza di un lemming, porello. Quando non mollo la presa, mi spinge contro il muro. Con la coda dell’occhio vedo l’altro energumeno avvicinarsi con una Luger. Aha, divertente.

Infilo il gomito tra il fucile e il petto del crucco, strattono la canna, tiro il grilletto.

Un mesto click. Tutte le loro armi sono demilitarzzate, non possono spararci nemmeno a salve. Guardo il golem in corridoio.

-Saresti stato così tanto morto, coso!

-Kartoffel kapput volkswagen!

-Come no.

Finiamo per ritrovarci tutti nella stanza più interna. Hanno una foto di Himmler, una bandiera nazista, delle uniformi. Tutto ciò mi mette un pochino a disagio. Lis invece è entusiasta, da brava comunista.

-E’ tutto bellissimo!- Sfiora una divisa da capitano. -La posso provare? Posso?

L’accontentano. Mi guarda con un sorrisone felice, le mani in tasca.

-Come mi sta?

La guardo. Sorrido. Le sfilo la collana di corvo dal collo. Disinvoltura gente, disinvoltura. I miei compagni esultano. Lei mi guarda sconvolta e tradita. La prossima volta impari a farmi certe domande. Uscendo un kraut mi dà una pacca sulla spalla.

-Gute nacht!

-Shalom!

Domenica

“Bastards! I hate them with their long tails and their stupid twitchy noses!!” (cit.) (Foto di Michel Langrenez)

Il pubblico sciama attraverso il campo. Mi fa strano. E’ stato così deserto il sabato che cominciavo a pensare fosse un campo off.

C’è una prestazione nella grande lizza oggi, ma io ho un mal di schiena che piango, e lascio perdere. Dovrò tornare dalla conciaossa a farmi raddirizzare, che mi pare ci avere delle viti autofilettanti nelle vertebre del colllo. Approfitto per sobbarcarmi la corvée sgrassaroba. Calderoni e secchi tendono a coprirsi di una loia invereconda, e le uniche cose storicamente accettabili che possono farci qualcosa sono cenere, una buona striglia e olio di gomiti. Lis va e viene a prendermi dell’acqua, mentre io peggioro il mio mal di schiena per il bene e la profilassi del gruppo.

In uno dei viaggi la vedo tornare con un bottiglione d’acqua su un braccio e il figlioletto del capo sull’altro. Alle sue spalle Ulf si avvicina furtivo. Vuole fregarle il ciondolo. Sarebbe la sesta volta che se lo fa fottere, e il campo non è ancora finito. Il record finora è di nove furti su due giorni. Il campione aveva pagato pegno correndo in un campo inseguito da una banda di compari armati di frecce e giavellotti. Alla fine della giostra il povero diavolo aveva perso le scarpe nell’erba alta.

Lis ormai si avvicina al record, riusciremo a superarlo? Ma soprattutto, quando Ulf agguanterà il ciondolo, Lis lascerà cadere la bottiglia o il bimbetto?

Ulf afferra il cordino, tira. Lis torce la testa, acchiappa la collana coi denti. Un buon riflesso. Il bambino del capo è salvo. La complimentiamo con un applauso. Lei sorride fiera per un istante. Il suo sorriso evapora. Sputa il cordino. E’ un laccio di lana, molto assorbente. E’ stato al collo sudato di una mezza dozzina di membri.

-Occristo.- Lis sta diventando verde. -Sa di pecora putrefatta…

Le offro un sorso di vodka di consolazione.

Più tardi nel pomeriggio è l’ora della penitenza per Lis. L’idea è farla correre in armatura attraverso un percorso dove sono disseminate imboscate, e farla combattere ad ultimo contro tre dei ragazzi.

Per rendere la cosa interessante, Bothvar ha di nuovo fatto appello ai romani. Le tuniche rosse non sono molto discrete nel fogliame, ma si nascondono al meglio. Appena Lis si avvicina, da una parte all’altra cominciano a tirarle giavellotti, pezzi di legno, teste mozzate, ciabatte, la nonna in sedia a dondolo.

Dimostrazione napoleonica. E niente, i napoleonici spakkano. (Foto di Michel Langrenez)

Coudekerque è stato un bellissimo campo, come al solito. E ora finalmente l’estate è agli sgoccioli. La stagione è finita, resta solo da rimettere in sesto il materiale e riposare le stanche ossa fino alla primavera prossima!
MUSICA!

Foto di Nanette e Michel Langrenez. Invito ancora a seguirli, pubblicano foto bellissime!

Vita da campo: Jumiège 2016

-Dopo ardua ponderazione, io dico…- Ragnar il Giovane svita il tappo dalla fiaschetta di vodka. –Spitfire.

-Nah. Junkers 87. Se non ti piacciono gli stuka, non conosci gli stuka.

E’ notte sull’accampamento, l’aria è fresca, le associazioni bevono intorno ai falò. Si preannuncia un buon campo. Lo hanno organizzato i Klanen, una banda di artigiani e combattenti, gente d’oro. Più in là ci sono gli Spadaccini di Normandia, e i Byggvir, i Compagni d’Esculapio, una banda di variaghi… Tanta gente ben equipaggiata.

All’ingresso della spianata il comune ha costruito una pira gigantesca. Non abbiamo ancora deciso chi bruciarci sopra. E’ alta come una casa, fatta di tronchi incrociati e piena di frasame. Farà una fiammata bellissima.

Sotto il nostro auvent, Bothvar e Petrus stanno confabulando, boccali in mano. Ragnar il Giovane mi rende la fiasca.

-Diving bombers?

Bothvar e Petrus si accostano pitte pitte a una delle tende dove dormono i nostri.

-Right!- Mi riprendo la fiasca di vodka. –Vuoi mettere un tuffo sul tank mentre il vento fischia sulle ali col fracasso delle trombe di Gerico?

Bothvar e Petrus si acquattano alle due porte della tenda, sguainano i long sax.

-Comunque se vogliamo parlare di ardimento e gagliardia, il 588esimo sovietico-

-ATTACCO A SORPRESA!

Bothvar e Petrus si slanciano nella tenda con la grazia e la leggerezza di due orche assassine. Urla e botte, bestemmie in franzoso. Sorseggio la mia vodka. I compari sono motivati. Speriamo bene.

Sabato

L’Abbazia di Jumiège, fondata verso la metà del VII° secolo

Sono le otto di mattina, e sto già sudando come un cavallo. La giornata non è ancora iniziata e già pondero la possibilità di strappare le maniche della tunica.

Mi vesto nella tenda, comincio ad allacciarmi gli stivali. Cogito che se crepo di caldo prima di stasera, potranno buttarmi sulla pira e spedire a mia madre una secchiata di cenere.

Da fuori sento i compagni che fanno colazione.

-Chi dorme ancora?

-La Tenger non è uscita.

-Olaf, valla a svegliare.

Tsk. Come se fossi ingenua abbastanza da farmi beccare addormentata.

Sto legando l’ultimo laccio quando Olaf spalanca la tenda, long sax in mano.

Eh merda.

Cerco di alzarmi, mi spintona a terra e tenta di segarmi la pancia. Gli afferro il polso. Mortacci sua, pesa il doppio di me! Gli punto un piede sullo stomaco per scalciarlo fuori, l’infame m’agguanta la caviglia e mi strattona, mi assesta un fendente sul polpaccio.

