In questo blog parliamo spesso di fatti e persone appartenenti a quella che viene definita l’Epoca di Heian (784-1185). Il nome viene dalla città Heian, la Capitale della Pace e della Tranquillità, oggi nota come Kyōto. Heian è stata particolarmente importante in quanto è stata Capitale per tantissimo tempo. Ufficialmente, è rimasta tale anche dopo la nascita dello shōgunato.
Una capitale fissa è in contrasto con gli albori della dinastia imperiale: per generazioni la sede del Governo centrale è stata itinerante.
La morte era considerata come la più ripugnante delle contaminazioni, e nessuna morte era impura come quella del Figlio del Cielo. Defunto un sovrano, era uso spostare la residenza del successore e, di conseguenza, l’intera città. Nuova era, nuovo palazzo, nuova capitale!
La vecchia sede veniva proprio smontata: i pilastri divelti, le magioni fatte a pezzi, gli archivi, le botteghe, gli atelier, gli uffici, tutto veniva sradicato e spostato.
Questo aveva, ovvio, un costo mostruoso, e divenne sempre meno sostenibile.
La prima “capitale” fissa fu costruita nel nord-ovest di quella che è oggi la città di Nara. Il nome di questa nuova città era Heijō-kyō, Bastione di Pace. La corte resterà qui per tre intere generazioni: dal 710 al 784.

Oggi parleremo di una porzione sostanziale e curiosa del Periodo Nara: i regni della principessa Abe, un personaggio tanto importante quanto elusivo.
Come al solito, si tratta di un articolo che non vuole (non può) essere esaustivo: libri interi sono stati dedicati alla misteriosa imperatrice e al suo tempo. E non è escluso che in futuro non ritorni sull’argomento per sviscerare più in dettaglio certi aspetti. Questo è, se vogliamo, una sorta di “articolo-base” per familiarizzarci con lei e col periodo.
Quindi allacciate le cinture, perché oggi parliamo di una donna che gli uomini del suo tempo fecero l’errore di sottovalutare: Abe fu l’ultima imperatrice per secoli a venire, ma compensa ciò col fatto che regnò due volte. Abe è due imperatori al prezzo di uno!
Un necessario preambolo: la nascita di Heijō-kyō

E’ il 707, e l’imperatore Monmu (r.697-707) muore all’improvviso a soli 25 anni. Nelle fonti la notizia non è preceduta da nessuna avvisaglia, nessuna malattia o indisposizione. Il che è leggermente sospetto. Ancora oggi si specula se si sia trattato di una sventurata sciagura, o se qualcuno non gli abbia servito uno sciroppo risolutivo.
Sta di fatto che il nostro lascia due possibili eredi: uno figlio avuto di una principessa imperiale e uno avuto da una donna Fujiwara.
I Fujiwara sono una famiglia relativamente nuova, fondata circa cinquant’anni prima da un uomo di nome Kamatari.
Abbiamo parlato di Kamatari in questo articolo: in breve, si tratta di uno del magico trio che rovesciò l’egemonia Soga e spianò la strada alle Grandi Riforme dell’era Taika, uno dei Magnifici Tre che trasformarono il Regno di Yamato nell’Impero del Giappone.
Tornando a noi, in questo periodo la dinastia regnante si trova legata ai Fujiwara, che hanno ormai occupato la nicchia ecologica dei Soga e forniscono consorti ai sovrani. Questo crea una “alleanza competitiva” col clan Imperiale. Per tutto l’VIII° secolo si alternano governi dominati dai principi e governi dominati dai Fujiwara.
Tornando a Monmu, per evitare che scoppi un casino sulla successione, la Corte decide di far subentrare sul trono la madre del defunto sovrano, che diventa Imperatrice col nome di Genmei (r. 707-715).
Nel 707 la Capitale si trova ancora a Fujiwara-kyō. Seguendo la tradizione, Genmei abbandona il sito e si sposta a nord-ovest, dove fa costruire Heijō-kyō (d’ora in poi chiamata Nara).

Nara è meglio collegata rispetto a Fujiwara-kyō e può accedere più facilmente al grande porto di Naniwa (oggi Osaka).
E’ costruita sul modello delle capitali Tang, una bella grata di strade perpendicolari mappate in parallelo con quelle di Fujiwara-kyō, per rimarcare la continuità simbolica tra il regno di Monmu e quello di Genmei.

