Doppia proiezione: Crimson Peak e The Martian

E Samhain, tempo di tornare ai’ccine e vedre quali novità si offrono!

Crimson Peak

E’ il 1887, Edith è la figlia di un ricco industriale americano. Sua madre, appena morta di malattia, le compare come spettro per metterla in guardia contro “Crimson Peak”. Quindici anni dopo, Edith è una giovane scrittrice di storie gotiche che sogna di pubblicare il suo primo romanzo!

Il manoscritto viene rifiutato, ma Edith si consola incontrando sir Thomas Sharpe. Sharpe è un baronetto inglese che ha ereditato una cava di argilla da mattoni. Ha ideato una macchina per accelerare l’estrazione e spera di ottenere i finanziamenti necessari a rilanciare l’azienda.

Edith resta affascinata da questo nobile spiantato europeo, circondato da un’aura di mistero e accompagnato da una sorella psicopatica. No, non è uno spoiler. Questo film è del tutto privo di qualsivoglia sorpresa. Ma andiamo con ordine.

La cosa positiva è che il film è molto bello da vedere. I colori, gli angoli, la fotografia, tutto è molto vivido. Gli attori fanno anche un buon lavoro. Con mia grande sorpresa, Mia Wasikowska (Alice nel paese delle meraviglie) recitava. Mi aspettavo il disastro, dopo averla vista nel film di Burton, e invece no, sembrava viva!

Ma per quanto recitazione e fotografia siano importanti, che ne è della sostanza?

Meh…

Il film è diretto da Guillermo del Toro, che sa di certo fare il suo lavoro. El laberinto del fauno è uno dei miei film preferiti, ho adorato Hellboy the Golden army (anche se il secondo tempo scadeva). El orfanato era un film molto di maniera, ma fatto molto bene.

Crimson Peak, per ora, è uno di quelli che mi son piaciuti meno. Ed è un peccato perché, come detto, le immagini e le riprese sono bellissime. Manca giusto la sostanza.

In Crimson Peak ritroviamo un tema molto caro a del Toro: gli esseri umani possono essere più spaventosi e pericolosi di qualsiasi mostro o fantasma. Il classico “i veri mostri siamo noi”. Se però questo funzionava bene nei tre film succitati, in Crimson Peak la faccenda cade piatta.

Prima di tutto, i fantasmi di Crimson Peak non servono a niente. Sono 100% superflui, un po’ come le tette nei film d’azione. Il loro design anche mi ha convinta molto poco. Mentre i colori differenti erano un’idea interessante, il volerli fare mezzi scheletro mezzi marionetta è un’arma a doppio taglio: è fin troppo chiaro che del Toro sta cercando di renderli spaventosi. Il guaio è che se i tuoi sforzi sono troppo evidenti, non funziona più. Il cinema è illusione, lo spettatore è tanto più coinvolto quanto i trucchi del regista gli sfuggono.

Non so se si capisce, ma qui del Toro vuole farvi paura.

Se io m rendo conto “qui è del Toro che cerca di farmi paura”, smetto di averne, perché vedo la scena per quel che è: illusione. E’ un po’ come se qualcuno alzasse un cartello con scritto “abbi paura”.

Peraltro, i fantasmi non servono a nulla se non a realizzare jumpscares. Per chi non fosse familiare col termine, è quando un film cerca di farti sobbalzare sulla seggiola, di solito con un movimento brusco accompagnato da un suono molto forte. E’ l’equivalente cinematografico di “bu-bu SETTETE!”.

Ora, la paura data da un jumpscare è molto superficiale, e spesso non si tratta nemmeno di paura quanto di fastidio. Se il terrore del film si basa solo su quello, probabilmente il film è una patacca.

Non è proprio il caso qui, dacché del Toro riesce a creare comunque una certa atmosfera, ma gli spettri restano uno spreco e i jumpscares sono tutti gratuiti.

Se non ci fossero stati i fantasmi e la vicenda si fosse focalizzata solo sull’indagine, il thriller, il dramma psicologico, sarebbe stato un film molto migliore.

Purtroppo però Casper the Unfriendly Ghost non è l’unico problema. Questo film è prevedibile.

Edith ha sempre maniche a sbuffo, anche per dormire. Sembrano tipo ali di un angelo, GET IT?! Obvious symbolism is obvious.

Da quando incontriamo Thomas e sua sorella Lucille, sappiamo che Lucille è una psicopatica. Non è per niente sottile, la tizia ha sempre un manico di scopa nel culo e passa il tempo a lanciare sguardi omicidi in giro. Gee, mi chiedo se lei ed Edith andranno d’accordo…

Guarda che carina, sorride…

Il problema di avere una tizia chiaramente pericolosa nel film, è che toglie sorpresa e quindi tensione alla storia. Quando Lucille comincia a dare i numeri, siamo preparati. Sapevamo che stava per succedere. Se invece avessimo creduto Lucille una donna eccentrica ma di buon cuore, l’impatto di scoprirla una pessima persona sarebbe stato molto maggiore.

E poi c’è il problema che il film ha dei considerevoli buchi di trama.

Non sto dicendo “questa cosa di contorno non va bene”, no, almeno due punti chiave presentano una grave incongruenza e un altro non dico sia per forza un buco di trama, ma ci si avvicina molto.

Thomas e sua sorella girano l’America per raggranellare i soldi e mandare avanti l’impresa familiare. Veniamo a sapere che in realtà il loro piano è ogni volta sposare Thomas con un’ereditiera senza famiglia stretta, farsi dare l’intero patrimonio e poi spacciare la pollastra.

Tutto molto classico, non fosse che a inizio film Edith osserva che Thomas e sua sorella portano vestiti buoni ma consunti. Non sarebbe meglio, per due truffatori, di presentarsi con dei vestiti nuovi? Hanno già fatto fuori diverse ricche ereditiere, uno immagina che i soldi per ricomprare la giacca ci siano.

In secondo luogo, questi sono serial killers di ricche signore, ne ammazzano e derubano un certo numero nel giro di pochi anni, e riescono a restare poveri in canna. Sono i peggiori investitori d’Europa!

Ok, ma questo potrebbe essere giustificato col fatto che Thomas e Lucille sono stupidi. Non pare il caso, ma va bene, facciamo che sì.

Il primo buco di trama però non si può giustificare in questo senso: Lucille, una delicata signorina, ammazza il padre di Edith, un robusto industriale, spaccandogli la testa contro un lavandino.