E dire che per questo campo avevo deciso di non pestarmi con nessuno.

La catasta. Foto di Nanette (link a fine articolo).

Jumiège è un paese graziosissimo. Ci si arriva in ferry attraversando la Senna. E’ un’accozzaglia di case di mattoni e vecchie costruzioni in legno e intonaco. I ruderi dell’abbazia torreggiano oltre le chiome degli alberi. Scoperchiata, senza rosoni, i pilastri e le pareti si alzano contro un cielo blu incandescente.

Entriamo nella cinta del giardino. Sul prato ci sono dei padiglioni bianchi quattrocenteschi. E’ sempre un piacere trovare dei quattrocentisti ai campi. Petrus si volta verso di noi dalla testa della fila. Sogghigna.

-Secondo voi sono in vena di sport mattutino?

Passa parola lungo la fila. Prima di entrare nel loro campo, abbiamo già le armi in mano. Tagliamo di corsa sotto gli alberi.

I quattrocentisti sono già in armatura, brillano sotto il sole come catarifrangenti.

-SKJALDBORG!

I nostri scudi tondi si chiudono in una linea. Avanziamo a passo rapido. I quattrocentisti abbassano i bec de corbin, sguainano le spade. Cominciamo un match di berci e spintoni.

Vicini di campo. Foto di Nanette (link a fine articolo).

Contrattiamo una quantità di birra adeguata per smettere di rompere le scatole. I quattrocentisti ci pensano un attimo, poi concludono che non vogliono sporcare di sangue le armature di prima mattina (ci contavamo!) e accettano.

Di ritorno alla base, la gente comincia ad arrivare, il pomeriggio avanza lento, il calore si fa infernale. Siamo cooptati per una scenetta, sotto il sole. L’acciaio del mio elmo si riscalda fino al punto in cui non lo posso più togliere senza i guanti. Il metallo scotta. Mi sembra di avere la capoccia in una pentola a pressione. Grosse gocce di sudore mi colano lungo il collo. E non ho nemmeno l’armatura. Sono grata a Odino che a questo giro posso risparmiarmi la mischia, altrimenti mi raccattavano in barella.

Mi ritiro quando iniziano i pestaggi. Siccome non meno nessuno, oggi il mio ruolo è stare al campo e fare divulgazione. E’ un’attività che mi piace, peccato che la rastrelliera sia irrimediabilmente al sole.

Troppo caldo per un pestaggio in armatura? Puoi sempre occuparti della forgia! Foto di Nanette (link a fine articolo).

Durante la giornata, mi schiodo dal posto quanto basta per fare un salto a vedere i quattrocentisti. Il loro campo è più piccolo del nostro, ma sono un sacco di gente comunque. Riconosco la bandiera dell’Ordinanza San Michele. Mi sa che li ho già incontrati a Coudekerque, o forse era Ecaussine? Il mondo dei ricostitutori è relativamente piccolo.

Come al solito, il loro equipaggiamento è spettacolare. Armature a parte, si sono portati dietro artiglierie, spiedi, un forno per il pane. Una coscia di maiale intera sta arrostendo lentamente, schiacciata tra sole e brace.

Diavolo, ad averci i soldi non mi dispiacerebbe un salto di secolo, ogni tanto!

L’Ordonnance Saint-Michel e soci. Foto di Nanette (link a fine articolo).

Al calar della notte, degli sputafuoco si radunano intorno alla pira, appiccano il rogo.

All’inizio pare non succedere nulla. Fiammelle timide baluginano appena in un punto tra due travi. Mi siedo sull’erba, aspetto. Ho sempre avuto un debole per il fuoco. Da bimbetta mi divertivo a costruire case con calcinacci, riempirle d’erba secca, accenderle e guardare le fiamme uscire dalle finestre.

Se mi va male con l’università, posso sempre riciclarmi come piromane.

Lentamente fumo inizia a uscire dal graticolo di tronchi, denso e viscoso come melassa. Il bagliore aumenta, lingue di fuoco guizzano attorno a un trave, prima sparse, poi sempre più numerose. All’interno della struttura, cartone e ritagli divampano. Il calore aumenta. La folla si ritrae mentre il rogo si sviluppa senza fretta, sempre più grande, sempre più luminoso. Le facce degli astanti sono tinte di arancione. Nuvole di scintille appiccano piccoli focolai nel prato circostante. E’ un bello spettacolo. Il calore ti mangia la pelle.

Foto di Nanette (link a fine articolo).

Quando torno al campo, trovo degli scudi rossi posati contro uno dei nostri pali.

-Hanno cominciato il Gioco degli Scudi.- Mi avverte la Matrona. –I nostri li abbiamo rimpiattati.

Il Gioco degli Scudi, altresì detto “andiamo a rompere i coglioni ai vicini”. Consiste nel soffiare gli scudi alle tende circostanti e pretendere un riscatto in birra. Complice il buio, la tecnica di solito sta nel passare con disinvoltura accanto a uno scudo non sorvegliato e imbarcarlo come se niente fosse.

Non ho mai giocato, ho sempre avuto remore a metter le mani su roba che non mi appartiene. Mi rendo conto che ciò fa di me uno schifo di vichingo.

Andando a coricarmi, vedo due bambine scappare dal nostro campo, in braccio uno scudo quasi più grande di loro. Hanno fregato uno dei nostri. Alas.

Domenica

Affettuosi abbracci tra colleghi. Foto di Nanette (link a fine articolo).

Di prima mattina cerco di rendere il favore a Olaf. Lo becco che si sta allacciando le bande mollettiere, tento di affettargli un ginocchio. Mi strattona per difendersi. Il colpo va a segno, ma nel liberarmi incespico e prendo una ginocchiata nella soglia. Per essere un fine-settimana senza botte, me ne sto tornando a casa con un sacco di lividi.

Mi ricompongo per l’arrivo del pubblico. La gente è numerosa, in due giorni abbiamo più di quattromila visitatori. In questi frangenti, uno deve sempre prepararsi a rispondere a domande bizzarre, da “ma esisteva l’acciaio nel medioevo?” a “ma le vostre armi sono autentiche?”.

A questo giro mi capita solo l’evergreen “ma le vostre armi sono affilate?”.

Sì, sono affilate perché ci piace mandare all’ospedale metà dei membri e in galera l’altra metà. E’ un po’ il nostro stile.

Un marmocchio indica il cane di uno dei nostri.

-Nel medioevo non esistevano i cani.

Fissa davanti alla rastrelliera, mostro elmi e armi, faccio soppesare armature, spiego che no, i vichinghi non andavano in giro con asci bipenni e mutande pelose. Intanto noto l’assenza di  magliette o felpe di Vikings, e ciò mi ridà fede nell’umanità. Forse un giorno guariremo da questo morbo infame chiamato History Channel…

A destra, la mia armatura partecipa alla zuffa mentre io me ne sto in panciolle dietro una rastrelliera. Foto di Nanette (link a fine articolo).

Sto mostrando come usare uno scudo a una coppia con figli quando strilli e casino scoppiano tra le tende dei Klanen. Gente in arme che corre, gente disarmata che scappa. I visitatori intorno a me sono perplessi.

-Cosa capita?

-Oh è un raid per raccattare schiavi.- Accenno alle macerie fumanti. –Li venderanno tra un po’, vi consiglio di investire in un irlandese.