La popolazione di Nara nel 710 è stimata a 200.000 abitanti. La nuova capitale è 3 volte più grande di quella vecchia. Siamo all’alba del periodo di massimo potere della Famiglia Imperiale.
Abbiamo accennato in altri articoli di come i re di Wa abbiano affermato la propria legittimità con la costruzione di colossali tombe, i famosi kofun. Genmei però è una donna al passo coi tempi, una sovrana moderna, non una sciamana primitiva alla testa di un guazzabuglio di clan! Nell’VIII° secolo i tumuli sono passé, out, uncool, il nuovo simbolo di legittimità imperiale è il tempio buddhista, e ne vengono costruiti. Oh, se ne vengono costruiti! Nara diventa la città dei templi.
Flash-forward: la principessa Abe e la sua famiglia

Vi ricordate il figlio di Monmu, quello di madre Fujiwara? Diventa finalmente imperatore nel 724 col nome di Shōmu (r. 724-749). Una delle sue consorti è dama Asukabe, nipote diretta di Kamatari (per chi stesse prendendo appunti, Shōmu è sposato con sua zia materna).
Come suo padre vent’anni prima, Shōmu si trova con due figli: il principe Asaka, figlio di una principessa imperiale, e la principessa Abe, figlia di dama Asukabe. Abe è quindi per 2/3 Fujiwara.

E’ il 729, i nostri sono sistemati in Nara da quasi vent’anni, e la corte è dominata dal Principe Nagaya. Sembrerebbe che la Famiglia Imperiale abbia ormai il sopravvento e che la nomina di Asaka a Principe di Sangue sia inevitabile.
Ma la Famiglia non ha fatto i conti con dama Asukabe. Nel 729 Nagaya incappa in incresciose accuse di sedizione e, prima che possa difendersi, la sua residenza è attaccata dai guerrieri dell’Imperatore. Il fatto che il generale in capo fosse fratello di dama Asukabe è certamente del tutto casuale.
Sta di fatto che Nagaya non viene mai condannato, perché non viene catturato: si suicida. Si “suicida”. Sì, insomma, probabilmente lo spaccia il comandante Fujiwara…
Quando si gioca il gioco del trono, am I right?
Con Nagaya defunto e i suoi collaboratori opportunamente esiliati, i Fujiwara sono più che disponibili a riempire le più alte cariche dello Stato, ora vacanti.
I quattro fratelli alla testa del clan, zii materni della principessa Abe, dominano tra il 729 e il 737, periodo anche noto come il Regime dei Quattro.
Dama Asukabe diventa l’Imperatrice Kōmyō. Lei e Shōmu sono ferventi buddhisti, sponsorizzano largamente la religione, che ritengono vitale per il benessere del Paese. La principessa Abe è quindi cresciuta da due genitori politicamente aggressivi e autocratici, ma anche sinceramente devoti.
Non sono i soli: è un periodo di grande fermento religioso. Un esempio tra tutti è il monaco Gyōki (668-749), che raccatta un seguito tale da attirare l’attenzione della corte. Interi villaggi si spopolano al suo passaggio, migliaia di contadini si accodano al predicatore, abbandonano campi e distretti.
Shōmu cerca di limitare l’abilità di Gyōki di seminare scompiglio spirituale, ma il nostro risponde organizzando un gigantesco rave del Risveglio alla Capitale, con migliaia e migliaia di fedeli, al punto che il governo è costretto a cambiar musica.
Tutto questo scorrazzare e riunirsi in preghiera però finisce per avverarsi un problema: nel 735 scoppia una devastante epidemia di vaiolo.
E quando dico “devastante” non esagero: nel 737 il morbo ha spazzato via più di un terzo dell’intera popolazione dell’Arcipelago. In certe provincie il bilancio dei morti è del 70%, senza contare la gente lasciata per sempre inferma dalla malattia.

Facevano così. Subivano e pregavano.
Interi villaggi spariscono, valli restano deserte, cadaveri abbandonati si ammucchiano ai lati delle strade, giacciono nelle case, i resti umani vengono sparpagliati da cani randagi e corvi.
Il vaiolo si abbatte sulla Capitale come un maglio, allunga i suoi tentacoli attraverso le belle strade perpendicolari, nelle residenze dei nobili, negli uffici del governo, nel Palazzo Imperiale.
Shōmu e Kōmyō sopravvivono, e così la principessa Abe.
I Quattro Fujiwara invece si ammalano. In meno di un mese finiscono tutti sottoterra. Kōmyō perde i propri fratelli, il clan resta decimato, decapitato di netto.
Il peggio dell’epidemia si scatena in agosto. Il cielo è rovente, le mosche riempiono le vie, i cadaveri gonfiano, esplodono sotto il sole, i liquami colano nei canali e nei pozzi.
Pensate a quello che sta capitando a noi ora, e provate a mettervi nei panni di qualcuno all’epoca, o anche della giovane Abe. Di certo doveva sembrare la fine del Mondo.