No, non ci credo ma nemmeno se mi fa una dimostrazione live. Spaccare la testa a qualcuno non è facile, specie se questo qualcuno fa il doppio del tuo peso. Fosse stato un vecchino gracile passi, ma no, è un grosso tizio ben piantato.

In secondo luogo, il tizio viene ritrovato con metà del cranio sfondato e la conclusione è “sarà stato un incidente”.

Come no. E Trotsky si è suicidato con un’accetta.

Secondo grosso buco: Edith scopre la verità su suo marito perché ritrova il baule di una moglie precedente. Al che uno si chiede: perché questi diabolici fratelli dovrebbero conservare il baule col nome della tizia sopra? Quanto a livello di stupidità siamo ai punti con l’informatore di Educazione siberiana che si era tatuato il curriculum addosso…

Alla fine, la colpa più grave di questo film è che, stile e aspetto a parte, non ha niente di originale. La storia non ha nessuna sorpresa, niente di nuovo. Ogni scena è così telefonata che se avessi avuto un furbòfono con l’app giusta sono certa che Guillermo del Toro mi avrebbe contattata di persona per avvertirmi di cosa stava per capitare. Giusto per essere sicuri.

Immagini e colori  
Gli attori  
Un’atmosfera passabile  
La storia vista e rivista  
L’inutilità dei fantasmi  
Una delle scene di sesso più involontariamente buffe che abbia mai visto (oibò caro, tiemmi ‘sta bracciata di gonnelloni, non mi trovo la passera!)  
Mai una sorpresa  

 

In definitiva ripeto: le immagini sono davvero belle da vedere. Può valer la pena di andarlo a vedere al cinema solo per quello. Ma non col biglietto a tariffa piena. Io non ci spenderei più di cinque euro, alla fine i pregi, che ci sono, non bastano a bilanciare i difetti.

The Martian

15 anni nel futuro, la NASA è riuscita a mandare una missione su Marte, ma mentre il gruppo porta avanti la ricerca, viene sorpreso da una tempesta di sabbia. L’equipaggio riesce a tornare alla nave, ma uno di loro, Mark Watney, viene falciato dalla bufera. Convinti che Mark sia morto, gli altri decollano, abbandonando la missione.

Mark ovviamente è vivo e vegeto, ma si ritrova spiaggiato su Marte, senza la possibilità di comunicare con la NASA. Ha cibo nel piccolo Hab, ma solo per 300 giorni. La missione successiva è di lì a 4 anni, in un altro cratere al di là della portata del suo rover.

Ricapitolando: si trova su un pianeta dove niente cresce, dove l’aria non è respirabile, con viveri limitati e l’impossibilità di chiedere aiuto o comunicare. E’ l’unico essere vivente del pianeta.

Dopo un primo momento di sconforto, però, Mark decide di combattere. Scomponendo la situazione in problemi distinti, affronta la cosa con metodo, risolvendo un guaio alla volta.

Tra tentativi ed errori, Mark riesce a costituire un suolo, una piantagione, un rifornimento d’acqua, perché Mark è botanico e i botanici sono badass.

E intanto sulla Terra, le foto del satellite mostrano attività sul pianeta. Alla NASA si rendono conto che Mark Watney, dato per morto e seppellito in contumacia con tutta la pompa, è vivo. Lo hanno solo abbandonato a morte certa. Ops.

Un mondo di opportunità

Questo è a mani basse il miglior film che ho visto quest’anno.

La storia è tratta da un romanzo dallo stesso titolo, scritto da Andy Weir. Non l’ho letto (anche se, secondo questo articolo del Duca, sarebbe anche meglio del film), quindi mi limiterò a parlare della versione cinematografica.

Avevo dei dubbi mentre facevo la coda in biglietteria. Il regista è Ridley Scott, l’uomo che ci ha dato The duellists e Alien, ma anche Prometheus. Mentre i primi due sono tra i miei film preferiti, Prometheus è di certo il film di fantascienza più cretino che abbia mai subito (e includo capolavori del vomito come Doomsday machine o quella cagata galattica del film di Starship troopers).

Tuttavia, dietro consiglio del mio maestro in malvagità Sir Greenmold (lo stesso che mi ha diffidata dall’andare a vedere Interstellar), ho deciso di correre il rischio.

Devo dire che ho apprezzato ogni minuto di The Martian. Gli attori sono tutti bravi, a cominciare da Matt Damon che fa un ottimo lavoro. Il personaggio che interpreta è molto simpatico: è competente, intelligente e pieno di risorse, è ottimista e ironico. Allo stesso tempo commette errori, cade sul culo, si rialza e ritenta.

Il personaggio è tanto simpatico, che mi dispiaceva quando gli capitava qualcosa di brutto. Non volevo che le cose gli andassero male, facevo sinceramente il tifo per lui. E’ stata una sensazione stranissima, che non mi capitava da un sacco.

Mi sono letta un post di Lilin per ritrovare la mia naturale acredine.

Gli altri comprimari hanno meno spazio, ma emergono ben sfaccettati, credibili e interessanti.

In particolare ho apprezzato il comandante della missione, Melissa Lewis (interpretata da Jessica Chastaine): un militare competente, affidabile, capace di prendere difficili decisioni, preparata… e non la poverella vittima della propria emotività, ruolo che spesso i film appioppano alle femmine perché hey, sì, vi mettiamo in ruoli fighi, ma sappiamo come siete fatte voi donne.

Sì, Interstellar, sto parlando anche di te. Mi fa un sacco piacere vedere un film in cui il personaggio femminile somiglia più alla Cristoforetti e mano a Madame Bovary. Se non si fosse capito, questo cliché della donna sentimentale forte fuori ma fragile dentro HA ROTTO IL CAZZO.

Ho anche apprezzato molto il fatto che nel film non ci sia un “cattivo”. Sarebbe stato facile mettere come antagonista un burocrate meschino o un militare carogna che non vuole aiutare Mark per [ragioni]. E’ quello che hanno fatto in Avatar, dopotutto.

Qui no. Tutti sono animati da ottime intenzioni, sono gente competente e hanno ottime ragioni per fare ciò che fanno.

Da un punto di vista scientifico, ci sono delle imprecisioni, ma nell’insieme questo aspetto è curato come il resto del film. A differenza di Prometheus, a questo giro Scott ha collaborato con la NASA, e si nota. Anche se ci possono essere delle discrepanze tra la tecnologia reale e quella del film, il tutto resta molto verosimile.