Nella confusione, noto un centro d’azione più frenetica. E’ Dall, uno dei nuovi arrivati, tosto e ticcio come un bue da traino. Avanza nel chiasso a torso nudo mulinando sberle come una quintana a reazione, fa volare elmi, spedisce in terra chiunque si avvicini. Gli saltano addosso in tre. Se li scuote di dosso come fossero mosconi, i tizi in armatura finiscono col culo in terra. Era dai tempi di Bud Spencer e Terence Hill che non vedevo legnate così divertenti.

Ci vogliono cinque uomini per legargli le mani. Lo perdo di vista mentre tre armigeri lo trascinano al mercato di peso. Un po’ mi dispiace per i tizi in armi. La storia degli schiavi doveva essere una scenetta tutta riposo per il pubblico. Staranno sudando a morte sotto gli elmi.

Me ne torno alle mie chiacchiere, mentre da lontano mi arriva l’eco del mercato.

-I vichinghi erano gli antenati dei pirati.- Mi dice un tizio del pubblico.

-Oibò.- Sorrido. -Non lo dica a chi fa rievocazione fenicia, potrebbe risentirsi.

-Ah, ma i vichinghi avevano più onore e umanità dei Fenici.

Come no. E nel medioevo non esistevano i cani.

Nel medioevo non esistevano le foto di gruppo!

In definitiva, è stato un buon campo. Piacevole, senza incidenti, senza troppe gomitate nelle costole.  Jumiège è un posto davvero splendido e abbiamo dato fuoco a una montagna di legna! Dar fuoco a qualcosa grande come un edificio val sempre la pena!

MUSICA!


Mille ringraziamenti a Nanette, la fotografa dei Klanen. QUI la sua pagina, check it out!

Vita da campo: Coudekerque-Branche 2015

-Oy.- qualcuno mi scuote -Sono le otto, sorgi e brilla.

Apro un occhio. Ho un freddo cane, umido fin nelle ossa e ho dormito solo tre ore. Sarà una bella giornata. Metto il naso fuori dalla tenda. Il parco di Coudekerque. Poche anime sono intorno alle buche del fuoco a ravvivare le braci.

Quest’anno ci hanno piazzati in un posto diverso dal solito. In quest’estate di merda non ho potuto partecipare a nessun raid, sicché Coudekerque 2014 è l’ultimo campo che ho fatto. Mi dà una strana sensazione, è come se non fosse passato un anno, è come se fossero passate solo poche settimane.

Mi vesto ed emergo. L’aria è pungente, ma il cielo è sgombro. Durante un campo. Non succede praticamente mai. Deve essere un segno. Buono o cattivo non lo so, ma di certo un segno.

Mi siedo sulla panca insieme agli altri. Pane e formaggio per colazione, e un canestro colmo di pani al cioccolato. No, non è storicamente accurato. Noi almeno ne siamo coscienti, a differenza di quei ritardati di History Channel. Il trucco sta nel far sparire gli anacronismi prima dell’arrivo della gente.

-Che orari abbiamo oggi?

Bothvar poggia un foglio sul tavolo, lo liscia con la manona.

-Nove e mezza, sfilata.

-E la lizza?

-Niente lizza.

Aggrotto le sopracciglia. Per una volta che arrivo a un campo in qualcosa di vagamente simile a “buona forma fisica”, ci tolgono la lizza? Sono venuta per farmi rovinare di botte, non per giocare al soldatino di piombo.

-Ci meniamo qui al campo e facciamo divulgazione storica.

Sarà interessante. La gente è sempre curiosa, e almeno avremo l’occasione di spiegare che no, Vikings non è accurato e che no, non esistono asci vichinghe bipenni.

-Non ho sentito cannoni stamani.- riempio il corno d’acqua -I Cechi del diciassettesimo non hanno portato l’artiglieria?

-I Cechi non sono venuti.

Cade il silenzio sulla tavola. Il disappunto è palpabile. I Cechi sono l’anima del campo, coi loro moschetti, la loro energia e la loro inesauribile riserva alcolica. Non è un vero Coudekerque senza di loro!

-I fondi per le Giornate del Patrimonio sono stati tagliati.- il capo ripiega il programma -Siamo tutti a un terzo degli effettivi.

Devo aspettare la sfilata per rendermene conto. Noi siamo numerosi, ma siamo gli unici. Franchi e Spartani mancano, come anche i Cosacchi e i moschettieri di Gustavo Adolfo. I Romani ci sono, ma i loro ausiliari galli sono la metà dell’anno scorso, e i napoleonici sono un terzo di quelli che c’erano nel 2014. A parte noi e il settore medievale, gli unici che si sono presentati in forze sono i tizi del ’39-’40, con un dispiego di veicoli ancora più massiccio che gli anni scorsi. Questa situazione mi rattrista un po’.

Ci mettiamo in marcia. Insieme a noi camminano altri vichinghi dell’associazione Les Temps Anciens. Sono una simpatica banda di gente gagliarda e hanno una ragazza combattente. E’ la prima che incontro in Francia da quando ho cominciato, almeno nella mia epoca. La sua arma d’elezione è una lancia. Accanto a me cammina una nuova recluta, l’Affrancato. E’ il suo secondo campo, e il suo elmo normanno è ancora liscio e lucido senza nemmeno un’ammaccatura.

Fanciulle combattenti! (Foto di Michel Langrenez)

La città è deserta, perché nessuno si alza alle nove di sabato mattina. Qualcuno si affaccia quando lo svegliamo a suon di chiasso. Dietro di me camminano una banda di allegri compagni del XIV°, muniti di corni. Dopo i primi dieci minuti di marcia e squilli mi dico che prima o poi finiranno il fiato. Dopo venti minuti mi chiedo se sia vietato scatenare una rissa multiepoca durante la sfilata. Dopo quaranta minuti sono sorda e ho raggiunto l’atarassia.

La sfilata si snoda attraverso lavori in corso e strade semideserte. E’ più lunga dell’anno scorso, ma io non mi scompongo: ho fatto i miei esercizi ‘stavolta, l’armatura non mi pesa! Per lo meno, non per i primi tre quarti d’ora, poi la scoliosi mi riacchiappa. L’unica persona che ama il free-fight vichingo più di me è la mia osteopata.

Dopo aver attraversato parcheggi e cantieri ritorniamo senza fretta verso il punto di partenza. Davanti alla fattoria del parco ci schieriamo tutti in buon ordine. Vedo che gli alleati sono numerosi, e anche i soldatini della Wehrmacht. Accanto a loro, quelli della prima guerra mondiale, con le loro belle divise azzurre e un pugno di gente col pantalone zuavo rosso vivo. Pensare che davvero li mandavano in trincea vestiti così è buffo e tragico allo stesso tempo.

E proprio mentre mi sto trastullando con tristi pensieri (le mie vertebre bidone, l’assenza dei Cechi, l’Inutile Strage), un raggio di gioia fa capolino tra le nuvole: il sindaco non c’è! E’ a protestare per il taglio di fondi alla Giornata, il che vuol dire niente discorso, il che vuol dire birra. Rapida, dissetante birra!

Yay, sfilata finita, dov’è la mia birra? (Foto di Michel Langrenez)

Il “bicchiere dell’amicizia” è uno spettacolo da vedere. Una via di mezzo tra un crocevia della Storia e un bar di assetati. Mi pigio nella calca di gente di tutte le epoche. Alcuni dei miei compagni si sono accalappiati un tavolo e stanno parlando di fashion.