Ma il mondo non era finito. L’epidemia rallenta. Nella Capitale dei morti, emerge un nuovo governo, controllato dalla Famiglia Imperiale nella persona di Tachibana no Moroe (684-757).
E la Famiglia Imperiale vuole che sia nominato come erede il principe Asaka.
Ma non va così. Shōmu e Kōmyō hanno preso una decisione: sarà la principessa Abe a ereditare.
Questa tensione porta a scontri anche violenti, e costringe Shōmu e la sua famiglia a spostare la residenza un sacco di volte negli anni a seguire.
La disputa dinastica si allevia però nel 744, quando il giovane principe Asaka defunge di colpo. Un altro membro della Famiglia Imperiale che si busca un brutto caso di Morte Improvvisa e Conveniente!
Sotterrato il figlio, Shōmu torna a Nara, dove si ammala a sua volta. Non muore, ma resta infermo. Nel 749 abdica in favore della principessa Abe, che all’età di 31 anni diventa l’Imperatrice Kōken. Da notare che Kōken non ha né figli né consorti, nonostante molti nel suo milieu tendessero ad accompagnarsi giovani.

Dopo tanta sfiga, il 749 è un anno propizio, più che propizio!
La Capitale torna a essere stabile.
Viene scoperto l’oro nella provincia di Mutsu
Il bodhisattva Hachiman viene installato a Nara
Al Grande Tempio dell’Est (il Tōdai-ji) viene ultimata la colossale statua di Vairocana. L’inaugurazione avviene nel 752 (tre secoli dopo gli scioglieranno la testa durante un massacro).

Ma le difficoltà per Kōken non sono finite: la sua autorità sarà messa in dubbio a più riprese, prima dagli uomini, e poi dagli dei!
Kōken

Kōken regna dal 749 al 758.
I suoi genitori sono ancora in vita e continuano ad esercitare la loro influenza sulla politica, Shōmu in quanto Imperatore ritirato, e Kōmyō in quanto Imperatrice madre. L’uomo più influente di corte, a questo punto, è Fujiwara Nakamaro, parente stretto di Kōmyō.
Nakamaro non solo è parente e protetto di Kōmyō, ma per anni riveste un ruolo di rilievo nell’amministrazione centrale, la gestione della casa dell’Imperatrice e gli affari militari.
Il regno di Kōken non si discosta molto da quello precedente di Shōmu: i nostri mantengono contatti diplomatici coi Tang e sponsorizzano il Buddhismo. Nell’est, continuano a incentivare la colonizzazione, ma mantengono rapporti cordiali con gli emishi, gente di cui abbiamo parlato qui e che non riconosceva l’autorità della corte di Yamato.
La situazione politica però è lungi dall’essere stabile: nel 757 il figlio di Moroe, Tachibana Naramaro, tenta un colpo di stato.
Naramaro ha molte ragioni per essere scontento: non ha potuto succedere al padre alla guida del governo, Nakamaro è un tiranno violento, e il candidato alla successione imperiale è imparentato con Nakamaro via matrimonio.
Peccato che Naramaro non sia proprio il migliore complottatore là fuori, e il piano viene presto spiattellato alla corte. Nakamaro salta sull’occasione e fa spacciare il rivale con tutti i suoi avversari.
Nel 758 Kōken abdica in favore di un parente, che diventa l’Imperatore Junnin. Junnin è imparentato per matrimonio con Nakamaro, che Junnin rispetta come un secondo padre.
Sembra proprio che Nakamaro e il suo figlioccio Junnin abbiano fatto cappotto, ma non è così. La realtà è che la situazione è molto instabile, e Kōken ha probabilmente calcolato che le conviene effettuare una ritirata strategica se vuole restare rilevante a corte senza rischiare di restare coinvolta in congiure dilettantesche.
E difatti il regno di Junnin è molto bizzarro. Il nostro non sembra mai diventare un vero e proprio sovrano, al punto che la corte non si prende nemmeno la briga di cambiare il nome di era com’era costume all’inaugurazione di un nuovo regno.
Sotto una superficie di baciabbracci e volemosebbene, sta gradualmente montando l’antagonismo tra la volitiva Kōken e l’autoritario Nakamaro.

