BlackAdder, la commedia dei secoli

Era il 1979, quando due studenti di Oxford fecero conoscenza. Si trattava di Rowan Atkinson (che stava studiando ingegneria, no less) e Richard Curtis. I due cominciarono a collaborare mettendo insieme reviews di commedie.

Quando decisero di passare dal commento all’azione, si trovarono davanti a un problema: Fawlty Towers. Questa serie faceva furore in quegli anni, e rappresenta tutt’ora un esempio ammirevole di commedia inglese. Qualsiasi altra serie umoristica non poteva non essere paragonata a Fawlty Towrs, Curtis e Atkinson lo sapevano, e il confronto sarebbe stato spietato. Come disse Curtis, Fawlty Towers era semplicemente “troppo perfetto”.

Decisero quindi di aggirare il Cariddi girando una serie di ambientazione storica, così diversa da non evocare nessun confronto.

Nel 1983 nasce The Black Adder la Vipera Nera.

Curtis spiega che il nome è una gomitata a Hollywood, che in quel periodo riteneva assolutamente necessario ficcare BLACK o RED su ogni drammone storico sfornato.

La serie attacca con la guerra tra Riccardo III e Enrico VII, spiegando che tutta la faccenda della battaglia di Bosoworth (vinta da Enrico) non è che una vile menzogna. Riccardo vinse la battaglia, ma…

E la storia comincia!

Rowan Atkinson recita il protagonista, Edmund, secondo figlio del non-molto-storico re Riccardo IV d’Inghilterra, sul finire del ‘400. Atkinson usa tutte le smorfie, la voce nasale e le gesticolazioni esagerate di Mr. Bean, che a me non dicono un granché ma che al resto del mondo sembrano piacere così tanto (go figure). Edmund è un personaggio untuoso, vile e senza talento, pieno di invidia e ambizione.

E’ affiancato nelle sue maldestre macchinazioni da un servo scaltro (interpretato dell’eccellente Tony Robinson), Baldrick, e da un compare mentecatto, Percy (recitato da Tim McInnerny).

Nella migliore tradizione inglese, il resto dei personaggi è costituito da vari mostri umani, di solito accomunati dall’assenza di qualsivoglia intelligenza e dal fatto che praticamente ognuno di loro è, a modo suo, una persona riprovevole.

Se c’è qualcosa che gli inglesi ci insegnano, è che ci sono 101 maniere differenti per essere un essere orribile.

La prima serie di Black Adder è una serie ambiziosa. Costumi, grandi riprese, numerosi set e scene esterne, trucchi… Tutto molto caro e tutto non all’altezza della spesa.

Intendiamoci,questa serie ha pregi innegabili, e non è in nessun modo un brutto prodotto. Ma nonostante tutto, non decolla. Alla fine è una specie di Mr. Bean nel passato.

Una delle cose buone è senz’altro la sceneggiatura, molto spassosa.

Una menzione di merito va anche al padre di Edmund, il mai esistito re Richard the IV, un pazzoide sanguinario, tanto scatenato quanto crudele. Brian Blessed è uno spettacolo!

Un assaggio, lo scambio tra Edmund e lo spettro di Riccardo.

La sceneggiatura

 

Re Riccardo!

 

Certe gag sono un po’ banalotte o maldestre

 

Molta ambizione nella realizzazione..

 

… ma alla fine è Mr. Bean nel passato

 

Serie caruccia, ma niente di trascendentale.

La storia di BlackAdder però non è finita. Dopo la prima serie, al team creativo si aggiunse Ben Elton, altro comico televisivo, che decide di dare una drastica ripettinata alla faccenda: quello che alla serie manca è focus! Basta cavalli, basta grandi scene, basta lunghe riprese! Ben e Curtis impacchettano una nuova proposta alla BBC, una serie comica con meno sets, più presenza degli attori, metà prezzo per il doppio delle gags!

Nel 1986, nasce Blackadder II, ambientata sotto il regno di Elisabetta I. E diavolo, stavolta decolla!

Bob?

Ritroviamo Blackadder, che non è più principe ma un cortigiano, e non è più un impedito gesticolante ma un uomo astuto (che non vuol dire intelligente), tagliente e sarcastico. Un uomo senza scrupoli e senza morale, alla mercé di una regina capricciosa, infantile e completamente psicotica (recitata dalla bravissima Miranda Richardson).

Tornano anche Percy, l’amico idiota, e Baldrick, che in questo secolo ha perso la lotteria genetica e ricompare come completo ritardato mentale. Per quanto entrambi siano due side-kick stupidi, entrambi i personaggi vengono sviluppati in questa serie.

Percy è qualcuno che hai giusto voglia di prendere a calci per la pena che fa. E’ un imbecille senza talento, che adora Blackadder con ottuso ardore. Farebbe (fa!) qualsiasi cosa per aiutarlo, proteggerlo, compiacerlo, senza ottenere mai un’oncia di stima o gratitudine in cambio.

Baldrick è ancora più stupido, ma animato da una lealtà incrollabile. E’ peraltro forse l’unico personaggio, insieme a Percy, a non essere un essere spregevole, un infame o uno psicopatico pericoloso.

Un altro personaggio si aggiunge alla banda, il Ciambellano Melchett, interpretato dall’ottimo Stephen Fry, un sicofante che la regina tiene presso di sé come si tiene un canarino: le piace sentirlo cantare, ma può sempre decidere di tirargli il collo quando si stufa.

Un assaggio, che spero non vi sconwenga!

La sceneggiatura

 

I costumi

 

Gli attori

 

I nuovi caratteri dei personaggi

 

I nuovi personaggi

 

L’ultima puntata

 

Blackadder II non ha difetti, è uno spasso, guardatelo!

La serie ebbe un tale successo, che la seguente, Blackadder the Third, uscì subito l’anno dopo!