-Hai visto il fodero della sua spada? E’ una riproduzione fedelissima, roba di classe!

-Ah, ma gli stivali nuovi del Tale? Voglio in nome dell’artigiano, sono magnifici e anche stagni.

-Pensavo di farmi una tenuta da guardia variaga.

I variaghi, maledetti i servi di Bisanzio! Tutti vogliono essere Rus o variaghi, solo perché avevano vestiti fighi da morire e bellissime armi. Civette. Che ne è della sana e brutale sobrietà occidentale?

Che poi io non dovrei parlare, la mia armatura è chiaramente un modello orientale d’importazione.

I campi multiepoca sono in assoluto i migliori e i più ricchi in sense of wonder (Foto di Michel Langrenez)

Forse è il campo a essere più piccolo, ma quest’anno la partecipazione del pubblico pare intensa. Ritagliamo una lizza con pioli e corda e facciamo un po’ di dimostrazioni, a coppie o a squadre. Lo spallaccio destro della mia armatura si è staccato dopo che i lacci di cuoio hanno ceduto, ma non me ne preoccupo,. Nessuno sta cercando davvero di uccidermi, alla fine. Anche perché combattiamo in stile occidentale, ovvero niente colpi sugli avambracci o sotto i ginocchi, e niente brutalità gratuita. Che per come la vedo io è un po’ come andare dal vinaio per bere succo di frutta, ma pazienza.

Cominciamo con un giro di duelli. Quest’anno me la cavo meglio dell’anno scorso. Sono più forte e non ho lo stomaco in guazzabuglio. Sarà che a parte qualche sorso di palinka non ho bevuto praticamente niente, o che il mio stress è arrivato al punto massimo ed ha sconfinato nel “eh, fanculo”. Stringo lo scudo, carico. Sono più bassa e più sega ella stragrande maggioranza dei miei avversari, se non accorcio la distanza e non prendo l’iniziativa il gioco finisce subito.

Il capo all’opera, sulla destra. Combattere contro di lui è un po’ come farsi martellare in terra a mo’ di piolo (Foto di Marine Marcinow)

L’unico vero problema è che la mia armatura è troppo buona. Non mi accorgo per niente quando qualcuno mi colpisce. Il tipo deve dirmelo, o urlarmelo, perché puoi tarmi un colpo d’accetta nella pancia e non ci fare minimamente caso. Sull’elmo li sento di più, non fosse che per il fatto che ti par d’essere il batacchio di una campana di Notre Dame, ma funziona solo in duello. In gruppo tutti martellano sulla capoccia di tutti. Se tu prendessi una batteria di pentole, la schiaffassi in un bidone di metallo e la buttassi giù per le scale, avresti meno casino. C’è poi anche il fatto che quando c’è chiasso il centralinista nel mio cervello sfancula tutto e archivia ogni input sotto “rumore di fondo”.

Uno dei miei avversari è un tizio della compagnia vicina, quelli dei Tempi Antichi. Ha uno scudo che fa il doppio del mio, un tondo che lo copre dalle ginocchia al mento. E io non posso scalzargli le rotule. Potrei picchiarlo sulla capoccia, ma fa due spanne più di me. Checcazzo, odio le regole occidentali.

Mi ritrovo davanti a Einar. Prendo l’ascia danese questa volta. Lui ha scudo e spada. Colpisco in alto, per agganciare lo scudo. Lui deflette, attacca. Paro indietreggiando. Einar carica, ma si protegge male, vedo la sua pancia coperta di maglia. Gli punto l’ascia contro lo stomaco e lo spingo indietro con tutta la forza che ho, gli assesto un colpo sul fianco, un altro sull’elmo. A questo giro ho vinto io, e quasi non ci credo. Non avrei dovuto colpire in affondo, è pericoloso, è stato un riflesso. Einar non se ne lamenta, è uno sportivo.

Al secondo giro ha vinto Einar. (Foto di Marine Marcinow)

Dopo i duelli ci mettiamo in formazione. Tre scudi davanti e tre armi d’asta dietro. Io mollo lo scudo e la spada per un’ascia danese. E’ così leggera che mi sembra di avere per le mani un balocco di gomma. E’ troppo leggera, non mi piace.

Questo genere di scambi vanno alla svelta. Non ci sono abituata e ho difficoltà a coordinarmi coi miei compagni. Picchio l’ascia sullo scudo di un avversario, oltre la spalla di un compare. Aggancio il bordo, tiro. La mia ascia s’impiglia nella cinghia dello scudo. Il tipo tira, ed è più pesante di me. Cerco di liberare la lama ma di colpo sono sola. La mia squadra è tutta a terra. Oibò. Mi fanno fuori in pochi secondi.

Si riprova. A questo giro sono colpita da una pertica che fa ufficio di lancia nella nostra compagnia. Il tipo me lo deve urlare, perché con questa ferraglia addosso non sento niente.

Riformiamo, riproviamo, ma la schiena sta cominciando a darmi davvero tanta noia. Decido di lasciar perdere dopo altri 2-3 scambi. Mi sembra di avere dei chiodi nelle vertebre, la spalla sinistra mi brucia. Forse non dovrei fare questo sport, ma allo stesso tempo che ci guadagno a star riguardata? Non si guarisce dalla scoliosi, finirò vecchia gobba in ogni caso, tanto vale essere una vecchia gobba con dei bei ricordi da raccontare all’ospizio delle Mummie Indigenti.

Non siamo solo rudi predoni: le nostre ragazze sono abili artigiane e bravissime gioielliere. (Foto di Marine Marcinow)

Il campo è piccolo e chi è venuto sembra più in vena di calma e chiacchiere che di giochi e zuffe come l’anno scorso. C’è qualcosa di malinconico in tutto ciò, ma sono felice di essere venuta.

Il settore ’39-’40 è il più grande. I loro veicoli invadono la piana, dalle jeep ai cingolati ai camion. Un gruppo di napoleonici balocca con una mitragliatrice montata su un fuoristrada. Un soldato della Wehrmacht rivestito un’armatura della Prima Guerra Mondiale. I suoi ufficiali hanno intravisto un tizio del XIII° in lamellare e gli hanno ordinato di difendere l’onore del XIX° secolo. Ha un coperchio di marmitta per scudo e una pala per arma. Aspetto speranzosa in attesa della singolar tenzone, ma il tizio del XIII° si allontana senza accettare la sfida. Peccato.

Uno dei gioiellini in mostra. (Foto di Michel Langrenez)

Torno sui miei passi. C’è uno strano attruppamento intorno alle nostre tende. Accelero il passo. Pompieri e paramedici. Sono in mezzo alla lizza, chini su qualcosa o qualcuno. Ahia, brutto segno. Abbiamo ripetuto l’exploit di due anni fa? Ai tempi Einar fermò una dane axe con il pugno e si aprì la mano dalla nocca giù tra le ossa per 3-4 centimetri.

Quando mi accosto vedo le gambe di qualcuno steso a terra, poi il suo gambézon. E’ il gambézon dell’Affrancato. All’ospedale al suo secondo campo, che fortuna!

Mi avvicino. Il Cerusico è con loro, l’Affrancato si tiene una compressa sull’occhio sinistro. Merda.

-Cos’è successo?

Ygritte è lì accanto.