Nel primo paio d’anni tutto sembra filare liscio. Kōken e Junnin si trasferiscono perfino alla residenza di Nakamaro. Tre amiconi!
Sembra un pelino strano che Kōken si premuri di riprendere il controllo delle Guardie della Cinta, prima tenuto da Nakamaro, ma a parte questo la nostra sembra più occupata con la propria vita spirituale che con gli affari di stato.

Kōmyō muore nel 760. A 42 anni, Kōken è de facto il membro più anziano e prominente della famiglia. Il che la mette in una posizione delicata rispetto a Junnin. Peraltro, ora che Kōmyō è defunta, Kōken diventa l’Imperatrice ritirata, il nuovo polo di autorità a corte, come suo padre e sua madre erano stati prima di lei.
Questo la mette in competizione con Nakamaro, che stava facendo una carriera stellare e teneva Junnin in palmo di mano.
Le cose prendono però una svolta imprevista quando Kōken si ammala. E’ il 761, e la nostra si trova allettata. Medici e santoni cercano di portarle sollievo, senza risultato. Kōken sta morendo.
E un giorno si presenta a lei un monaco. Il suo nome è Dōkyō, Specchio della Via.
Dōkyō ha fama di essere un seguace di pratiche esoteriche e poco ortodosse. Non è proprio il genere di persona adatta alla cerchia di un’Imperatrice ritirata. Ma Kōken è determinata a non stirare le zampine, e lo lascia avvicinare.
Non è chiaro cosa succeda a questo punto. Dōkyō stregoneggia qualcosa, e par funzionare, perché Kōken migliora. La malattia svanisce, il suo corpo si fortifica. A 43 anni Kōken rifiorisce.
E i nodi che si erano accumulati tra lei, Junnin e Nakamaro vengono tutti al pettine tutti insieme.
Mesi dopo la miracolosa guarigione, nel 762, Kōken rompe i piatti coi due, raccatta la propria gente e il suo nuovo consigliere spirituale e torna a Nara, dove fa emettere un Ordine solenne in cui spoglia Junnin delle proprie prerogative e si riappropria del potere decisionale.
Ovvio, questo rende Junnin molto infelice, ma Nakamaro la prende ancora peggio. Il nostro ha impestato la corte e l’amministrazione coi propri amici e parenti, ma con Junnin relegato a ragazza pon-pon e addetto agli addobbi floreali, la sua posizione è minacciata.
Per due anni l’Imperatrice ritirata e il Ministro dei Ministri si prendono a cornate in un braccio di ferro sempre più feroce.
Finché nel 764 Nakamaro non decide di agire.

Come accennato, il nostro aveva piazzato figli e alleati in numerose posizioni militari.
Nel 9° mese decide di passare all’azione e inscatolare la fastidiosa carampana con le cattive: ordina a uno dei suoi di inviare messaggeri ai guerrieri delle provincie e di radunare 6.000 soldati alla Capitale. Di certo le Guardie della Cinta non possono misurarsi contro 6.000 gagliardi combattenti a cavallo!
Per poter convocare i summenzionati 6.000 però Nakamaro deve dimostrare di agire in nome e per conto del Governo. In altre parole, li deve convocare via dei messaggeri ufficiali.
A questo punto il Giappone ha un sistema di strade e di cavalli postali ben sviluppato: le stazioni coi cavalli, disseminate a tappe di una trentina di chilometri le une dalle altre, permettono ai messaggeri ufficiali di spostarsi tra la Capitale e le capitali provinciali.
Per poter usare questi cavalli e provare quindi di essere un messaggero legittimo, il funzionario riceve dal governo dei sonagli speciali, ekirei. Il portatore di ekirei è un messo legittimo.
Ed è su questo banale ma vitale dettaglio che Nakamaro si rompe il muso.
Nakamaro ha preparato il suo colpo di stato, messo in allerta le truppe provinciali, infiltrato i suoi ovunque e accaparrato i governatorati delle provincia chiave.
Kōken non fa niente di tutto ciò: Kōken (avvertita che si stavano aprendo le danze), manda uno dei suoi a far manbassa delle ekirei. Requisisce i sonagli.
E paralizza all’istante l’intero apparato ribelle.