Un problema che ho avuto io è stato nel design delle tute che usano su Marte, più simili a tute da motociclista che a equipaggiamenti pressurizzati.

Un’altra cosa che mi ha lasciato perplessa è la “manovra Ironman”, sulla cui verosimiglianza nutro fieri dubbi.

Sia chiaro che si tratta di pignolerie: non ci sono buchi di trama, la storia è avvincente, e non si scade mai nella technobabble (devi ricalibrare gli ionizzatori quantici a propulsione nucleare, Scotty!).

Nell’insieme il film mi è piaciuto un sacco. Compresa la colonna sonora, tanto kitch quanto bizzarra: tra le tante, Scott ci delizia con Waterloo degli Abba! Tutto avrei creduto tranne che sentire quella canzone in un film di questo genere.

Non voglio dilungarmi oltre sulla storia perché questo film vale assolutamente il prezzo del biglietto. Quindi salto direttamente alla tabella.

Alcuni dettagli tecnico-scientifici
I personaggi  
La recitazione  
Il fatto che non ci sia un “cattivo” banale  
La verosimiglianza (niente technobabble!)  
L’ironia  
La musica kitch  

 

Anche se il genere non è il vostro, provate. Questo film merita senza dubbio il tempo e i soldi di un’uscita al cinema.

Insomma, con The Martian possiamo assolvere Scott da Prometheus e Damon da Interstellar.

Yeah, it’s THAT good.

MUSICA! (Ridley Scott made me do it!)

Ok, ok, musica

Educazione siberiana: scemo più scemo in Siberia

Tempo fa sono capitata per caso su un film. Pareva una cupa storia in seno alla mafia russa, e mi son detta “perché no?” I film di cattiveria e degrado mi piacciono, e Goodfellas m’era garbato un sacco.

Dopo dieci minuti, piangevo dal ridere. Cristo, era peggio de Le porte dell’abisso! Ho sempre detto che al cinema italiano mancava un Totò va in Siberia!

Ma chi era il genio del male dietro questo capolavoro del comico involontario?

Oh, privyet Lilin…

Le origini del male


Chi è Nicolai Lilin?

Se siete necrocoprofagi come la sottoscritta, lo avete già per sentito dire. Lilin è uno di quei fenomeni che uno non può trattenersi dal contemplare con un misto di fascinazione, ilarità e dolore per la Madre Patria. Ahi serva Italia, di dolore ostello…

Arrivatoci dritto dalla Transnistria, Lilin è la faccia dell’Italia provinciale e boccalona, quella che non sa nulla di ciò che c’è di là dal poggio ed è pronta a bersi qualsiasi favola. E’ la faccia del nostro panorama culturale, dove cosa dici è indifferente e il tuo personaggio è tutto (ricordiamo che lo stesso romanzo ha un feedback diverso a seconda se è stato scritto da un ingegnere quarantenne o da una diciassettenne cieca). E’ infine la faccia del nostro giornalismo, senza fonti, con poche informazioni romanzate in salsa harmony/cazzoduresca (a seconda se si rivolge agli uteri o agli scroti).

Non mi credete?

Provate a leggere che razza di interviste rilascia. Tipo questa, che si apre in modo trionfale:

Nicolai Lilin è un lupo. Non un lupo qualsiasi, ma simile, in tutto e per tutto, al giovane esemplare di cui si racconta nel film di Educazione Siberiana. A differenza di detto canide però, nei venti minuti di conversazione telefonica concessi, la sensazione ricevuta è che l’autore, nato a Bender, Transnistria, 33 anni fa, non si sia accucciato placidamente innanzi ai blandimenti del sistema, ma piuttosto continui a digrignare i denti quale testimone delle storture della nostra società, – per niente addomesticato, – nonostante si aggiri ormai da quasi dieci anni nel nostro Paese.

Sto morendo dentro.

Il film è tratto da un romanzo, Educazione siberiana. Un romanzo “autobiografico”!

Peccato che nel tempo qualche lettore un minimo scafato abbia fiutato la boiata, e da allora Lilin abbia cambiato registro: da “ok, magari non tutto è successo proprio a me personalmente” a “no, ma dai, è un romanzo inventato, su”.

Insomma, Lilin sarebbe un Urca, popolo siberiano di “criminali onesti” (BWHAHAHAHAHAHAH, i criminali onesti cristiddio!) discendenti a loro volta da tizi chiamati “Efei”.

Ovvio, gli Efei non esistono, e ancor meno gli Urca. Come confermato da Lilin stesso:

Premessa: i criminali onesti siberiani scarseggiavano già al momento della mia nascita (nel 1980, nda), ora sono praticamente scomparsi, seppur nella mia famiglia si sia tramandata la tradizione. Nel mio romanzo mi sono divertito a trasporli nella storia recente.

“Criminali onesti”. Certo. Vivono in una terra magica tra la Contea e Midian, e sono i più assidui scrittori di Guide Galattiche per Autostoppisti.
Che della gente adulta si sia bevuta ‘sta cosa del criminale onesto mi toglie speranza nel domani.

Ma tenuto conto del personaggio, cosa ne è del film?

Il film

Rai Cinema. O tempora…

Partiamo subito con le cose positive, che si finisce alla svelta: la musica è per la maggior parte bella, anche perché quando si scommette sul folk è difficile prendere troppe cantonate.

Alcuni attori fanno un lavoro passabile. Vilius Tumalavicius nei panni di Gagarin, o Eleanor Tomlinson nei panni di Xenia, fanno quello che possono con il copione che hanno. Poi bon, non si posson far miracoli.

John Malkovich. Oh Johnny, tu sei un vero attore, che cazzo ci fai in questo film?
No, sono felice che lo abbiano arruolato, perché Malkovich nei panni del nonno mentore è una pura delizia. Tra battute da morte cerebrale e momenti in cui deve fare smorfie e faccine (“vi ar vulvs, grrrr bbrah blblblblb!”), ogni sua scena è una perla!

Direi che con le cose positive abbiamo finito! Veniamo al sodo.

Il film racconta la storia di Kolyma, l’alter-ego di Lilin, che cresce nella Contea degli hobbit siberiani, tra gente che parla con falsissimo accento russo, zingari vestiti con la collezione Autunno/Inverno 1943, neve e frasi a effetto.