-Un colpo di lancia.- dice, scura in volto -La mia lancia.

Incidente classico. Lei lo ha colpito sullo scudo. Lui ha parato male e piegato il polso. La punta è scivolata sul legno dritta nella sua faccia. Per sua fortuna la lancia non è appuntita e Ygritte ha avuto la prontezza di deviare: alla fine il ferro non ha colpito il bulbo, ma il lato dell’orbita.

Abbiamo avuto un’incidente del genere anni fa, durante un duello. Il tizio con il long sax è scivolato e ha mulinato le braccia d’istinto. La punta del coltellaccio ha centrato l’occhiale dell’elmo di un compagno. Il Cerusico lo ha caricato su una jeep del ’45 e sono sbarcati all’ospedale vestiti da vichinghi. Una bella scena: un gigante con la faccia gonfia e un danese che apre il discorso con “mia stia a sentire, SONO UN MEDICO”.

Anche in quel caso siamo stati fortunati, il compare se l’è cavata con un terribile occhio nero.

-Quanti danni?- chiedo.

-Niente danni.- il pompiere alza appena la testa -L’occhio c’è ancora, è andata bene.

-Due anni fa abbiamo avuto una mano tranciata in due.

-E l’anno scorso una bambina si è aperta le mani con un opinel.

Aggrotto le sopracciglia.

-Eri qui l’anno scorso?

Il tizio sogghigna.

-Oh no, vi conosciamo per fama.

Gli hanno raccontato anche del naso aperto l’anno scorso. A quanto pare quando li briffano sottolineano “e poi ci sono questi tizi della compagnia Mykrfrl… Myrikrfrfrrr… Quelli col capo che sembra Sandor Clegane e con il corvo sulla bandiera, quelli! Tienili d’occhio”.

Quest’anno però non siamo noi, aha!

L’ambulanza arriva, i paramedici aiutano il ferito a rimettersi in piedi.

-Occhio a dove metti i piedi.- gli dice il suo capo.

-Riguardati.- fa un’altra.

-E’ stato un incidente.- rincara un terzo -Dovresti chiudere un occhio.

L’Affrancato non risponde.

-Su con la vita!- gli urlano dietro -Sarai guarito in un batter d’occhio!

Che cari. Con amici così, chi ha bisogno di nemici?

La notte scende sul campo. A tavola discutiamo di spese e equipaggiamento quando dall’altra parte della strada, nell’altra metà del campo, qualcuno inizia a sparare. E continua a sparare. Che combinano?

Attraverso la strada che taglia il campo. I lampioni sono spenti nel viale dall’altra parte. Nel buio distinguo delle sagome nascoste dietro gli alberi. Alcune hanno i pennacchi di napoleone, altre no, le si distingue appena.

Uno scoppio e una lingua di fuoco. Uscivano dalla canna di un moschetto. Un’altra fiammata risponde tra gli alberi, insieme al triste chink di chi è obbligato ad avere armi neutralizzate. Un’altra salva di fucilate tanto forti che le orecchie mi fischiano. Cavolo, deve essere deprimente avere canne piene di piombo quando i tuoi avversari possono sparare a salve. Io forse mi risolverei a fare BUM con la bocca piuttosto che sentire lo scattare del cane e nient’altro.

Una salva arriva da sinistra.

-Che fate!- urla una voce nel buio -Siamo dei vostri!

-Ops.

Fuoco amico! Ti ammazza lo stesso, ma con molta contrizione.

I botti continuano. La polvere da sparo è divertente. Ho sempre avuto un malsano debole per il fuoco e le esplosioni. A volte penso che mi piacerebbe praticare un periodo storico dove si spara. Poi mi ricordo che spesso queste compagnie non si picchiano in corpo a corpo. Se non posso arrivare a tiro di cazzotto non è divertente.

Botti e fumicaggine! (Foto di Michel Langrenez)

Intorno a un falò, altri soldati dell’Imperatore bevono insieme a gente del Secondo Impero. Molti sono facce conosciute. C’è anche il compagno Slivovitz. Non è il suo vero nome, ma non ricordo come si chiama. Ha vinto il soprannome durante una rievocazione di Austerlitz. A quanto pare della gente aveva portato della slivovitz, e il giorno dopo lui ha avuto qualche problema con il drill.

Artiglieria! Ho già detto che i campi multiepoca sono i migliori? (Foto di Michel Langrenez)

-E il sergente mi urlava Ma stai fermo!”.- racconta -E io lì che dicevo, ma sei te che giri, sergente, giri giri giri…

Insomma, è stato un campo molto tranquillo, niente assalto al campo degli Alleati, niente mirabolante impresa. Sono anche rimasta sobria per la totalità del tempo, che non mi succedeva da quando avevo 14 anni.

Un po’ mi dispiace, un po’ mi dico che andava bene così. Dopo tutte le mazzate nei denti degli ultimi mesi, un po’ di bonaccia mi ha anche fatto bene.

Peraltro ho scoperto che lo spallaccio alla fine è utile, anche se non stanno cercando di ucciderti per davvero. Sono tornata a casa con un livido così grosso che per due settimane non sono riuscita a dormire sul fianco. La prossima volta porterò dei lacci di ricambio!

Continuo a non capire com’è che la rievocazione non sia più popolare. Ma hey, ognuno ha diritto di sciupare la sua esistenza come meglio crede.

MUSICA!

Ringrazio un sacco Michel Langrenez e Marine Marcinow, che mi hanno lasciato usare le loro fotografie. Sono splendide!

Vita da campo: Coudekerque-Branche 2014

Sabato

Vento gelido entra nella tenda. Apro gli occhi. Ho la bocca impastata e lo stomaco che si torce. Forse ho bevuto troppo ieri sera, o forse è solo il mal di pancia da pre-spettacolo. Nella tenda Jeff ed Einar ronfano che paiono due segherie a pieno regime. Sono le sette e mezza. Alle nove dobbiamo essere in full gear per la gioia del sindaco e dei cittadini, meglio darsi una mossa.

Striscio fuori, in lontananza echeggiano dei colpi di cannone. Ci sono solo due compagnie con artiglierie da campo e malignità sufficienti a sparare a quest’ora, o i dannati Napoleonici o i dannati Cechi del diciassettesimo.

Yup, erano proprio loro, i dannati Napoleonici e la loro dannata artiglieria

L’anno scorso i Napoleonici avevano ingannato la noia attaccando dal nulla il nostro campo. All’inizio non avevamo nemmeno capito che ce l’avevano con noi, poi gli spari si erano fatti più vicini e frequenti, e infine i fantaccini erano apparsi in linea ordinata tra gli alberi. Dite quello che vi pare dei Napoleonici, ma sanno marciare.

Era con loro che avevamo deciso di ripartire e dar noia ai Cechi, ma i maledetti avevano piazzato le loro tende di là dal torrente e il loro fottuto cannone su uno dei ponti. Io e due compagni avevamo fatto il giro e preso i cannonieri alle spalle. La loro faccia mi rimane ancora nel cuore.

Niente cannone quest’anno! Ma hanno fatto un casino d’Inferno lo stesso

Poi bon, dei Cechi del quindicesimo erano intervenuti, e avevano fatto la pelle a me e ai miei compagni. Uno dei Cosacchi aveva trascinato il mio povero cadavere nella yurta e dopo avermi rivolto un largo sorriso aveva iniziato a snodare la cintura. Per fortuna i cosacchi Capiscono che quando un cadavere dice “no” significa “no”.