Seguendo le leggi Pessime e Regressive delle umane sorti, Blackadder ritrona sulla scena dopo essere ancora sceso nella scala sociale. Il personaggio è lo stesso come carattere e antipatia, ma a questo giro si trova incastrato come maggiordomo del Principe del Galles, erede del re matto Giorgio III (1738-1820).

Il personaggio del principe fu progettato seguendo l’idea “che tipo di persona sarebbe Percy se gli togliessimo quel pochissimo che ha di cervello?”. Aggiungete Hugh Laurie nei panni del ritardato, e avete uno dei personaggi più divertenti della serie. La stupidità disarmante del principe fa il paio con l’astuzia del suo maggiordomo.

Baldrick ritorna, e Stephen Fry, stavolta nei panni di nientemeno che il Duca di Wellington.

Questa serie rispetta molto più la storia della prima, la sfrutta invece di tenerla come mera scusa per filmare cavalli e gente in armature bislacche. E il risultato è ottimo.

C’è anche posto per il romanticismo, tipo quando il principe decide di corteggiare la ricchissima dolcissima Amy. Wof wof!

La sceneggiatura

 

Le gag storiche

 

Hugh Laurie nei panni del principe

 

La puntata del dizionario è bellissima e un capolavoro di per sé!

 

I francesi. Ah!

 

Blackadder the Third è oro. Guardatela!

Questa terza serie piacque tantissimo agli inglesi, al punto che la BBC chiese al team di girare uno speciale per Natale. Sai che hai sfondato quando ti chiedono di fare uno speciale di Natale. Pervertire senza vergogna il classico A Christmas Carol non ha prezzo!

La via per il successo di Blackadder non era però finita. Il gruppo decise di cimentarsi di nuovo, questa volta andando alla radice stessa della commedia: la miseria umana e la sofferenza gratuita.

Blackadder goes Forth si ambienta nel 1917, nelle trincee inglesi.

Per quanto non mi piacciano i discorsi dei preti, la Prima Guerra Mondiale fu una vera e propria “inutile strage”. Abbiamo fatto di peggio, è vero, ma resta uno dei momenti più bui della nostra storia. Il team comico sapeva di maneggiare materiale delicato, ed era determinato a farlo con rispetto e umorismo.

Blackadder è un capitano, affiancato dal Lieutenant George (Hugh Laurie) e il soldato semplice Baldrick.

Rispetto alle serie precedenti, il carattere di Blackadder è rispulizzito, certi tratti attenuati. Resta un egoista sarcastico e poco lungimirante, ma perde la malignità dei suoi antenati. Blackadder è un personaggio con cui è più facile riconoscersi. E’ un vigliacco e un paraculo, ma allo stesso tempo la situazione in cui si trova non ha senso.

Baldrick è l’uomo semplice, il tommy che viene preso a calci da tutti e la cui vita non vale niente. Ma per la prima volta alza la voce. Schiacciato sotto un sistema che lo opprime, Baldrick sogna la rivoluzione russa e la liberazione degli underdogs come lui.

Il mio personaggio preferito della serie è in assoluto Lieutenant George. George è un idiota che si berrebbe qualsiasi cosa servita dalla propaganda. Non ha la minima idea dei rischi che corre, nemmeno quando si trova nel bel mezzo della no man’s land, ma arde di patriottismo e buona volontà. Il suo “mindless optimism” è esilarante e tragico allo stesso tempo.

Melchett ricompare nei panni del generale, un despota completamente pazzo. E’ il simbolo stesso della follia della guerra. E’ potente e aggressivo, o, per usare le parole di Hugh Laurie in n’intervista, un avvinazzato fascista abbaiante. Non toccate i suoi piccioni, o le conseguenze potrebbero essere gravissime.

Percy torna sulla scena come Captain Darling, un uomo dannato dal nome più ingrato del secolo, cosciente del fatto di essere solo un piccolo burocrate vigliacco, consumato da amarezza e frustrazione ma troppo spaventato per cambiare qualcosa.

Un target molto particolare si rivelò entusiasta per questa nuova caratterizzazione di Baldrick: l’esercito britannico. Baldrick è diventato una specie di favorito assoluto di molti soldati e ufficiali. La serie in generale pare aver spopolato tra i militari. Espressioni come “cunning plan” o “wibble-wobble” sono entrate a far parte del gergo, costruzioni e luoghi vengono soprannominati coi nomi dei personaggi, e pare che una metà dele capre mascotte del Royal Regiment of Wales si chiamino Baldrick.

Questa serie offre spunti di alta poesia (come The german gun) e il finale più bello che un film sulla Prima Guerra Mondiale potesse avere. E’ triste, è tragico, è commovente, è crudele… E’ spettacolare.

La sceneggiatura

 

Gli attori

 

Ogni storia di ogni episodio!

 

20 minuters

 

Lieutenant George!

 

Il finale

 

Blackadder goes Forth è la serie più bella e divertente che abbia mai visto. E’ divertente, è tragica, è rispettosa e cinica. Da guardare assolutamente.

BTW, ho scritto questo articolo così chi bazzica capirà a cosa mi riferisco, d’ora in avanti, con Tally-ho!, cunning plansod off o READYAIMFIRE!.

MUSICA!

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Riferimenti
The Black Adder

Blackadder II

Blackadder the Third

Blackadder goes Forth

Blackadder – The whole rotten saga

The Colour of Magic

Come saprete, il 12 di questo mese è venuto a mancare Terry Pratchett. Vi direte che la sto menando. Pace. Se mai uno scrittore ha meritato onori postumi, quello è Pratchett.

Non è ancora detta l’ultima parola però! Alcuni fan hanno lanciato una petizione su Change-org indirizzata al Sg. Morte in persona, perché ci renda il nostro autore preferito. La petizione è online da poco più di 24 ore, si aggira già sulle 20.000 firme.

Inutile, dite voi?