Il nonno gli insegna tutte le regole del buon siberiano (che sono una meno pratica dell’altra ma hey, dopotutto chi sono io per giudicare gli hobbit?) e i sani valori della sua gente: rubare va bene, ma non bisogna rubare alla gente comune, solo a poliziotti, usurai e banchieri.

Non per essere fiscale, ma i soldi nelle banche appartengono alla gente comune, eh.

Peraltro, un buon Hobbit Sovietico deve rispettare tutte le creature viventi, tranne poliziotti, soldati e gestori di negozi di sport. Perché i gestori di negozi di sport? Non lo so, ma in una scena del tutto inutile Kolyma e i suoi ne aggrediscono e mutilano uno, così, per sfizio. Magari era ebreo (su questo torneremo più avanti).

L’altare di famiglia con un’icona della Vergine. La Vergine brandisce pistoloni ed è coperta di tatuaggi. Giuro che mi sono piegata sulla sedia dalle risate. Pliiiiis!

Questo capolavoro si apre con una scena di cani che corrono nella neve e una scritta secondo cui, sotto Stalin, molte comunità delinquenti siberiane sarebbero state deportate in Transnistria. Ammiro l’accortezza di Lilin che, a questo giro, evita ogni riferimento agli anni ’30. Dopotutto negli anni ’30 la Transnistria era in Romania e Stalin non poteva deportarci nessuno.

Però, direte voi, Stalin deportava la gente in Siberia, non dalla Siberia. Magari è stata una di quelle decisioni da Casual Friday.

“Sai Berija, oggi ho voglia di fare qualcosa di diverso dal solito… Ma cosa? Ah… No, aspetta, ce l’ho! Invece di straportare gente in Siberia, posso straportare gente dalla Siberia! Haha, dai, ganzata!”

I siberiani in questione non vengono chiusi in gulag o campi di lavoro, no. Sono lasciati liberi e senza supervisione, perché alla fin fine Stalin non era così cattivo, era solo una pippa in PR.

La prima avventura di Kolyma è un trionfo di trash. Il piano è di sdraiarsi in mezzo alla strada di notte in inverno per costringere i camion russi e fermarsi e permettere agli amichetti di rubare tutto da dietro. Nel mondo reale il camionista sarebbe stanco, i freni ciofeca, i pneumatici mediocri e finirebbe subito in frittata di marmocchio. Nel mondo reale, peraltro, i teloni sarebbero chiusi e gli amichetti del marmocchio in questione resterebbero con un pugno di mosche e frattaglie in mano.

Ovviamente nel magico mondo di Lilin tutto va liscio.

Per il resto, l’infanzia di Kolyma è un rosario di scene a caso, una dietro l’altra, volte a mostrare che i siberiani ce l’hanno un sacco duro. Più che altro mostrano come i russi siano una manica di schizofrenici affetti da ADHD. Deporti un migliaio di delinquenti, ma poi non li sorvegli. Ti fai rubare un centinaio di stivali, e mandi gli swat. Gli swat sono sconfitti da una banda di zingari scappati dal 1938 (ma fanno le faccine!).

L’Armata Rossa contro i temibili Urca

La risposta delle autorità a questo atto di gravissima insubordinazione?

A Mosca, Yuri Andropov.

“Hanno aggredito i nostri soldati?- tuona –Ora li Cecoslovacchizzo a sangue!”

“Capo!- fa il suo segretario –Vi ricordo che oggi ricorre Soviet Casual Friday!”

“Diavolo, è vero. Hum. Non facciamo niente allora!”

“Molto casual, capo, molto”.

Poco dopo, durante una zuffa, l’amico ciliegia del protagonista, Gagarin, di anni 10, sgraffia la gamba di un soldato con un coltellino.

“Uno sgraffio da parte di un bambino…- a Mosca Andropov si acciglia –Mi prendi per il culo? Che bisogno c’era di venirmelo a raccontare?”

“Lasciami spiagere, capo!- fa Kryuchkov, capo del KGB –E’ di nuovo Soviet Casual Friday!”

“Ah, è vero! Bene, hum… direi che per il marmocchio possiamo fare 12 anni di lavori forzati.”

No, non sto scherzando. 12 anni di lavori forzati. Vabé.

Russi che giocano a pallavvolo con un mattone. Ha più senso di questo film.

Gli anni passano, Gagarin torna per trovare che il degrado regna al villaggio: spacciatori, bande rivali, ebrei, uno schifo insomma. (Di nuovo, non sto scherzando, due ebrei ortodossi coronano la sfilata del degrado).

Gagarin è cambiato. La prigione ha spezzato il suo cuore: ora non crede più in niente e non vuole più seguire le regole mentecatte degli hobbit sovietici!

E c’ha anche ragione.

Un bel giorno Kolyma si prende una coltellata e viene portato di fretta da un dottore. Il tipo è arrivato da poco e ha portato con sé la figlia Xenia, tanto carina quanto ritardata. Perché, se hai una figlia handicappata mentale, un pericoloso ghetto post-sovietico è il posto ideale dove occuparsene. E siccome il dottore è tanto protettivo, la lascia da sola nella stanza di Kolyma, noto delinquente figlio di boss mafioso locale. Che dire, padre dell’anno.

Kolyma e Xenia fanno amicizia e sviluppano un forte affetto l’uno per l’altra.

Vi dirò: questa è l’unica parte vagamente interessante del film e l’unica che si azzarda a trattare un argomento complesso. Puoi innamorarti di una persona affetta da grave handicap mentale? Può lei ricambiarti? E se succede, come devi reagire?

E’ l’unico momento in cui il protagonista si trova nell’impossibilità di risolvere il dilemma, ovvero l’unico momento di storia vera. Perché cos’è una storia, alla fine?

Una storia avviene quando X si trova davanti a un ostacolo che non può superare. X deve crescere, evolvere, acquisire strumenti che prima non aveva, o essere distrutto. Può trattarsi del vestito per la festa o della Seconda Guerra Mondiale, ma il punto è lo stesso: il personaggio deve trovarsi davanti qualcosa di insormontabile e pertanto essere obbligato a cambiare o fallire.

In tutto il film, Kolyma non ha mai davvero paura, non è mai davvero nei guai, non si trova mai in una situazione da cui non c’è apparente via d’uscita. Perché Kolyma è un duro così duro che niente lo scompone!