Cosacchi, alla fine vincono sempre loro

Alle nove siamo tutti in tiro, armi e armature. Dobbiamo fare una bella sfilata in città, per la gioia dei quindici infelici che per ignote ragioni saranno in piedi alle nove di sabato mattina. Aspettiamo i Romani che sono in ritardo perché, well, sono Romani.

-Ai tempi di Cesare arrivavano in tempo.- grugna uno Spartiata –Anzi, magari un po’ in anticipo.

THIS is Sparta

Io mi stringo nelle spalle o almeno ci provo. Sono fuori allenamento da fare schifo, e l’armatura mi pesa addosso come un asino morto. Un altro Spartiata tocchichia con l’indice le lamelle sulla mia spalla.

-Non ti stanca?

Le loro armi sono di bronzo, ma bronzo sottile, da parata.

-Nemmeno un po’.- mento.

I Romani arrivano al trotto dal fondo del campo. Gli Spartiati raccattano lance e scudi e partono per primi. Il nostro corteo conta Napoleonici, Spartiati, Romani, Vichinghi, Franchi, Tredicesimo secolo, Quindicesimo, Moschettieri di Gustavo Adolfo, Cosacchi, un gruppo settecentesco di fantaccini e cortigiani, truppe del Secondo Impero, un pugno di Coloniali, dei Poilus della Grande Guerra, dei Canadesi della Seconda insieme a un mazzo di soldati Crucchi, Commies e Yankees. Quattro chilometri di passeggiata. Alé!

La città è semideserta, l’attesa per il discorso del sindaco lunga, ma il discorso in sé è breve e indolore. Rompiamo i ranghi davanti a delle scuderie. E’ tempo di salutare vecchi amici, incontrare gente nuova e soprattutto bere il Bicchiere dell’Amicizia, vino bianco nella fattispecie.

Lo scudo prima del battesimo

Sul campo ci troviamo insieme a quelli della Drus. Di solito sono una banda di più di trenta persone. Ce li troviamo sempre vicini di campo, e non ci stiamo simpatici. Niente di personale, ma quando qualcuno ti sbircia dall’alto hai tendenza a volerlo mandare a cagare. Plus, quest’anno uno dei loro è andato a dire a una delle municipalità che avevano fatto un pessimo affare a chiamarci: il telo di una delle nostre tende non era storico!

Il che dimostra la loro ignoranza. Voglio dire, le avete viste le foto. E’ chiarissimo che se la nostra compagnia ha un problema, quello è la mia armatura. La forma delle mie lamelle è chiaramente troppo moderna per la fine dell’ottavo secolo!

Sarà che tutti i peggio della Drus non sono in giro, i pochi presenti sono stranamente domestici a questo giro. Uno vorrebbe quasi invitarli a bere un bicchiere accanto al fuoco…

Ma avete criticato il nostro telo. Not cool, guys, not cool at all.

Io comunque non devo averci a che fare. Nel campo finisco contro il mio jarl, due volte, due volte mi rifà la carrozzeria a colpi di dane axe. Carica come un toro, più alto di me, più veloce. Incasso la testa e alzo lo scudo per non farmi ammaccare l’elmo, ma vale a poco. L’armatura mi pesa, i guanti sono troppo grandi. Il mio super-io, detto Sarge Hartman, si risveglia.

-Abbiamo tralasciato squat e flessioni, eh palladilardo?

I moschettieri di Gustavo Adolfo ci guardano. Jorge è appoggiato al bordo della lizza sogghigna e scuote la testa.

Sì, lo so, in combattimento faccio cagare. Ma chissenefrega. Sono venuta per giocare, e mi sto divertendo un sacco.

Un piccolo misundrstanding sul muro di scudi, subito appianato

Il sole tramonta, l’aria si fa fredda, il campo sprofonda nel buio. Si accendono i fuochi, si stappano le fiasche. Davanti a noi gli Spartiati alimentano i bracieri. Siedono intorno al fuoco coi loro mantelli scarlatti, le fiamme riverberano sulle armature di bronzo. Sono uno spettacolo per gli occhi. Il vento agita i loro stendardi e quelli dei Romani, lì accanto.

Un ufficiale del Secondo Impero viene a trovarci per farci assaggiare una grappa alla salvia.

-L’alcolismo è una vera piaga nell’esercito.- passa la bottiglia a Bjorn, che già ondeggia –Ma non bisogna confonderlo con una piaga ben più seria: l’Insolazione Notturna.

Bjorn tracanna. E’ convinto di reggere benissimo l’alcol. Sbaglia. Sbaglia da morire, ma è inutile dirglielo, tanto ha sempre ragione lui.

-Io stesso sono spesso affetto da questo male.- continua l’ufficiale –Allora ho fondato un’associazione, per la tutela degli Ufficiali Vittime di Insolazione Notturna. Abbiamo metodi infallibili per riconoscere i casi.

-Tipo?

-Oh, tipo domande.

Bjorn si alza ondeggiando.

-Vado dai Cechi.- si allontana zigzagando.

– Ad esempio,- fa l’ufficiale -quattro litri di rosso per quattro euro e cinquanta l’uno.

-E’ una domanda?

-Ovvio.

-E la risposta?

-Cinque minuti.

Yup, uno dei due maneggiava un tronco. Hey, se lo può fare PJ ne Lo Hobbit lo possiamo fare anche noi!

E’ notte quando i Cechi ci riportano Bjorn. In due, uno per parte.

Einar se lo sobbarca, lo trascina nel bosco a vomitare le budella. Meno male che regge bene. Gli srotolo il sacco a pelo in fondo alla tenda. Almeno se si sentirà male potrà spinger fuori la testa e vuotare lo stomaco.

Einar riappare dal folto del bosco, il braccio di Bjorn attorno alla spalla.

-Com’è andata?

-Non lo vuoi sapere.

Einar apre con una mano il lembo della tenda… e Bjorn scatta. Scatta, come una pantera. O come un delfino piuttosto. Si tuffa testa in avanti. Il tonfo che fa contro il trave della soglia fa tremare la tenda. He sì bambini, le tende vichinghe hanno un trave di soglia da ambo i lati. E Bjorn ha appena cercato di sfondarne uno. Faccio il giro, una lanterna in mano, sollevo il lembo di tenda.

E’ steso con le zampe in aria come un coleottero supino. Ha il setto nasale aperto, il sangue gli appozza nelle orbite, sembra che abbia un paio di occhiali.

-Eh merda.- Si sarà rotto il naso?

-S…sto bene…- I suoi occhi ammiccano in pozzanghere cremisi –Avreste dovuto tenermi…

Ma certo, Flipper, la colpa è nostra. Vado a cercare le compresse disinfettanti. Non posso gettare la pietra a Bjorn. Anche io mi sono conciata in quel modo alla sua età. Roba da non riuscire nemmeno a stare seduti. E il mio problema è che prima di finire ameba, le mie inibizioni calano e divento giocherellona. L’ultima volta che mi sono sbronzata per poco non ho mozzato tre dita a una compagna di corso. Per fortuna lei era più ubriaca di me e non se ne ricorda. Ma era così divertente al momento, colpire con la mannaia i due centimetri di spazio tra le sue dita! Anche lei rideva come una pazza. E grazie a Dio che da sbronza ho una buona mira…

Vicini di casa

Copriamo il cadavere con mantelli e pelli. Non dobbiamo perdere di vista il vero responsabile qui: i Cechi! Il nostro compagno deve essere vendicato. Ci armiamo e partiamo in spedizione notturna.