Le probabilità che funzioni sono una su un milione, quindi non si può sbagliare. E chi non coglie la citazione è incoraggiato a leggere la bellissima trilogia della Guardia, nella fattispecie Guards! Guards!.

Suvvia, Sg. Morte, sia ragionevole!

Oggi però non voglio parlare delle guardie.

Oggi voglio parlare del primo grande capitolo.

Era un natale di tanti anni fa quando mi regalarono Il colore della magia. Avevo già avuto Pratchett tra le mani con la traduzione francese di The Carpet People, ovvero Le peuple du tapis, e non lo avevo finito. Avevo una dozzina d’anni e leggere il francese mi stancava.

Il colore della magia mi spalancò un mondo. Era un mazzo rilegato di puro sense of wonder. Trasudava inventiva, fantasia e umorismo. Ho sempre avuto un debole per lo humour inglese, e Pratchett sta alla narrativa come i Monty Python stanno alla televisione.

Dopo una venticinquina di libri, mi dico che Te Colour of Magic non è il migliore dei romanzi del Disco. Ma è il primo, ed è un ottimo libro.

Libro che è stato adattato a film nel 2008!

Il lungometraggio The Colour of Magic è un film per televisione, diretto da Vadim Jean, che nel 2006 aveva diretto un altro adattamento da un romanzo di Pratchett, Hogfather.

La storia si apre con una dotta discussione tra astrozoologi. Hanno assodato ormai che il mondo è un disco piatto posato su quattro elefanti a loro volta posati su una titanica testuggine siderale, la grande Atuin. Il problema ora è stabilire il sesso di Atuin. Notate che tra gli astrozoologi presi in questa discussione compare anche Pratchett in persona!

Ci spostiamo ad Ankh-Morpork, la più grande e antica città del Mondo Disco, in cui il mago Rincewind (Scuotivento in italiano) viene cacciato a pedate dall’Università Invisibile, l’accademia di magia. Dopo 40 lunghi anni il nostro non è riuscito nemmeno a completare il primo ciclo di studi. Parli di un fuoricorso!

Scacciato dall’unico posto che conosce, Rincewind contempla perfino il suicidio, non fosse che qualcuno di nuovo arriva in città.

E’ un ometto occhialuto con un camicia a fiori che se ne va in giro con un baule. Tale baule ha due caratteristiche straordinarie: è pieno di monete d’oro da scoppiare ed è costruito col legno di Pero Sapiente. Eh già, il baule non solo trotterella dietro al suo padrone con un numero imprecisato di piedini, ma è senziente, e non ha un bel carattere.

Lo straniero, Twoflower, viene dal Continente Contrappeso, una terra lontanissima che mantiene in equilibrio il Disco. Una terra dove l’oro è un metallo molto corrente. Twoflower non lo a, ma ognuna delle sue monete, poca roba per lui, valgono l’iradiddio ad Ankh-Morpork.

E quello è il primo problema.

Twoflower è un piccolo impiegato che ha deciso di investire i risparmi di una vita quieta e laboriosa in un viaggio memorabile di scoperta e avventura. Il suo ottimismo, il suo buon cuore e la sua curiosità senza limiti sono eguagliati solo da un candore che rasenta la dabbenaggine.

Rincewind si offre di far da guida allo sprovveduto straniero, ma ha chiaramente sottovalutato l’impatto devastante che può avere il Primo Turista nella storia di Ankh-Morpork!.

I pasticci cominciano subito e subito si gonfiano in guai, disastri, catastrofi, fino a tirare in ballo la struttura stessa del Mondo Disco!

“Non voglio questa tabaccheria, è graffiata.” (cit. da un’altra banda di comici albionesi, chi indovina?)

Non voglio dirvene di più. Il film è fedele al romanzo, e anche se vaste sezioni sono tagliate, l’adattamento è fatto con cura e dedizione. Durante la proiezione, si sente un sincero amore per il soggetto e una cura nel fare del proprio meglio.

La regia è buona, le musiche calzano a pennello, e la recitazione è ottima.

Rincewind è interpretato da David Jason, che riesce a rendere alla perfezione il carattere tragicomico del mago.

La tragi-commedia è un sine qua non umorismo inglese 8non solo, ma è di quello inglese che stiamo parlando). Come spiega Stephen Fry, in Animal house Belushi sfascia la chitarra di un tizio. L’eroe comico americano è Belushi, l’eroe comico inglese è il tizio a cui sfasciano la chitarra. E’ un cantante mediocre che canta cazzate e che viene calpestato senza ritegno. Il fiore della commedia inglese è costruita sulla miseria umana: la sfortuna, l’avidità, la vigliaccheria, la tristezza…

La scena in cui Rincewind deve riconsegnare il cappello è magistrale. E’ buffa, ed è ridicola. Stiamo sempre parlando di uomini panzuti vestiti di rosso con cappelli a punta decorati da paillettes. E uno di loro è Tim Curry! Ma David Jason riesce a trasmettere un vero senso di abbandono e rabbia. Senza perdere il quadro ridicolo, la tragedia di un uomo che sta perdendo in un attimo la sua casa, il suo posto nella società e il suo ruolo nella vita sono pur sempre lì. E fanno ridere.

Twoflower è interpretato da Sean Astin. Oh sì, Twoflower è Samvise Gamgee! Per certi versi i due personaggi si somigliano: entrambi sono uomini non troppo svegli, ma non stupidi, con una visione innocente del mondo e un carattere gentile, sono entrambi pieni di buona volontà. Rispetto a Sam, Twoflower è una bomba di energia. Adora il suo viaggio, adora scoprire posti nuovi ed è aperto a qualsiasi meraviglia (sia essa un paesaggio, una rissa o la fine del mondo!).

Mentre Rincewind e il turista precipitano da una disavventura all’altra, un giovane mago promettente sta facendo una rapida carriera nell’Università. Ho adorato questa parte perché è un’ottima parodia del mondo universitario reale. Ricordo una conversazione avuta col mio Direttore di Ricerca, che mi spiegava che se volevo diventare professoressa dovevo aspettare che uno degli anziani andasse in pensione.