Peccato che in questo modo Kolyma non possa mai essere coraggioso né eroico, perché non è mai spinto fuori dalla sua zona di comfort. Non è mai costretto a superare i propri limiti perché è già uno tostissimo col cazzo durissimo. Non c’è coraggio senza paura, non c’è forza senza debolezza.

Purtroppo, quando per incidente Koyma si trova in una situazione che non sa gestire, è prontamente salvato dalla trama e non deve più giostrare con scelte difficili. Altre scene a caso vengono a seppellire e uccidere l’unico plot un minimo vitale della pellicola.

In una scena surreale, Kolyma, diventato tatuatore, deve “leggere” il corpo di un tizio assassinato. Perché i siberiani si scrivono la roba addosso coi disegnini. Kolyma legge e sbotta “questo tizio è un informatore della polizia!”.

Oibò, e se l’era scritto addosso? Peggior. Spia. Di sempre.

Il fratello e cugino del morto di cui sopra

In un’altra scena Kolyma viene arrestato e interrogato. Kolyma non risponde, né sbatte le palpebre quando lo sbirro gli avvicina la sigaretta all’occhio (ho già detto che ce l’ha duro durissimo?). Visto che la minaccia non funziona, il poliziotto passa all’azione e…

…sbatte Kolyma in una specie di campo vacanze a tema.

No, non scherzo. Niente botte, torture, pizzicotti. La “prigione” è un capannone con uomini, donne e bambini, dove i detenuti possono avere di che cucinare, strumenti musicali, oggetti contundenti…

E io che avevo sentito dir tanto del male delle carceri sovietiche. Invece no, ecco, erano solo un po’ vintage nel decoro!

Che poi non è che ci sia ‘sto gran cambiamento rispetto a fuori. L’intero film pare ambientato negli anni ’40, o ’50 al massimo, quando il grosso della vicenda dovrebbe svolgersi nel 1995. A tratti non mi sarei sorpresa di vedere lampioni a gas per le strade. In una scena i nostri si appostano accanto alla giostra dei calcinculo per poter ascoltare “musica occidentale”.

Nel 1995.

Non fate veder loro un mangiacassette, i loro cervelli sovietici potrebbero esplodere.

Salvatores, pliiiiiis

Questo film è una parodia, buono per occidentali senza rudimenti di storia. Ricorda tanto quelle giapponeserie kitch confezionate ad hoc con geishe e samurai, volte a soddisfare il gusto per l’esotico di orde di gaijin ignoranti e otaku immaturi.

Solo con più neve e Malkovich che fa le faccine.

Nel climax finale, Kolyma viene tirato fuori di galera perché hanno fatto del male a Xenia (chi avrebbe mai detto che lasciarla andare in giro con una banda di noti delinquenti l’avrebbe messa in pericolo!). Kolyma e soci devono scoprire chi è stato e punirlo!

Il caso viene risolto in 30 secondi in una maniera così cretina ma così cretina che non ve la racconto: dovete guardare questo film e soffrire come ho sofferto io!

Questo disastro cinematografico si conclude con la fine più anti-climatica della Storia del cinema.

“Perché hai zompato a Xenia?”

“Boh, sai com’è, rompo tutto ciò che tocco”.

Wow. Un po’ come gli indonesiani che definiscono un pogrom da due milioni di morti “incidente”.

L’ultima scena è pure sublime. Xenia è ridotta malissimo, ora come mai ha bisogno di sostegno, aiuto, cure, affetto. E Kolyma cosa fa? L’abbandona. Del tutto. No, sul serio, auto-stoppa un autobus per gli anni novanta e tanti saluti. Applausi.

Pare evidente che il personaggio di Gagarin è pensato come contraltare a quello di Kolyma: mentre il secondo segue le regolette degli hobbit e diventa un eroe, quell’altro ha avuto un’infanzia tragica e senza nonni senili che fanno faccine, e finisce in tragedia. Peccato che ogni tentativo di farci provare simpatia o tristezza si concluda in fallimento.

Sentite anche voi questi violini strazianti?

Questo film è brutto nei dettagli. In un’intervista Lilin spiega che i coltelli nel film sono stati fatti da dei coltellari sardi speciali che pregano sulle lame.

Ok, ma Kolyma ne tronca uno semplicemente piantandolo in terra e dando uno strattone. Cari sardi, la prossima volta più tempra e meno preghiere, per cortesia!

La scomoda amicizia tra Kolyma e Xenia è l’unica cosa interessante. E non perché mi piacciano le storie d’amore, ma perché è l’unica che Kolyma non sa come affrontare. Ma prima che Kolyma possa crescere, vincere o fallire, Lilin lo soccorre tirandolo fuori dall’azione e ficcandolo in un posto in cui niente di davvero terribile può succedergli. Quando alla fine Kolyma torna nell’arena, il conflitto che lo vessava ha cessato di essere. Guarda te le botte di culo.

Il cazzodurismo galoppante è condito con grandi frasi a effetto, tipo:

“Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare”.

Oh, non preoccuparti Rasputin, posso amare un sacco di cose!

“Alcuni uomini la vita se la godono, altri la tollerano. Ma noi siberiani, Kolima, noi la vita la combattiamo.”

Con tutto il rispetto, mi sembra una filosofia molto stupida. Mi sembra qualcosa che il ragazzino emo-edgy-anticonformista della IV ginnasio avrebbe potuto dire.

Questo film (e i suoi congeneri) è l’equivalente sotto steroidi della Pimpa.

La Pimpa non ha una vera storia, è solo un cane carino e buffo che fa cose carine e buffe per 20 minuti e poi basta. Ecco, qui è uguale. Ci sono uomini tosti e duri che fanno roba tosta e dura per 1h30 e poi basta. Niente arco di trasformazione, niente da imparare, niente da temere, una storia inutile come la lista del bucato.

In conclusione

Malkovich che fa le faccine
La sceneggiatura
Gli hobbit siberiani
Le icone sacre con scarabocchi e pistole
L’ambientazione anacronistica
L’assenza di un conflitto apprezzabile
Cazzodurismo de noartri
L’accento russo
Le frasi a effetto
Il finale

 

Potrei andare avanti per ore con tutta la roba sbagliata, con tutte le scene cretine, ma non finirei più!