L’anno scorso presidiavano il ponte, ma a quest’ora hanno tutti un bicchiere in mano. E’ il momento migliore per attaccare, perché puoi scommettere la vita su un fatto: la gente si farà massacrare piuttosto che lasciar cadere il boccale per acchiappare un’arma.

Scivoliamo in silenzio tra le tende, attraverso il campo medievale. Le compagnie qui hanno fatto una sola tavolata, pasteggiano alla luce delle lanterne. Dall’altra parte del torrente i russi e gli ucraini cantano insieme. Putin può succhiarlo a tutti e cinquecento i rievocatori presenti.

Corriamo dietro la tenda dei Cechi. Le loro lanterne baluginano, le ombre si ritagliano sulla tela. Ci accostiamo. Ho paura che il tintinnio della maglia di Einar ci faccia scoprire. A un cenno aggiriamo la tenda da destra e da sinistra.

Per Odino, impareranno a guardarsi le spalle, prima o poi! O a tenere i moschetti carichi…

Tiro a segno, per grandi e piccini

Domenica

C’è sole, ma l’aria è fredda e il vento taglia attraverso i vestiti. Almeno accendere il fuoco non è difficile. La bambina di Bothvar mi viene incontro tutta giuliva. La sua tunica bianca è macchiata di sangue. Ieri ha vinto due punti di sutura giocando con un opinel, ma se n’è già scordata. Tende le manine alle prime fiamme. Il cerotto è già incrostato di fango.

Tutti sono un po’ più lenti oggi. Io ho bevuto un po’ troppo e dormito un po’ troppo poco. I Cechi, che hanno dormito due ore e bevuto il doppio di noi, sono freschi come rose e pronti per la loro dimostrazione. Deve essere un qualche superpotere slavo. Anche Bjorn resuscita. Regge come un giapponese astemio, ma recupera benissimo, questo va detto. Io sarei a gallina a covare i postumi, al posto suo. La faccia gonfia e il taglio sul naso sono tutto quello che gli resta di sabato notte.

E’ poco dopo pranzo che iniziamo a sentire gli spari. Nel bosco. Dal numero e dalla frequenza, direi che sono i Napoleonici. Lancio un’occhiata a Bothvar.

-Andiamo?

Both sorride e di botto ha la faccia di un bimbetto di sei anni a cui hai proposto di sgraffignare marmellata. Acchiappiamo elmi e spade. E’ ora di dar fastidio alle star.

Attraversiamo il parco. Gli spari si avvicinano. Vediamo il fumo sotto gli alberi. I Napoleonici non passano mai inosservati, va là che fumicaggine. E poi, in mezzo alla nebbia di zolfo, ecco le loro giubbe blu.

Partiamo alla carica. Alcuni scappano, altri alzano il fucile urlano “Carico!”. Quelli non li puoi toccare perché l’aggeggio infernale scoppia. Ho sparato con quei robi, è sempre emozionante perché non puoi mai sapere se avrai ancora le sopracciglia, dopo.

Fumicaggine! Fumicaggine ovunque!

Vediamo il cannone. Carichiamo ancora, catturiamo il pezzo mentre un tizio agita le braccia urlando “è pericoloso, fatela finita!”. Uno degli ufficiali ci viene incontro. Capisco che è importante dalla taglia dei mustacchi.

-Che diavolo state facendo?

-Uccidendo i tuoi uomini.

-Ah.- si liscia i mustacchi –Va bene, facciamo una cosa: quelli dell’altro gruppo hanno arruolato i cavalieri del quindicesimo e il loro doppio cannone. Se voi combattete con noi, vi diamo da bere alla fine.

E’ presto deciso. Ci appostiamo dietro un boschetto. Uno dei nostri nuovi alleati arriva di corsa dal sentiero, il fucile in braccio.

-Il cannone!- urla –Lo stanno catturando!

Einar rotea la danese.

-Per Odino!

Corriamo incontro al cannone. I nemici lo seguono come uno sciame di mosconi. Hanno il tempo di dire “Ma che cazzo” che metà di loro sono già “morti” e devono ripiegare. Uno di loro ha un cappello alto con penne bianche e un quintale di decorazioni. Gli passo la spada sullo stomaco e sulla noce del collo mentre il soldato che era con lui lo pianta in asso e raggiunge i suoi.

-Va bene.- Tizio Decorato si lascia cadere –Sono morto.

-Bene. Io mi prendo gli stivali.

-No, gli stivali no!

Spari alle mie spalle. Mustacchi ci richiama. Un gruppo ci è girato intorno e sta sparando sulle retrovie.

Vedo uno dei loro emergere dai cespugli, puntare il fucile sui nostri alleati, sparare. Gli corriamo indietro in due. Lo prendo nella schiena con uno sgualembro roverso. Il tipo si volta, il fucile in mano.

He bien?

-Sei morto.

-No che non sono morto, parbleu.

Francesi zucconi. Attacco di nuovo. Para col fucile. Cerco di strapparglielo con la sinistra, ma mi spinge a terra. E’ più pesante di me, mi abbranca con le braccia e stringe. Potrei spaccargli il naso con una testata, ma rovinerebbe l’atmosfera. Non riesco a liberarmi, ma lui non può mollare. Sbuffo.

-Ti rendi conto che non è una soluzione, vero?

-Intanto sono sempre vivo.

-Ma anche no.- Earel lo finisce con un colpo d’accetta in mezzo alle scapole.

Mi alzo. Ho la mano destra coperta di sangue. Nella colluttazione mi sono esplosa il mignolo e ora ho un taglio dall’ultima falange al centro dell’unghia.

Merda.

Mi succhio il sangue dal taglio. Faccio un raid vichingo contro dei Napoleonici, partecipo a due giorni di accampamento, mi faccio menare dal capo, e la mia ferita qual è?

Mi sono rotta l’unghia del mignolo.

Roba che nemmeno una svenevole eroina vittoriana. Che onta.

-Tutto bene?

Il Napoleonico fa per alzarsi.

-Zitto che che sei morto. Due volte.

-Vai a metterci un tappo.- Earel fa roteare l’accetta –E spicciati o te li finiamo.

La differenza tra i grandi e i piccoli è che quando sei piccolo non ti lasciano giocare con la polvere da sparo.

Tornata al bosco, la battaglia è finita, ma non la guerra.

-Di là dalla strada c’è il ventesimo secolo.- tuona Mustacchio –Chi vuole farsi un po’ di Seconda Guerra Mondiale?

Un urlo di giubilo. Einar agita la danese.

-Viva il Secondo Sbarco in Normandia!

Partiamo. I Napoleonici sono lenti, e ci mettono un sacco a caricare. I miei compagni scalpitano. Da questo lato della strada possiamo vedere l’Union Jack sventolare sulla tenda dei Canadesi.

Attraversiamo. Noi ci troviamo nell’avanguardia, il che non è una buona cosa quando quelli dietro di te sparano. Risaliamo la collina facendo finta che i nostri alleati abbiano un’ottima mira.