-O che gli succeda qualcosa.- ha aggiunto, guardandomi negli occhi. Ovviamente, era proprio quello che io stavo pensando.

Oltre che essere una satira deliziosa, questa parte ha un altro merito: il rampante antagonista è interpretato da Tim Curry, ed è uno spasso!

Anche Jeremy Irons, compare, nel ruolo di Patrizio. Calca un po’ troppo l’accento a parer mio, ma se c’è mai stato un uomo che aveva il fisico e lo stile del Patrizio, quello è Jeremy Irons. E’ incredibile come lo stesso attore possa essere Vetinari in un bel film e Profion lo Stregone YATHAHTAHTAHTAH in una cagata abissale come Dungeons & Dragons.

Infine, una menzione a Morte, che ha poca parte (come nel romanzo) ma che è doppiato da Christopher Lee. Yup, Saruman è Morte.

YOU DON’T REALLY BELIEVE IN DRAGONS…

Con questa cinquina, il film si aggiudica, a mio modesto parere, una standing ovation per il miglior cast di sempre. Non era umanamente possibile scegliere attori più adatti alla parte!

L’unico neo è Karen David, nel ruolo della Signora dei Draghi Liessa. Non è all’altezza degli altri attori, e si vede. Mentre tutti riescono a rendere alla perfezione i loro personaggi, lei scade nel cliché Figona in Cuoio. Per certi versi è voluto, ma resta banale.

Per quanto riguarda l’adattamento più in generale, ha qualche magagna. Certe cose sono inconsistenti (tipo, perché l’Incantesimo si attiva mentre Rincewind precipita sulle pietre, e non quando, poco dopo, precipita sull’oceano?), altre sono spiegate nel libro ma lasciate nel dubbio nel film.

La Computer Grafica è a tratti ok, a tratti troppo a buon mercato. Per contro, costumi e ambientazioni sono ottimi.

Riassumiamo:

 

La storia

 

Il cast: Irons fa Vetinari, Curry fa il cattivo, Sam Gamgee è un turista nel Mondo Disco e Morte è recitato da Saruman!

 

La musica

 

Certi tagli lasciano un po’ di confusione

 

La computer grafica è un po’ triste in certi passaggi

 

La sceneggiatura

 

Le scenografie

 

E’ un film sul Mondo Disco!

 

La seconda parte della storia, The light fantasti, è altrettanto divertente della prima. La grande Atuin (che ora sappiamo essere femmina!) sta filando dritta verso una stella. L’unico modo per salvare il mondo è recitare le 8 incantazioni del più potente libro dell’Università Invisibile, l’Octavo, il giorno del solstizio.

L’Octavo in catene. No, la trovata dei libri magici con la museruola non l’ha inventata la Rowling

E’ quindi una corsa contro il tempo tra Rincewind e quel pescecane di Trymon, corroborata da comprimari indimenticabili come l’eccellente Cohen il Barbaro, che da “become a legend in his own lifetime” con gli anni è diventato “a lifetime in my own legend“.

In più, in questa puntata possiamo finalmente vedere la magione della Morte, e non c’è mai abbastanza Morte in una storia di Pratchett!

Cohen il Barbaro e Bethan

 

Tutto quello che c’era di buono nella puntata precedente

 

Qualche inconsistenza (perché Trymon non stecchisce subito Twoflower?)

 

AshkEnte!

 

Come nel primo, certe cose si perdono nell’adattamento, il che può rendere alcuni passaggi poco chiari.

 

La schiusa delle uova cosmiche

 

Il finale

 

Oooook!

 

Insomma, straconsigliati entrambi! Non saranno un capolavoro assoluto e Pratchett ha scritto libri migliori (quando farete un colossal su Carota? Eddai!), ma sono molto divertenti, recitati bene e fantasiosi. I libri sono altrettanto consigliati.

La spada somiglia a quella di Nihal. Peccato che questo sia un romanzo comico.

Buona visione!

MUSICA!

P.S. Andate a firmare la petizione o vengo a scapocciarvi la faccia di persona. O, per citare l’avvo-rospo dei Nac Mac Feegle, Vis-ne faciem capite repleta? (Vuoi una faccia piena di testa?)

Noli timere messorem

Oggi è morto Terry Pratchett.

Pratchett è stato uno dei migliori e più prolifici scrittori dei nostri anni. Ho letto più di una venticinquina dei suoi libri, e non ho mai trovato una trama ripetitiva o un messaggio cacciato in gola a martellate o un personaggio mal costruito. Non tutti i suoi romanzi erano della stessa qualità, ma il peggiore che abbia mai scritto era divertente, i migliori sono perle di genialità.

Pratchett ha scritto una quarantina di romanzi sul Mondo Disco, più storie brevi, saggi, racconti… Era una fonte inesauribile di umorismo e fantasia, e adesso il mondo è un po’ meno interessante.

So che c’era da aspettarselo (era malato da tanto tempo), ma per il momento non riesco ad agguantare davvero l’idea che non scriverà più. Lo so che non scriverà più, ma non ci credo ancora. Quest’uomo è riuscito a farmi ridere e divertirmi mentre ero inchiodata a letto con ustioni di secondo grado su tutto il corpo. Mi ha strappato un sorriso durante il lutto per il mio migliore amico. Avrei voluto che fosse immortale per poter raccontare storie all’infinito.

Anche la sua clessidra è finita. Mi sembra che con lui siano morti tutti i personaggi che ho amato così tanto. Carota, Scuotivento, Cohen il Barbaro, il Professor Ridcully… anche MORTE, uno dei personaggi migliori di sempre.
Per celebrarlo, eccovi una storia breve di sua mano. E’ bella, è divertente, è tipicamente Pratchett: Death and What Comes Next.