Insomma, questo film è in sé un capolavoro. E’ uno di quei film che vanno visti più volte, perché è impossibile assorbire tutte le bischerate in una visione sola! Vi consiglio però di vederlo in compagnia e con dell’alcol forte a portata, perché certe scene sono semplicemente troppo assurde per subirle da sobri e da soli!

Consigliatissimo per tutti gli amanti di becero trash!

Per chi invece volesse guardarsi un film passabile ambientato nella Russia sovietica, guardatevi Child 44. Ha mille problemi, tra cui un inutile accento russo, una trama che manca di focus, e cento buone occasioni sprecate, ma è sempre diecimila volte meglio di Educazione Siberiana. E non è autobiografico, yay!

MUSICA!

Vita da campo: Coudekerque-Branche 2015

-Oy.- qualcuno mi scuote -Sono le otto, sorgi e brilla.

Apro un occhio. Ho un freddo cane, umido fin nelle ossa e ho dormito solo tre ore. Sarà una bella giornata. Metto il naso fuori dalla tenda. Il parco di Coudekerque. Poche anime sono intorno alle buche del fuoco a ravvivare le braci.

Quest’anno ci hanno piazzati in un posto diverso dal solito. In quest’estate di merda non ho potuto partecipare a nessun raid, sicché Coudekerque 2014 è l’ultimo campo che ho fatto. Mi dà una strana sensazione, è come se non fosse passato un anno, è come se fossero passate solo poche settimane.

Mi vesto ed emergo. L’aria è pungente, ma il cielo è sgombro. Durante un campo. Non succede praticamente mai. Deve essere un segno. Buono o cattivo non lo so, ma di certo un segno.

Mi siedo sulla panca insieme agli altri. Pane e formaggio per colazione, e un canestro colmo di pani al cioccolato. No, non è storicamente accurato. Noi almeno ne siamo coscienti, a differenza di quei ritardati di History Channel. Il trucco sta nel far sparire gli anacronismi prima dell’arrivo della gente.

-Che orari abbiamo oggi?

Bothvar poggia un foglio sul tavolo, lo liscia con la manona.

-Nove e mezza, sfilata.

-E la lizza?

-Niente lizza.

Aggrotto le sopracciglia. Per una volta che arrivo a un campo in qualcosa di vagamente simile a “buona forma fisica”, ci tolgono la lizza? Sono venuta per farmi rovinare di botte, non per giocare al soldatino di piombo.

-Ci meniamo qui al campo e facciamo divulgazione storica.

Sarà interessante. La gente è sempre curiosa, e almeno avremo l’occasione di spiegare che no, Vikings non è accurato e che no, non esistono asci vichinghe bipenni.

-Non ho sentito cannoni stamani.- riempio il corno d’acqua -I Cechi del diciassettesimo non hanno portato l’artiglieria?

-I Cechi non sono venuti.

Cade il silenzio sulla tavola. Il disappunto è palpabile. I Cechi sono l’anima del campo, coi loro moschetti, la loro energia e la loro inesauribile riserva alcolica. Non è un vero Coudekerque senza di loro!

-I fondi per le Giornate del Patrimonio sono stati tagliati.- il capo ripiega il programma -Siamo tutti a un terzo degli effettivi.

Devo aspettare la sfilata per rendermene conto. Noi siamo numerosi, ma siamo gli unici. Franchi e Spartani mancano, come anche i Cosacchi e i moschettieri di Gustavo Adolfo. I Romani ci sono, ma i loro ausiliari galli sono la metà dell’anno scorso, e i napoleonici sono un terzo di quelli che c’erano nel 2014. A parte noi e il settore medievale, gli unici che si sono presentati in forze sono i tizi del ’39-’40, con un dispiego di veicoli ancora più massiccio che gli anni scorsi. Questa situazione mi rattrista un po’.

Ci mettiamo in marcia. Insieme a noi camminano altri vichinghi dell’associazione Les Temps Anciens. Sono una simpatica banda di gente gagliarda e hanno una ragazza combattente. E’ la prima che incontro in Francia da quando ho cominciato, almeno nella mia epoca. La sua arma d’elezione è una lancia. Accanto a me cammina una nuova recluta, l’Affrancato. E’ il suo secondo campo, e il suo elmo normanno è ancora liscio e lucido senza nemmeno un’ammaccatura.

Fanciulle combattenti! (Foto di Michel Langrenez)

La città è deserta, perché nessuno si alza alle nove di sabato mattina. Qualcuno si affaccia quando lo svegliamo a suon di chiasso. Dietro di me camminano una banda di allegri compagni del XIV°, muniti di corni. Dopo i primi dieci minuti di marcia e squilli mi dico che prima o poi finiranno il fiato. Dopo venti minuti mi chiedo se sia vietato scatenare una rissa multiepoca durante la sfilata. Dopo quaranta minuti sono sorda e ho raggiunto l’atarassia.

La sfilata si snoda attraverso lavori in corso e strade semideserte. E’ più lunga dell’anno scorso, ma io non mi scompongo: ho fatto i miei esercizi ‘stavolta, l’armatura non mi pesa! Per lo meno, non per i primi tre quarti d’ora, poi la scoliosi mi riacchiappa. L’unica persona che ama il free-fight vichingo più di me è la mia osteopata.

Dopo aver attraversato parcheggi e cantieri ritorniamo senza fretta verso il punto di partenza. Davanti alla fattoria del parco ci schieriamo tutti in buon ordine. Vedo che gli alleati sono numerosi, e anche i soldatini della Wehrmacht. Accanto a loro, quelli della prima guerra mondiale, con le loro belle divise azzurre e un pugno di gente col pantalone zuavo rosso vivo. Pensare che davvero li mandavano in trincea vestiti così è buffo e tragico allo stesso tempo.

E proprio mentre mi sto trastullando con tristi pensieri (le mie vertebre bidone, l’assenza dei Cechi, l’Inutile Strage), un raggio di gioia fa capolino tra le nuvole: il sindaco non c’è! E’ a protestare per il taglio di fondi alla Giornata, il che vuol dire niente discorso, il che vuol dire birra. Rapida, dissetante birra!

Yay, sfilata finita, dov’è la mia birra? (Foto di Michel Langrenez)

Il “bicchiere dell’amicizia” è uno spettacolo da vedere. Una via di mezzo tra un crocevia della Storia e un bar di assetati. Mi pigio nella calca di gente di tutte le epoche. Alcuni dei miei compagni si sono accalappiati un tavolo e stanno parlando di fashion.

-Hai visto il fodero della sua spada? E’ una riproduzione fedelissima, roba di classe!

-Ah, ma gli stivali nuovi del Tale? Voglio in nome dell’artigiano, sono magnifici e anche stagni.

-Pensavo di farmi una tenuta da guardia variaga.

I variaghi, maledetti i servi di Bisanzio! Tutti vogliono essere Rus o variaghi, solo perché avevano vestiti fighi da morire e bellissime armi. Civette. Che ne è della sana e brutale sobrietà occidentale?

Che poi io non dovrei parlare, la mia armatura è chiaramente un modello orientale d’importazione.

I campi multiepoca sono in assoluto i migliori e i più ricchi in sense of wonder (Foto di Michel Langrenez)

Forse è il campo a essere più piccolo, ma quest’anno la partecipazione del pubblico pare intensa. Ritagliamo una lizza con pioli e corda e facciamo un po’ di dimostrazioni, a coppie o a squadre. Lo spallaccio destro della mia armatura si è staccato dopo che i lacci di cuoio hanno ceduto, ma non me ne preoccupo,. Nessuno sta cercando davvero di uccidermi, alla fine. Anche perché combattiamo in stile occidentale, ovvero niente colpi sugli avambracci o sotto i ginocchi, e niente brutalità gratuita. Che per come la vedo io è un po’ come andare dal vinaio per bere succo di frutta, ma pazienza.

Cominciamo con un giro di duelli. Quest’anno me la cavo meglio dell’anno scorso. Sono più forte e non ho lo stomaco in guazzabuglio. Sarà che a parte qualche sorso di palinka non ho bevuto praticamente niente, o che il mio stress è arrivato al punto massimo ed ha sconfinato nel “eh, fanculo”. Stringo lo scudo, carico. Sono più bassa e più sega ella stragrande maggioranza dei miei avversari, se non accorcio la distanza e non prendo l’iniziativa il gioco finisce subito.

Il capo all’opera, sulla destra. Combattere contro di lui è un po’ come farsi martellare in terra a mo’ di piolo (Foto di Marine Marcinow)

L’unico vero problema è che la mia armatura è troppo buona. Non mi accorgo per niente quando qualcuno mi colpisce. Il tipo deve dirmelo, o urlarmelo, perché puoi tarmi un colpo d’accetta nella pancia e non ci fare minimamente caso. Sull’elmo li sento di più, non fosse che per il fatto che ti par d’essere il batacchio di una campana di Notre Dame, ma funziona solo in duello. In gruppo tutti martellano sulla capoccia di tutti. Se tu prendessi una batteria di pentole, la schiaffassi in un bidone di metallo e la buttassi giù per le scale, avresti meno casino. C’è poi anche il fatto che quando c’è chiasso il centralinista nel mio cervello sfancula tutto e archivia ogni input sotto “rumore di fondo”.

Uno dei miei avversari è un tizio della compagnia vicina, quelli dei Tempi Antichi. Ha uno scudo che fa il doppio del mio, un tondo che lo copre dalle ginocchia al mento. E io non posso scalzargli le rotule. Potrei picchiarlo sulla capoccia, ma fa due spanne più di me. Checcazzo, odio le regole occidentali.

Mi ritrovo davanti a Einar. Prendo l’ascia danese questa volta. Lui ha scudo e spada. Colpisco in alto, per agganciare lo scudo. Lui deflette, attacca. Paro indietreggiando. Einar carica, ma si protegge male, vedo la sua pancia coperta di maglia. Gli punto l’ascia contro lo stomaco e lo spingo indietro con tutta la forza che ho, gli assesto un colpo sul fianco, un altro sull’elmo. A questo giro ho vinto io, e quasi non ci credo. Non avrei dovuto colpire in affondo, è pericoloso, è stato un riflesso. Einar non se ne lamenta, è uno sportivo.

Al secondo giro ha vinto Einar. (Foto di Marine Marcinow)

Dopo i duelli ci mettiamo in formazione. Tre scudi davanti e tre armi d’asta dietro. Io mollo lo scudo e la spada per un’ascia danese. E’ così leggera che mi sembra di avere per le mani un balocco di gomma. E’ troppo leggera, non mi piace.

Questo genere di scambi vanno alla svelta. Non ci sono abituata e ho difficoltà a coordinarmi coi miei compagni. Picchio l’ascia sullo scudo di un avversario, oltre la spalla di un compare. Aggancio il bordo, tiro. La mia ascia s’impiglia nella cinghia dello scudo. Il tipo tira, ed è più pesante di me. Cerco di liberare la lama ma di colpo sono sola. La mia squadra è tutta a terra. Oibò. Mi fanno fuori in pochi secondi.

Si riprova. A questo giro sono colpita da una pertica che fa ufficio di lancia nella nostra compagnia. Il tipo me lo deve urlare, perché con questa ferraglia addosso non sento niente.

Riformiamo, riproviamo, ma la schiena sta cominciando a darmi davvero tanta noia. Decido di lasciar perdere dopo altri 2-3 scambi. Mi sembra di avere dei chiodi nelle vertebre, la spalla sinistra mi brucia. Forse non dovrei fare questo sport, ma allo stesso tempo che ci guadagno a star riguardata? Non si guarisce dalla scoliosi, finirò vecchia gobba in ogni caso, tanto vale essere una vecchia gobba con dei bei ricordi da raccontare all’ospizio delle Mummie Indigenti.

Non siamo solo rudi predoni: le nostre ragazze sono abili artigiane e bravissime gioielliere. (Foto di Marine Marcinow)

Il campo è piccolo e chi è venuto sembra più in vena di calma e chiacchiere che di giochi e zuffe come l’anno scorso. C’è qualcosa di malinconico in tutto ciò, ma sono felice di essere venuta.

Il settore ’39-’40 è il più grande. I loro veicoli invadono la piana, dalle jeep ai cingolati ai camion. Un gruppo di napoleonici balocca con una mitragliatrice montata su un fuoristrada. Un soldato della Wehrmacht rivestito un’armatura della Prima Guerra Mondiale. I suoi ufficiali hanno intravisto un tizio del XIII° in lamellare e gli hanno ordinato di difendere l’onore del XIX° secolo. Ha un coperchio di marmitta per scudo e una pala per arma. Aspetto speranzosa in attesa della singolar tenzone, ma il tizio del XIII° si allontana senza accettare la sfida. Peccato.

Uno dei gioiellini in mostra. (Foto di Michel Langrenez)

Torno sui miei passi. C’è uno strano attruppamento intorno alle nostre tende. Accelero il passo. Pompieri e paramedici. Sono in mezzo alla lizza, chini su qualcosa o qualcuno. Ahia, brutto segno. Abbiamo ripetuto l’exploit di due anni fa? Ai tempi Einar fermò una dane axe con il pugno e si aprì la mano dalla nocca giù tra le ossa per 3-4 centimetri.

Quando mi accosto vedo le gambe di qualcuno steso a terra, poi il suo gambézon. E’ il gambézon dell’Affrancato. All’ospedale al suo secondo campo, che fortuna!

Mi avvicino. Il Cerusico è con loro, l’Affrancato si tiene una compressa sull’occhio sinistro. Merda.

-Cos’è successo?

Ygritte è lì accanto.

-Un colpo di lancia.- dice, scura in volto -La mia lancia.

Incidente classico. Lei lo ha colpito sullo scudo. Lui ha parato male e piegato il polso. La punta è scivolata sul legno dritta nella sua faccia. Per sua fortuna la lancia non è appuntita e Ygritte ha avuto la prontezza di deviare: alla fine il ferro non ha colpito il bulbo, ma il lato dell’orbita.

Abbiamo avuto un’incidente del genere anni fa, durante un duello. Il tizio con il long sax è scivolato e ha mulinato le braccia d’istinto. La punta del coltellaccio ha centrato l’occhiale dell’elmo di un compagno. Il Cerusico lo ha caricato su una jeep del ’45 e sono sbarcati all’ospedale vestiti da vichinghi. Una bella scena: un gigante con la faccia gonfia e un danese che apre il discorso con “mia stia a sentire, SONO UN MEDICO”.

Anche in quel caso siamo stati fortunati, il compare se l’è cavata con un terribile occhio nero.

-Quanti danni?- chiedo.

-Niente danni.- il pompiere alza appena la testa -L’occhio c’è ancora, è andata bene.

-Due anni fa abbiamo avuto una mano tranciata in due.

-E l’anno scorso una bambina si è aperta le mani con un opinel.

Aggrotto le sopracciglia.

-Eri qui l’anno scorso?

Il tizio sogghigna.

-Oh no, vi conosciamo per fama.

Gli hanno raccontato anche del naso aperto l’anno scorso. A quanto pare quando li briffano sottolineano “e poi ci sono questi tizi della compagnia Mykrfrl… Myrikrfrfrrr… Quelli col capo che sembra Sandor Clegane e con il corvo sulla bandiera, quelli! Tienili d’occhio”.

Quest’anno però non siamo noi, aha!

L’ambulanza arriva, i paramedici aiutano il ferito a rimettersi in piedi.

-Occhio a dove metti i piedi.- gli dice il suo capo.

-Riguardati.- fa un’altra.

-E’ stato un incidente.- rincara un terzo -Dovresti chiudere un occhio.

L’Affrancato non risponde.

-Su con la vita!- gli urlano dietro -Sarai guarito in un batter d’occhio!

Che cari. Con amici così, chi ha bisogno di nemici?

La notte scende sul campo. A tavola discutiamo di spese e equipaggiamento quando dall’altra parte della strada, nell’altra metà del campo, qualcuno inizia a sparare. E continua a sparare. Che combinano?

Attraverso la strada che taglia il campo. I lampioni sono spenti nel viale dall’altra parte. Nel buio distinguo delle sagome nascoste dietro gli alberi. Alcune hanno i pennacchi di napoleone, altre no, le si distingue appena.

Uno scoppio e una lingua di fuoco. Uscivano dalla canna di un moschetto. Un’altra fiammata risponde tra gli alberi, insieme al triste chink di chi è obbligato ad avere armi neutralizzate. Un’altra salva di fucilate tanto forti che le orecchie mi fischiano. Cavolo, deve essere deprimente avere canne piene di piombo quando i tuoi avversari possono sparare a salve. Io forse mi risolverei a fare BUM con la bocca piuttosto che sentire lo scattare del cane e nient’altro.

Una salva arriva da sinistra.

-Che fate!- urla una voce nel buio -Siamo dei vostri!

-Ops.

Fuoco amico! Ti ammazza lo stesso, ma con molta contrizione.

I botti continuano. La polvere da sparo è divertente. Ho sempre avuto un malsano debole per il fuoco e le esplosioni. A volte penso che mi piacerebbe praticare un periodo storico dove si spara. Poi mi ricordo che spesso queste compagnie non si picchiano in corpo a corpo. Se non posso arrivare a tiro di cazzotto non è divertente.

Botti e fumicaggine! (Foto di Michel Langrenez)

Intorno a un falò, altri soldati dell’Imperatore bevono insieme a gente del Secondo Impero. Molti sono facce conosciute. C’è anche il compagno Slivovitz. Non è il suo vero nome, ma non ricordo come si chiama. Ha vinto il soprannome durante una rievocazione di Austerlitz. A quanto pare della gente aveva portato della slivovitz, e il giorno dopo lui ha avuto qualche problema con il drill.

Artiglieria! Ho già detto che i campi multiepoca sono i migliori? (Foto di Michel Langrenez)

-E il sergente mi urlava Ma stai fermo!”.- racconta -E io lì che dicevo, ma sei te che giri, sergente, giri giri giri…

Insomma, è stato un campo molto tranquillo, niente assalto al campo degli Alleati, niente mirabolante impresa. Sono anche rimasta sobria per la totalità del tempo, che non mi succedeva da quando avevo 14 anni.

Un po’ mi dispiace, un po’ mi dico che andava bene così. Dopo tutte le mazzate nei denti degli ultimi mesi, un po’ di bonaccia mi ha anche fatto bene.

Peraltro ho scoperto che lo spallaccio alla fine è utile, anche se non stanno cercando di ucciderti per davvero. Sono tornata a casa con un livido così grosso che per due settimane non sono riuscita a dormire sul fianco. La prossima volta porterò dei lacci di ricambio!

Continuo a non capire com’è che la rievocazione non sia più popolare. Ma hey, ognuno ha diritto di sciupare la sua esistenza come meglio crede.

MUSICA!

Ringrazio un sacco Michel Langrenez e Marine Marcinow, che mi hanno lasciato usare le loro fotografie. Sono splendide!