Nakamaro si aspetta di vedere arrivare da un momento all’altro migliaia di guerrieri ai suoi ordini. Invece è incastrato alla Capitale, incapace di chiedere aiuto, solo con Kōken, che, ricordiamolo, controlla le Guardie.
Nakamaro è un tacchino che si è barricato nella tana di un dingo affamato.
Per sette giorni le Guardie della Cinta assediano Nakamaro nella sua residenza, come anni prima era toccato al Principe Nagaya. Solo che questa volta Nakamaro non viene “suicidato”. Non ce n’è bisogno. Kōken lo fa trascinare sulle rive del lago Biwa, dove viene scapitozzato.
Junnin non viene ucciso, ma solo deposto ed esiliato. Per chi segue questo blog, non ammazzare il cugino è un’altra scelta che fa di Kōken una figura molto atipica nel panorama storico giapponese.
Shōtoku
La nostra risale sul trono: nuova carriera, nuovo nome, Shōtoku!
Il governo viene riformato, zeppato con i capiclan che hanno avuto il buonsenso di restarle fedeli. La nostra è ormai autocrate indiscusso dell’Impero, e questo mette a disagio molti dignitari.
Cosa combinerà mai questa volitiva quarantenne? Questa strana donna che non ammazza il cugino, non si sceglie un marito, questa che si autoproclama Imperatrice per la seconda volta così, senza nemmeno appellarsi a un precedente dignitoso?
Il suo più fidato consigliere resta Dōkyō, e le chiacchiere subito si scatenano.
Come minimo questa carampana dalla menopausa incipiente è la sua amante, è senza dubbio manipolata da questo carismatico e misterioso stregone.
E’ fuori di dubbio che Shōtoku fosse una credente fervente, che si considerasse “al di fuori del mondo”. E’ anche fuori di dubbio che favorì il clero buddhista più dell’aristocrazia laica.

Ma questo può essere anche spiegato col fatto che il clero le era sempre stato fedele, mentre gli aristocratici laici avevano cercato di silurarla due volte. Uno diventa un po’ diffidente, a lungo andare…
E’ anche innegabile che Dōkyō fosse una delle persone a lei più vicine, che lei lo definisse il suo “maestro” e che, grazie al favore di lei, Dōkyō abbia fatto una carriera mai vista prima. Addirittura Shōtoku lo fa nominare “Re della Legge” (法王), una carica che non era mai stata concessa prima né mai lo sarà dopo.
Però
C’è sempre un però
Il problema delle fonti scritte è che spesso non sono neutrali, ma molto parziali. Scremata la paranoia dell’autore confuciano, se esaminiamo i fatti ci rendiamo conto che Dōkyō non si vide mai concedere nessun incarico temporale. La carriera di Dōkyō è strettamente spirituale ed ecclesiastica. Quando viene nominato Ministro e poi Re, Shōtoku specifica sempre che si tratta di Ministro e Re del culto buddhista. Dōkyō non ottenne mai nessun potere effettivo.
Quello è nelle mani di Shōtoku, che non lo condivide.

Shōtoku è quindi padrona indiscussa della corte. La sua autorità però viene messa di nuovo in discussione, non più dagli uomini, ma dagli dei.
E’ l’ultimo round, e questa volta è Shōtoku contro le Potenze Iperuranie!
E’ il 769, un oracolo arriva da parte del Gran Bodhisattva Hachiman: se si vuole che le carestie cessino, che il regno sia pacificato, che la prosperità ritorni, Shōtoku deve nominare il monaco Dōkyō come suo successore.
Questo messaggio da parte di Hachiman in persona ha sulla corte e la Capitale l’effetto di una granata a frammentazione tirata in una cristalleria. Per molti è un segno inequivocabile della fine imminente della dinastia. Lo hanno detto per anni: Shōtoku è una poveretta tenuta al guinzaglio da un mago senza scrupoli. Ora gli consegnerà il trono e la dinastia che si protrae indietro nel tempo fino alla Dea del Sole giungerà a fine!
Solo che Shōtoku, fervente credente, reagisce a questo messaggio divino con sorprendente (e onestamente sospetta) cautela.
-Che oracolo bizzarro.- Commenta -Certo, se questo è ciò che gli dei vogliono, non posso che obbedire. Solo che… metti che abbiamo capito male? Per essere proprio sicuri, chiediamo cosa ne pensa il mio personale indovino. Per conferma, sai.
Da notare che l’oracolo viene dal santuario di Usa Hachimangū, in Kyūshū, e il governatore del momento è il fratello minore di Dōkyō. Coincidenze, senza dubbio.
Ad ogni modo meno male che Shōtoku controlla perché, INCREDIBILMENTE, il secondo indovino trae dal dio un messaggio del tutto diverso!
Secondo il nuovo responso, non solo Shōtoku è la legittima e indiscussa sovrana, ma chiunque provi a mettere in dubbio la legittimità della Famiglia Imperiale è una minaccia per il Paese e deve essere annientato.
Che dire, per essere una con una fede cieca nel suo mago, Shōtoku sapeva dar prova di notevole scetticismo.