Se non avete mai letto nulla di lui, fatelo. Un libro a caso, sono tutti carini o belli o bellissimi, sono tutti divertenti o geniali, sono tutti fantasiosi. Molti sono tradotti in italiano, ma consiglio la lettura in inglese: rendere fino in fondo lo stile e l’umorismo di Pratchett è impossibile.
Per chi non lo conosce, consiglio:

The colour of Magic, il primo libro della saga del Mondo Disco.

Mort, la storia dell’assistente di MORTE.

Pyramids, una storia di Assassini, Dei, piramidi e paradossi geometrici. Uno dei suoi romanzi migliori a parer mio.

La Trilogia delle Guardie Cittadine: Guards! Guards!Men at armsFeet of clay. Sono tre dei romanzi più belli che abbia mai letto.

Moving Pictures, con 1000 elefanti!

 

Musica.

 

Genpei 1.1: Yoritomo

Bentornati in questa landa di sconforto e recriminazioni. Si torna a parlare di storia giapponese e di pestaggi medievali. Cheers.

La mia vita in questi ultimi giorni

Per chi si fosse perso le puntate precedenti… si vada a leggere gli articoli (qui, qui, qui).

Riassumendo, la Corte è controllata in questo stadio da Taira no Kiyomori, un guerriero, il primo militare a prendere il potere in secoli. L’ascesa era stata lunga e sanguinosa, e per quanto il clan Taira potesse vantare ricchezza, alleanze e potere, la loro autorità non è accettata da tutti.

In particolare non era accettata dalla nobiltà civile, scalzata dalla punta della piramide. A nessuno piace ruzzolar giù lungo il cateto, specie se da tre secoli la gente ti mantiene per comporre poesie, scrivere romanzi e scopare a destra e a sinistra.

Oh, e mantenere l’equilibrio divino tra Cielo e Terra o qualcosa del genere, anche.

Il Principe Mochihito è uno degli scontenti, tanto da decidere di scrivere un bel proclama contro la dittatura Taira, sostenuto in questo da un loro ex-alleato, Minamoto no Yorimasa.

Pessima idea.

Kiyomori avav schiacciato la ridicola rivolta in meno di niente. A scanso di rischi, aveva impacchettato il Primo Imperatore Ritirato Goshirakawa e il Nuovo Imperatore Ritirato (o, a dire invero, l’Imperatore Abdicato) Takakura e li aveva allucchettati accolti come onorati ospiti nella sua piazzaforte di Fukuhara.

Quanto all’Imperatore in carica, si tratta di Antoku, l’Imperatore bambino, figlio di Takakura e di una delle ragazze Taira. In altre parole, Kiyomori non solo tiene in pugno le cariche più alte dello Stato, ma è il nonno del Figlio del Cielo.

La fregatura però era nell’aria. Orribili presagi si susseguono. Nello Heike monogatari si racconta:

Un bel mattino, allora che il Religioso Ministro [Kiyomori] aveva lasciato la sua alcova, aperto la porta e gettato uno sguardo nel giardino, lo aveva trovato pieno di teste di morto. che cozzavano e urtavano l’una contro l’altra, quelle che erano sui bordi rotolavano verso il centro e facevano, picchiando tra loro, un fracasso formidabile. Allora il Religioso Ministro chiamò:

“C’è nessuno?  C’è nessuno?”

Ma nessuno venne. La moltitudine di crani si agglomerò in un solo blocco che occupava l’intero giardino, come una montagna di 14 o 15 tese d’altezza. E su questa testa enorme mille e diecimila occhi si schiusero come occhi di uomini vivi che fissavano il Religioso Ministro senza sbattere le palpebre.

E’ ovviamente un artificio letterario, ma come l’incubo di un paranoico non è male, no?

Ad ogni modo, i Taira hanno la Capitale in tasca. Tutto molto bello, non fosse per un piccolo dettaglio: nella sua ascesa al potere Kiyomori ha fatto tre piccoli sbagli sbagli. Questi sbagli hanno dei nomi: Yoshitsune, Noriyori e Yoritomo.

Nella sua ascesa, Kiyomori aveva avuto cura di sterminare i suoi nemici sconfitti (con particolare riguardo per il ramo principale dei Minamoto), ma non aveva finito il lavoro.

Pessima idea. Mai risparmiare i bambini.

Yoritomo aveva dodici o tredici anni quando suo padre e i suoi fratelli erano stati uccisi, Yoshitsune succhiava ancora le tette di sua madre.

Privato del proprio rango, dei propri beni e del proprio futuro, Yoritomo era stato impacchettato e spedito nella provincia di Izu, nell’Est, sotto la responsabilità di tale Hōjō Tokimasa.

Gli Hōjō sono un ramo del clan Taira. Non deve sorprendere il fatto che ci fossero stati dei matrimoni tra loro e i Minamoto: ricordo che questi sono praticamente tutti parenti tra di loro alla vicina o alla lontana (è il bello delle guerre civili, stai sempre tradendo il sacro legame che hai con qualcuno, quale che sia il campo che scegli).

Si tratta una famiglia di mezza tacca, rannicchiata nella provincia di Izu, con un’influenza molo relativa. Raccattano qualche briciola all’ombra delle altre famiglione guerriere del Bandō, gente importante come i Miura o i Chiba.

Il Giappone. Izu è la seconda penisola meridionale a partire da destra.

Tokimasa non è nemmeno il capo ufficiale degli Hōjō! Il suo soprannome, Shirō, fa supporre che fosse il quarto figlio. Ergo un cadetto di una famiglia di mezza tacca condannata alla mediocrità.

E poi arriva Yoritomo. E’ l’erede del ramo principale dei Minamoto, il fiore dell’aristocrazia guerriera, discendenti da nientemento che l’Imperatore Seiwa (o così pare, ma della diatriba sull’ascendenza dei Seiwa-Genji parleremo un’altra volta!). Tutto quello che gli resta è il prestigio, e il prestigio è tutto quello di cui Tokimasa ha bisogno, almeno all’inizio.

