-Dopo ardua ponderazione, io dico…- Ragnar il Giovane svita il tappo dalla fiaschetta di vodka. –Spitfire.
-Nah. Junkers 87. Se non ti piacciono gli stuka, non conosci gli stuka.
E’ notte sull’accampamento, l’aria è fresca, le associazioni bevono intorno ai falò. Si preannuncia un buon campo. Lo hanno organizzato i Klanen, una banda di artigiani e combattenti, gente d’oro. Più in là ci sono gli Spadaccini di Normandia, e i Byggvir, i Compagni d’Esculapio, una banda di variaghi… Tanta gente ben equipaggiata.
All’ingresso della spianata il comune ha costruito una pira gigantesca. Non abbiamo ancora deciso chi bruciarci sopra. E’ alta come una casa, fatta di tronchi incrociati e piena di frasame. Farà una fiammata bellissima.
Sotto il nostro auvent, Bothvar e Petrus stanno confabulando, boccali in mano. Ragnar il Giovane mi rende la fiasca.
-Diving bombers?
Bothvar e Petrus si accostano pitte pitte a una delle tende dove dormono i nostri.
-Right!- Mi riprendo la fiasca di vodka. –Vuoi mettere un tuffo sul tank mentre il vento fischia sulle ali col fracasso delle trombe di Gerico?
Bothvar e Petrus si acquattano alle due porte della tenda, sguainano i long sax.
-Comunque se vogliamo parlare di ardimento e gagliardia, il 588esimo sovietico-
-ATTACCO A SORPRESA!
Bothvar e Petrus si slanciano nella tenda con la grazia e la leggerezza di due orche assassine. Urla e botte, bestemmie in franzoso. Sorseggio la mia vodka. I compari sono motivati. Speriamo bene.
Sabato

L’Abbazia di Jumiège, fondata verso la metà del VII° secolo
Sono le otto di mattina, e sto già sudando come un cavallo. La giornata non è ancora iniziata e già pondero la possibilità di strappare le maniche della tunica.
Mi vesto nella tenda, comincio ad allacciarmi gli stivali. Cogito che se crepo di caldo prima di stasera, potranno buttarmi sulla pira e spedire a mia madre una secchiata di cenere.
Da fuori sento i compagni che fanno colazione.
-Chi dorme ancora?
-La Tenger non è uscita.
-Olaf, valla a svegliare.
Tsk. Come se fossi ingenua abbastanza da farmi beccare addormentata.
Sto legando l’ultimo laccio quando Olaf spalanca la tenda, long sax in mano.
Eh merda.
Cerco di alzarmi, mi spintona a terra e tenta di segarmi la pancia. Gli afferro il polso. Mortacci sua, pesa il doppio di me! Gli punto un piede sullo stomaco per scalciarlo fuori, l’infame m’agguanta la caviglia e mi strattona, mi assesta un fendente sul polpaccio.
E dire che per questo campo avevo deciso di non pestarmi con nessuno.

La catasta. Foto di Nanette (link a fine articolo).
Jumiège è un paese graziosissimo. Ci si arriva in ferry attraversando la Senna. E’ un’accozzaglia di case di mattoni e vecchie costruzioni in legno e intonaco. I ruderi dell’abbazia torreggiano oltre le chiome degli alberi. Scoperchiata, senza rosoni, i pilastri e le pareti si alzano contro un cielo blu incandescente.
Entriamo nella cinta del giardino. Sul prato ci sono dei padiglioni bianchi quattrocenteschi. E’ sempre un piacere trovare dei quattrocentisti ai campi. Petrus si volta verso di noi dalla testa della fila. Sogghigna.
-Secondo voi sono in vena di sport mattutino?
Passa parola lungo la fila. Prima di entrare nel loro campo, abbiamo già le armi in mano. Tagliamo di corsa sotto gli alberi.
I quattrocentisti sono già in armatura, brillano sotto il sole come catarifrangenti.
-SKJALDBORG!
I nostri scudi tondi si chiudono in una linea. Avanziamo a passo rapido. I quattrocentisti abbassano i bec de corbin, sguainano le spade. Cominciamo un match di berci e spintoni.

Vicini di campo. Foto di Nanette (link a fine articolo).
Contrattiamo una quantità di birra adeguata per smettere di rompere le scatole. I quattrocentisti ci pensano un attimo, poi concludono che non vogliono sporcare di sangue le armature di prima mattina (ci contavamo!) e accettano.
Di ritorno alla base, la gente comincia ad arrivare, il pomeriggio avanza lento, il calore si fa infernale. Siamo cooptati per una scenetta, sotto il sole. L’acciaio del mio elmo si riscalda fino al punto in cui non lo posso più togliere senza i guanti. Il metallo scotta. Mi sembra di avere la capoccia in una pentola a pressione. Grosse gocce di sudore mi colano lungo il collo. E non ho nemmeno l’armatura. Sono grata a Odino che a questo giro posso risparmiarmi la mischia, altrimenti mi raccattavano in barella.
Mi ritiro quando iniziano i pestaggi. Siccome non meno nessuno, oggi il mio ruolo è stare al campo e fare divulgazione. E’ un’attività che mi piace, peccato che la rastrelliera sia irrimediabilmente al sole.

Troppo caldo per un pestaggio in armatura? Puoi sempre occuparti della forgia! Foto di Nanette (link a fine articolo).
Durante la giornata, mi schiodo dal posto quanto basta per fare un salto a vedere i quattrocentisti. Il loro campo è più piccolo del nostro, ma sono un sacco di gente comunque. Riconosco la bandiera dell’Ordinanza San Michele. Mi sa che li ho già incontrati a Coudekerque, o forse era Ecaussine? Il mondo dei ricostitutori è relativamente piccolo.
Come al solito, il loro equipaggiamento è spettacolare. Armature a parte, si sono portati dietro artiglierie, spiedi, un forno per il pane. Una coscia di maiale intera sta arrostendo lentamente, schiacciata tra sole e brace.
Diavolo, ad averci i soldi non mi dispiacerebbe un salto di secolo, ogni tanto!

L’Ordonnance Saint-Michel e soci. Foto di Nanette (link a fine articolo).
Al calar della notte, degli sputafuoco si radunano intorno alla pira, appiccano il rogo.
All’inizio pare non succedere nulla. Fiammelle timide baluginano appena in un punto tra due travi. Mi siedo sull’erba, aspetto. Ho sempre avuto un debole per il fuoco. Da bimbetta mi divertivo a costruire case con calcinacci, riempirle d’erba secca, accenderle e guardare le fiamme uscire dalle finestre.
Se mi va male con l’università, posso sempre riciclarmi come piromane.
Lentamente fumo inizia a uscire dal graticolo di tronchi, denso e viscoso come melassa. Il bagliore aumenta, lingue di fuoco guizzano attorno a un trave, prima sparse, poi sempre più numerose. All’interno della struttura, cartone e ritagli divampano. Il calore aumenta. La folla si ritrae mentre il rogo si sviluppa senza fretta, sempre più grande, sempre più luminoso. Le facce degli astanti sono tinte di arancione. Nuvole di scintille appiccano piccoli focolai nel prato circostante. E’ un bello spettacolo. Il calore ti mangia la pelle.

Foto di Nanette (link a fine articolo).
Quando torno al campo, trovo degli scudi rossi posati contro uno dei nostri pali.
-Hanno cominciato il Gioco degli Scudi.- Mi avverte la Matrona. –I nostri li abbiamo rimpiattati.
Il Gioco degli Scudi, altresì detto “andiamo a rompere i coglioni ai vicini”. Consiste nel soffiare gli scudi alle tende circostanti e pretendere un riscatto in birra. Complice il buio, la tecnica di solito sta nel passare con disinvoltura accanto a uno scudo non sorvegliato e imbarcarlo come se niente fosse.
Non ho mai giocato, ho sempre avuto remore a metter le mani su roba che non mi appartiene. Mi rendo conto che ciò fa di me uno schifo di vichingo.
Andando a coricarmi, vedo due bambine scappare dal nostro campo, in braccio uno scudo quasi più grande di loro. Hanno fregato uno dei nostri. Alas.
Domenica

Affettuosi abbracci tra colleghi. Foto di Nanette (link a fine articolo).
Di prima mattina cerco di rendere il favore a Olaf. Lo becco che si sta allacciando le bande mollettiere, tento di affettargli un ginocchio. Mi strattona per difendersi. Il colpo va a segno, ma nel liberarmi incespico e prendo una ginocchiata nella soglia. Per essere un fine-settimana senza botte, me ne sto tornando a casa con un sacco di lividi.
Mi ricompongo per l’arrivo del pubblico. La gente è numerosa, in due giorni abbiamo più di quattromila visitatori. In questi frangenti, uno deve sempre prepararsi a rispondere a domande bizzarre, da “ma esisteva l’acciaio nel medioevo?” a “ma le vostre armi sono autentiche?”.
A questo giro mi capita solo l’evergreen “ma le vostre armi sono affilate?”.
Sì, sono affilate perché ci piace mandare all’ospedale metà dei membri e in galera l’altra metà. E’ un po’ il nostro stile.
Un marmocchio indica il cane di uno dei nostri.
-Nel medioevo non esistevano i cani.
Fissa davanti alla rastrelliera, mostro elmi e armi, faccio soppesare armature, spiego che no, i vichinghi non andavano in giro con asci bipenni e mutande pelose. Intanto noto l’assenza di magliette o felpe di Vikings, e ciò mi ridà fede nell’umanità. Forse un giorno guariremo da questo morbo infame chiamato History Channel…

A destra, la mia armatura partecipa alla zuffa mentre io me ne sto in panciolle dietro una rastrelliera. Foto di Nanette (link a fine articolo).
Sto mostrando come usare uno scudo a una coppia con figli quando strilli e casino scoppiano tra le tende dei Klanen. Gente in arme che corre, gente disarmata che scappa. I visitatori intorno a me sono perplessi.
-Cosa capita?
-Oh è un raid per raccattare schiavi.- Accenno alle macerie fumanti. –Li venderanno tra un po’, vi consiglio di investire in un irlandese.
Nella confusione, noto un centro d’azione più frenetica. E’ Dall, uno dei nuovi arrivati, tosto e ticcio come un bue da traino. Avanza nel chiasso a torso nudo mulinando sberle come una quintana a reazione, fa volare elmi, spedisce in terra chiunque si avvicini. Gli saltano addosso in tre. Se li scuote di dosso come fossero mosconi, i tizi in armatura finiscono col culo in terra. Era dai tempi di Bud Spencer e Terence Hill che non vedevo legnate così divertenti.
Ci vogliono cinque uomini per legargli le mani. Lo perdo di vista mentre tre armigeri lo trascinano al mercato di peso. Un po’ mi dispiace per i tizi in armi. La storia degli schiavi doveva essere una scenetta tutta riposo per il pubblico. Staranno sudando a morte sotto gli elmi.
Me ne torno alle mie chiacchiere, mentre da lontano mi arriva l’eco del mercato.
-I vichinghi erano gli antenati dei pirati.- Mi dice un tizio del pubblico.
-Oibò.- Sorrido. -Non lo dica a chi fa rievocazione fenicia, potrebbe risentirsi.
-Ah, ma i vichinghi avevano più onore e umanità dei Fenici.
Come no. E nel medioevo non esistevano i cani.

Nel medioevo non esistevano le foto di gruppo!
In definitiva, è stato un buon campo. Piacevole, senza incidenti, senza troppe gomitate nelle costole. Jumiège è un posto davvero splendido e abbiamo dato fuoco a una montagna di legna! Dar fuoco a qualcosa grande come un edificio val sempre la pena!
Mille ringraziamenti a Nanette, la fotografa dei Klanen. QUI la sua pagina, check it out!