Ci sono ovviamente conseguenze per questo tiro furbino da parte dei parenti di Dōkyō, ma Dōkyō stesso non viene punito. Forse Shōtoku decise che era innocente, o che non ci avrebbe riprovato.
E’ anche possibile che la nostra abbia avuto pietà: la sua salute si stava di nuovo deteriorando, e nessuna formula magica aveva più effetto. Shōtoku stava morendo, ci sta che non abbia avuto il cuore di far uccidere quello che senz’altro era un uomo importantissimo per lei.
Un anno dopo l’incidente, Shōtoku muore senza eredi. Dopo di lei viene scelto come successore il principe Shirakabe, che discende non dal ramo di Tenmu (ramo che era stato dominante sin dal 673), ma dal ramo di Tenji (r. 668-671).
Tenmu aveva usurpato il trono alla morte di Tenji, e 100 anni dopo il suo lignaggio si esaurisce, permettendo al ramo più antico di riemergere. Ah, i corsi e i ricorsi…

In molti si sono interpellati sulla mancanza di consorti e di eredi di Kōken/Shōtoku.
A parte il pettegolezzo maligno su Dōkyō, pare proprio che l’Imperatrice non avesse amanti o compagni. E’ possibile che semplicemente non le piacessero gli uomini: checché ne pensino certi gamers, i diversamente eterosessuali non sono un’invenzione dei SJW per rovinare i videogiochi.
E’ anche possibile che Kōken/Shōtoku abbia deciso di non correre il rischio di una gravidanza, visto che di parto si moriva male e con una certa frequenza.
C’è però qualcosa di deliberato nel fatto che non si sia nemmeno presa la briga di designare un successore, magari un parente (come era avvenuto con Junnin). Magari aveva rotto i piatti con tutti i parenti e non si fidava di nessuno di loro. Magari la sua sincera fede nel potere del Buddhismo la portò a credere che il karma positivo maturato con le sue numerose opere pie avrebbe portato al trono un successore degno.
Con la nuova interpretazione dell’oracolo di Hachiman, Kōken/Shōtoku assicura l’intoccabilità della Famiglia Imperiale, sancisce in modo inequivocabile che il trono può andare solo a un membro del suo clan. Forse questo le bastava.
Non si premurò nemmeno di proteggere di Dōkyō, che fu prontamente pensionato in un monastero di Shimotsuke non appena lei morì. Il fatto che non l’abbiano fatto fuori conferma che nemmeno i successori di lei lo ritenevano una minaccia.
Il mondo che Shōtoku lascia al suo successore Kōnin (r. 770-781) non è dei migliori.
Tanto per cominciare la nomina del principe Shirakabe scatena la virulenta opposizione del ramo imperiale di Tenmu e del clero di Nara, tanto che dopo pochi anni il nuovo ramo regnante decide di abbandonare la Capitale e spostarsi. Da un punto di vista economico, la situazione aveva cominciato a languire sotto il regno di Shōmu e non era migliorata nei decenni. Per di più, non appena la vecchia stira le zampe, gli emishi decidono che è ora di riprendere le ostilità: sotto il regno di Kōnin comincia la Guerra dei 38 anni nelle provincie orientali.
Il regno di Kōken/Shōtoku non è rivoluzionario o particolarmente innovativo: l’Imperatrice si situa in perfetta continuità con le politiche economiche, amministrative e religiose portate avanti da suo padre e suo nonno. Tolte le paranoie, il giudizio e le fisime dei suoi contemporanei, Kōken/Shōtoku non fu una sovrana particolarmente migliore o peggiore dei suoi predecessori. Fu di certo molto abile, audace e scaltra, ma come governante fu straordinariamente normale per il suo tempo.
E’ solo che dovette far molta fatica per poter governare nello stesso modo in cui suo padre aveva governato.
La morale della favola è sempre la stessa: mai fidarsi dei cugini!
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