Tokimasa ha una figlia, Masako. La bambina ha dieci anni meno di Yoritomo, ma tanto il ragazzo può aspettare. Dopotutto non ha molte altre opzioni se non tenere profilo basso e aspettare che i Taira si dimentichino di lui. Yoritomo cresce, Masako cresce, si sposano.

Masako è una delle donne più notevoli che il Giappone abbia annoverato e da sola potrebbe rappresentare l’incarnazione stessa del guerriero: nessuna pietà per se stessa o per il prossimo, nessuna esitazione, nessuna crudeltà superflua, e una purezza d’intenti da far sanguinare un Impero.

Gli anni passano, Yoritomo si adatta a Izu. A vegliare su di lui, Tokimasa e Hiki no Ama, la sua balia. Questa donna non appare praticamente mai di persona intenta a fare qualcosa, ma i suoi ventordicimila parenti saranno molto attivi nella protezione di Yoritomo. Mentre leggevo il saggio di Uesugi, Hiki no Ama mi appariva meno come una donna e più come una specie di sciame composito di uomini pronti a intervenire non appena il suo pupillo era in pericolo. Vero che le balie hanno giocato un ruolo molto importante nella storia politica giapponese (come le madri), ma Hiki no Ama è speciale.

Anche con l’aiuto di Madama Ama e di Tokimasa, Yoritomo non può comunque far molto a parte allargare la sua rete di conoscenze e possibili alleati. Dopotutto è il figlio di un traditore, deve essere grato a Kiyomori per avere ancora una testa sul collo, non può vendicarsi. Nel 1180 Yoritomo ha la trentina, una moglie capace, una cerchia di fedeli, sostenitori affidabili e pieni di risorse, ma gli manca la cosa decisiva indispensabile alla rivalsa. Yoritomo non ha legittimità.

La legittimità è una faccenda seria, e lo era in particolar modo in Giappone. Come ogni fenomeno sociale, la guerra ha una forte dimensione psicologica. Per vincere, bisogna combattere una guerra giusta.

Ma cosa significa “guerra giusta”?

C’è chi ci si è alambiccato per secoli, tipo i cristiani, che a ogni botta dovevano trovare complicati cavilli per conciliare “spacca il culo a chi ti intralcia” con “porgi l’altra guancia”. In Cina la faccenda era più semplice: chi ha il favore del Cielo vincerà, se ti va bene vuol dire che il Cielo è dalla tua. In altre parole, per i cinesi “chi vince ha ragione”.

Per i giapponesi la sola guerra giusta era la guerra legale, ovvero quella ordinata dall’Imperatore. In altre parole, il più forte ha ragione fino al punto in cui non fa incazzare troppo gli aristocratici. Col passare dei secoli e la crescente distanza tra la Capitale e la Provincia, questo si ridusse a cose molto pragmatiche: finché i convogli di tasse arrivavano e che i guerrieri non bruciavano troppi campi in rappresaglia, la Corte era molto tollerante. Come dice Friday, la reazione più comune alla notizia “OSSANTIDEI C’E’ UNA FAIDA DA 2342354 MORTI” era “boys will be boys“.

Far imbizzarrire a cattivo la Corte era rischioso: se venivi dichiarato ufficialmente un “ribelle” (qualcuno che ha commesso “tradimento verso lo Stato”, muhon), ogni tutela legale o sociale nei confronti tuoi e dei tuoi uomini svaniva. Non solo chiunque aveva diritto di saltarti alla gola, ma ne aveva il dovere.

Questo potere, che la Corte usava con cautela, si chiama detenere la legittimità. Come faceva una classe di gente tanto erudita quanto inutile a possedere una leva del genere? Gli storici non hanno ancora trovato una spiegazione soddisfacente. Nel mondo normale avrebbero dovuto sfasciarsi in dodici ore, in Giappone sono durati secoli.

La mia personale interpretazione è che i guerrieri avevano bisogno di una scusa per non scatenare una guerra civile senza fine. Nessuno aveva il fiato di vincere, ma tutti avrebbero dovuto combattere. Era un meccanismo di sopravvivenza accettare una chiave di volta.

In più, gli alti dignitari e la Casa Imperiale detenevano un’aura sacrale non indifferente. Un Imperatore poteva essere strapazzato, preso ostaggio, costretto ad abdicare o esiliato, ma non si ammazza un imperatore in carica. Non si può!

Sarà Masako a sferrare il fendente definitivo alla santità dei cortigiani, ma non siamo ancora a quel punto, e tutto sommato è un’altra storia.

Nella sua base in Izu, Yoritomo riceve la lettera di un Principe Imperiale il quarto mese del quarto anno dell’era Jishō (1180).

Dopo anni passati a “Cucire, ricamar, far la calzetta” (cit. oh dai, davvero non ci sono melomani in sala? Suvvia, gente!), dicevo, dopo anni si apre finalmente una possibilità: un Principe Imperiale gli ha appena mandato la tanto agognata legittimità, nero su bianco.

Con quella in mano, Yoritomo può azionare le sue leve politiche. Dopotutto i Minamoto avevano un sacco di tentacoli nella zona: Tametomo, zio di Yoritomo, era stato spedito in Izu in esilio (avendo cura di slogargli ambo le spalle prima. Ouch). In Sagami si trovavano altri due partigiani di Yoritomo, uno dei quali figlio di un Miura. Il tutto senza contare la famiglia acquisita di Madama Ama in Musashi.

Nel 1180 Yoritomo si trova preso tra due fuochi: un un lato la prudenza (il potere Minamoto è ridotto a un’ombra di quel che era), dall’altro l’azione. La scelta non è facile. Tra gli uomini che più lo pressano per scatenare una guerra c’è un frate: Mongaku.