Sorridi e aspetta il flash

I Canadesi ci vedono arrivare, si alzano e si spostano, indecisi sul da farsi. I Crucchi non hanno piazzato nessuno alla mitragliatrice, che viene presa all’istante. Mentre i Napoleonici fucilano i Canadesi (troppo perplessi per stramazzare), i Crucchi si rianno, acchiappano pale, mazzuoli, padelle e fucili scarichi, e ci corrono addosso. Uno di loro prova un affondo col fucile. Devio, gli assesto un colpo di piatto sull’elmo.

-Gah.- il tizio ride, indietreggia –Va bene, mi arre- tre Napoleonici gli saltano addosso e lo buttano in terra. I talloni del Crucco picchiano per terra. Rinfodero la spada.

E’ tutto perfettamente storico! Ho chili di letteratura in merito!

-Pensavo non faceste lotta corpo a corpo.

Mustacchio ammira la scena lisciandosi i baffi.

-E’ un nostro socio. Oggi ha scelto l’associazione WWII al posto nostro. Deve pagare.

I miei compagni si sono seduti al tavolo dei Canadesi e stanno bevendo le loro birre. Gli Alleati ci guardano, sembrano indecisi tra l’incazzarsi o ridere. Intanto i prodi soldati dell’Imperatore hanno finito di punire il disertore. Non c’è molto altro da fare da queste parti: le loro compagnie sono fatte soprattutto da infermiere, e non mi sembrano inclini a difendersi a botte di pappagallo. Tempo di cambiare cortile di giochi.

-Gli americani sono dall’altra parte.- indico i cessi, oltre i tetti si vedono i teloni verdi dei camion dell’esercito –Andiamo anche da loro?

-Oramai ci siamo, perché no?

Gli Yankees hanno passato tutto ieri a scorrazzare per le strade con i loro residuati bellici strafighi, devono pagare.

A questo giro sono i Napoleonici a scattare per primi. Attraversano il cortile al grido “Vive l’Empereur!”. Un Neozelandese ci viene incontro col fucile in mano. Poi vede Einar con l’ascia, sgrana gli occhi. Esita un secondo di troppo. Lo acchiappiamo in quattro e lo spingiamo di forza in una garitta di cemento, poi entriamo nel campo. Uno degli ufficiali ci punta contro una rivoltella. Aha, ma noi sappiamo che le loro armi sono neutralizzate per legge, non possono sparare.

Lo Yankee ci spara. I Napoleonici sparano in risposta. Io non ho più timpani e comincia a esserci fumo da queste parti. Tutti ricaricano. E da dietro le tende qualcuno spara di nuovo. Il Neozelandese è resuscitato. Nessuno muore più come si deve, oggigiorno. Passo dietro alla tenda per prenderlo alle spalle, ma nel momento in cui arrivo il ragazzo si volta. Mi vede, urla, mi spara a bruciapelo. E merda, oggi per la seconda volta mi faccio freddare da un redivivo.

Einar mi raggiunge.

-Come va?

-Defunta.

-Resuscita. Uno degli Yankees ci offre un giro in jeep.

Cosa di meglio che una jeep carica di vichinghi?

Il tizio che ci offre la corsa è un omone con una faccia tonda e gioviale. Quando vede Einar scoppia a ridere.

-Dammi un bacio, bellezza!

Lo abbraccia e gli schiaccia un bacione umido sulla celata dell’elmo. Io mi arrampico dietro la jeep con altri due compagni, mi siedo su una pila di uniformi. Chissà quanto vanno veloci questi cosi? Einar salta sul sedile passeggeri, ascia danese in braccio.

-Per Thor!

Lo Yankee ingrana e parte. Usciamo sul cortile mentre l’orchestra anni ’40 suona un Boogie Woogie. Jeff li sta a sentire con una birra in mano. Ci vede.

-Momento!

Salta a bordo con la grazia di un’orca assassina che falcia una foca. La jeep non ha rallentato, anzi, fila diritta nel campo dei Crucchi sulle note pimpanti dell’orchestra. Le infermiere sciamano via come un volo di colombe, noi muliniamo le spade e invochiamo dei e massacro. Un ussaro emerge da un gruppo di canadesi. E’ cotto come un tegolo, sembra si sia bevuto una distilleria intera. Salta a bordo e mi si siede su una gamba.

Lo Yankee accelera, passa sul marciapiede, schizza sulla statale. Le macchine inchiodano, facce si incollano ai finestrini. Punto la spada a prua.

-To Valhalla!

Filiamo sull’asfalto, l’autista sterza giù nel fosso e con un sobbalzo da battere i denti siamo di nuovo nel parco, attraverso il settore medievale.

-Posto!- c’è un putiferio di gente, lo Yankee li evita con una sterzata, fila tra il fabbro e il calligrafo –Fate posto, per Thor!

Punta il bosco.

-Occhio alle facce!

Rami e frasche ci schiaffeggiano. L’ussaro si copre la testa con le mani. La jeep emerge su un sentiero, fila verso coppiette coi cani e mamme col passeggino. La gente si scansa, chi perde tempo a fare foto rischia di farsi arrotare. Mi chiedo cosa racconterebbero al pronto soccorso.

-Una jeep Alleata piena di normanni mi ha messo sotto invocando Odino. C’era anche un ussaro a bordo.

Sterza, di nuovo al campo. I Cechi ci vengono incontro. Uno dei moschettieri salta oltre Einar sul cofano. Lo Yankee gli fa cenno di tenersi forte e accelera ancora.

-Gloria e bottino!

La jeep passa accanto al quindicesimo secolo. I cavalieri sghignazzano. Avrete un doppio cannone, ma noi abbiamo un carro tutto di ferro e nemmeno un bove che lo tira (cit.). L’ussaro si issa tra i sedili.

-Canne.

-Che?

-Canne.

Lo yankee si gira.

-Che hai-

-CANNE!

Lo Yankee sterza a un soffio dal canneto, vedo l’acqua del torrente per un attimo, poi la jeep si tuffa nella chioma di un salice piangente. Emergiamo dalle foglie, una famigliola fugge davanti ai fari. Sterza di nuovo, verso l’Antichità e le nostre tende.

Due ufficiali donne dell’Armata Rossa stanno bevendo davanti al nostro campo. Sono la leggenda del campo, una bionda e una bruna e entrambe due schianti di tre cotte. Lo Yankee rallenta.

-Un passaggio?

Le due saltano sul cofano accanto al moschettiere, i bicchieri di vino ancora in mano. Ripartiamo sgommando. Il vento ci scarica addosso una pioggia di foglie morte mentre muliniamo le spade berciando. Un Napoleonico si aggiusta gli occhiali sul naso vedendoci arrivare.

-C’è ancora posto?

C’è sempre posto.

Quando ero bambina volevo diventare cavaliere. Mi hanno anche detto che uno deve crescere. Sono balle che gli adulti raccontano ai bambini, e non ci si può mai fidare davvero degli adulti.

Quando ero bambina non volevo mai andare a dormire, volevo passare il tempo a giocare alla guerra, leggere favole e inventare storie. Oggi faccio ancora la stessa roba, solo con armi vere, libri più lunghi e storie più articolate.

Peraltro, da bambina potevo al massimo avere del succo di frutta. L’infanzia fa schifo. Let’s grow old together folks!

BEER BEER!

P.S. Un ringraziamento grande come una casa ai due fotografi, Thierry Guichart e Michel Langrenez!