Mongaku, perfettamente catturato dall’arte di Toyohara Kunichika

Mongaku era stato da giovane un guerriero della famigli Watanabe di Settsu. Si era rasato la capoccia quando aveva capito che uccidere con la spada è da fighette: uccidere con lo sfrangiamento di testicoli è molto più hard-core. Si era prontamente messo a stalkerare l’Imperatore Ritirato Goshirakawa e a macinargli le gonadi per fargli ricostruire il tempio di Jingo. Esasperato, Goshirakawa lo aveva esiliato in Izu, sperando di esserselo tolto dai piedi per sempre. Aha.

Non avendo più il vecchio Goshirakawa sottomano, Mongaku aveva raccattato un teschio ed era andato dritto da Yoritomo. Vent’anni prima, quando il giovane Minamoto non aveva ancora ammazzato nessuno e Mongaku aveva ancora i capelli, i due avevano lavorato per la stessa dama, quindi è probabile che si conoscessero. Secondo me no, altrimenti Yoritomo non avrebbe mai aperto l’uscio a questo conclamato rompiscatole.

-Questo è il teschio di tuo padre!- bercia Mongaku, che fosse la verità o meno era del tutto ininfluente -E’ invendicato per colpa tua! Che uomo sei? Non hai le palle? Dove le hai? Posso macinartele?

Yoritomo lo avrebbe fatto esiliare, ma sculo per lui, erano già in Izu tutti e due.

Dopo ore e ore di sminuzzamento, pressioni, ricatti morali e prosaico calcolo delle probabilità, Yoritomo decide: cari signori, si torna in guerra! Hooray!

Ma si sa che il timing è importante. Ricordiamo che a questo punto a Izu ancora non si avevano notizie precise su che fine avesse fatto Mochihito. Yoritomo inizia a raccattare tutti i suoi minions of Hell, quando l’ennesimo parente di Madama Ama, una talpa che lavorava al Governo, arriva di corsa dalla Capitale con le sottane in mano.

-E’ successo un casino, il Principe è stato dichiarato Traditore, e con lui tutti i suoi alleati. Raccatta tutto e scappa, i Taira vogliono appizzare teste su picche!

-Anche la mia di teste? Non ho ancora fatto niente!

Non sarebbe la prima volta che qualcuno finisce scapitozzato perché “meglio prevenire che curare”, ma per fortuna di Yori questa volta si tratta di allarmismo. E’ vero che gli Heike hanno un set di bellissime lance che non aspettano altro che delle capocce fresche, ma una volta tanto i nemici non ce l’hanno con lui. Per sua fortuna, lui e la sua banda di merry good fellows contano ancora quanto il due di coppe quando regna bastoni. Il pezzo grosso del clan Minamoto non è lui, ma un tale di nome Aritsuna, la cui grande colpa era quella di essere nipote di Yorimasa (primo alleato e collaboratore del Principe ribelle). E’ lui che si trova costretto a scappare a gambe levate, mentre a Yoritomo resta abbastanza spazio di manovra.

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Il 24 del sesto mese del 1180, Yoritomo si decide: ha 33 anni, è ora di farsi una carriera, e quale inizio migliore che un bagno di sangue!

Tre giorni dopo, Miura Yoshizumi e Chiba Taneyori sono di ritorno nel Bandō dopo aver prestato servizio alla Capitale. Yoritomo gli propone di unirsi alla compagnia, sempre che non abbiano nulla di meglio da fare.

-Niente di particolare a dire il vero.- ammette Taneyori.

-Ci stavamo giusto chiedendo cosa fare per ammazzare il tempo durante le ferie.

Gli alleati arrivano alla spicciolata. Alcuni sono uomini dei Taira, in caccia di qualcosa di meglio dalla vita o di una rivalsa contro dei superiori arroganti. Altri sono esiliati o piccoli funzionari caduti in disgrazia come Yoritomo. Altri, dopo aver servito i Taira obtorto collo, sono tornati a onorare i patti molto più antichi che li legano ai Minamoto.

Il primo miniboss che Yoritomo si trova ad affrontare si chiama Yamaki Kanetaka. E’ un vassallo dei Taira ed è sostituto-governatore in Izu (il vero governatore, come di costume, non aveva voluto muovere il culo dalla Capitale). Kanetaka è un uomo potente, ha prestigio, ed ha alleati pericolosi, come tale Tōtōmi Nobutō.

E’ l’ottavo mese, l’inizio dell’autunno, i funzionari provinciali e i loro uomini celebrano il raccolto e rendono grazie. Anche la gente di Kanetaka festeggerà. Preghiere al santuario provinciale, e poi bevute, danze, gioco d’azzardo, nella migliore delle tradizioni! E’ il momento ideale per attaccare.

-Dovremmo inaugurare tutto il 19.- propone qualcuno -Porta fortuna, il 19.

-La festa è il 17.- osserva Yoritomo.

-Il 17 porta sfiga.

-Ci muoveremo il 17.

-Poi non dire che non te l’avevo detto.

Il 17, Tokimasa, suo figlio e una quarantina di energumeni sbarcano a casa di Kanetaka con un bel cesto regalo pieno di legnate nei denti.

Nel frattempo i Sasaki, alleati di Yoritomo, arrivano a casa di Tōtōmi Nobutō per fare di quella festa la più indimenticabile (e ultima) della sua vita.

Yoritomo ha deciso infatti di attaccare le due chele del granchio: sia Nobutō che Kanetaka sono sorpresi con le braghe in mano.

I pochi uomini di Kanetaka incassano l’attacco e tengono duro, menano come fabbri, strappano teste, sfilettano membra. Da qualche parte qualcosa inizia a bruciare. Nel fumo e nel sangue, il suolo sussulta all’arrivo di altri cavalli. Uno sprazzo di speranza illumina la gente di Kanetaka. Deve essere Nobutō alla riscossa!

Sono i Sasaki: Nobutō è morto, la sua casa brucia. I valorosi vassalli di Kanetaka vengono spicinati dal numero, il loro capo finisce freddato e la sua testa viene portata da Yoritomo.

-Magnifico!- esulta lui -Chi è l’imbecille che ha detto che il 17 portava sfiga?

-Io resto della mia opinione…- mormora qualcuno.

Due giorni dopo Yori spedisce la sua adorata Masako al sicuro, e si sposta nella provincia di Sagami. Le bande che hanno risposto al suo appello vengono da Izu, Sagami e Suruga. Ci si aggiunge una pletora di monaci, letterati e altra gente. Questo è il nocciolo su cui sarà costruito il regime di Kamakura.

In Sagami si trovano degli alleati di prima importanza per Yoritomo: i Miura.

I Miura sono una famiglia dei Kanmu-Taira, stabiliti su quello che oggi è il dipartimento di Kanagawa e che allora era il distretto di Miura nella provincia di Sagami. Nonostante la parentela, durante la guerra di Gosannen (1083-1087) avevano servito il capo Minamoto no Yoshiie, e da allora avevano mantenuto una relazione di vassallaggio col clan.

I Miura sono in competizione con un’altra famiglia, gli Ōba, e gli Ōba tengono per i Taira.

Yoritomo è l’occasione sognata per regolare un po’ di conti e il 22 e 23 Miura Yoshizumi è già al lavoro con sui nipote e la sua banda, intento a bruciare la base di Ōba Kagechika, di là dal fiume Sakawa (oggi Maruko), in Sagami.

Mentre il massacro si scatena però, la pioggia aumenta, il fiume gonfia, e Yoshizumi si trova tagliato via da Yoritomo.

Sulle pendici del monte Ishibashi, Yori contempla con ragionevole orrore la valanga d’acqua e fango che trancia in due il territorio. Alle sue spalle qualcuno bofonchia:

-Lo sapevo che a cominciar di 17 ci tiravamo lo sculo.

-Capo!- un piantone arriva trafelato -C’è della gente alla porta!

-Chi può essere a quest’ora?

-Dice di chiamarsi Ōba Kagechika.- risponde il piantone -Farnetica qualcosa sul rifarsi un tetto con la tua pelle.

Yoritomo sbianca.

-Oh merda.

-Capo, c’è della gente alla porta del retro!- fa un secondo piantone.

-E questi chi sono?

-Dice di essere Itō Sukechika di Izu, che lo conosci. Sai chi è?

Yoritomo lo conosce bene.

Sukechika è un vassallo Taira. Un bel giorno era tornato dal suo servizio alla Capitale per trovare sua figlia con un bimbetto in braccio e la frase “posso spiegare” in bocca. Il bambino era di Yoritomo. Ora, gli aristocratici non facevano nessuna attenzione alla filiazione partilineare: il marito riconosceva i pargoli, che fossero biologicamente suoi o meno era ininfluente. I guerrieri erano un altro paio di maniche. Per i guerrieri il sangue è sangue.

I Taira non avevano preso bene questo lieto evento. Per calmare i suoi capi, Sukechika aveva dovuto sposare la figlia al primo fesso che passava e sgozzare il marmocchio. Da allora aveva fatto incidere “Yoritomo” su tutte le punte delle sue frecce.

La banda di Itō annovera almeno 300 cavalieri secondo Uesugi, di cui una dozzina almeno di guerrieri affermati. In più, può contare su numerosi rinforzi, avendo Itō autorità sui vassalli Taira di Sagami. Dall’altro lato, anche Ōba Kagechika ha 300 cavalieri.

Quanto a Yoritomo, l’intera sua banda conta si e no 300 uomini secondo Uesugi. Ci sarebbero i 500 dei Miura, che però sono incastrati a bestemmiare dall’altra parte del fiume.

-Uno comincia di 17.- borbotta qualcuno -E poi si sorprende…

-E’ tardi per pentirsi.

Il pestaggio che segue è sanguinoso e crudele. Gli uomini di Yoritomo combattono con ardore, ma gli altri sono troppi. I vassalli Minamoto finiscono in carne di salsicce. Con una sortita disperata, Yoritono e alcuni dei suoi riescono a sfondare e fuggire, con Itō alle calcagna che gli mangia la groppa.

Il 24, per puro miracolo, Yoritomo riesce a seminare il mancato suocero e riparare sul monte Sugi (a sud di Ishibashi) con una cinquantina di compagni.

Nel frattempo i Miura hanno fiutato la puzza di paiolo e stanno ripiegando. Un vassallo Taira cerca di mettersi di traverso nella baia di Kamakura Yuhi. Il 24, mentre Yoritomo è ancora accaldato dall’epico fugone, i Miura smontano l’incauto nemico a suon di mazzate e rientrano alla base a coda ritta. Dopotutto parliamo dei guerrieri del 1180, perdere fa schifo ma l’importante stringi stringi è fare il più danni possibile.

Yoritomo e Masako

Come inizio della grande rivolta del Bandou non promette molto, ma Roma non è stata fatta in un giorno e la Rivoluzione può prendere del tempo. Che gli piaccia o no, Yoritomo non può più tornare indietro: ha attaccato dei funzionari provinciali, ma ammazzato il governatore di Izu. I Taira sanno ormai che è in grado di far danni, non lo lasceranno mai in pace.

Yoritomo è preparato. Non sarà un granché come picchiaduro, ma è un buon politico, e sa che chi non rischia nulla non vince nulla. Ha perso una battaglia, ma ancora la propria vita e il proprio stato maggiore. Con la protezione di Hachiman, può ancora rifarsi.

Nella prossima puntata, uno dei fatti di guerra più ridicoli della Storia: la “battaglia” del fiume Fuji.

E’ tutto per oggi.

MUSICA!

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Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

BIBLIOGRAFIA

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

HERAIL Francine, Histoire du Japon, POF, Paris, 1986

SIEFFERT René, Le dit des Heiké, POF, Paris, 1993

UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō