Genpei 2.2: più dell’onore poté il digiuno

E’ ora di riprendere dopo lungo oblio la nostra saga sulla sanguinosa Guerra di Genpei, il lungo conflitto che mise fine al potere dell’aristocrazia civile e portò alla nascita del Bakufu di Kamakura, il «Governo della Tenda», noto in occidente come «shogunato».

Rapido riassunto: uno scazzo dinastico degenera in lotta armata nel 1180 e catalizza conflitti e ostilità latenti che si scatenano uno dopo l’altro effetto-domino fino a scatenarsi in un tripudio di sangue e merda generalizzato.

Siamo agli inizi del 1183, la guerra dura da tre anni, la carestia infuria, il paese è roso da rivolte e faide. Kyūshū è in fiamme, e perfino lo Shikoku, il Molise del Giappone, è un vespaio.

Tre contendenti emergono dalla bolgia di sberle e legnate nei denti:

  • I Taira, sotto la guida del nuovo capo Munemori (il patriarca Kiyomori è morto da poco), padroni della Capitale e padroni del traffico marittimo. Nella loro base di Rokuhara, sono ufficialmente il clan più potente del Paese e controllano l’Imperatore.
  • Minamoto Yoritomo, basato in Sagami, erede del ramo principale del clan e alla testa di una vasta coalizione di bande della piana del Bandō. Tra costoro spiccano gli Hōjō, i Miura, i Sasaki, i Chiba, i Takeda di Kai.
  • Minamoto Yoshinaka, il più giovane del mazzo, abile tattico la cui base principale è in Shinano ma che si trova ormai comodamente installato nel governo provinciale di Echigo, a sua volta a capo di una sostanziosa coalizione di bande dell’Hokuriku. Per ora, Yoshinaka non ha ancora perso una battaglia (a differenza di Yoritomo, che salvo un colpo di culo formidabile, sta prendendo un fracco di legnate).

Considerato lo stato disastroso del paese, Yoritomo tenta di trovare un compromesso coi Taira. E’ una buona proposta, e tutti ne convengono. Ma Munemori ha daddy issues e rifiuta per principio. Ciliegina sulla torta, la missione Taira di «pacificazione» (termine tecnico giapponese per indicare brutale repressione di ogni qualsivoglia dissenso), inviata in Hokuriku per stanare Yoshinaka, fallisce miseramente.

E qui ci ritroviamo. In un paese incendiato da siccità, carestia e odio.

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I tre centri di potere: Heian per i Taira, Kamakura per Yoritomo, la capitale provinciale di Echigo per Yoshinaka

I Taira sono cinti dal casino: Kyūshū, Shikoku, e ora anche i monaci di Kumano, nel Kii, rilanciano la rivolta. Questi ultimi ce l’hanno coi Taira per via della distruzione dei templi di Nara.

Alla fine del nono mese dell’anno precedente, i rivoltosi di Kumano avevano occupato Shishigaseyama e dichiarato il loro aperto supporto a Yoritomo.

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In rosso, nel centro, la provincia dove si trova la Capitale, tenuta dai Taira;
Contrornate in arancione, le provincie toccate da disordini e rivolte;

In verde barrato nel nord, il territorio controllato da Kiso Yoshinaka;
In aranciano barrato nell’est, il territorio controllato (più o meno bene) da Minamoto Yoritomo

Tra i sostenitori di Yoritomo in Kumano spicca un certo Tanabe Tanzō. Il suo nome non è nuovo nelle fonti: in molti sospettano che sia lui il delatore che ha avvertito i Taira della lettera del Principe Mochihito, all’origine della guerra. Questo dato non è confermato in tutte le fonti, quindi prendetelo con le molle.

Quello che sappiamo con relativa sicurezza è che è nato nel 1130 e che a questo punto riveste una funzione importante nell’amministrazione monacale di Kumano. Suo padre si chiamava Tankai, ma il Sonpi bunmyaku suggerisce che Tanzō fosse in realtà un figlio naturale di nientemeno che Minamoto no Tameyoshi (il nonno di Yoritomo, e ve lo dico perché questa faccenda è peggio di Beautiful e mi diverte incasinarvi le idee).

Tanzō è legato ai Taira e si occupa della marina militare nella provincia di Kii. Come altri in Kumano, il rogo dei templi di Nara è un momento di rottura critico, e Tanzō si ribella.

Questo tradimento gli viene perdonato, ma la frattura è insanabile: nel nono mese, Tanzō raggiunge Yoritomo e diventa de facto il nuovo ammiraglio dei Minamoto. Di certo i ribelli si rendono conto che, se vogliono sconfiggere i Taira, clan padrone del mare, hanno bisogno di una flotta un minimo decente.

Nel frattempo anche Yoshinaka sta consolidando la propria posizione, espandendo la sua sfera di influenza fino in Ecchū.

Munemori si ritrova quindi con rivolte ad ovest e due poteri ostili che dall’Est strisciano con lentezza inesorabile verso la provincia di Yamashiro e la Capitale Fiorita. Si può consolare con l’ida che Yoshinaka e Yoritomo si odiano, e hanno altrettanta probabilità di attaccare i Taira che di sbranarsi tra loro.

Minamoto no Yoshinaka (il tizio più in alto), attorniato da altri tostissimi guerrieri, dal pennello di Utagawa Kuniyoshi (1848)

Il 1182 e 1183 sono contraddistinti da lavori politici più che fati d’arme: la carestia infuria e senza cibo e foraggio gli eserciti non vanno da nessuna parte.

Secondo Kamo no Chōmei (1155-1216), nulla cresce per due anni. Vi riporto il brano in intero per dare un’idea dell’orrore che regnava in Giappone in questo periodo.

Alcuni disertarono le loro terre e se ne andarono in altre provincie, e altri lasciarono le loro case e si accamparono sulle colline. Vari tipi di preghiere furono recitate, ma le cose non migliorarono. E poiché la gente della Capitale dipendeva in tutto dalle terre d’attorno, quando nessun contadino veniva più con il cibo, come potevano costoro continuare la loro solita esistenza? Anche se gli abitanti portavano i loro beni sulla via e supplicavano la gente di comprarli come mendicanti senza vergogna, nessuno li degnava di uno sguardo, e se mai c’era qualcuno disposto a barattare il denaro era tenuto a poco, ma non c’era modo di convincerli a separarsi dai cereali. Gli accattoni riempivano le strade e il loro clamore era assordante.

Così il primo anno passò, e fu già difficile da vivere, sperammo in un miglioramento in quello seguente, ma fu peggio, dacché si scatenò una pestilenza, e le preghiere della gente non servirono a nulla. Man mano che i giorni passavano, gli abitanti si sentivano come pesci quando l’acqua gocciola via, e cittadini rispettabili che di solito indossavano cappelli e scarpe ora andavano scalzi a mendicare casa per casa. E mentre guardavi sconvolto tali scene, costoro si accasciavano e morivano sulla strada. E contro i muri e lungo le vie potevi vedere ovunque i corpi di coloro che erano morti di fame. E non c’era nessuno per portarli via, un fetore terribile colmava le strade, e la gente passava distogliendo lo sguardo. Le strade normali erano già in terribile stato, ma nei bassifondi presso il fiume non c’era nemmeno spazio per far passare carri o cavalli.

I manovali poveri e taglialegna e gente così, quando non poterono più tagliare legna da ardere e nessuno li aiutava, presero a distruggere le loro capanne e a portarne i pezzi in città per venderli. E ciò che un uomo poteva trasportare non era abbastanza da procurargli il cibo per sopravvivere un giorno.

Ed era sconvolgente vedere frammenti con lacca rossa o foglia d’oro e d’argento ancora attaccati spuntare in questi mucchi di legna. E questo è perché quelli che non potevano procurarsi nient’altro facevano irruzione nei templi di montagna e rubavano immagini e utensili e li facevano a pezzi per venderli come legna da ardere. Squallidi e degenerati sono i tempi in cui si compiono simili azioni.

Un’altra cosa molto triste era che coloro che avevano figli che amavano molto invariabilmente morivano prima di loro, perché si privavano di tutto per dare ai loro figli e figlie ciò di cui avevano bisogno. E così i figli sopravvivevano sempre ai genitori. E c’erano infanti che continuavano a succhiare il seno della madre, non capendo che era già morta.

Testimonianze come questa sono ciò che a mio parere restituisce alla Storia lo spessore e la nitidezza che il tempo tende a offuscare. Spesso quando studiamo eventi remoti, i protagonisti appaiono impersonali, personaggi di un racconto più che non persone in carne ed ossa.

Testimonianze come questa riportano a galla l’umanità delle persone. Oggi come allora, i genitori amano i figli. Oggi come allora, quando una situazione terribile si protrae, legami e strutture si sfaldano, e gente che aveva famiglia, vita, lavoro, si trova sola, per la strada, a crepare in solitudine. Oggi come allora, catastrofi climatiche possono privare qualcuno di tutto, e non c’è niente che puoi fare se non pregare dei che non ascoltano e cercare di sopravvivere un giorno in più, perché magari domani pioverà, magari domani arriveranno dei viveri, magari domani sarà diverso.

Gaki, spettri dominati da una fama atroce e insaziabile. Le loro pance sono dilatate come quelle dei morituri, le loro bocche sono sproporzionatamente grandi, ma il loro collo è troppo stretto per inghiottire anche un sorso d’acqua, e il cibo si muta in fuoco non appena tocca le loro labbra. Il Gaki è la personificazione del tormento di qualcuo che sta morendo di fame.
La simpatica scenetta in questione è ripresa dal Gaki sōshi, del Museo di Nara

Uno potrebbe pensare che una situazione del genere ponga necessariamente fine a una guerra che è cominciata come scazzo dinastico tra alti dignitari. Ma nonostante le grandi campagne militari siano per la maggior parte fuori questione, il fermento continua, in particolare a Kamakura, dove la Rivoluzione non dorme mai!

-Siamo praticamente padroni del Bandō.- Dice Yoritomo, durante una riunione. -E’ ora di regolare i conti con mio cugino Yoshinaka.

-”Praticamente” padroni.- Nota qualcuno. -Un sacco di bande di Hitachi non hanno risposto all’appello. Se ci spingiamo a nord, ci scopriamo ad est.

-Non ho cugini famosi in Hitachi, possiamo prendere il rischio. Invece ho un cugino famoso in Hokuriku.

-Per ora Yoshinaka non si è mostrato ostile.

-E’ nella natura stessa dei cugini di uccidersi a vicenda prima o poi.

-Giusto.

-Quindi, se non ci sono altri parenti problematici da fare a pezzettini, io direi di mettere su una spedizione di taglia ridotta e-

-Capo!- Un piantona arriva di corsa. -Capo, hai mica uno zio in Hitachi?

-Oh no.

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Vi presento Minamoto no Yoshihiro, che chiameremo il Sire di Shida per evitare confusione tra tutti gli Yori e gli Yoshi del clan Minamoto.

Il Sire di Shida è terzo figlio di Minamoto no Tameyoshi e fratello minore del padre di Yoritomo. «Shida» altro non è che il nome della sua base principale, nella provincia di Hitachi.

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La provincia di Hitachi, nel sud potete notare il distretto di Shida

Il Sire di Shida non era mai stato amico del padre di Yoritomo. Fin da ragazzo, il suo fratello preferito era il secondogenito, Yoshitaka. I due sembrano inseparabili sin dall’infanzia: servono insieme alla Capitale e si trasferiscono insieme in Hitachi a fine turno. In questa remota provincia orientale, i due restano uniti, uno il supporto dell’altro. Cosa che non piace per nulla al padre di Yoritomo: Hitachi è nel cuore del Bandō, una provincia produttrice di cavalli e una zona strategica importantissima. Il nostro teme che i due fratelli possano unire le loro forze per rovesciarlo.

Che belle le famiglie disfunzionali, non trovate?

Nel 1155, il figlio maggiore di Yoshitomo (e fratello maggiore di Yoritomo) risolve la situazione spacciando suo zio Yoshitaka.

Annientato dalla perdita del fratello, il Sire di Shida si ritira nel suo territorio e resta fuori dalla guerra. Per più di 20 anni, si occupa della sua terra, senza mai cercare il conflitto con il governatore Taira della provincia. Perché dovrebbe, dopotutto? Non sono stati i Taira ad assassinare suo fratello.

Anche dopo l’inizio della ribellione, il Sire di Shida resta fuori dai giochi.

Ma nel 1183, con la guerra in stallo e il mondo in fiamme, il Sire di Shida decide di agire.

Forse teme il crescente potere di suo nipote Yoritomo, un uomo per cui non può avere che diffidenza e ostilità. Forse teme che Yoritomo trascini il clan nell’ennesima guerra persa, dannandoli tutti. Forse è irato col nipote che mostra scarsissima considerazione a suo riguardo. Forse vuole unirsi alle forze di Yoshinaka. Non lo sappiamo.

Toujours est-il, il Sire di Shida decide di agire.

Il 20 del secondo mese del 1183, il Sire di Shida lascia la propria base nel sud di Hitachi e comincia la lunga marcia passando via Shimotsuke verso Kamakura, dove conta sorprendere e spacciare suo nipote Yoritomo.

La congiura viene però scoperta: Yoritomo raccatta i suoi e va incontro a suo zio, incontrandolo a Nogi no miya. E proprio mentre il Sire di Shida si prepara a dare battaglia, uno dei suoi tradisce e prende le parti di Yoritomo.

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Il teatro delle operazioni

Segue una battaglia ferocissima. Così feroce che la memoria del macello è sopravvissuta nei toponimi del luogo, noto come Jigokuzawa (la palude dell’inferno) o Todorokizawa (la palude del fracasso).

Nonostante gli sforzi, il Sire di Shida perde: sconfitto, può solo ritirarsi precipitosamente e rifugiarsi sotto la protezione di Kiso Yoshinaka.

La Battaglia di Nogi no miya può sembrare aneddotica: ok, sono due parenti che si scannano tra di loro provocando la morte di centinaia di poveri stronzi che non c’entrano niente. Che c’è di nuovo?

Da un punto di vista politico questa battaglia segna un cambiamento importante nell’equilibrio del Bandō: fino a questo punto Hitachi era rimasta potenzialmente ostile a Yoritomo. Alcune bande della provincia si erano unite alla causa di Yoritomo, ma la loro lealtà era condizionata. Con la sconfitta del Sire di Shida, Yoritomo non solo ha eliminato un grosso notabile locale e possibile competitore, ma ha messo le mani su un ricco patrimonio. Per 30 anni il Sire di Shida è stato fuori dalle beghe politiche e si è dedicato solo a curare le proprie terre. Ora il frutto di tanto lavoro finisce dritto nelle rapaci zampine di Yoritomo, che usa subito il nuovo capitale per ricompensare i suoi e assicurarsi la fedeltà dei capetti di Hitachi. Con Nogi no miya, Yoritomo mette al sicuro la propria retroguardia.

Non solo, ma Yoritomo si assicura una vittoria di cui ha davvero bisogno. Con il nuovo lustro e i nuovi mezzi, può sperare di fare i conti con Yoshinaka.

Stando allo Heike monogatari, Yoritomo non riesce a strappare a suo cugino una vera e propria sottomissione, ma riesce a confinarlo nell’Hokuriku, sloggiandolo dalla provincia di Kōzuke, e a fargli inviare suo figlio come ostaggio a Kamakura.

Il primo round tra i due si conclude così con un netto vantaggio per Yoritomo.

Yoritomo

Yoritomo mentre medita nuove infamie

Mentre i Minamoto regolano conti tra di loro, i Taira ritentano di pacificare l’Hokuriku. Con minacce e pedate rimettono insieme un esercito, e il 17 Koremori riparte.

Dallo Heike monogatari:

Avendo ricevuto l’autorizzazione di esigere rifornimenti, una volta passata la barriera di Ōsaka saccheggiarono lungo la strada tutti gli uffici e le magioni, senza rispettare i prodotti delle tasse né i beni pubblici, e dacché al loro passaggio portavano via tutto ciò che trovavano, in Shiga, Karasaki, Mitsukawajiri, Mano, Takashima, Shihotsu e Kahizu, la popolazione non poteva resister loro e fuggì per monti e valli.

L’esercito messo insieme è un mostro mastodontico di migliaia e migliaia di uomini, Uesugi ipotizza anche 40.000! Si tratta di un miscuglio mal accozzato di vassalli dei Taira e coscritti strappati alle provincie obtorto collo. La coesione è bassa e il morale ancora più basso.

Koremori divide l’armata in due parti : una deve avanzare attraverso Tsuruga, a nord del lago Biwa, via il passo Konome. L’altra attraversa il passo Tochinoki, da Ōmi a Echizen. Il 26 fanno giunzione in Echizen senza troppi intoppi.

Intoppi che cominciano il giorno dopo, quando i Taira incocciano nel castello di Hiuchi, protetto da 6.000 cavalieri secondo lo Heike monogatari, tenuto da un ramo filo-Minamoto dei Fujiwara settentrionali e dal superiore monastico Saimei del tempio Heizen (pure pro-Minamoto).

La montagna è dietro, la montagna è davanti. Davanti alla fortezza scorrevano i fiumi Nōmi e Shindō. Alla confluenza dei due, [i difensori] avevano stabilito una diga di enormi alberi abbattuti, rinforzata da una prodigiosa quantità di graticci, così che a est come a ovest l’acqua era salita fino ai piedi dei monti e si sarebbe detto un lago.

Insomma, i grandi eserciti difficilmente possono scorrazzare in giro inosservati: i difensori sapevano che sarebbero arrivati e hanno creato un troiaio paludoso che Alberto I del Belgio levati.

L’acqua è un’ottima difesa, ma non bisogna mai fidarsi dei preti: nottetempo Saimei sgattaiola fuori e scocca ai Taira una freccia. E’ cava. Al suo interno i nemici trovano un messaggio arrotolato. E’ una lettera di Saimei in persona.

“Questo lago non è sempre stato qui. E’ solo l’acqua dei torrenti di montagna ostruiti da un po’. Al calar della notte, inviate i vostri valletti d’arme e fate loro distruggere i graticci. Le acque scenderanno in poco tempo. Appena i vostri cavalli potranno toccare, attraverserete. Quanto a me, li colpirò alle spalle.”

George Washington Treason - Laughshop.com

“People gather, scatter, they go left and right following their interests. That is not surprising.” (Masakage Yamagata ci insegna la politica, dal film Kagemusha)

Il giorno dopo, fangosi ma invitti, i Taira avanzano su Hiuchi, che viene prontamente abbandonato dai difensori.

Sembra che la pacificazione dell’Hokuriku, a questo giro, sia partita proprio bene.

Ma i Taira non hanno contato su Yoshinaka, che dopo l’umiliazione politica impartitagli da Yoritomo ha un sacco bisogno di ripulire il proprio onore col sangue di qualcuno.

Nella prossima puntata, la Battaglia di Kurikara!

MUSICA!

Puntate precedenti:

Genpei 0.1

Genpei 0.2

Genpei 1.0

Genpei 1.1

Genpei 1.2

Genpei 1.3

Genpei 2.0

Genpei 2.1


Bibliografia

FARRIS William Wayne, Heavenly warriors, Harvard University Press, 1995, Cambridge

FRIDAY Karl, Samurai, warfare and the state, Routledge, 2004, New York

FUKUDA Toyohiko, SEKI Yukihiko, Genpei kassen jiten, Yoshikawa kobunkan, 2006, Tokyo

KAMO NO CHOMEI, Trad. Sadler A. L., Ten foot square hut, Charles E. Tuttle Company, 1993, Sidney

ROYALL Tyler, The tale of the Heike, Viking, 2013, New York

SIEFFERT René, Le dit des Heiké, Verdier, 2012, Lonrai

SOUYRI Pierre-François, Histoire du Japon Médiéval – Le monde à l’envers, Tempus, 2013, Paris

UESUGI Kazuhiko, Genpei no sōran, Yoshikawa Kōbunkan, 2007, Tōkyō

 

 

Chi sono i samurai?

Chi frequenta la Fortezza avrà intuito che la sottoscritta ha una fastidiosa tendenza alla pignoleria. Negli Studi Umanistici ci fanno una testa così sul lessico e la scelta dei termini, e hanno ragione: a seconda il contesto la stessa parola può voler dire cose molto diverse. Se lo scopo del linguaggio è comunicare informazioni e concetti, è indispensabile chiarire fin da subito cosa si intende con cosa e in che contesto.

Potete immaginare quanto soffro ogni volta che apro un articolo di giornale e vengo assalita da valanghe di buzzwords tirate dentro ad glandus segugi.

Il punto è che usare le parole a cazzo è una pestilenza che, a mio modesto parere, sta facendo danni reali al nostro cervello. Invece di scambiare argomenti articolati, le discussioni si limitano a un palleggio di termini impropri che arrivano accompagnati dal loro bel pacchetto di concetti associati d’ufficio. Per usare un linguaggio meno tecnico, non è un confronto di punti di vista, quanto una sassaiola fatta a pallate di fango.

Oggi, nel mio piccolo, ho deciso di prendermela con una parola che mi provoca regolare ulcera: samurai ().

Priorità nella vita!
Arte dello straordinario artista contemporaneo Noguchi Tetsuya

Cosa vuol dire “samurai”?

Cominciamo col fare un distinguo importante: esistono termini usati dai contemporanei ed esistono termini usati dagli storiografi per descrivere a posteriori un fenomeno passato.

In diversi periodi della Storia giapponese samurai è stato usato per descrivere cose diverse.

Oggigiorno viene spesso impiegato in modo più o meno appropriato per descrivere il “guerriero giapponese”.

Tre problemi qui:

-Il termine originariamente non ha nessuna connotazione militare;

-per secoli non c’è stata nessuna definizione legale di “guerriero” come categoria sociale;

-cos’è un “guerriero”?

Cominciamo dall’ultima. Che cos’è un guerriero?

Tecnicamente, qualcuno che fa la guerra. L’immagine che la parola evoca è spesso quella del cavaliere pesante o del vichingo feroce, del combattente professionista formato dalla gioventù al mestiere delle armi. Ma “fare la guerra” comprende molto più del caricare lancia in resta o partecipare di persona a un combattimento. Peraltro gran parte dei “guerrieri” antichi praticavano altre attività economiche a parte il farsi ammazzare.

Non solo, ma che dire di tutti quelli che non sono combattenti d’élite? Se guerriero è “chi fa la guerra”, questo include fanti, esploratori, ingegneri, facchini…

Non voglio dilungarmi in questo articolo sul concetto di guerriero: il punto è che spesso la gente butta in giro la parola “guerriero” senza davvero porsi il problema del suo significato.

Passiamo al secondo punto: le definizioni contemporanee e quelle a posteriori.

C’è stato un periodo della Storia giapponese in cui i guerrieri erano in effetti una categoria sociale chiaramente e legalmente definita. Tuttavia la guerra e il mestiere delle armi (anche come professione esclusiva e vocazione) sono molto più antichi.

Il “guerriero” inteso come militare di professione la cui vocazione principale è la via delle armi esiste da prima della parola samurai.

Di recente abbiamo concluso una lunga serie di articoli su Taira Masakado e le ribellioni che squassarono l’Impero giapponese verso la metà del X° secolo. Taira Masakado era senza dubbio un guerriero e qualcuno che considerava la “via dell’arco e della freccia” come parte essenziale della propria identità. Non si sarebbe mai definito un samurai, tanto che l’appellazione gli viene appioppata da Friday come provocazione (vedi Taira no Masakado: the first samurai, di Karl Friday).

Usare samurai prima della nascita del Bakufu è problematico, ed è per questo che molti storiografi preferiscono il termine meno controverso di bushi (武士).

Ma cos’è un bushi?

Secondo il Progressive waeichū jiten, il dizionario giapponese-inglese di default sul mio Ex-word, il bushi è un guerriero. Questo ci lascia col problema accennato più in alto: tutti i bushi sono guerrieri, ma non tutti i guerrieri sono bushi. Cos’è davvero un bushi?

Secondo il dizionari giapponese-giapponese Kōjiten, il bushi è un guerriero professionista che si campa la vita col mestiere delle armi. Definisce questi individui come appartenenti a una specifica classe sociale che sarebbe esistita dall’epoca di Heian (794-1185) a quella di Edo (1603-1867).

Minamoto Tametomo separa due lupi, dal pennello di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861)

Per non zavorrarci troppo, diciamo che con “guerriero” si intende in questo contesto l’arciere pesante a cavallo, antenato diretto dei samurai.

Questo tipo di combattente è necessariamente un professionista e predata l’epoca di Heian: nel 701 la Corte pubblicò un vastissimo corpus di leggi penali e civili (i famosi Codici, Ritsuryō), in cui si parla di unità di cavalleria e arcieri pesanti a cavallo.

Possiamo quindi dire che il bushi esisteva di certo già dal 701?

Hum…. dipende.

Se anche prendiamo Heian come riferimento, i militari dell’VIII° secolo non usavano la parola bushi per parlare di loro stessi. Il termine corrente all’epoca era mononofu o tsuwamono (), il cui kanji è lo stesso usato nei Codici per indicare i soldati di leva (quindi gente che non pratica le armi come professione, ma coscritti contadini) o musha (武者) (che indica più specificatamente “persona di guerra”).

Nello stesso periodo troviamo spesso il termine samurai come sostantivo del verbo saburau, ovvero “servire”. Come accennato, non ha nessunissima connotazione militare e indica semplicemente il servitore al servizio di un nobile.

Ricordiamo che prima del 1185 l’Impero giapponese è governato da un’aristocrazia strettamente civile che esercita la propria autorità tramite istituzioni burocratiche o legami personali di clientelismo. La carriera militare era considerata come molto inferiore rispetto a quella civile e riservata a gente che non poteva diventare letterato.

Secondo Okuda il significato di samurai sarebbe cambiato dopo la salita al potere dei militari alla fine della Guerra di Genpei (1180-1185): i bushi impiegavano guerrieri di basso rango come servitori, ergo il samurai passa da “servitore di un nobile” a “servitore di un nobile guerriero” a “servitore guerriero” e “guerriero/vassallo”.

Il samurai nel senso di guerriero non esiste prima del XIII° secolo. Ora lo sapete. Se volete riferirvi a chiunque prima di questa data, usate bushi o vi vengo a tirare le orecchie.

Fuoco e legnate durante i disordini di Heiji, propdromi della grande guerra civile tra Taira e Minamoto

Quindi per parlare di gente come Masakado basta usare bushi e son tutti contenti, no?

Sì, ma con cautela.

In storiografia contemporanea bushi è spesso usato per descrivere il guerriero feudale, ovvero qualcuno che andava in giro a scapitozzare dopo il XII° secolo, durante e dopo la Guerra di Genpei.

La Guerra di Genpei è un avvenimento cardinale della Storia giapponese: lo è a posteriori per gli storiografi e lo è stato per i contemporanei. La Guerra di Genpei ha cancellato il mondo di prima e ne ha creato uno nuovo.

Abbiamo una testimonianza interessantissima di questo evento grazie a Jien (1155-1225), un monaco poeta e storiografo che poté godersi lo sgretolamento del potere aristocratico, il collasso della dittatura Taira, la guerra civile e la nascita dello shōgunato sotto Minamoto Yoritomo e sua moglie Hōjō Masako. Il nostro ha parlato delle sue impressioni nel Gukanshō, dove descrive gli avvenimenti in questi esatti termini: il vecchio mondo è morto si entra ormai nel “mondo dei guerrieri” (musha no yo).

E’ molto comodo avere un evento storico così chiaro e distinto per orientarsi e con cui definire un “prima” e un “dopo”.

In realtà i bushi che hanno rivoluzionato il Giappone nel 1185 non sono apparsi nel 1180 ma sono il frutto di un’evoluzione graduale. E questo ci porta al secondo contenzioso del termine bushi!

Il bushi è il guerriero feudale, e costituisce la nuova classe dirigente dal 1185. Ok, ma da quando possiamo trovarli?

E soprattutto: cosa si intende con “guerriero feudale”?

Come accennato prima, il termine “feudale” è stato coniato a posteriori dagli storiografi. Si tratta di una parola usata per descrivere la Storia europea che è stata poi estesa alla Storia giapponese.

Verso la fine del Periodo Meiji (1868-1912), gli storiografi giapponesi avevano assorbito le nuove idee politiche e metodologiche dei ricercatori occidentali. Il Giappone stava furiosamente riacchiappando il ritardo tecnologico e occidentalizzando il Paese, e questo influenzò anche il modo di raccontare la Storia: si cerca di trovare similitudini e parallelismi con la vicenda europea e il punto comune tra le due realtà sembra essere il periodo feudale. Il sottinteso politico era che il Giappone era essenzialmente diverso dal resto dell’Asia, aveva una società più civilizzata e più vicina a quella occidentale, e per questo era riuscito a sfuggire alla brutale colonizzazione.

Il bushi doveva diventare l’equivalente del cavaliere medievale, nella storiografia e nell’immaginario nazionale.

Uno dei nomi più significativi agli inizi del XIX° secolo è quello di Asakawa Kan’ichi, uno strenuo difensore del parallelismo bushi-cavaliere. Secondo lui i bushi avevano origine nello sviluppo di una classe di proprietari terrieri nell’VIII°-IX° secolo. Col X° secolo questi notabili avrebbero cominciato ad armarsi e offrire i propri servigi a i più prominenti tra loro in cambio di protezione, per sopperire al vuoto delle istituzioni di Corte. Costoro sarebbero presto maturati in una vera e propria classe sociale, sottomessa a una Corte di aristocratici civili che si vuotava poco a poco del proprio potere reale.

Secondo Asakawa (ripreso anche da Samson), la classe guerriera si sarebbe evoluta per sopperire ai buchi di un sistema militare inefficace che non riusciva a proteggere i notabili locali e l loro famiglie (interpretazione molto vicina a quella offerta per lo sviluppo del Feudalesimo in Europa, nato dal crollo dell’Impero Romano).

I due fattori chiave dietro questo fenomeno sarebbero quindi da una parte un sistema militare scassato e il proliferare degli shōen, latifondi privati esenti da tasse e spesso immuni dalla legislazione ordinaria, che avrebbero minato in modo irreparabile l’autorità pubblica nelle provincie.

Okuda condivide questo punto di vista: i guerrieri del Bandō avrebbero creato una rete di legami personali parallela a quelli istituzionali per difendersi dall’inettitudine dell’autorità pubblica e dalla rapacità degli interessi privati.

Per chi ha seguito la rocambolesca vicenda di Masakado, è innegabile che i guerrieri orientali erano spesso piccoli proprietari terrieri e allevatori, e spesso si mettevano sotto la protezione di un notabile locale più importante: Taira Masakado interviene ad esempio per difendere gli interessi del suo gregario Fujiwara Haruaki, che sta avendo problemi con i funzionari provinciali inviati dalla Corte.

E’ anche innegabile che nelle provincie, specie quelle orientali, la legge ufficiale era applicata fino a un certo punto.

Allo stesso tempo è anche chiaro che i Codici hanno giocato un ruolo importante nella vicenda di Masakado: come sottolinea Hall, i Codici restarono in vigore e furono applicati (con più o meno zelo) fino almeno al X° secolo (quando furono affiancati ai Regolamenti dell’era Engi, i celeberrimi Engishiki).

Ishimoda Shō è quello che meglio ha elaborato la teoria secondo cui i bushi sarebbero stati un’evoluzione necessaria all’indebolimento delle istituzioni e avrebbero sviluppato la propria influenza fino a sbocciare, verso la fine di Heian, in una situazione in cui questa classe militare provinciale esercitava il proprio controllo su una vasta massa contadina ridotta, de facto, in servitù.

L’interpretazione di Ishimoda sottintende che questo processo di feudalizzazione sarebbe particolare al Giappone e distinguerebbe il popolo giapponese dal resto dei popoli orientali, facendone uno tradizionalmente capace di evolvere e superare vecchie istituzioni in nome della praticità.

Prima di progredire con questo appassionante discorso, i più svegli si saranno detti:

Spetta un secondo, ma hai sfrangiato le gonadi finora con la definizione di “guerriero”, e mo’ butti in giro il termine “feudale” così, a crudo?”

Right-oh!

Secondo il ponderoso tomo di storiografia comparata Les féodalités, Bournazel e Poly ripropongono la definizione di Sirinelli:

[FR]

Il s’agit de l’ensemble des institutions et des relations – juridiques ou autres – permettant la dévolution et l’exercice de ce que l’on appelle le pouvoir ou l’autorité, mais replacées de surcroit au sein des sociétés, des valeurs et des cultures qui les sous-tendent. Les systèmes politiques ainsi entendus incluent donc l’analyse des grandes constructions institutionnelles, mais également l’étude de leur soubassement social et culturel : le socle économique ou les rapports sociaux, assurément, mais aussi […] les idéologies, les cultures politiques, les représentations et les valeurs.

[IT]

Si tratta di un insieme di istituzioni e relazioni – giuridiche o meno – che permettono la devoluzione e l’esercizio di ciò che chiamiamo il potere o l’autorità, e collocate inoltre in seno alle società, ai valori e alle culture che le sottintendono. Il sistema politico così inteso include quindi l’analisi delle grandi costruzioni istituzionali, ma anche lo studio della loro base sociale e culturale : le fondamenta economiche o i rapporti sociali, di certo, ma anche […] le ideologie, le culture politiche, le rappresentazioni e i valori.

In altre parole il “feudalesimo” è caratterizzato da un certo tipo di istituzioni e relazioni, ma anche da cultura, rappresentazioni, strutture economiche ecc.

Ora, qualche sventurato a cui sia capitato di assistere a una “dotta discussione” di certi “appassionati” sulla storiografia avrà sentito buttare in giro termini come “marxismo” o “marxismo culturale”. Si tratta di un certo modo di studiare e interpretare la Storia che pone particolare accento sulla struttura economica di una società (per dirla in termini molto banali, tutto il resto è “sovrastruttura” e dipende direttamente dal sistema economico). L’”ossatura” della società è determinata essenzialmente dai rapporti di produzione.

Questo modo di vedere la Storia, che gli “appassionati” di cui sopra tirano fuori come se fosse una qualche recente moda appena sfornata dalle femministe della terza ondata, data in realtà degli anni ’50 e ’60 specie per ciò che riguarda la storiografia giapponese (e, a chiosa, l’ondata corrente del femminismo è la quarta e non la terza, ma quando si parla a vanvera capita di sbagliarsi).

Già negli anni ’60 lo storico francese Georges Duby aveva fortemente criticato questo approccio. Uno dei problemi era che la corrente marxista tentava di porsi in una maniera realista e pragmatica, ma gli uomini, gli esseri umani che costituiscono le società, non sono né realisti né pragmatici. I sentimenti (e i conseguenti comportamenti) degli individui e dei gruppi sociali rispetto al loro ruolo nella società non sono dettati dalla realtà economica, ma dall’idea che detti individui e gruppi sociali hanno della realtà economica!

Gli esseri umani non vivono nella realtà, vivono in un’idea, un racconto di realtà.

Che certamente ha a che fare con la realtà oggettiva, ma è comunque filtrata, interpretata e influenzata. La struttura economica è certamente fondamentale nell’evoluzione di una società nelle sue mille declinazioni (cultura, politica, guerra, arte, ecc.), ma è solo uno dei vari fattori in gioco.

In altre parole, una società è feudale non solo se la sua struttura economica è feudale, ma se le sue idee, se la sua visione è feudale.

Cosa si intende con “feudalesimo” in questo contesto?

A differenza degli europei, i giapponesi non hanno un termine indigeno che descriva la struttura feudale. “Feudalesimo”, hōken, è un termine tradotto e preso alla storiografia occidentale. E’ la traduzione dei concetti di feudalism o Lehnwessen. Come in Europa questi concetti sono associati al cavaliere, in Giappone sono stati legati al bushi.

Maki Kenji propone una lettura più “orientale” di hōken, proponendolo come traduzione di fengjiang, “fondare un feudo”, impiegato in Cina quando l’Imperatore concedeva delle terre a dei potenti, delegando loro l’autorità imperiale su quei territori. Per Kenji, il tratto determinante dell’hōken non è molto la sua relazione con una classe guerriera, ma la decentralizzazione del potere: hōken è da concepire in opposizione alla società centralizzata prevista dei Codici, gunken.

Se però torniamo un attimo a Jien, possiamo notare che ciò che più ha sconvolto i contemporanei durante il cambio di regime nel 1185 non è stata la decentralizzazione, quanto il carattere essenzialmente militare di questa nuova aristocrazia (soldati al potere? Pofferbacco, che cosa eterodossa!).

Ad ogni modo e quale che sia la declinazione che si dà al termine, è chiaro che il bushi è parte essenziale della faccenda. In altre parole, il feudalesimo giapponese non è necessariamente definito dal ruolo che il bushi gioca in esso, ma il bushi è una creatura feudale.

Chiedo scusa, ma DOVEVO USARE ‘STA STRONZATA o il pensiero mi avrebbe perseguitata fin nella tomba!

Negli anni ’50 gli storiografi cominciarono a rimettere in dubbio la centralità del guerriero nella società feudale. Questa nuova corrente toglieva il focus dai guerrieri per metterlo sul potere distante esercitato dai signori assenteisti sui loro latifundia nella provincia. Secondo Shimizu Mitsuo, i guerrieri locali non sarebbero la forza innovatrice descritta da Ishimoda Shō, ma un elemento classico, strumenti del potere che mantenevano il controllo dell’aristocrazia sui mezzi di produzione.

Tornando alla rivolta di Masakado come esempio, è innegabile che i vari capi e capetti armati esercitavano la loro autorità in nome e per conto della Corte.

Insomma, mentre in Europa il feudalesimo è accompagnato da un indebolimento dell’autorità centrale, in Giappone la Corte rimase saldamente in sella fino al disastro della Guerra di Genpei. In altre parole, il cavaliere feudale europeo sarebbe figlio dell’anarchia (o della debolezza istituzionale), mentre il bushi giapponese sarebbe l’evoluzione continua di un governo a modo suo forte e stabile.

E’ fuor di dubbio che la Corte mantenne il monopolio sulla legittimità del potere ben dopo la creazione del Bakufu di Minamoto Yoritomo.

L’interpretazione corrente della storiografia giapponese è una sorta di compromesso tra la visione frammentata di una provincia ingovernabile e quella di un Governo forte e continuo che esercitava la sua autorità attraverso i guerrieri. Secondo la versione più accreditata oggigiorno, ci sarebbe stata sì una spaccatura netta tra Capitale e provincia, ma la Corte avrebbe mantenuto il monopolio sulla legittimità e i guerrieri avrebbero esercitato il controllo sui provinciali ma senza porsi in opposizione diretta al potere aristocratico. Insomma, per un paio di secoli guerrieri locali e aristocratici civili avrebbero governato insieme in una struttura di potere comparabile a un leviatano sociale a due teste.

D’altro canto si è presentato un altro problema alla storiografia giapponese: quella delle particolarità regionali.

Per lunghissimo tempo intere popolazioni sono state del tutto scordate dagli storici (gli Ainu, gli Hayato, la gente delle Ryūkyū, ecc.). Ma se anche uno decidesse di sbattersene allegramente, i Wa stessi avevano strutture sociali, tratti culturali e caratteristiche linguistiche marcatamente differenti anche all’interno della sola isola di Honshū.

La creazione del Bakufu, di cui parleremo con calma in articoli appositi, potrebbe essere interpretata, ad esempio, come l’esportazione verso le regioni occidentali di forme di controllo e amministrazioni tipiche della società guerriera orientale.

Insomma, possiamo stabilire che in Giappone si sono verificate contingenze in cui la società ha tratti “feudali”, ma il termine “feudale” stesso è talmente problematico che oggigiorno viene spesso evitato. Gli si preferiscono altre formulazioni, come “società guerriera” o “rapporti di dipendenza”.

Tornando a noi, chi sono i bushi?

Il bushi è un individuo che può combattere come arciere montato a cavallo e che esiste in una rete sociale fatta di rapporti di dipendenza definibili come “feudali”.

In altre parole: l’arciere pesante a cavallo esiste almeno dal VII° secolo, il bushi si sviluppa a partire dal IX°-X° secolo. E ancora nemmeno l’ombra di un samurai!

Sia chiaro, a questo stadio non esiste ancora nessuna “classe guerriera”.

Nella sua accezione più banale, una classe sociale è un insieme relativamente omogeneo di individui che condividono la stessa situazione socioeconomica.

Da un punto di vista generale dell’Impero, per buona parte dell’epoca di Heian i bushi non hanno omogeneità culturale e non condividono la stessa posizione socioeconomica. I Codici delineano una società in cui non esiste una classe guerriera: i militari professionisti (gli arcieri pesanti a cavallo, soprattutto) sono individui della classe dei magistrati di distretto, della classe piccola aristocrazia o cadetti della classe nobiliare senza reali prospettive nella carriera civile.

Possiamo semmai parlare di “proto-classe” per quello che riguarda alcune regioni (vedi le particolarità regionali succitate). Ma in generale il Giappone non ha, nel X° secolo, una classe guerriera.

Questa si evolve nei secoli come sottocultura parallela alla cultura civile della burocrazia di Corte. Alcuni dei primi esempi di legami di dipendenza tipici della “società guerriera” possono essere trovati nel X° secolo, ma non abbastanza da poter parlare di classe.

In parole povere: dati questi presupposti, fino alla Guerra di Genpei, non si può davvero parlare di samurai.

A posteriori, possiamo vedere nei disordini del X° secolo le remote origini di quello che sarà un giorno il samurai. Come accennato nella conclusione della Rivolta di Masakado, il X° segna l’inizio, il primissimo embrione della società guerriera. Si parla in questo caso dell’evoluzione dei bushi.

La distinzione è importante perché gli uomini che si ribellarono nel Bandō, quelli che servirono nelle guerre di Hōgen e di Heiji e quelli che si ammazzarono nella guerra di Ōnin non sono gli stessi ed è bene esserne coscienti se si è interessati a capire le loro storie e i loro percorsi.

E dopo questa appassionante lungagnata ci do un taglio, che prevedo una lunga diatriba ricca di suspence su cosa significa il termine “feudale” e non voglio rovinarvi l’hype!

MUSICA!

(Non è metal, ma nell’attesa che i Sabaton si svitino i pollici dal culo vi cuccate questa, perché Gatsu daze! piace per forza, try try try!)


Approfondimenti

La banda di guerra

L’evoluzione del sistema militare dai Codici al X° secolo

La rivolta di Masakado (puntata 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10)

La guerra di Hōgen

La guerra di Heiji

La guerra di Genpei (puntata 1, 2, 3, 4, 5, 6, ongoing)

 

Bibliografia

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LOT Ferdinand, La fin du Monde Antique et le début du Moyen Age, Paris, Albin Michel, 1989

 

 

Illustri Sconosciuti: Taira Masakado (3.3): I vincitori e gli immortali

Sono tempi di migragna qui alla Fortezza, ma il bello di essere in dottorato in Sotria è che, quale che sia il merdaio in cui ti trovi, sei costretto a leggere di gente messa peggio e mortamale.

Case in point: siamo finalmente giunti al gran finale della rocambolesca avventura di Masakado, il Ribelle del Bandō!

Per chi si fosse perso le puntate precedenti (recuperatevele, sono obbligatorie, poi vi ci interrogo), la grande rivolta delle ere Jōhei e Tengyō (935-940) parte come scazzo familiare tra Masakado, notabile locale senza funzione o rango, e i suoi zii e cugini, gente con funzioni amministrative e appigli politici.

Per anni questi ultimi tentano di cancellare Masakado della faccia della Terra, e per anni Masakado li riempie di calci nel culo, senza però prendersela con i rappresentanti della Corte. Masakado bada bene a non compiere azioni che possano essere percepite come aperta ribellione nei confronti dello Stato.

Dopo anni di guerriglia e un numero imprecisato di villaggi rasi al suolo, il nostro è riuscito a eliminare i suoi avversarsi, tranne l’infingardo cugino Sadamori.

Il teatro del dramma

Taira Sadamori, funzionario alla Corte e abile oratore, è alla fine riuscito a farsi dare ragione dal Governo (che ha voltato gabbana già varie volte, riguardo alla faccenda) e, in compagnia del cugino Tamenori e del brigante rispulizzito Fujiwara Hidesato, è di ritorno nel Bandō per la resa dei conti.

Per la precisione, siamo in questa zona qui

Dopo questo ennesimo tira e molla della Corte, Masakado decide di prendere l’iniziativa: in meno di niente conquista l’intera fetta nordorientale di Honshū con l’intenzione di costringere il Governo a scendere a patti.

Governo che, ricordiamocelo, si trovava alle prese con una cruentissima piaga occidentale: il pirata e pazzoide piromane Fujiwara Sumitomo.

Dopo deliberazione, la Corte decide di scendere a patti con quel manico omicida di Sumitomo e di spedire un esercito contro Masakado.

E oggi riprendiamo le fila di questo disastro noto come i Disordini delle ere Jōhei e Tengyō!

Masakado distribuisce labbrate, dal pennello di Tsukioka Yoshitoshi (1839-1892)

Come accennato, la Corte decide di scendere in guerra contro Masakado.

Di certo vi sarà capitato migliaia di volte di vedere film o leggere libri in cui gli eserciti semplicemente appaiono in giro, di solito direttamente sotto il balcone dei protagonisti. Gli eroi stanno discutendo di come difendersi dal cattivo di turno e puf, una sentinella arriva di corsa urlando “siamo sotto attacco!”.

E’ un cliché che io odio con la rovente passione di mille bombe atomiche. E’ una cosa stupida da morire e una totale mancanza di rispetto per l’intelligenza dello spettatore/lettore.

Senza nemmeno entrare nel merito di trasporti, tempo di percorso, vettovaglie e terreno da attraversare, poche società pre-industriali hanno potuto contare su un vero e proprio esercito permanente. Non solo, anche concedendo che tale esercito esista, una spedizione non è qualcosa che si organizza in due ore.

Secondo i Codici, il corpus di leggi ultimato nel 701 e ancora in vigore nel X° secolo, per mobilitare una banda di gente armata superiore a 20 individui era necessario un Editto Imperiale.

La faccenda doveva essere prima sottoposta al Consiglio di Stato, che creava una commissione deliberativa. La commissione studiava la situazione e sottometteva un rapporto al Consiglio. Dopo aver letto il rapporto e se non c’erano ulteriori questioni da ponderare, il Consiglio scriveva un Editto che veniva poi sottoposto al Figlio del Cielo (era rarissimo che il Figlio del Cielo non ratificasse subito le decisioni del Consiglio).

A questo punto l’affare passava al Ministero degli Affari Militari, che valutava l’investimento in armi, uomini e fondi, nonché quali unità impiegare e quando. Si trattava più di un preventivo che di un piano strategico vero e proprio.

Il rapporto dettagliato del Ministero veniva poi rigirato di nuovo al Consiglio di Stato, che doveva quindi decidere se agire e in che modo.

In altre parole, ci volevano mesi solo per decidere se lanciare una spedizione, quali mezzi impiegare e quali uomini incaricare delle operazioni. E questo presupponendo che i membri del Consiglio o del Ministero fossero inclini a darsi una mossa: come si evince dai vari diari degli alti dignitari di Heian, la burocrazia dell’epoca era ulteriormente rallentata da un fanatismo nevrotico per il protocollo e dall’assenteismo dilagante.

Sì, perché oltre a tutte le normali pastoie che un sistema burocratico porta con sé, la Corte di Heian era piagata anche da millemila dettami magico-religiosi.

E’ morto qualcuno nella tua famiglia o nei dintorni? Non puoi recarti alla cittadella perché sei impuro.

E’ l’anniversario della morte di un imperatore? Gli affari di stato sono sospesi per scaramanzia.

Non solo: certe direzioni erano considerate nefaste in certi giorni, sicché talora roba importante e urgente (come la nomina dei governatori delle provincie) era rallentata di giorni e settimane perché il Ministro della Destra non poteva andare verso l’ufficio, o perché il Ministro della Sinistra aveva un oroscopo deludente.

Insomma, una qualsiasi decisione del Governo centrale richiedeva tempo, tanto tempo.

Che fare quindi se, ad esempio, nello scorso mese hai perso ogni controllo su un terzo del Paese?

C’erano loopholes grazie a cui la Corte poteva muoversi con un pochettino più di celerità.

Intanto c’era una grande tolleranza per la regola dei “20 uomini”. Nella pratica, se smuovevi 100 uomini per uccidere un ribelle e garantire l’arrivo regolare delle carovane di tributi, eri pressoché impunito.

C’è anche il fatto che in questo periodo è ormai sviluppata la banda di guerra come unità tattica. Questo offre un’interessante zona grigia per quel che riguarda la regola dei 20 uomini. Se ad esempio io mobilito 15 dei miei gregari, sono all’interno della regola. Poi magari ognuno di quei gregari si porta dietro 3 fratelli, 6 cugini e 8 gregari armati. Ma quelli sono i loro uomini, no? E magari ognuno di quegli uomini è accompagnato da altri guerrieri a piedi o a cavallo, e via di questo passo.

Se però il lassismo non dovesse bastare, la Corte disponeva di Ordini di Persecuzione e Cattura, che davano via libera al ricevente di tale documento di mobilitare ogni mezzo disponibile per poter perseguire e catturare (o uccidere) la persona oggetto dell’Ordine stesso.

Chi viene investito di questo Ordine non solo può smuovere ogni mezzo a sua disposizione per eseguirlo, ma può anche esercitare punizioni e ricompense sugli uomini a lui sottoposti e può pretendere appoggio e rifornimenti da parte dei funzionari delle provincie specificate nell’Ordine.

Masakado aveva ricevuto un ordine del genere, ma i funzionari provinciali avevano fatto resistenza passiva e non avevano offerto alcun aiuto (anzi) nella caccia al gaglioffo Sadamori.

A questo giro l’Ordine viene conferito a Sadamori e a Fujiwara Hidesato.

Mentre quindi la Corte prende il tempo di mettere insieme un esercito ufficiale, nella provincia Hidesato riceve la benedizione imperiale per prendersela con Masakado.

Masakado che, pur avendo preso un terzo del paese in meno di niente, non ha avuto il tempo (né probabilmente l’intenzione) di unire i guerrieri locali sotto il proprio controllo o creare una struttura amministrativa alternativa. La propria fama di ottimo guerriero e capo benevolente è l’unica cosa che tiene insieme il suo esercito, composto da un’accozzaglia di bande eterogenee e spesso nemiche tra loro.

E’ il terzo anno dell’era Tengyō (940), la fine del primo mese, che per noi corrisponde agli inizi di marzo. Masakado ha dovuto congedare il grosso del suo esercito (è la stagione dei lavori agricoli) e si è ritirato in Shimōsa, dove si trovano le sue basi, con un migliaio di armati.

Appostati in Shimotsuke, Hidesato e Sadamori decidono di agire: radunano un esercito di 4000 uomini e partono contro il ribelle.

I cerchietti segnano la posizione delle capitali provinciali, ormai disertate dai funzionari salvo scribi, segretari e altri sbalterni

Come accennato a inizio articolo, gli eserciti non compaiono in giro a cazzo di cane, e il primo giorno del secondo mese Masakado viene avvertito che bande nemiche stanno marciando contro di lui. Masakado raduna i suoi e si dirige a sua volta verso Shimotsuke. L’avanguardia del suo esercito viene affidata a due dei suoi capibanda più importanti, tali Tsuneakira e Katsutaka.

Sono questi due matti a incocciare in Hidesato e Sadamori per primi. Dallo Shōmonki:

Qui Tsuneakaira, che si era guadagnato nomea di essere un uomo che da solo ne valeva mille, non deve far altro che osservare i nemici. Ora, senza informare il Nuovo Imperatore [Masakado, sulla diatriba riguardo al “nuovo imperatore”, vedere la settima puntata], avvicina la banda dell’ōryoshi Hidesato e l’attacca. Hidesato, che da lungo tempo ha esperienza della guerra, con facilità sconfigge e incalza l’esercito di Harumochi [Fujiwara Harumochi, alleato e generale in seconda di Masakado]. Il generale in seconda [Harumochi] e i soldati sono presi alla sprovvista dai tre guerrieri [Hidesato, Sadamori e Tamenori] e sono dispersi nella landa nelle quattro direzioni. Coloro che conoscono la via fuggono dritti come frecce scoccate. Coloro che non conoscono la via girano in tondo come ruote di carro. Solo pochi sopravvivono, molti sono quelli che muoiono.

E’ la prima sconfitta che Hidesato infligge a Masakado.

Perché Tsuneakira decide di attaccare senza prima chiedere al suo capo?

Ci sono molti fattori in gioco.

Tanto per cominciare Friday dice che probabilmente la superiorità numerica della gente di Hidesato rispetto all’avanguardia sotto Harumochi non era poi così schiacciante come lo Shōmonki vorrebbe farci credere. Dopotutto Masakado è all’apice del suo potere e, con tutto l’Ordine imperiale, Hidesato non ha ancora provato di essere all’altezza della situazione. Da come la faccenda è presentata nel Fusō ryakki, sembrerebbe in effetti che il grosso della truppaglia di Hidesato fosse composta da gente a piedi, mentre Tsuneakira era alla testa di arcieri pesanti a cavallo. Questo potrebbe avergli dato un’immeritata impressione di superiorità. Il che sarebbe ironico visto che il suo capo Masakado ottenne una delle sue più famose vittorie proprio con l’uso intelligente di arcieri a piedi contro gonzi a cavallo.

Un altro fattore è l’indipendenza di cui godevano i capibanda. Senza telefoni o radio, era impossibile chiedere il parere del capoccia per ogni decisione. La strategia generale e la tattica globale erano decise in anticipo, ma la guerra resta un affare imprevedibile e i capibanda dovevano poter prendere decisioni sul momento per evitare un disastro o sfruttare una ghiotta opportunità.

A difesa di Tsuneakira, se fosse riuscito subito a gettare scompiglio nella banda di Hidesato, avrebbe inflitto un danno di immagine gravissimo al partito lealista.

Purtroppo per lui, Hidesato non era una pera cotta come Sadamori, e il vecchio brigante riempie di legnate Tsuneakira, Harumochi e tutto il resto dell’avanguardia.

Quello che resta della gente di Harumochi ripiega precipitosamente, inseguita da Hidesato.

Verso le tre del pomeriggio, i fuggiaschi riescono a raggiungere il villaggio di Kawaguchi, dove si trova Masakado con il grosso dell’esercito ribelle.

Il più famoso guerriero del Bandō riveste le proprie armi e, sciabola in pugno, cavalca incontro a Hidesato alla testa dei propri uomini.

Il Nuovo Imperatore lancia un grido e tosto va, spada alla mano, si batte di persona. Sadamori leva gli occhi al cielo e dice:

“La banda privata è tale il fulmine sopra le nubi. I soldati del governo sono come gli insetti sul fondo della latrina. Eppure, se io non ho dalla mia parte la legge, il governo ha dalla sua parte il Cielo. I tremila soldati [ai nostri ordini] non saranno codardi, non diserteranno.”

L’esercito di Hidesato ha la superiorità numerica a questo punto, ma Masakado li prende a capocciate nei denti con furia inaspettata. La battaglia dura fino a notte, ed è solo ad altissimo prezzo che Hidesato riesce a prevalere. Al calar del buio, i ribelli si ritirano e i lealisti possono piantare il campo e leccarsi le ferite.

Tira una brutta aria. Quella che doveva essere una vittoria folgorante è stata strappata a stento. Masakado è in ritirata e in svantaggio, ma il suo onore resta intatto. Gli uomini sono stanchi e preoccupati e gli alleati che si sono uniti a Hidesato possono da un momento all’altro mollarlo e cambiar campo.

Hidesato non è felice della situazione. E’ un volpone e un buon tattico, ma non un mago, non può fare miracoli.

-Non preoccuparti.- fa Sadamori.-Sarò una pera cotta sul campo, ma ho un’arma che finora non mi ha mai deluso.

-E sarebbe?

-Le chiacchiere!

Così Sadamori riunisce gli astanti e li alletta con dolci parole [amaki], organizza i ranghi e raddoppia i loro numeri, e il tredicesimo giorno del secondo mese la potente banda giunge al confine di Shimōsa.

Mai sottovalutare il potere delle chiacchiere.

A me Sadamori sta sulle scatole (credo si sia inteso), ma resta un uomo assolutamente interessante. Non è un buon tattico, e nello Shōmonki non ci fa nemmeno una bella figura come essere umano, ma è un uomo intelligente. Non è un buon arciere, le sue armi sono le parole. Con la sola forza del proprio ingegno è riuscito a sopravvivere e restare in cresta in un mondo crudele fatto di violenza e sopraffazione. E’ riuscito a non farsi macinare né da suo cugino (un guerriero mille volte migliore di lui) né dall’indifferente e opportunista Corte di Heian. E ora, là dove l’astuzia e l’abilità bellica di Hidesato non bastano, l’arguzia e le capacità retoriche di Sadamori salvano la spedizione. E’ un momento degno del miglior Martin (vi ricordate quando Game of Thrones era ben scritto e ricco di dialoghi ben costruiti? Sì, lo rimpiango anche io).

Dal canto suo, Masakado decide di aspettare riposato un nemico stanco e costringe Hidesato e Sadamori a inseguirlo nel proprio territorio, mentre lui aspetta accampato sul lago Hiroe, nel distretto di Sashima. Ormai gli resta una banda di appena 400 fedeli. Harumochi e il Principe Okiyo, i suoi alleati più importanti, non compaiono nelle fonti a questo punto. Forse hanno preferito scappare.

E’ una brutta situazione per tutti in realtà: ogni giorno che passa le diserzioni dall’esercito di Masakado aumentano. Allo stesso tempo Sadamori e Hidesato non sono messi molto meglio: l’8 l’esercito ufficiale si è messo in marcia dalla Capitale. Il generale Tadabumi ha ordine di reclutare uomini in diverse provincie. Se Hidesato e Sadamori si fanno sorprendere da Tadabumi, saranno costretti a cedergli i propri uomini e la propria fetta di merito. Non solo: con ogni giorno che passa il rischio di diserzioni aumenta anche per loro! I loro alleati o sottoposti possono decidere di tornare a casa ai loro campi, o unirsi direttamente all’esercito di Tadabumi.

Hidesato ha scommesso tanto sulla testa di Masakado, se Tadabumi gli soffia la gloria non avrà di che ricompensare i propri uomini e la sua carriera di capo guerriero sarà conclusa in un gran mucchio di niente.

Il nostro ha bisogno di provocare uno scontro. Cerca di attirare Masakado in campo aperto appiccando fuoco alle sue residenze.

Funziona: Masakado decide di rischiare il tutto per tutto sulle pendici del monte Kita, nel distretto di Sashima.

In alto a sinistra, il Monte Kita

Il 14 del secondo mese del terzo anno dell’era Tengyō (aprile 940), alle tre del pomeriggio, Masakado viene raggiunto da Hidesato e Sadamori.

E’ piovuto poco, la terra è arida. Il vento soffia forte sulle pendici dell’altura, trascina nugoli di polvere smossa dagli zoccoli dei cavalli, dai sandali dei guerrieri a piedi. Masakado ha scelto di piazzarsi spalle al vento per dare un vantaggio ai propri arcieri, come nella prima battaglia dei Disordini, l’agguato di Nomoto.

Fa piazzare i mantelletti per riparare le sue linee, ma le folate glieli scuotono. Alcuni vengono rovesciati dalla bufera. A sud, gli uomini di Hidesato lottano per piazzare i loro, ma il vento e la polvere rendono l’impresa difficile. L’esercito lealista decide di non accanirsi sulle difese e avanzare verso i ribelli. Dopotutto i nemici sono in terribile svantaggio numerico, cosa può andare storto?

Fedele alla tradizione di pessime scelte tattiche, Sadamori, al comando del corpo centrale, tenta una manovra furba cambiando l’angolo di attacco. Questo crea disordine nella formazione, e Masakado ne approfitta.

Carica a capofitto nel cuore dell’esercito nemico, taglia attraverso la truppa di Sadamori come una palla di cannone. Sadamori cerca di difendersi, ma le sue frecce sono deviate dal vento. 80 dei suoi guerrieri di spicco mordono la polvere in pochissimo tempo, ridotti a puntaspilli dalla banda ribelle. Gli alleati, i soldati provinciali, gli amici del bel tempo e gli avventurieri sono presi dal panico. Davanti alla carica furibonda del più celebre guerriero del Bandō, quasi tremila guerrieri rompono in una fuga a rotta di collo. L’esercito di Sadamori e Hidesato si disintegra.

Hidesato, Sadamori e Tamenori battono in ritirata. Delle migliaia di uomini che si erano uniti a loro dietro lo stendardo imperiale, ne restano solo 300. Il vantaggio numerico è andato, il morale è annientato, Masakado è alle loro calcagna ed ha vinto di nuovo.

Ma in guerra tutto l’ingegno e il valore non valgono quanto una buona botta di culo.

I tre compari raggiungono una posizione dove il vento gira. Ora è Masakado a trovarsi col vento contrario. Hidesato coglie immediatamente l’occasione, l’ultima, e dà battaglia.

La collera del Cielo […] coglie [Masakado] […]. Il Nuovo Imperatore è colpito da una freccia guidata dal Cielo, tale Chiyō che solo crollò al suolo combattendo sul campo di Zhoulu. [Chiyō è un eroe mitico cinese, capo delle Nove Tribù Li, morì combattendo contro Huangdi, l’Imperatore Giallo, nel 2500 a.C., NdTenger].

Una freccia.

Una freccia fortunata che prende il capo nemico in faccia e lo stende secco sul campo di battaglia.

Quando il corpo di Masakado schianta nella polvere, i suoi sono presi dal panico e dalla disperazione, e fuggono. Sul colle polveroso restano poche centinaia di lealisti stremati e il cadavere del più celebre guerriero orientale.

La Storia non si fa coi se e coi ma, e qualsiasi what if è pura speculazione e fantasia. Tuttavia è indubbio che Masakado era a un soffio dal vincere anche quella battaglia, e uno non può che pensare: cosa sarebbe successo in quel caso?

Forse sarebbe riuscito finalmente a uccidere Sadamori, forse no. Di certo Hidesato e Sadamori non sarebbero riusciti a rimettere insieme una banda armata degna di questo nome. Che avrebbe fatto allora Tadabumi, il generale inviato dalla Corte?

Si sarebbe impantanato in una serie di operazioni militari o avrebbe cercato un compromesso?

Per averlo studiato, posso dire con relativa sicurezza che, a mio modesto parere, Masakado non aveva alcuna intenzione di creare un regno indipendente. Masakado, per quel che ho potuto capire, voleva costringere la Corte a reintegrarlo nella società. Voleva essere lasciato in pace coi suoi cavalli, i suoi gregari e la sua famiglia.

Forse avrebbe trattato con Tadabumi, forse no. Quel che è certo è che la Storia avrebbe avuto un decorso molto diverso se Masakado avesse vinto.

E’ impressionante pensare che, in quell’istante, il futuro dell’Impero fosse legato a una sola freccia, a un solo tiro di un solo arciere.

Quale arciere?

Non lo sapremo mai.

La testa del Nuovo Imperatore fu spedita alla Capitale il 25 del quarto mese (probabilmente conservata nel sale). 197 alleati di Masakado morirono sulle pendici del Monte Kita. I vincitori recuperarono dal campo di battaglia 300 mantelletti, 199 faretre, 51 sciabole e dei “documenti di tradimento” di misteriosa natura.

La testa di Masakado esposta alla folla

Nel decreto di Persecuzione e Cattura contro Masakado l’Imperatore aveva offerto l’immunità ai ribelli che si sarebbero arresi senza combattere, e in diversi lo fecero. Quanto ai capi della rivolta (Harumochi, il principe Okiyo, i fratelli di Masakado), furono uccisi alla spicciolata nei mesi che seguirono.

E’ la fine della rivolta, è il tempo dei castighi e delle ricompense.

I tre a ricevere maggiore beneficio furono Fujiwara Hidesato, Taira Sadamori e Minamoto Tsunemoto (il primo a dare l’allarme sulla ribellione).

Minamoto Tsunemoto fu promosso al quinto rango inferiore minore, entrando così a far parte della chiusissima casta dell’alta aristocrazia. Fu nominato keigoshi (ufficiale di persecuzione e cattura nelle regioni occidentali) e poi aggiunto minore del Governo Militare di Kyūshū. Poco tempo dopo, fu uno degli ufficiali che servirono sotto Ono no Yoshifuru nella repressione della rivolta del pirata Sumitomo. Fu lui a inaugurare una tradizione militare che doveva contraddistinguere la famiglia: Tsunemoto è l’antenato dei Seiwa-Genji, il ramo principale coinvolto nella Guerra di Genpei e che produsse il primo grande shōgun Minamoto Yoritomo.

Taira Sadamori era stato quello che più aveva sofferto della guerra. Suo padre era stato ucciso, sua moglie brutalizzata, le sue basi messe a ferro e fuoco, i suoi contadini sterminati, i suoi gregari decimati. Come compensazione ricevette il quinto rango superiore maggiore e fu nominato vicedirettore dell’Ufficio dei Cavalli. Qualche anno dopo fu nominato chinjufu shōgun nell’Est e, in vecchiaia, governatore di Tanba e Mutsu. Da lui discendono due lignaggi illustri:

  • gli Hōjō, tra cui Hōjō Masako, moglie di Yoritomo e una delle personalità politiche più importanti della Storia del Giappone

  • i Taira di Ise, ovvero il ramo di Taira no Kiyomori in persona, il Religioso Ministro che portò per la prima volta i guerrieri all’apice della gerarchia di Corte.

Ad ultimo, Fujiwara Hidesato è quello che raccolse i premi più gustosi, un po’ perché si era dimostrato il guerriero migliore e un po’ perché era un delinquente pericoloso ed era bene tenerselo buono. Il nostro fu elevato da bandito dell’est a niente meno che quarto rango di corte, con allegato un bel pacchetto di terre “ereditabili per sempre”. Divenne poi governatore di Shimōsa. La sua stirpe di pendagli da forca rimase radicata nel Bandō, e a sua volta risalta fuori nella Guerra di Genpei.

In altre parole, ritroviamo nei Disordini di Jōhei e Tengyō non solo il primo grande esempio di ribellione orientale, ma le origini dei 2 lignaggi guerrieri più importanti della Storia Giapponese. La Guerra di Genpei, su cui abbiamo una serie ongoing, fu una rivoluzione, un cambiamento epocale che trasformò profondamente e per sempre il Giappone, la sua cultura, la sua Storia, la sua struttura più profonda. La Guerra di Genpei è ciò che catapulta il Paese sotto il “Governo della tenda” dopo sei secoli continui di dominio incontrastato dell’aristocrazia civile.

E questo evento epocale ha origine sulle pendici del Monte Kita, sulle sponde del lago Hiroe, sulle rive del Mare Katori. La Rivolta di Masakado è la fornace in cui i Taira e i Minamoto furono forgiati.

Epilogo: l’immortalità dei perdenti

Forse l’eredità più duratura fu lasciata da Masakado stesso.

Dopo che la sua testa arrivò alla Capitale Heian (odierna Kyoto) fu esposta (primo caso documentato di esposizione di teste, a chiosa).

Stando a una leggenda, gli abitanti del quartiere furono colpiti da una serie di terribili sventure, presto attribuite allo spettro irato di Masakado. Per cercare di calmarlo, il ribelle fu elevato a divinità col nome di Kanda Myōjin. Kūya stesso, un celebre monaco del X° secolo, avrebbe eretto una stele a memoria del guerriero sconfitto. La nicchia in questione è ancora visibile.

Secondo un’altra leggenda narrata nel Zen-Taiheiki, la testa era stata appesa ai rami di un albero a un incrocio di Kyoto. I giorni passavano, ma la testa non si decomponeva: lo spirito irato del guerriero non poteva abbandonarla. I suoi occhi erano aperti, i suoi denti digrignati, e la notte la si poteva sentir ringhiare: “dove sono le mie membra, dov’è il mio corpo? Che mi raggiungano, per continuare a combattere!”

Un giorno la testa si scosse dall’albero e volò verso i resti del proprio corpo, abbandonato nell’Est, schiantandosi sul bordo di una risaia nel villaggio orientale di Shibazaki, che è oggi il quartiere di Ōtemachi in Tokyo. Terrorizzati, gli abitanti del luogo gli costruirono un cenotafio e fecero di Masakado il loro nuovo “dio delle risaie” (Kanda Myōjin).

Nel 1307 il monaco Shinkei avrebbe costruito un tumulo per la testa di Masakado, per proteggere gli abitanti della zona dalla vendetta dello spettro.

Masakado/Kanda continuò a essere trattato con riguardo, tanto che nel 1603 Tokugawa Ieyasu in persona fece spostare il santuario presso al castello di Edo per ottenere la protezione del terribile spettro. Ieyasu era un uomo di rara intelligenza e si guardò dal toccare il tumulo della testa, che restò ad Ōtemachi.

Nel 1923 degli archeologi ritrovarono il tumulo, con al suo interno una camera funeraria vuota.

Stiamo parlando del Giappone Moderno, il Giappone Potenza Mondiale, libero da superstizioni e arcaismi ridicoli. Il primo ministro dell’epoca autorizzò la distruzione del tumulo: al suo posto sorse il Ministero delle Finanze.

Nei due anni che seguirono il ministro delle finanze e 14 impiegati morirono di subitanee e strane malattie o in incidenti bizzarri. Decine di altri impiegati finirono feriti o si ammalarono.

Lo spettro di Masakado era tornato.

Guerrieri combattono contro Masakado e il suo esercito di spettri, dal pennello di Yoshikazu (attivo tra il 1850 e il 1870)

In realtà il tumulo distrutto era una tomba del 7° secolo che nulla aveva a che fare col noto guerriero, ma non ha importanza, perché la leggenda del Nuovo Imperatore era riaffiorata nella memoria degli abitanti di Tokyo.

I fantasmi non sono cose che esistono a prescindere, sono creati dai vivi. La cosa bella dei fantasmi è che, una volta che i vivi li hanno evocati, esistono. No, non ci sono anime con le catene che vanno in giro. Ma c’è il pensiero fisso, il timore, l’ossessione paranoica, il senso di colpa e vulnerabilità che avvelenano ogni ora della giornata. Di fatto, l’effetto degli spettri è reale, ed era molto reale per gli impiegati del ministero delle finanze di Tokyo.

La situazione divenne talmente drammatica che il governo decise di trasferire il ministero nel 1927, ricostruire il tumulo e fare una grande cerimonia per calmare lo spirito.

Sì, sul serio.

Nel 1927.

E non è finita.

Nel 1940 una folgore colpì il nuovo ministero delle finanze, bruciando quello e altri 9 ministeri adiacenti.

1940, ovvero 1000 anni esatti dalla morte di Masakado.

A quanto pare il Nuovo Imperatore non era ancora contento. Una nuova cerimonia fu eseguita per cercare di calmarlo, ma Masakado non è un uomo, Masakado è lo spettro che si annida nella cuore di un Paese in guerra.

Nel 1945 Tokyo fu bombardata, ma il tumulo di Masakado rimase intatto, un monumento beffardo ritto nelle rovine fumanti dell’Impero del Giappone.

Gli americani si installarono nel quartiere e decisero di spianare tutto per farci un bel parcheggio.

Di certo uno spettro del lontano passato giapponese non può tener testa al moderno bulldozer di un calvinista occidentale, giusto?

Sbagliato.

Il bulldozer urtò il tumulo e si rovesciò, uccidendo il conducente sul colpo.

Pensa te l’ironia: sei sopravvissuto alla guerra, sei nell’esercito d’occupazione di un paese che odi, e proprio quando stai per goderti un po’ di sana demolizione vieni assassinato dal fantasma di un guerriero morto più di mille anni prima.

I residenti spiegarono della leggenda e della maledizione di Masakado agli americani, che decisero che erano tutte cazzate superstiziose ma che ad ogni buon conto non valeva la pena verificare. Il monumento è sempre lì.

I’M STILL HERE BITCHES!

Sono andata a trovare Masakado due volte durante il mio soggiorno a Tokyo, con un mazzo di fiori. Entrambe le volte ho dovuto aspettare il mio turno, perché la fila dei fedeli con offerte è sempre lì.

Tutto intorno si costruisce, ma la stele non sarà toccata: è un cubo alberato nel mezzo dei cantieri

Tutto attorno sorgono grattacieli di grandi firme, e i loro impiegati sono tenuti a presentare doni a Masakado ogni tanto, per evitare di attirare la vendetta dello spettro sull’azienda. Chi non lo fa rischia di essere additato o mutato in capro espiatorio se gli affari vanno male. Quindi, in modo tipicamente giapponese, nessuno ammette di crederci davvero, ma tutti continuano a tenersi buono l’iroso guerriero che non si sa mai.

Trovarmi davanti al suo cenotafio mi ha fatto un grande effetto.

Ho studiato a lungo la vita di Masakado, al punto che ho quasi l’impressione di conoscerlo. Negli anni dei miei studi mi sono trovata davanti a ostacoli molto tosti. Poter portare dei fuori al monumento del ribelle è stato un traguardo.

Mi dispiace che sia morto in quel modo. I personaggi storici sono sempre così lontani per noi che talvolta ci appaiono come personaggi inventati, protagonisti di favole. Ma erano esseri umani, volevano bene e odiavano, temevano e speravano, prevaricavano e cercavano di sopravvivere.

Se solo Masakado potesse vedere, dopo mille anni e più, la fila di gente che continua a rendergli omaggio…

Chissà se questo lo avrebbe consolato. Non posso saperlo perché alla fine è impossibile conoscere davvero i morti (o i vivi, se è per questo).

Ma mi fa piacere aver visitato il monumento, e mi fa piacere vedere i grandi capitalisti che continuano a portare doni a Taira Masakado, il Nuovo Imperatore, la cui memoria continua a infestare la vita dei vivi con molto più vigore della memoria di mille imperatori legittimi prima e dopo di lui.

E’ ironico e un po’ tragico: un uomo che voleva solo vivere in pace è diventato un Immortale suo malgrado.

MUSICA!


Puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata

Ottava puntata


Approfondimenti

Il pirata Sumitomo

Breve storia del sistema militare giapponese, dalle origini a Masakado

La banda di guerra


Bibliografia

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In lingua occidentale

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Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (3.2): L’Impero colpisce ancora

Vento freddo soffia sulla plaga di cenere. E’ una spianata corrosa dagli elementi, sotto un perenne cielo di piombo senza sole e senza pioggia. Lapidi consunte punteggiano la terra sterile.

I nomi a stento si leggono. Laramanni’s weblog, Wunderkind trilogy, Druhim Vanashta

E’ il cimitero dei blog defunti.

Nessuno viene qui, è una regione dimenticata.

Sassolini franano da un monticello di cenere e detriti. Il mucchietto sobbalza.

Una crepa si apre nel fango rinsecchito.

Emerge un indice, un indice puntato, attaccato a un pugno chiuso. Il ditino sentenzioso si erge lento e rachitico in mezzo al cimitero. Da sotto la polvere arriva ovattata una voce nasale.

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ACTUALLY…

Vi sono mancata?

No, non credevo nemmeno io.

Ad ogni modo risiamo qui, in questo luogo di recriminazioni e lagne, a trascinare a calci nel culo la mia serie di articoli preferita, ovvero le mirabolanti avventure del mio compare Masakado, altresì noto come Nuovo Imperatore!

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Masakado in abito di Corte

La scorsa puntata avevamo lasciato Masakado in cresta all’onda della vittoria: ha raso al suolo Hitachi e si è mangiato senza colpo ferire le 8 provincie del Bandō, dove ha piazzato uomini di fiducia per gestire l’ordinaria amministrazione. I funzionari sono stati impacchettati con riguardo e inviati sotto scorta alla Capitale. Il nostro ha anche preso cura di scrivere una lettera al Ministro degli Affari Supremi Fujiwara no Tadahira. In un elegante rimbalzo tra captatio benevolentiae, recriminazioni e velate minacce, Masakado segnala al suo vecchio patrono di essere aperto al dialogo, almeno in principio.

Il ribelle non ha di che essere troppo ottimista, però: tutto questo casino è scoppiato perché voleva far fuori suo cugino Sadamori e suo cugino Tamenori. Ora come ora, vittoria o meno, i due cugini sono sempre vivi e sempre a piede libero.

Oggi però vorrei fare una brevissima pausa dalle vicissitudini familiari dei guerrieri orientali per dare un occhio a ciò che capita alla Capitale. E “ciò che capita alla Capitale”, in questo momento, è una grandinata di rogne come poche se ne è viste in tempi recenti.

Solito promemoria, sia mai che vi scordate dove ci si trova

La notizia della presa della provincia di Hitachi arriva a Heian (attuale Kyoto) il 2 del dodicesimo mese dell’era Tengyō (939). Il 22 arrivano dei messaggeri da Shinano, e di nuovo il 27 e il 29: Masakado ha preso Shimōsa e Kōzuke. La sera stessa arriva anche il governatore di Musashi: la provincia è perduta.

E’ una sventagliata di pessime notizie, e ricordiamoci che la Corte ha già una bella gatta da pelare con la flotta pirata di Fujiwara Sumitomo.

Ho parlato di Sumitomo in dettaglio in questo articolo. Qui basti sapere che questo ex-funzionario ha barattato un mediocre impiego nell’amministrazione civile per una folgorante carriera di predone e piromane.

A differenza di Masakado, il nostro è un criminale puro e semplice. Depreda villaggi e navi. I funzionari che cadono nelle sue grinfie sono torturati e uccisi, o rispediti alla Corte con naso e orecchie mozzate. Le loro mogli e parenti sono stuprate e buttate in mare. Roghi sono appiccati lungo la riva del fiume verso la Capitale.

E in questo clima arrivano le notizie dall’Est. Masakado, quello che nessuno ha mai preso davvero sul serio, si è appena mangiato un terzo del Paese.

E’ quasi sicuro che Masakado non volesse fare il re indipendente né il nuovo Imperatore, ma volesse solo costringere la Corte a patteggiare.

Non è l’impressione che ne tirano però gli aristocratici: per loro è evidente e sicuro che il prossimo obbiettivo di Masakado sarà la Capitale stessa.

Ma l’Imperatore Suzaku e la sua Corte non sono tipi da aspettare imbelli i comodi altrui! Senza por tempo in mezzo organizzano riti e preghiere.

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Può sembrare stupido o naif per il lettore contemporaneo (forse).

Credi che un guerriero orientale stia marciando verso casa tua con migliaia di predoni assetati di sangue, e che fai? Paghi la Wanna Marchi per mettergli il malocchio.

E’ sempre bene evitare di ragionare in questo modo. Dopotutto l’interesse della Storia è anche cercare di capire un punto di vista distante nel tempo e nello spazio. Tadahira, Suzaku e tutti gli altri erano sinceramente convinti di poter influenzare il destino di Masakado con la magia. Ogni tempo ha il proprio mito, ogni società le sue idee bizzarre. Noi, per esempio, crediamo nel trickle-down.

Un mago taoista (il tizio in bianco sulla destra) offre un qualche tipo di lettura a un gruppo di principoni in ghingheri (Immagine tratta dal Tamamonomahe)

Fermo resta che nessuno mantiene il potere col solo aiuto della Wanna Marchi, e l’aristocrazia di Heian prende anche misure pratiche per schiacciare la ribellione.

Per prima cosa vengono spediti a Shinano degli ispettori speciali (kogenshi).

In secondo luogo ci si preoccupa di difendere la Corte: degli inviati speciali (keikokushi) sono spediti alle barriere che delimitano la regione della Capitale, di modo da bloccare le vie d’accesso alla Città Fiorita.

Torri provvisorie sono tirate su in fretta e furia lungo la cinta del Palazzo (sì, Heian non aveva mura, e le mura della “cittadella” non avevano strutture difensive permanenti, nessuno se ne capacita ma questa cosa è rimasta per SECOLI).

Mentre riti e preghiere continuano, vengono nominati in meno di una settimana dei Prosecutori Speciali (tsuibushi), funzionari militari con carica temporanea la cui missione è quella di riportare la pace nei circuiti a loro assegnati. Vi risparmio i nomi, ma basti sapere che quasi tutti sono militari professionisti con esperienza.

In tutta questa fervente attività, un nome risalta fuori: Minamoto Tsunemoto.

Vi ricordate di lui?

Non è un guerriero, è un funzionario civile. E’ stato mandato nell’Est e si è azzuffato con un magistrato locale in una disputa fiscale presto degenerata nei disordini di Musashi.

Al tempo, Masakado era intervenuto riportando la pace, ma Tsunemoto aveva comunque rischiato di lasciarci la pelle. La cosa gli era rimasta di traverso ed era tornato alla Capitale per accusare Masakado e amici di tradimento e ribellione.

Come da prassi, era stato buttato al gabbio nel mentre che l’inchiesta si sviluppava.

Oh beh, ora che Masakado si è pappato otto provincie il problema non si pone più davvero. Tsunemoto viene tirato fuori di galera per essere nominato generale in seconda nell’esercito lealista (lo ritroveremo più tardi nell’organigramma della spedizione ufficiale).

L’11 della prima luna del terzo anno di Tengyō, la Corte emette un editto ufficiale di condanna contro Masakado e i suoi. Coloro che si schiereranno contro il ribelle orientale saranno ricompensati con terre, ranghi e funzioni. E per chi riuscisse a ucciderlo, la Corte riserva in premio l’abito di Porpora e l’abito di Cinabro, ovvero il quinto e quarto rango di Corte.

E’ un premio straordinario. Ottenere il quinto o quarto rango comporta tutta una serie di rendite e possibilità, ma non solo: col quinto rango un uomo entra ufficialmente nell'”alta” aristocrazia. Vuol dire passare dal gruppo che subisce le decisioni al gruppo che le decisioni le prende. Un premio del genere può determinare il futuro della famiglia per decine, centinaia di generazioni! E’ la chiave d’accesso al “Popolo del Cielo”.

Il 14 vengono nominati dei funzionari di 3° rango delle diverse provincie perdute. Costoro cumulano la loro funzione con ōryoshi, una funzione temporanea prettamente militare volta ad imporre gli ordini imperiali in zone, hum, “complicate”.

Tra costoro (i futuri enforcers dell’Impero nell’Est) troviamo dei nomi noti, ovvero due fratelli Taira, Kinmasa e Kintsura.

No, non potete sapere chi siano, perché finora non credo di averli mai nominati.

Ma potete indovinare.

Sono cugini di Masakado. Perché ovvio che sono cugini di Masakado. Per la precisione, figli di Yoshikane, lo zio-nemesi che il nostro ha annientato un da un po’ di tempo ormai.

E le vecchie conoscenze non finiscono qui: l’ōryoshi di Hitachi è il malefico Sadamori! Il nemico giurato di Masakado (e la ragione dietro alla presa di Hitachi per cominciare, ma non stiamo a sottilizzare).

L’ōryoshi di Shimotsuke invece è una faccia nuova: Fujiwara Hidesato.

“Faccia nova” per modo di dire, in realtà. Hidesato è un uomo notevole, per cui val la pena spendere qualche parola.

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Fujiwara Hidesato camuffato da persona perbene
Dettaglio da 
Sōshū Sashima Dairi-zu (総州猿島内裏図) di Toyohara Chikanobu (1838-1912)

Hidesato è un discendente di Fujiwara Uona. Membro del ramo principale dei Fujiwara, Uona è stato Ministro della Sinistra, ovvero la seconda carica più importante dell’Impero (la prima è ovviamente Ministro degli Affari Supremi, perché Imperatore non conta).

Essere alto papavero è una gran ganzata, ma chi sporge la testolina espone il collo, e Uona viene falciato in pieno da uno scandalo che gli costa l’esilio in Kyushu. E’ la fine della sua carriera e della carriera dei suoi discendenti. Il suo quarto figlio, Fujinari, non ottiene nemmeno un impiego alla Capitale. No, il disgraziato viene nominato funzionario di terzo rango nella provincia di Shimotsuke.

Da figlio di Ministro a subalterno fisso in una provincia orientale è una colossale culata in terra.

Fujinari però è uno tosto: non si perde d’animo e si rimbocca le maniche. Con gli anni riesce a scattare di carriera e diventare vicegovernatore della provincia. Sempre un cazzo rispetto a ciò che gli prometteva la vita solo pochi anni prima, ma nessuno ha mai coltivato niente sui sogni infranti. Invece di accanirsi a voler tornare in seno alla Corte, Fujinari sposa una brava ragazza di una buona famiglia del posto, e volta le spalle per sempre a una carriera nell’alta aristocrazia, ma senza tagliare del tutto i contatti con la Gente del Cielo.

Le generazioni si susseguono in provincia, e Shimotsuke si rivela essere un buon posto per i Fujiwara di Uona: il nonno di Hidesato diventa governatore, e il padre di Hidesato diventa funzionario di terzo rango e ōryoshi.

Oryoshi, protettore della pace dell’Imperatore. Ah!

Hidesato è il primo della famiglia a potersi considerare un “guerriero”. Lo vediamo comparire per la prima volta ne sedicesimo anno dell’era Engi (916), alla testa di una banda di delinquenti armati.

Il figlio del commissario è un mariuolo pericoloso e violento, che sorpresona, eh?

Se suo padre e suo nonno si erano assestati in una dignitosa carriera di funzionari, il giovane Hidesato opta per il mestiere che più gli si confà: il brigante. Il Nihon kiryaku lo nomina di nuovo nel 929 come capo-predone della regione.

Sono anni selvaggi di cui si sa poco, se non che il nostro fa un sacco di danni. Me l’età porta giudizio, e pochi anni dopo il nostro pare tornato dal lato buono della legge. Dopotutto nel 939 Hidesato ha ormai la cinquantina suonata, e uno nella sua posizione non arriva a quell’età senza un minimo di buonsenso: non è più un giovane arciere avventuroso, è un uomo maturo con famiglia ed è bene iniziare a preparare un buon nido per la vecchiaia.

E così abbiamo il wonder team di inviati per pacificare il Bandō! Un ex-brigante redento, tre ex-condannati per tradimento… di tutti gli ōryoshi, solo 1 (un tal Tōyasu) ha la fedina penale pulita. Chiaramente per la Corte serve un ribelle per acchiappare un ribelle.

Gli ōryoshi sono scelti di solito tra gente locale o con forti legami sul posto. La speranza è che usino la propria posizione per tirare dalla loro parte le bande armate della zona.

La strategia della Corte non si basa solo su di loro, però: viene organizzata una spedizione ufficiale da manuale!

Il 18 viene nominato un Gran Generale per la Pacificazione dell’Est (Seitō taishōgun), ovvero il capo dell’esercito “ufficiale”.

Per avere un’idea di quanto la Corte prendesse sul serio la minaccia Masakado basti pensare che la funzione di Seitō taishōgun era stata abolita nell’811. Ricompare in questa occasione (100 anni dopo) e mai più fino al XII° secolo.

Organigramma della spedizione ufficiale. Notare il nome di Minamoto Tsunemoto tra i generali in seconda.

Il tizio nominato generalissimo dell’est non è un militare, ma un funzionario civile sulla settantina, di rango medioalto. Costui è affiancato da 4 generali in seconda tra cui ex-funzionari scacciati da Masakado. Senza dubbio costoro sono stati scelti per via dei loro contatti sul territorio.

Il 18 e il 20 vengono anche scelti dei “sovrintendenti” (gungen e gunsō), tre Fujiwara che si erano distinti per i loro ripetuti sforzi di NON proteggere la pace dell’Imperatore. Si tratta del trio Tōkata, Shigeyasu e Fumimoto, tre sgherri del pirata Sumitomo che hanno saltato la barricata in cambio di ranghi e funzioni. Fumimoto in particolare era stato il braccio destro di Sumitomo in occasione del linciaggio del vicegovernatore della provincia di Bizen.

Gente ammodo insomma.

Per la cronaca, Tōkata e Shigeyasu rimasero a Corte e finirono i loro giorni come grassi burocrati, mentre Fumimoto tornò a scorrazzare con Sumitomo e finì morto ammazzato male come è spesso il caso con i pirati.

藤原純友(安政2年、芳直画、築土神社蔵)

Fujiwara Sumitomo, dal pennello di Utagawa Yoshinao (metà XIX°)

Le spade rituali simbolo dell’autorità militare sono consegnate al generalissimo l’8 del secondo mese. E’ passato un mese e mezzo dalle prime notizie di Hitachi, e finalmente pare che l’esercito lealista sia pronto a darsi una mossa.

Si tratta di un esercito strutturalmente simile a quello previsto dai Codici.

Tuttavia la scelta degli uomini è degna di nota: un alto funzionario civile presiede una spedizione i cui capi esecutivi sono non solo militari di professione (quasi tutti, Tsunemoto è ancora un newbie), ma in molti casi uomini con rancori personali verso il capo ribelle.

In questo modo i nobili contano di certo di sfruttare gli interessi privati degli ufficiali, il tutto mantenendo sotto controllo la situazione.

E’ una tattica vecchia come il mondo. Hai una banda di facinorosi che minaccia il tuo potere? Mandagli contro un’altra banda di facinorosi che minaccia il tuo potere. Mal mal che vada se ne saranno ammazzati un po’ tra di loro, e per te è tutto di guadagnato.

Non è il caso per tutti. Ovvio che Sadamori aveva ragioni personali per voler far la guerra al cugino. Ma Hidesato?

Si potrebbe argomentare che lo zio di Hidesato era uno dei funzionari deposti da Masakado nella sua folgorante conquista dell’Est, ma pare una motivazione molto debole.

Nah, Hidesato è un bandito e un avventuriero. Ha fiutato ricompense ed è probabilmente per quelle che è arrivato. Dopotutto il nostro era già funzionario provinciale durante la conquista del Bandō e si era guardato bene dall’opporsi a Masakado.

Ora la faccenda è diversa: la Corte gli sta offrendo qualcosa in cambio dello sforzo.

Non che la partita fosse già decisa, eh. Quella di Hidesato è pur sempre una scommessa, niente gli assicura che l’esercito lealista uscirà vincitore da questa guerra. Anzi, il 26 arriva la notiziola che Masakado, alla testa di 13.000 guerrieri, sta andando a papparsi anche Mutsu e Dewa, le due provincie settentrionali. Non aiuta il fatto che uno dei fratelli di Masakado sia un personaggio importante nella regione, con legami stretti con i funzionari e le élites locali.

Il territorio controllato da Masakado all’apice della rivolta

Kawajiri sostiene che, con ogni probabilità, Masakado prese effettivamente il controllo anche di questa ultima regione.

E’ l’inizio del terzo anno dell’era Tengyō (940) e Masakado è de facto padrone di un terzo tondo dell’impero.

Come accennato nell’articolo precedente, il nostro non si era peritato di creare una struttura di potere originale, ma aveva piazzato dei fidi a tener la barca pari mentre lui si dedicava all’attività più importante di tutte: dare la caccia ai suoi cugini, Sadamori per primo. Alla testa di 5.000 uomini, il nostro passa Hitachi al colino per diritto e per rovescio, ma dopo 10 giorni gli infami parenti restano introvabili.

La caccia non è del tutto vana però: una banda incappa in un gruppo di fuggitivi sulle rive del lago Hiroma. Il gruppo viene braccato, catturato, malmenato e spulciato. E nel mucchio saltano fuori due donne. Sono la moglie di Sadamori e la vedova di Minamoto Tasuku (uno dei primi a prendere le armi contro Masakado, e uno dei primi a morire).

Essere donne, prigioniere di alto profilo e in mano alla soldataglia è una combinazione terribile, e le due sono subito aggredite, stuprate e pestate mentre un piantone corre ad avvertire i capibanda del fortunato ritrovamento.

I due si precipitano sul posto e sfilano le disgraziate dalle grinfie dei loro uomini. Sono ridotte male, ma sono ancora vive.

Ora, è importante sottolineare che in questa regione e in questo periodo la moglie di un uomo non diventava automaticamente membro della famiglia di lui. La linea materna aveva un’importanza pari (e talvolta superiore) a quella paterna: se una donna della famiglia X sposava un uomo della famiglia Y, lei restava comunque un membro della famiglia X. In certi casi era addirittura il genero ad essere “inglobato” nella famiglia della moglie.

In altre parole, Masakado è in guerra con Sadamori, non necessariamente con sua moglie, e lo stesso vale per la vedova di Tasuku. Peraltro, conto tenuto del clima da guerra civile, cercare conflitto con altri notabili locali non è necessariamente una buona idea.

I due capibanda intercedono per le due tizie, chiedono a Masakado che sia fatta loro la grazia di tornare a casa indisturbate. Masakado accetta e offre alle due dei doni in guisa di compensazione.

Non solo: stando allo Shōmonki, il nostro si perita anche di scrivere alla moglie di Sadamori per “sondare il suo cuore”.

La domanda viene formulata sotto forma di poesia:

Benché sia lontano, voglio chiedere al vento messaggero: dove risiede il fiore strappato dal suo ramo?

Il senso della poesie pare d’acchito chiedere notizie: dove andrai?

Anche se un secondo senso è facilmente indovinabile: che intenzioni hai?

La risposta di lei è molto più criptica:

Benché sia lontano, il profumo dei fiori si diffonde, e non mi sento sola.

Potrebbe essere un semplice ringraziamento, il “profumo dei fiori” potrebbe indicare la benevolenza di Masakado che l’ha salvata dalle mani dei guerrieri e le ha permesso di tornare a casa.

Potrebbe anche trattarsi di un velato avvertimento: ti ringrazio del tuo aiuto, ma sappi che non sono sola, non venirmi a cercare.

Non possiamo essere sicuri che queste poesie siano autentiche, ma per quel che sappiamo della struttura familiare della regione in questo periodo è probabile che Masakado abbia davvero cercato di conciliarsi la famiglia di lei.

Stupri a parte, la caccia di Masakado resta infruttuosa, e nel frattempo si è arrivati alla fine del primo mese, che nel nostro calendario corrisponde grosso modo al marzo del 940. E’ l’inizio della stagione agricola, e buona parte dei guerrieri sono anche contadini, allevatori o possiedono poderi e devono supervisionare i lavori.

Dobbiamo ricordare che il grosso dell’esercito è comunque formato da banrui, uomini che non hanno un legame personale con Masakado e lo seguono per timore o per profitto. Questa gente non è disposta a sacrificare il raccolto per il capo, e questo Masakado lo sa. A inizio primavera i banrui disertano, è una dura realtà dell’esistenza.

Il nostro decide quindi di scogliere l’esercito e se ne torna a casa con un migliaio di guerrieri.

Sadamori e Hidesato, intanto, non sono in Hitachi. Si sono acquattati in Shimotsuke con le loro bande di guerra (ovvia, soprattutto la banda di Hidesato e relativi alleati), in attesa di una buona occasione. E questa è una buona occasione.

A questo punto Sadamori e Hidesato hanno un decreto imperiale con la promessa di ricompense. Possono usarlo per levare truppe locali e convincere banrui riluttanti a correre dei rischi.

Ed è esattamente quel che fanno: in poco tempo, i nostri ammassano 4.000 uomini.

Masakado è popolare, ma un guerriero di questo periodo è fedele alla propria famiglia. Chi ha seguito Masakado mentre lui vinceva non ha nessun problema morale a cambiare partito ora che Hidesato è sceso in campo con una nutrita banda e un decreto.

La resa dei conti si avvicina.

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A questo punto della vicenda, qualsiasi cosa può capitare.

La Corte ha deciso di trattare con Sumitomo e non con Masakado probabilmente perché ha paura di Masakado. Sumitomo è un pirata, un mercenario, vuole soldi, vuole potere, vuole navi, ricchezze, tutte cose facili da capire e da cui la Corte si può, volendo, separare.

Ma Masakado?

Masakado ha preso un terzo del paese. Lascia intendere di voler trattare, ma vuol trattare davvero? Magari non vuole diventare Nuovo Imperatore, ma a questo punto potrebbe diventare Nuovo imperatore! E se tratti con lui, e ottieni il ritiro delle sue truppe e la restituzione delle provincie, chi ti assicura che al prossimo screzio con le autorità locali non ricapiti di nuovo?

Come puoi imporre la legge ad un uomo che ha dimostrato capacità del genere?

Non puoi. E pertanto non lo puoi tollerare. Anche se ha dato prova di buona volontà, anche se ha dato prova di voler trattare, anche se è un uomo di buonsenso che non ama la violenza gratuita (caratteristica rara tra i suoi pari). E’ un uomo che ha dimostrato di poter sfidare la Corte e vincere, e questo lo rende molto più pericoloso di una marmaglia di predoni piromani che mozzano nasi e bruciano villaggi.

Ovvio che con i se e con i ma la Storia non si fa, ma per quel che ho potuto imparare di Masakado, è probabile che, se la Corte avesse trattato e condannato Sadamori una volta per tutte, il nostro se ne sarebbe tornato a casa sua a fare l’allevatore. E’ quello che fa durante il primo interludio tra i disordini, e in generale l’impressione è che Masakado non avesse davvero l’ambizione di governare su un terzo di Honshū. Masakado era un uomo che amava la propria casa, la propria moglie e la propria pace di vivere.

Ironicamente, due degli uomini coinvolti nella repressione della rivolta saranno all’origine di lignaggi che finiranno per aggrapparsi alla Casa Imperiale come spire di convolvolo, fino a scalzarla dal potere esecutivo reale e a relegare il Figlio del Cielo in secondo piano.

Chissà, forse se Suzaku avesse trattato con Masakado, la Storia intera del Giappone sarebbe stata diversa.

Ma questo è materiale per un prossimo articolo. L’ultimo della saga!

MUSICA!


Puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata


Approfondimenti

Il pirata Sumitomo

Breve storia del sistema militare giapponese, dalle origini a Masakado

La banda di guerra


Bibliografia

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In lingua occidentale

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Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (3.1) – Il Nuovo Imperatore

Questo blog, come avrete certo notato, è gestito col rigore e la puntualità di un bordello ambulante durante la Guerra dei Trent’Anni. Quindi tra recriminazioni su film e appassionanti diatribe sulla forma dei buchi del naso nelle statue di Bodhisattva, ci sono un paio di serie che stagnano da mesi e mesi.

Una di questa è la disgraziata vicenda di Taira Masakado, che mi accingo a resuscitare dal passato perché prendere a calci i cavalli morti è il passatempo preferito qui alla Fortezza.

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Nella puntata precedente abbiamo parlato di come Masakado, dopo l’ennesimo tradimento da parte della Corte, abbia deciso di cambiare le regole del gioco: intervenendo in favore di un gregario, il nostro ha espugnato la capitale provinciale di Hitachi e preso prigioniero il vicegovernatore e il disgraziato messo imperiale che si trovava nei paraggi.

Ora Masakado ha ufficialmente superato il limite da faida privata a rivolta contro lo Stato.

Un atto del genere di solito comporta una totale perdita di ogni diritto e protezione: una volta che sei stato dichiarato ribelle, chiunque ha il diritto di ucciderti e può aspettarsi una lauta ricompensa in cambio.

Ciò funziona soprattutto se l’autorità della Corte è riconosciuta come legittima e affidabile.

Purtroppo la Corte sta avendo qualche problemino da questo punto di vista, mentre Masakado è all’apice della propria popolarità. Masakado è il prototipo di quello che, in un’ottica feudale, è il buon signore.

E’ un guerriero di fegato che non chiede ad altri cose che non sia disposto a intraprendere in prima persona.

E’ un uomo temperante e ragionevole, che non ama gli spargimenti di sangue fine a se stessi e che non rischia la vita dei propri uomini alla leggera.

E’ un buon tattico, capace di rovesciare situazioni disperate.

E’ un buon patrono, qualcuno pronto a muovere il Mondo per proteggere i propri gregari, qualcuno che non svende i suoi per un vantaggio politico.

Masakado è anche un lontano discendente dell’Imperatore Kanmu e amico personale del principe imperiale Okiyo.

Masakado è riuscito a vincere contro nemici più numerosi e potenti di lui.

Insomma, Masakado riunisce in sé il fascino tradizionale del condottiero di ascendenza nobile con l’aura romantica dell’eroe perseguitato, il buonsenso del buon amministratore con la foga e il genio tattico del prode guerriero.

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Masakado era anche molto liberale nella distribuzione di mazzate sui denti
Utagawa Kunisada (1786-1865)

Per molti notabili dell’Est, Masakado è un colpaccio di marketing come pochi se ne sono visti prima!

Dal canto suo, Masakado sa di non poter davvero far la guerra all’Impero intero. E da parte loro, gli imperiali non possono tollerare di lasciare impunito qualcuno che una bella mattina piglia e rade al suolo un intero complesso provinciale.

Lo scontro è inevitabile.

Masakado opta quindi per una nuova strategia: prendersi il resto del Bandō.

Ci sono varie teorie su quale fosse il vero scopo di Masakado in quest’avventura, ma ci ritorneremo con calma.

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La pianificazione è tutto

E’ il 940, Masakado ha preso Hitachi e ci ha lasciato dei funzionari subalterni con l’ordine di mandare avanti l’ordinaria amministrazione e non fare i furbi.

Meno di un mese dopo i fatti di Hitachi, Masakado marcia verso la capitale provinciale di Shimotsuke. Il suo esercito sta crescendo: capibanda accorrono dai quattro angoli del Bandō, pronti a combattere per il nuovo eroe, erodendo i già traballanti eserciti provinciali.

Il governatore provinciale di Shimotsuke non prova nemmeno a resistere: aspetta Masakado senza tirare in ballo manco un soldato e subito gli consegna i sigilli provinciali, le chiavi dei magazzini, i registri ufficiali e la password per Netflix.

Masakado ringrazia e gli offre una scorta per tronarsene alla Capitale da bravo bambino. Quanto ai gregari del governatore, non restano per vedere se Masakado avrà per loro la stessa cortesia: raccattano le famiglie e fuggono.

Perché la guerra è guerra, e dopo un ribaltone seguono sempre purghe e vendette.

Promemoria

L’autore dello Shōmonki, sempre molto sensibile alla sofferenza della popolazione civile, non racconta di roghi e stupri a questo giro. Si accenna a dei disordini, ma la presa di Shimotsuke pare molto meno cruenta di quella di Hitachi.

Ad ogni modo il nuovo esercito ribelle non ha freni, spinge avanti e un paio di settimane dopo è davanti alla capitale provinciale di Kōzuke, che cade senza combattere esattamente come Shimotsuke.

E’ una guerra lampo senza precedenti. Le istituzioni si sgretolano come castelli di sabbia davanti all’ondata di marea di Masakado e dei suoi.

Questa velocità fulminante non deve però far credere che la rivolta armata faccia l’unanimità dei consensi: Masakado ha tani nemici. Stabilire un solido controllo sul territorio il prima possibile è vitale per impedire ogni possibile contro-insurrezione.

Masakado se ne rende conto, e prima di continuare nella provincia successiva, s’installa negli uffici di Kōzuke e nomina dei funzionari che possano riempire la nicchia ecologica lasciata dagli imperiali.

Molti di quelli al seguito di Masakado erano guerrieri della classe dei magistrati di distretto: piccola aristocrazia locale tagliata fuori da una buona carriera nell’amministrazione. Hanno preso dei grossi rischi per star dietro a Masakado, e Masakado deve dar loro qualcosa in cambio.

E ciò che qualcuno di quella classe vuole è una funzione.

Prestigio, potere e una rendita, una via di fuga da una posizione mediocre e subalterna da cui non c’è scampo. Una funzione è un premio ambito.

Concedendola, Masakado non solo rinforza il proprio controllo sulle regioni, ma rinforza il legame che ha creato coi capi ribelli.

Mentre i nostri sono riuniti a discutere di ciò, una donna si presenta alla capitale provinciale.

E’ una profetessa, ed è venuta a portare un messaggio del Gran Bodhisattva Hachiman.

Profetessa profetizzante

Nello Shōmonki non si dice da quale santuario viene la donna. Se davvero il fatto è accaduto, la signorina doveva essere una aruki-miko, una sacerdotessa itinerante. Si trattava di donne nomadi che si guadagnavano da vivere eseguendo riti, divinazione o, all’occasione, prostituendosi.

Le donne-sciamane sono un pilastro della società giapponese dalla notte dei tempi: come accennato in passato, la prima volta che una fonte storica nomina il regno di Wa, questo è sotto il controllo di una regina-sciamana.

Nel milieu dei guerrieri queste donne erano particolarmente importanti e i loro servigi molto ricercati. Non è difficile capire perché: la via dell’arco e della freccia è una via brutale e crudele, divinazione e preghiera sono un conforto necessario per molti.

Ad ogni modo la nostra ha un messaggio dalla parte di Hachiman-daibosatsu:

Io [chin, 朕, pronome personale che solo l’Imperatore ha diritto di usare, NdTenger] conferisco la dignità imperiale a mio figlio [onshi, 蔭子, “mio figlio”, termine usato solo dai dignitari superiori al quinto rango, NdTenger] Taira Masakado. Il certificato di rango [iki, 位記] è stato redatto dallo spettro Ministro della Sinistra di secondo rango maggiore, Sugawara Ason. Il Bodhisattva Hachiman detiene gli ottantamila eserciti. Conferisco così la dignità imperiale. Subito siano suonati i trentadue brani e che ciò sia rapidamente messo in opera.

C’è tanto da spacchettare in questo brano.

La miko usa a tratti il linguaggio riservato all’altissima aristocrazia e all’Imperatore.

In secondo luogo, lo spirito fa riferimento a un “certificato di rango”. Si tratta qui dei documenti rilasciati agli aristocratici per attestare della loro posizione. Tuttavia questo tipo di documento non si applicava all’Imperatore, che era Pronipote Divino e non certificava proprio niente.

Yanase interpreta questi elementi come un indizio che il fatto non sia davvero avvenuto. Rabinovitch si spinge ancora più avanti suggerendo che si tratti magari di un’aggiunta volutamente satirica.

Un’altra possibilità è che il fatto sia capitato davvero, e che sia stato orchestrato da Masakado o dal suo compare Okiyo.

Pensateci: Masakado è in disperato bisogno di legittimità (come ogni nuovo capo). E’ discendente di Kanmu, ma basterà?

Ed ecco che arriva una profetessa. Una profetessa di provincia che si rivolge a gente di provincia. Magari ha sentito parlare degli alti aristocratici, ha sentito nominare i diplomi di rango, ma non è abbastanza addentro alla cultura di Corte da sapere che non esiste un diploma di rango per l’Imperatore.

C’è però dell’altro: un chiaro riferimento a Sugawara Michizane.

Nel 901 Sugawara Michizane era Ministro della Destra (la terza carica più importante della Corte), in un’epoca in cui solo i Fujiwara facevano grandi carriere. Michizane non era membro della famiglia, ma era un brillante letterato e un amico personale dell’Imperatore Daigo.

La cricca Fujiwara non può però tollerare la sua presenza, e in un complotto infame anche per gli standard dell’epoca, riescono a far esiliare Michizane a Kyūshū, dove morirà un paio d’anni dopo.

Questa storia è così straordinaria che merita un articolo a sé: basti sapere che la macchia di questa lurida congiura non andò mai via e rovinò la vita di molti membri del clan Fujiwara (e non solo). Lo spettro vendicatore di Michizane fu uno dei più pericolosi, crudeli e duraturi fantasmi della Storia Giapponese.

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Michizane scaglia accidenti dalla cima di una collina
Ogata Gekkō (1859-1920)

Il fatto che Michizane, il terribile spettro nemico dell’Impero, compaia in questo brano, potrebbe indicare che si tratta non tanto di un fatto reale, ma di un artificio letterario, un accenno a ciò che il futuro ha in serbo per Masakado e i ribelli della sua risma.

Allo stesso tempo, sapete chi era funzionario in Hitachi durante le prime fasi della faida tra Masakado e i suoi parenti?

Sugawara Kanemochi, il figlio di Michizane.

Il mondo è piccolo alle volte, eh?

La carriera di Kanemochi era stata annientata dalla caduta di suo padre e, invece di diventare membro del Governo Centrale, il nostro era stato spedito a fare il funzionario di mezza tacca nel selvaggio Bandō. Kawajiri nota che Kanemochi arrivò in Hitachi quando ancora aveva la ventina. E’ probabile che, esiliato e senza amici, abbia stretto legami con la famiglia Fujiwara locale (quella di Haruaki, per cui Masakado ha marciato in Hitachi l’undicesimo mese del 940).

Secondo Kawajiri non è da escludere che l’autore dello Shōmonki abbia voluto qui puntare allusivamente il dito a Kanemochi, magari suggerendo che il nobile decaduto era il secondo complice di Masakado (il primo era il principe Okiyo).

Sarebbe un altro elemento a favore della teoria per cui l’episodio della veggente non è che un brano romanzato, frutto del pennello dell’autore.

Firday nota anche che il culto di Hachiman (protettore del lignaggio imperiale) non era ancora diffuso nell’Est ed era più una roba da gente della Capitale. Se davvero la messinscena ha avuto luogo, perché scegliere il nome di una divinità a stento conosciuta dal tuo pubblico?

Le stranezze narrate dallo Shōmonki non si fermano con l’ipotetica profetessa. Stando alla fonte, dopo l’oracolo la banda di Masakado avrebbe creato per lui il titolo di shinnō, “Nuovo Imperatore”.

Fermiamoci qui un momento.

Da quando lo Stato di Yamato comincia a strutturarsi nessuno, e ripeto nessuno, ha mai cercato di soppiantare l’Imperatore.

Mai.

La gente ha congiurato per scegliere il Principe di Sangue, ha deposto sovrani, ha fomentato liti di successione (tra le cause remote della Guerra di Genpei c’è una disputa di questo genere), Imperatori sono stati assassinati, o imprigionati, o presi in ostaggio.

Più tardi, l’istituzione shogunale ha usurpato il potere secolare degli Imperatori (lasciandogli quello spirituale e la legittimità ultima).

Ma nessuno, mai, ha cercato di soppiantare la Casa Imperiale.

Non importa se credi davvero che l’Imperatore sia divino o no, la Casa Imperiale deve restare.

Una delle ragioni di ciò è che essere Imperatore è una grandissima e cosmica rottura di coglioni. Come dio vivente, il sovrano ha una vita strettamente regolata da rituali e cerimonie (che includono, talvolta, starsene seduto digiuno e immobile per 12 ore, o altre robe buffe così).

In secondo luogo tutti avevano più o meno chiaro che, senza una Casa Imperiale come fonte di legittimità condivisa, il Paese sarebbe scoppiato in una guerra civile totale. Era nell’interesse di tutti mantenere un certo grado di ordine.

Diventare ministro o reggente è quindi molto più interessante, in quanto dà accesso al potere effettivo senza tirarsi dietro tutti il fardello religioso e senza distruggere il delicato equilibrio che teneva iniseme la società giapponese.

Se questa storia dello shinnō fosse vera, Masakado sarebbe l’unico esempio di usurpatore imperiale nella lunga storia di rivolte e rivoluzioni che hanno falcidiato il Giappone.

E’ la ragione per cui condivido la posizione della maggioranza degli storici nel dire che, probabilmente, ‘sta storia del Nuovo Imperatore è una bufalata a reazione.

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Un esempio di quanto faccia schifo la vita da Imperatore: Antoku, qui in braccio a sua nonna. Ma di lui parleremo nella serie su Genpei.

E’ possibile che questa storia sia pura e semplice propaganda della Corte. Dopotutto la Corte ha deciso di trattare con quel macellaio di Sumitomo e di combattere contro Masakado, un uomo che fino a poco prima era rimasto nei limiti della legge e aveva dato prova a più riprese di estrema buona volontà.

Come giustificare una scelta del genere se non argomentando che Masakado è in qualche modo peggio di Sumitomo? E visto che sono ribelli tutti e due, cosa c’è di peggio di un ribelle? Un ribelle blasfemo.

E’ anche possibile che si tratti di un caso di projection: Masakado inizia a mangiarsi territorio e ad ammassare eserciti nella regione del Bandō.

Sapete chi l’aveva fatto prima di lui?

L’imperatore Tenmu, quando ancora si chiamava Ōama ed era stato tagliato fuori dall’eredità imperiale. Tenmu fu uno dei più grandi imperatori della Storia. Non è da escludere che la rivolta di Masakado abbia destato reconditi ricordi nella testolona dei nobili della Capitale.

Infine può anche darsi che “nuovo imperatore” fosse un soprannome, un nomignolo affibbiato per scherzo o per adulazione dagli uomini di Masakado. Dopotutto il nostro non sarebbe il primo capo militare autocratico a dotarsi di un nomignolo (Attila, Piccolo Padre, gli esempi abbondano).

E’ un film più storicamente accurato di Vikings

Mentre è in Kōzuke, Masakado prende anche l’occasione di scrivere una lettera al suo ex-patrono, il Ministro degli Affari Supremi Fujiwara Tadahira (anche se alcuni ritengono che il messaggio sia per il figlio di Tadahira, Morouji).

La lettera è riportata per intero nello Shōmonki.

C’è molta discussione sulla veridicità di questo documento, ma, riassumendo l’annosa diatriba, è molto probabile che sia autentico.

Se lo è, si tratta dell’unico documento in cui Masakado ci parla. L’unica traccia sopravvissuta della sua “versione dei fatti”.

Oso rivolgermi a Voi.

Sono ormai molti anni che non posso valermi del Vostro consiglio. Desidero incontrarvi, ho urgenza di parlarvi. Ve ne sarò molto grato se vorrete accordarmi la vostra considerazione.

Anni fa fui convocato a seguito di una lettera di denuncia di Minamoto Mamoru e i suoi [acerrimi nemici di Masakado, sono loro a scatenare la prima ondata di ostilità, NdTenger]. Timoroso di questa convocazione, mi recai tosto alla Capitale, e appena arrivato ricevetti degli ordini e mi dissero:

“Masakado, hai già ricevuto molte benedizioni. Pertanto, abbiamo deciso di lasciarti tornare a casa.”

Sono tornato al mio villaggio natio senza por tempo in mezzo. In seguito, scordati i lontani fatti di guerra, ho tolto la corda al mio arco e ho vissuto in pace.

Tuttavia il vecchio vicegovernatore di Shimōsa, Taira no Yoshikane, mise insieme diverse migliaia di uomini e decise di attaccarmi. Non potendo voltar le spalle e fuggire, mi sono difeso. A causa di Yoshikane moltissime persone furono uccise, ferite o catturate. Ciò è stato riportato in dettaglio dalla lettera inviata all’amministrazione centrale dal governatore di Shimōsa.

La Corte inviò dunque alle diverse provincie l’ordine di perseguire Yoshikane e i suoi, ma finì lì. Nel frattempo arrivò un messaggero che mi comunicò che ero stato convocato di nuovo. Ciò mi riempì di inquietudine, e alla fine non andai alla Capitale. Spiegai in dettaglio la situazione all’inviato imperiale Anaho no Tomoyuki e la cosa morì lì.

Non stavamo ricevendo nessuna nuova dalla Capitale e io ero affranto e inquieto, quando, quest’estate, Taira no Sadamori in persona arrivò in Hitachi portando con sé un ordine imperiale dove venivo convocato. In seguito, i diversi governi provinciali mi mandarono le loro deposizioni ufficiali. Il suddetto Sadamori era sfuggito alla cattura e, senza farsi scovare, era tornato alla Capitale.

Vista la situazione, il Governo avrebbe dovuto arrestarlo e svolgere un’indagine completa sul suo conto. Ma al contrario gli fu concesso un ordine imperiale che gli dava ragione. Ditemi se questi non sono tradimento e menzogne!

Non solo, il Terzo Controllore della Destra, Minamoto no Sukemoto no Ason, mi portò una lettera con ordini e istruzioni in cui era scritto:

“A seguito della lettera di denuncia del precedente vicegovernatore di Musashi, Tsunemoto, è stata decisa una seconda convocazione per poter indagare sulle colpe di Masakado.”

Mentre aspettavo l’arrivo degli inviati imperiali, Tamenori, il figlio del vicegovernatore di Hitachi Fujiwara no Korechika no Ason, abusava senza vergogna della propria autorità e si divertiva a calunniare il prossimo. A seguito delle lamentele di uno dei miei guerrieri, Fujiwara no Haruaki, mi recai in Hitachi per approfondire questa faccenda.

Nel frattempo Tamenori e Sadamori, agendo di concerto e alla testa di più di 3000 guerrieri d’élite, requisirono arbitrariamente le lame e le armi delle armerie, piantarono i mantelletti e mi sfidarono in combattimento.

A quel punto, dopo aver ravvivato il morale dei miei guerrieri e dei miei soldati, ho annientato l’esercito di Tamenori.

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Mi spiace, temo di aver spianato il tuo esercito in meno di niente.

Non so quanta gente sia morta in quel frangente o durante l’occupazione della provincia. Non occorre dirlo: molti sopravvissuti furono catturati e decapitati da me.

Il vicegovernatore Korechika finì per scrivere una confessione dacché, non avendo saputo dare un’educazione a suo figlio, la cosa era degenerata in rivolta armata.

Anche se non era mia intenzione in principio, ho rovesciato la provincia. La punizione non sarebbe stata leggera, ma sarebbe stata la stessa per aver preso una o cento provincie.

Mentre continuavo a interpellare la Corte, ho finito per catturare tutte le provincie del Bandō.

Ho preso la libertà di considerare il mio lignaggio e, alla fine, sono un discendente alla quinta generazione dell’Imperatore Kashihabara [Kanmu, NdTenger]. Se dovessi conquistare metà del Paese, non si direbbe forse che era nel mio destino ?

In tutti i documenti storici ci sono storie di uomini che hanno preso il Mondo grazie alla forza delle armi. Già il Cielo mi ha accordato il dono dell’abilità militare. Considerato ciò, chi dei miei pari potrebbe mai essermi eguale?

E nonostante tutto la Corte, invece di ricompensarmi, continua a mandarmi lettere di rimproveri. Riflettendo sulla mia vita, ciò mi dà molte ragioni di provar vergogna. Bell’onore mi son guadagnato…

Se poteste dedicare un pensiero a questa mia situazione, ne sarei molto felice.

Ormai sono passati decenni da quando, al tempo della mia giovinezza, servii la casa dell’augusto sire il gran Ministro. Tutte queste cose sono successe e non ho pensato che era un periodo in cui eravate Reggente e Ministro del Paese. Mi dispiace, le parole mi mancano.

Anche se può sembrare che mi stia preparando a conquistare il Paese, come potrei mai dimenticare Voi, il mio vecchio patrono. Se voleste tener ciò in considerazione, ne sarei felice. Questo soltanto mi preme davvero tra le mie diecimila preoccupazioni.

Masakado scrisse col più gran rispetto,

Secondo anno dell’era Tengyō, dodicesimo mese, quindicesimo giorno.

La lettera è… interessante.

Nel lungo papello Masakado esprime tutta la propria frustrazione. “Non ho fatto che difendermi, sono venuto alla Capitale, mi avete rimandato a casa ma poi continuate a tenermi questa storia sul collo!”

Passa alla sua versione dei fatti, al profondo senso di tradimento da parte della Corte: “Sapete dove ve le dovete infilare le vostre convocazioni ufficiali?”

Procede con velate minacce, nota che potrebbe, in teoria, mangiarsi un pezzo dell’Impero: “Ho un esercito e un’ascendenza imperiale, e non ho paura di usarli!”

Allo stesso tempo il nostro non manca mai di rispetto a Tadahira, anzi, gli chiede scusa: “tutto ‘sto casino proprio quando sei ministro, mannaggia!”

Masakado non si mostra mai ostile verso il suo ex patrono, anzi. Gli chiede perdono, aiuto e consiglio. Il tutto mentre si mangia le provincie dell’Est una dopo l’altra, manco non l’avesse fatto apposta.

Nel messaggio Masakado dichiara senza mezzi termini di voler parlare con Tadahira e di essere disponibile a seguire il suo consiglio. Questo lascia supporre che lo scopo della lettera fosse sì minacciare l’aristocrazia, ma lasciando intendere che era disposto a trattare.

Scrivere a Tadahira è un palese tentativo, dalla parte di Masakado, di aprire un canale di comunicazione con la Corte.

E qui arriviamo allo scopo finale dell’intera faccenda.

Per alcuni Masakado è semplicemente un capo ribelle che ha deciso di mangiarsi un pezzo d’Impero.

Dissento. Secondo me lo scopo di Masakado quando si è preso all’anima di papparsi l’intero Bandō era quello di diventare una minaccia tale da costringere la Corte a trattare.

Mettetevi nei suoi panni: da anni Masakado ha dovuto fare i conti con attentati alla sua vita e alle sue terre, ha cercato di ragionare, ha cercato di difendersi, ha cercato l’intervento delle autorità competenti, e niente ha mai funzionato.

E’ mia ferma opinione che con la rivolta Masakado volesse prendere di forza ciò che la Corte gli ha negato finora: riconoscimento e protezione. C’è chi per farsi sentire prende in ostaggio il telecomando, Masakado ha preso in ostaggio una regione. Non vuole restare come capo indipendente, vuole che il suo valore e la sua posizione siano riconosciuti.

Questa è ovviamente la mia conclusione: non per forza ho ragione.

Quale che fosse il recondito disegno di Masakado, a Kōzuke il nostro procede a nominare funzionari responsabili per le provincie di Shimotsuke, Kōzuke, Hitachi, Shimōsa, ma anche Awa, Kazusa, Sagami e Izu.

Izu non fa tradizionalmente parte del Bandō, ma un anno prima uno dei fratelli di Masakado aveva fomentato qui una rivolta, che a questo punto viene inglobata nella più grande presa dellì’Est, perché in guerra e in cucina tutto fa brodo.

E Musashi?

Non compare nello Shōmonki a questo punto, ma compare nei decreti sulla rivolta, il che lascia supporre che Masakado l’abbia messa sotto il suo diretto controllo.

Non che il nostro abbia abbandonato la sua dolce Shimōsa, al contrario! Stando allo Shōmonki e al Fusō ryakkki, il nostro decide di costruire una sua “capitale” qui, nella sua prediletta base di Iwai.

Masakado procede poi, secondo lo Shōmonki, a nominare tutti i membri del governo in una replica dell’organigramma della Corte: consiglieri, auditori, Ministri della Sinistra e della Destra, ecc. Per ultimo, nomina un Dottore del Calendario.

Chi è un Dottore del Calendario? E’ il tizio che fa gli oroscopi e che stabilisce quali giorni si può fare cosa.

Questa carica, a Corte, era la carica cardinale. Nessuno faceva niente senza consultare prima un astrologo esperto.

Come fa notare Fukuda, il Dottore del Calendario sarebbe stato il primo funzionario nominato da qualcuno che ha l’intenzione di ricreare una copia della Corte di Heian. Senza di lui non si organizza nulla, e la sua presenza è indispensabile a legittimare gli atti.

Come mai qui è buttato lì alla fine, come a tappare una dimenticanza?

Non si può scusare la cosa con “magari nell’Est non sapevano ‘sta faccenda degli oroscopi”: Okiyo è un principe imperiale e Masakado ha servito alla Capitale da giovane.

E’ possibile che non abbiano trovato nessuno con il giusto curriculum in tempo, o è possibile che si tratti dell’ennesima interpolazione apocrifa volta a dimostrare l’illegittimità simbolica delle decisioni prese in Kōzuke.

Immagine correlata

E il resto della campagna militare per prendere il Bandō?

Non c’è nessuna campagna militare.

Mentre Masakado è a Kōzuke, i funzionari delle restanti provincie abbandonano sigilli, registri e mutande sgommate e ritornano alla Capitale con le sottane in mano. A Masakado non resta che finire il tour del ribaltone, installare i nuovi collaboratori e poi tornare in Shimōsa.

Qui il nostro si prepara a resistere alla contro-rivolta, la spedizione armata che di certo gli toccherà combattere.

E’ da notare che, a parte l’occupazione militare e l’insediamento di nuovi funzionari, Masakado non prende altre disposizioni. Non c’è nessuna riforma creativa del sistema di governo, nessun ragionamento approfondito su come l’autorità funzioni o come la si possa manipolare.

Con tutta la morte e la distruzione, con tutta la mirabolante impresa militare, non c’è mai una rimessa in causa dello status quo.

Quella di Masakado è una rivolta, non una rivoluzione.

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La rivolta di Masakado, di Kato Toshiro

Bisognerà aspettare un paio di secoli prima che qualcuno si ponga seriamente il problema di una forma di autorità diversa da quella Imperiale tradizionale. Bisognerà aspettare l’arrivo della power couple del millennio: Minamoto Yoritomo e Hōjō Masako.

Nel suo piccolo, Masakado ha dimostrato quanto labile sia il controllo reale dell’aristocrazia sulla regione che, ricordiamolo, è il cuore pulsante del potere militare giapponese.

Ma che dire del controllo di Masakado? Cosa ci vorrà per scalzare il miglior capobanda dell’Est?

Ci vorrà un bandito e una folata di vento favorevole. Perché come sa chi studia Storia Militare: tutti i piani del mondo non valgono una genuina botta di culo.

MUSICA!


Puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata


Bibliografia

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira,Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

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KAWAJIRI Akio, Taira Masakado no ran (La révolte de Taira Masakado), Tōkyō, Yoshikawa Kōbunkan, 2007

KAWAJIRI Akio, Yuregoku kizoku shakai (Une société aristocratique tremblante), Shōgakukan, Tōkyō, 2008; L’ère des zuryō

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PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (3)

Nelle scorse puntate abbiamo raccontato di come la faida familiare dei Taira del Bandō fosse degenerata in roghi e massacri. Masakado, gagliardo notabile senza funzione ma con tanto ingegno, ha vinto l’ultimo round: è il guerriero più famoso dell’Est, la sua reputazione è alle stelle, frotte di combattenti e clan locali sgomitano per essere nelle sue buone grazie e i funzionari provinciali lasciano correre dato che, per ora, nessuno ha cercato di buttar giù i loro uffici.

E’ il 939, e come al solito l’amministrazione ficca la testa nella sabbia fintanto che i convogli di tributi sono relativamente indisturbati. Dal canto suo, Masakado si è guardato bene dal cercare rogne con l’autorità costituita. La sua è una guerra privata, e ormai il suo principale obbiettivo è ristabilire pace e quiete nella regione.

Purtroppo per Masakado, suo cugino Sadamori è ancora vivo, ed è riuscito a raggiungere la Corte. Insieme all’ex funzionario provinciale Minamoto Tsunemoto, ha presentato il suo caso contro Masakado, e i Nobili li hanno ascoltati. Circa.

La Corte si trova infatti presa tra due fuochi: da un lato Masakado, dall’altro Sumitomo e i suoi pirati, che stanno saccheggiando e distruggendo allegramente la regione del Mare Interno.

I Nobili decidono quindi di rifilare un mandato a Sadamori e mandarlo a morire nell’Est, mentre loro si occupano di ammansire il Re dei Pirati nell’Ovest.

Piccolo promemoria: sulla sinistra la provincia di Yamashiro, dove si trova Heian, la Capitale; sulla destra, le Provincie Orientali chiamate in causa in questo articolo

Nel Kantō, Masakado fa del suo meglio per mantenere la pace nella sua zona, forte del suo nuovo stato di Cazzutissimo Maximo. Ma è il Kantō, e ‘sta gente non la mette calma nemmeno l’Armageddon.

Cominciamo con la provincia di Musashi. Come si accennava nella puntata precedente, il Principe Okiyo era arrivato costì nei panni di governatore provvisorio, in attesa del governatore vero e proprio.

Quest’ultimo, all’anagrafe Kudara Sadatsura, arriva finalmente alla capitale provinciale. Sadatsura ha sposato la figlia di Okiyo e, tanto per cambiare, i due uomini si odiano.

E’ uso che il governatore temporaneo continui a partecipare agli affari della provincia, soprattutto se si tratta del suocero (verso cui Sadatsura ha obblighi filiali). Ma è anche uso che i giovani caccino i vecchi a pedate nel culo, e appena finito il banchetto di benvenuto Sadatsura fa un bel pacchettino di Okiyo e lo esclude dall’amministrazione.

Incazzatissimo, il Principe se ne va sbattendo l’uscio e si installa sul divano a casa di Masakado, in Shimōsa.

Ospitare a casa Okiyo non è una scelta anodina. Masakado sa che Tsunemoto ha accusato lui e Okiyo di tradimento verso lo Stato, e diventare coinquilini non può che ravvivare i sospetti della Corte. La scelta peraltro può solo complicare i suoi futuri rapporti con Sadatsura. Bene che vivono in provincie diverse, ma sono comunque vicini di casa.

Allo stesso tempo Okiyo resta un Principe imperiale, e la sua presenza è fonte di grandissimo prestigio tra i notabili locali.

Si tratta anche di una provocazione. Masakado sta mostrando al governatore e ai burocrati della Capitale che non teme il loro giudizio o i loro sospetti. E’ una dimostrazione di forza che non lascia i notabili locali indifferenti.

Mentre questa pantomima va avanti, il vero casino si riattizza a nord di Shimōsa, nella provincia di Hitachi. Dove si prepara un nuovo fuck up di epiche proporzioni,.

La provincia è al momento sotto l’amministrazione di tale Fujiwara Korechika, membro di un ramo secondario del celeberrimo (e potentissimo) clan Fujiwara. Con lui c’è anche suo figlio Tamenori.

Secondo il Sonpi bunmyaku, Korechika ha legami stretti con la provincia, legami che però si sono indeboliti molto negli ultimi anni. Il nostro infatti ha sposato la figlia di una potente famiglia locale, come era spesso il caso per i funzionari del Governo centrale che volessero costituirsi una base decente in provincia.

Detto potente clan locale è stato spazzato via: Korechika ha sposato una zia di Masakado, e tutti sanno ormai che fine hanno fatto gli zii di Masakado e i loro guerrieri. Vincendo la faida, il nostro ha anche annientato la base militare di Korechika nella provincia.

A parte ciò, non sappiamo molto di Korechika e Tamenori, non sappiamo se fossero buoni amministratori o meno, ma sappiamo per certo che almeno uno dei sudditi di Hitachi non li ha molto in simpatia: Fujiwara Haruaki. A differenza del governatore, Haruaki non discende da aristocratici, non ha funzioni, non ha agganci a Corte. E’ benestante, abbastanza grosso da avere guerrieri personali al suo comando (jūrui). Appartiene alla stessa classe di Masakado, ma politicamente se ne sta acciaccato su un gradino ancora inferiore: è meno ricco e non ha patroni.

Haruaki e Korechika si odiano.

Korechika dice che Haruaki non paga le tasse, non obbedisce alle imposizioni dell’amministrazione e non rispetta le leggi. Si suggerisce addirittura che Haruaki sia a capo di una delle famigerate shūba no to, bande di gente con bestie da soma che si spostano da una provincia all’altra come impresa di trasporti e brigantaggio a tempo perso.

Haruaki dice che Korechika non saprebbe trovarsi il culo usando due mani e che Tamenori è un delinquente figlio di papà che approfitta della propria posizione per rubare, angariare e strizzare i residenti.

La cosa interessante è che entrambe queste versioni sono perfettamente credibili e una non esclude l’altra.

Long story short, dopo l’ennesimo esempio di insubordinazione civile, Korechika decide che ne ha le palle piene, tira su le truppe provinciali e marcia contro la base di Haruaki.

Questa decisione presenta diversi inconvenienti: tanto per cominciare Haruaki è un uomo abituato alla brutalità e non ha particolare intenzione di farsi arrestare. In secondo luogo, Haruaki ha probabilmente un membro della famiglia come funzionario nel governo provinciale, e non si fa quindi prendere con le braghe in mano. In terzo luogo, Haruaki appartiene ai Fujiwara stabiliti nel nord della provincia. Costoro sono in ottimi rapporti con altre famiglie importanti della zona, tra cui i Taira. Un Taira in particolare: Masakado.

Haruaki non è a casa quando i soldati arrivano: insieme ai suoi, il nostro se l’è data a gambe. Saccheggiando granai provinciali lungo la strada (tanto vale unire l’utile al dilettevole!) il nostro si rifugia da Masakado, che gli offre prontamente protezione.

Siamo all’alba del legame di vassallaggio, la reputazione di un capo dipende già in larga parte dalla protezione che è disposto ad accordare ai suoi gregari, e Masakado ha molto a cuore la propria reputazione.

A cose normali Masakado è un uomo molto ragionevole e incline a cercare il compromesso dove possibile.

Negli ultimi mesi però il nostro ha accumulato qualche rancore verso l’amministrazione e i burocrati in generale.

La capitale provinciale di Musashi e di quella di Hitachi sono grosso modo equidistanti da casa di Masakado

Volendo essere ottimista, Korechika prova ad approcciare la questione con le buone e manda dei messaggeri in Shimōsa.

-Sappiamo che l’evasore fiscale e svuotatore di granai Fujiwara Haruaki si trova qui.- Spiegano questi, arrivati a Iwai. -Sei pregato di rispettare la legge e collaborare.

-Oh, interessante.- Masakado sogghigna amabile. -Sai cosa mi ricorda? Qualche mese fa avevo un mandato d’arresto per mio cugino Sadamori. Vi ricordate quanto avete collaborato ai tempi?

-Errr…

-Appunto. Fuori dalle palle.

Calciorotati i passacarte imperiali, Masakado decide che la situazione in Hitachi non può essere lasciata a suppurare.

-Dobbiamo trovare un modo di calmare le acque.- Dice ai suoi. -Haruaki è uno dei miei uomini, Korechika ha sposato mia zia, sono la persona perfetta per fare da mediatore.

-Haruaki non vuole far pace con Korechika, lo vuole uccidere, inculare il cadavere, ridurlo in polpettine e farci del cibo per gatti.- Fa notare uno dei suoi.

-Ah, ma lo dice per dire… è locker room talk!

-E Korechika ha una paura verde di te.

-Ma è mio zio acquisito!

-Come sono finiti gli altri tuoi zii?

-…

-…

-Oh.

-Eh.

-Senti, uno dei miei alleati lavora nel governo provinciale di Hitachi. Secondo me tra me e lui riusciamo a metter pace. Dopotutto siamo tutti uomini adulti, nessuno vuole morte e devastazione, no?

-Mi hai perso a “siamo tutti uomini adulti”.

-Facciamo così: io vado in Hitachi con tutti i miei guerrieri, così Korechika e suo figlio evitano di fare gesti inconsulti e possiamo discutere amabilmente.

-La famosa regola diplomatica del “la gente tende a starti a sentire se gli punti una freccia in mezzo agli occhi”?
-Proprio quella!

-Oh, beh, potrebbe anche funzionare, fintanto che noi siamo lì per assicurare l’ordine e non per uccidere qualcuno…

Un piantone arriva di corsa.

-Capo! Capo! Sadamori è di nuovo nella regione e ha un mandato ufficiale della Corte!

Una vena comincia a pulsare sulla tempia di Masakado.

-Ha avuto la facciadimerda di tornare? Senza banda, senza alleati, senza nemmeno la corda per impiccarsi?

-Ce l’hanno rispedito via catapulta!

-Dove si nasconde?

-Dal governatore provinciale di Hitachi. Haha, ora che ci penso, non è il tizio con cui Haruaki ha quello scazzo in sospeso?

E’ lo stesso tizio.

Il ventuno dell’undicesimo mese del secondo anno dell’era Tengyō, Masakado parte in tromba per il governo provinciale di Hitachi con un migliaio di uomini.

Korechika lo viene a sapere.

-Magari sta venendo per parlare.- Korechika si asciuga il sudore freddo con la manica. -Magari vuole mettere pace, come in Musashi…

Sadamori scuote la testa. -Viene per ucciderci e farsi un paio di pantofole con la nostra pelle.

-Forse dovrei consegnarti ed evitare altri casini.

-Ho due buone ragioni per cui ti conviene stare dalla mia parte.

-Ah sì?

-Primo: io ho un mandato imperiale e lui no. Secondo: io non sono uso assassinare i miei zii e le loro famiglie, lui sì.

Point taken.

Korechika tira su in fretta e furia tutte le truppe provinciali che riesce a raccattare, circa 3000 uomini secondo lo Shōmonki. Si asserragliano tutti nella capitale provinciale appena in tempo. Masakado è già davanti alle porte.

-Buondì.- Fa un sorriso a trentadue denti al piantone sopra la porta. -Dì a mio zio di aprire senza storie, che oggi proprio non è giornata.

-Ah! Noi siamo in posizione difensiva, che come tutti ben sanno è una posizione vantaggiosa, e siamo tre volte più numerosi!

-L’ho già sentita.- Masakado incocca. -Quelli di mio zio Yoshikane erano otto volte superiori.

-Oh, già, è vero.

Il piantone muore, l’attacco comincia.

Da una parte un migliaio di volontari ben armati, pompati abbelva e impazienti di far prova di cazzutaggine davanti al loro capo, il menabotte più figo della regione.

Dall’altra gente di corvée, coscritti raccattati a pedate, soldati provinciali sottopagati agli ordini di quella mezza sega di Sadamori (anche noto come Colui Che Perde le Battaglie) e di un burocrate i cui alleati hanno già perso tutto combattendo contro Masakado.

Plus, sappiamo che Masakado ha un uomo di fiducia nella capitale provinciale. E’ possibile che costui abbia giocato un ruolo nella battaglia, o che abbia addirittura agito da quinta colonna all’interno del complesso provinciale.

Interpretazione artistica dell’assedio del complesso provinciale di Hitachi

I dettagli dello scontro non sono noti, ma sappiamo il risultato: Masakado spiana il governo provinciale di Hitachi, poi fa inversione e lo spiana di nuovo.

La stragrande maggioranza delle truppe provinciali vengono falcidiate. Il governatore è costretto a sottomettersi e con lui l’inviato imperiale presente sul posto. Mentre il complesso provinciale brucia, Masakado lancia una folgorante rappresaglia contro tutti quelli che hanno osato scoccare una freccia su di lui: più di 300 abitazioni vengono bruciate, il fumo e le urla riempiono il cielo, gli uomini a piedi alzano mucchi di teste mentre Masakado ricompensa lo sforzo dei suoi con bottino e cavalli.

Per la prima volta dall’inizio dei disordini, Masakado se l’è presa con una del Governo. Per la prima volta Masakado ha ufficialmente commesso un crimine contro lo Stato.

Per anni il nostro ha condotto la sua guerra privata senza pestare i calli alla Corte, e in risposta ha avuto solo tira e molla politici e resistenza passiva. Finalmente ha deciso di cambiare approccio: ferro e fuoco sia.

Un paio di giorni dopo, Masakado è di ritorno alla sua basa in Shimōsa.

I funzionari minori di Hitachi sono stati risparmiati e viene loro suggerito amabilmente di mandare avanti l’ordinaria amministrazione senza fare troppi scherzi. Per il resto, il centro politico della provincia è annientato, la banda di Korechika distrutta, l’esercito provinciale non esiste più.

Masakado raduna fratelli ed alleati alla sua residenza.

-Signori miei, la situazione è delicata.- Dice. -Abbiamo un governatore e un inviato imperiale chiusi in cantina, una provincia senza funzionari responsabili e, ciliegina sul mucchio di merda, quella mezza sega di mio cugino è riuscito a scappare.

-Ma di nuovo?

-Di nuovo.

-La Corte non sarà felice della notizia. Ci dichiareranno ribelli contro lo Stato.

-Fanculo la Corte!- Sbotta uno dei suoi. -Che hanno mai fatto per noi a parte chiedere tasse e strimpellare chitarre?

Okiyo ha il buonsenso di non pronunciarsi.

-Però è la Corte.- Osserva un altro. -Hanno autorità sull’intero Paese. Ci schiafferanno un bel decreto di Persecuzione e Cattura, sicuro come la morte.

-E’ vero.- Conviene Masakado. -Tra qualche settimana i notabili e i funzionari di tutte le provincie del Kantō riceveranno ordine di farci la pelle.

-Siamo seduti nel bel mezzo del centro militare del Paese. Tutti i migliori combattenti vengono di qui, se dovessero unirsi non ci sarebbe modo di spuntarla.

-Vero.

-Sarebbero una forza assolutamente spaventosa!

-Corretto.

-E quindi? Proviamo a chiedere perdono? Se le carovane di tasse arrivano in tempo, non credo che-

Masakado impone il silenzio con un gesto. -Non possiamo fidarci dei Nobili, e a questo punto i Nobili non possono fidarsi di noi. No, dobbiamo fargli capire che sottometterci con la forza sarebbe un incubo. Dobbiamo spaventarli abbastanza da convincerli a trattare con noi.

-Ma come?

Masakado sorride. -L’hai detto tu: siamo nel cuore militare del Paese.

Masakado si alza. -Signori, il tempo della diplomazia è finito. Se dobbiamo finire alla forca, tanto vale finirci per una pecora piuttosto che per un agnello.

-E la pecora quale sarebbe?

-Le otto provincie del Bandō.

Il 23 dell’undicesimo mese, comincia la grande rivolta guerriera dell’Est, destinata a restare per sempre nella memoria.

MUSICA!


Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Interludio

Settima puntata


Bibliografia

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira,Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

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PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

Illustri Sconosciuti: Taira no Masakado (interludio)

Nella scorsa puntata avevamo lasciato Taira Masakado e i suoi in un Est relativamente pacifico. La faida familiare che aveva messo la regione a ferro e fuoco pare conclusa per esaurimento di parenti e Masakado ha perfino giocato un ruolo indispensabile nel mantenimento della pace nella provincia di Musashi.

Purtroppo le grane volano sempre a squadriglie, e ci tocca mollare le colline selvagge del Bandō per dare un occhio alle infamie meditate nella Capitale.

Come accennato spesso in articoli precedenti, la Corte di Heian è il centro pulsante della burocrazia imperiale, gremita di funzionari di ogni risma e sede di una classe nobiliare tanto prolifica quanto onerosa. Il peso sul bilancio degli alti aristocratici non ha niente da invidiare a Luigi XIV, e il protocollo severo della Corte, insieme ad un sacco di fisime rituali su purezza e complicazioni creative, costituiscono un fardello non indifferente.

Heian è una metropoli che riunisce in sé il fiore dell’eleganza nobiliare, la fervente produttività artigianale, la miseria più nera e il crimine più disinvolto. All’angolo di un grande viale, la residenza di un ministro è cinta da un muro, ha guardie alle porte. Al suo interno sono organizzati concorsi di poesia e concerti su stagni artificiali. Poco più in là, la bottega di un fabbro macina carbone senza tregua, martellando spade e armature per gente come Masakado, acciaio laccato pronto per essere deformato a colpi di sciabola. A sud, nella grande Porta di Rashō, disgraziati trascinano e abbandonano cadaveri emaciati, bambini non voluti, malati moribondi. Mendicanti e sciacalli frugano nella massa putrescente, contendono con i ratti, staccano capelli ai morti per farne parrucche di lusso o amuleti.

Senza le mura, ladri e assassini scorrazzano per le larghe strade, insieme a mercanti, frati, carovane, e pattuglie di kebiishi, i castigatori Imperiali. Cani randagi rosicchiano carcasse di bestie da soma abbandonate, mentre due strade più in là i frati della montagna portano in giro palanchini sacri decorati, sotto lo sguardo di dame nascoste in carri sontuosi, drappeggiati di broccato di seta.

Heian è la città dei contrasti, del surrealismo e della bizzarria. Una metropoli di strade perpendicolari e caos, che in qualche modo sopravvive a sé stessa sfidando la comprensione di contemporanei e storiografi.

Una veduta aerea di Heian (la foto potrebbe non essere d’epoca)

Heian è una colossale sanguisuga sulla groppa dell’Impero. Ha bisogno dei cavalli e dei guerrieri dell’Est. Ha bisogno dei tributi, del carbone per il suo acciaio sempre più rinomato. Ha bisogno dei marinai del Mare Interno, che la collegano con Kyūshū, e da lì con il Continente.

Heian mischia insieme un caos semi-costante a una fragilità delicata. Tutto potrebbe ucciderla, eppure niente sembra riuscirci.

Ma se il livello di entropia è costante, le cose non sono mai statiche: in questo periodo qualcosa di radicale sta cambiando nella Capitale, qualcosa che avrà ripercussioni su tutto l’Impero.

Celato dietro un pilastro, il ministro Tadahira medita nequizie

All’inizio dell’VIII° secolo, la Corte aveva ultimato i Codici, una riforma ciclopica votata a trasformare una massa di capi tribali e signori regionali in uno Stato moderno, ispirato ai governi di Corea e Cina. Niente più ordalie per scegliere i capi, niente più “buttiamo tutti nella vasca dei barracuda e incoroniamo chi riesce a uscirne vivo”, basta con la barbarie! Nasce un Governo strutturato, con ministeri, uffici, commissioni, documenti ufficiali, un sistema dettagliatissimo di ranghi e funzioni, timbri e carta da bollo.

Il nuovo sistema creato dai Codici però non cancella il passato tribale dell’Arcipelago: lo assorbe. I legami personali, il potere privato, il privilegio di nascita, tutto questo rimane, un controcanto discreto sotto la struttura rigorosa di ranghi e concorsi. E verso la metà del X° secolo, il modo di esercitare il potere cambia di nuovo.

Come tutti i processi, non è possibile individuare esattamente una data di inizio. Sta di fatto che verso questo periodo cominciamo a vedere alti funzionari riposarsi sempre più sul loro réseau privato che non sulla loro funzione.

Il problema della burocrazia è sempre lo stesso: è lenta, è ingombrante, è poco efficace. Sicché invece di impiegare i canali istituzionali, gli alti papaveri prendono l’abitudine di gestire gli affari di Stato come affari privati. Si sviluppa un’era di clientelismo in cui i legami personali (di sangue o artificiali) fano progressivamente aggio sulla regola ufficiale.

Questo è un cambio di tendenza importante, dacché sposta il centro gravitazionale del potere dall’Istituzione (un concetto astratto) alla persona (un essere umano in carne ed ossa). Società che obbediscono a concetti astratti e società che obbediscono a persone sono fondamentalmente diverse.

Sia chiaro, non tutti gli strati della società sono uniformi, e il secondo modello, come accennato, aveva radici antichissime e non era mai stato davvero superato. Tuttavia ora questa tendenza si diffonde sempre più nelle sfere più alte dell’amministrazione, svuotando di potere e significato le istituzioni dei Codici.

Un esempio di questo momento di cambiamento è incarnato d Fujiwara Tadahira, uno degli attori della nostra tragedia.

Sire Teishin (nome postumo di Tadahira) è visitato dal Fantasma delle Grane Future.
Tsukioka Yoshitoshi, 1865

Tadahira appartiene al ramo nord dei Fujiwara, il clan aristocratico più potente del Giappone. E’ il quarto figlio di un ex-Reggente Imperiale, ed erede adottivo di un altro Reggente Imperiale. Sul finire del IX°, il nostro giovane squalo entra nelle buone grazie dell’Imperatore Uda, che lo prende come uomo di fiducia. I due sono così vicini che, nel 901, Tadahira sposa Minamoto Nobuko, sorellastra di Uda (come detto in precedenza, i pargoli imperiali in eccesso venivano radiati dal clan e veniva loro assegnato il nome Taira o Minamoto).

Negli anni che seguono, Tadahira naviga con abilità il pericoloso mare di Palazzo, riuscendo a schivare scandali e vendette politiche in un periodo di grave tensione tra membri della famiglia imperiale. Galleggiante come un tappo di sughero, riesce a legarsi anche all’Imperatore Daigo, nonostante il pessimo sangue che correva tra questi e il padre Uda.

Nel 925 Tadahira diventa Ministro della Sinistra, la seconda carica più prestigiosa prevista dai Codici, e presto si trova a dover usare della sua nuova autorità.

Con gli anni ’30 del X° difatti comincia un periodo infame. Raccolti scrausi s’incugnano uno dietro quell’altro, provocando fame generale, con relativo picco di criminalità, ritardi nell’arrivo dei tributi e fermento sociale. I pirati imperversano nel Mare Interno e lungo il fiume Yodo, gente fugge dagli esattori, nuove sette religiose nippomillenariste si diffondono, prime tra tutte quella del monaco Kūya. Perché quando la vita è una merda, la cosa più costruttiva da fare è correre in giro sbatacchiando un gong e urlando “FINIREMO TUTTI ALL’INFERNO, DANNATI ZOZZONI!”.

Gente di Heian cerca riparo da una battente pioggia di madonne (Ban dainagon ekotoba, XII° secolo)

Il 939 è un’annataccia tra le annatacce, e casca particolarmente male per Tadahira, che ormai è Ministro degli Affari Supremi (AKA, l’uomo più importante dell’Impero dopo l’Imperatore… o anche prima).

I raccolti sono scarsi e di pessima qualità, il che fa esplodere i prezzi del cibo e aggrava la carestia generale che imperversa già da cinque anni.

Nel frattempo la pirateria nel Mare Interno conosce un nuovo picco. Si parla di una regione nevralgica per gli scambi tra i tre circuiti del San’yōdō, Nankaidō e Saikaidō. Come potete leggere in dettaglio in questo articolo, il casino in queste acque furoreggiava almeno dal 931, ma sotto la guida dell’ex-funzionario Fujiwara Sumitomo, il Mare Interno è diventato un brodo di grane senza redenzione.

Tadahira si trova quindi preso nel mezzo: scazzi tra guerrieri all’Est, filibustieri ad Ovest.

Il Mare Interno è più vicino alla Capitale, quindi prende priorità. Tanto più che Tadahira è stato patrono di Masakado, e conta probabilmente di avere ancora presa sul nostro eroe. Mentre si discute se cercare di comprare Sumitomo oppure no, leggiamo sul diario di Tadahira: “Convocare Masakado e chiedergli cosa diavolo sta combinando di preciso”.

Si tratta di una convocazione privata. Tadahira vuole regolare la faccenda da uomo a uomo!

Poche settimane dopo la notazione, due figuri arrivano alla Capitale.

Uno è Sadamori, coperto di botte e pelo di cinghiale. Ancora scosso dal viaggio, il nostro comincia a postulare presso funzionari e patroni per difendere il suo caso contro Masakado.

Allo stesso tempo, alla Capitale ricompare Minamoto Tsunemoto.

Tsunemoto non è stato incluso nell’incontro diplomatico di Musashi, in cui Masakado è riuscito a mettere d’accordo il vicegovernatore temporaneo (il principe Okiyo) e il magistrato di distretto (Takeshiba). Purtroppo, a seguito di un disguido, Tsunemoto ha avuto un increscioso incidente con gli uomini di Takeshiba e se l’è data a gambe di gran carriera. Tornato a Corte, afferma che nell’Est si trama una rivolta in grande stile contro la Corte, orchestrata da Masakado, Okiyo, Takeshiba e il topolino che al mercato mio padre comprò.

Siamo praticamente sicuri che queste accuse sono state fatte e che erano, a questo stadio, false come una banconota da tre euro. Tuttavia la storia suona vera.

Ergo il nostro Tadahira si trova a dover considerare la possibilità che il suo cliente stia meditando infamie di portata Storica. Perché ricordiamocelo: se scapitozzi tuo cugino per questioni private va bene, ma se lo scapitozzi in quanto funzionario per sfidare l’autorità della Corte, allora NON VA PIU’ BENE.

Tadahira si affretta quindi a mandare una convocazione a Masakado. Non si tratta di un documento ufficiale, bensì di una lettera privata, portata da un suo uomo di fiducia. Il fatto che Tadahira ricorra a un picciotto per invitare Masakado “e discuterne da galantuomini” è per alcuni storici la prova che siamo ormai nella fase clientelista del governo aristocratico.

Tell me Masakado, let me understand this cause, ya know maybe it’s me, I’m a little fucked up maybe, but I’m funny how, I mean funny like I’m a clown, I amuse you? I make you laugh, I’m here to fuckin’ amuse you? [Estratto dalla lettera mandata da Tadahira a Masakado, 939]

E’ anche opportuno notare che di sicuro stiamo entrando nella fase “ma anche no!” dei disordini orientali: a questo giro Masakado non si schioida dal Bandō! Manda una risposta, beninteso, supportata da lettere e testimonianze (più o meno spontanee) di funzionari provinciali. Ma il punto è: Masakado non si fida più della Corte (che già si è dimostrata volubile) e non si fida più di Tadahira e della protezione politica che è disposto a concedergli. Il nostro non ha intenzione di ribellarsi (continua a rispettare i funzionari), ma non riconosce più appieno l’autorità di Heian, sia essa istituzionale o personale.

Intanto a Corte le accuse di Tsunemoto vengono discusse. Dopo quei 3-4 mesi standard di inferno burocratico, si decide di mandare degli investigatori, perché il tempismo è tutto in caso di rivolta armata. Parte quindi la caccia al candidato volontario che si recherà (baionette alle reni) nella fossa del leone, mentre Tsunemoto viene ficcato in gattabuia.

Questo non deve sembrare una presa di posizione a favore di Masakado: procedura standard era incarcerare accusato e accusatore per la durata dell’inchiesta. Se i due erano glebani, si procedeva a pestare loro e tutti i testimoni possibili finché tra una randellata e l’altra non usciva una versione dei fatti più o meno coerente e convincente. Se i due erano gente importante o (come nel caso di Masakado) gente fumina, si doveva purtroppo usare i guantini, interrogare gente, scartabellare verbali e tutta quella roba noiosa lì.

Il primo scoglio è ovvio: Masakado non è venuto a Heian.

Tadahira convoca Sadamori.

-Ho buone notizie!- Lo accoglie con un sorriso. –Ho deciso di non accettare le scuse di Masakado e di imporgli, hai capito bene, imporgli di venire qui a spiegarsi davanti alla Corte!

Sadamori è un pessimo guerriero ma un ottimo politico. Stringe i denti e le chiappe.

-Oh. Molto bello.

-Ho già preparato la letteraccia di convocazione ufficiale e perentoria.- Tadahira agita l’indice. –La tolleranza è finita. E’ ora di fare le cose secondo le regole!

-Mi fa piacere.

Il sorriso di Tadahira si allarga. –Non mi hai chiesto chi sarà il gagliardo funzionario incaricato di portare la lettera.

-No.

-Non lo vuoi sapere?

Sadamori deglutisce a vuoto.

Tadahira sogghigna. -Spero che tu faccia buon viaggio, sai. In questo periodo ci sono un sacco di matti lungo la strada.

-Masakado è un guerriero migliore di me! Mi stacca la testa e ci fa un’insalatiera!

Tadahira si stringe nelle spalle. –Forse o forse no. Che tu riesca o che tu muoia, un problema almeno sarà risolto.

Gli investigatori ufficiali intanto si sono asserragliati nel cesso. Fuori, i kebiishi picchiano sulla porta.

-Venite fuori!

-No!

-Dovete partire, è un ordine!

-Vogliamo un esercito di scorta!

-Se arrivate con un esercito, Masakado pensa di essere stato condannato e tira giù tutte le madonne. E’ un rischio che non possiamo correre. Avrete una scorta prevista dal regolamento.

-Ogni volta che lo dici ci ricaghiamo addosso.

-Non potete restare chiusi al cesso per sempre!

-Lo dici tu!

-Se non uscite subito sarete privati di funzione, rango, abito e baffi!

-Ottimo. Tanto avevamo la ferma intenzione di trasferirci in Nepal per vivere come capre (cit.).

Dopo mesi di stintignamenti, i due vengono condannati per renitenza al martirio e privati di funzione, rango e stipendio (saranno perdonati 2 anni dopo).

Mentre questa costruttiva pantomima va avanti, la Corte sceglie nuovi funzionari per le provincie orientali, di preferenza gente con contatti sul posto e buoni rudimenti di tattica e combattimento.

Sembra che tutto stia ingranando, quando i pirati di Sumitomo rilanciano attacchi su grande scala. Uno dei suoi riesce ad agguantare il governatore di Bizen e gli mozza il naso e le orecchie prima di farlo linciare dai propri uomini. Se Masakado mostra riguardo e rispetto per i funzionari, i pirati del Mare Interno nutrono il più sfacciato disprezzo per gli Imperiali.

Sugli inizi del terzo anno dell’era Tengyō, Sumitomo arriva fino ad appiccare incendi alla Capitale stessa.

Leggenda narra che Masakado e Sumitomo si fossero accordati per attanagliare la Corte in contemporanea. In realtà non esiste nessuna prova di ciò, nemmeno circostanziale. Quello che è probabile, è che quel malandrino di Sumitomo abbia sentito parlare del casino nell’Est e ne abbia approfittato, contando sul fatto che, presa tra due fuochi, la Corte non avrebbe avuto la forza e lo spirito di reagire con troppa veemenza.

Nel qual caso: BINGO.

La Corte decide che è il momento di calare le braghe.

Ma con chi?

Masakado è fuori mano, popolare, capace e astuto, arroccato nel centro di quello che è il cuore militare del Paese. Dai potere a un uomo del genere, e non sai se e quando glielo potrai togliere. Plus, Masakado è un guerriero dell’Est, e gli aristocratici non capiscono i guerrieri dell’Est. Non capiscono chi sono, cosa vogliono, cosa temono…

Sumitomo è diverso. Sumitomo è un ex-funzionario, è familiare, è semplice. Vuole soldi, vuole potere, vuole prestigio. Lineare, elementare. Gli offrono rango e posizione perché l’abbozzi, e sul momento funziona: Sumitomo richiama i suoi cani. La Corte può tirare il fiato e preoccuparsi dell’Est.

Come spiegato nell’articolo su Sumitomo, la pace comprata in questo frangente non dura. Ma da qui in avanti ci concentreremo sull’Est. Nubi di tempesta si ammassano all’orizzonte. La Corte non può più permettersi di temporeggiare e Masakado comincia ad averne le palle piene dei tentennamenti degli aristocratici.

Per usare un’espressione yankee: la merda sta per colpire il ventilatore.

MUSICA!


Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Sesta puntata

Settima puntata


Bibliografia

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In lingua occidentale

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Farmacopea creativa: il muschio alla Corte di Heian

Sulle montagne dell’Himalaya vive un caprioletto. E’ piccolo, poco più di mezzo metro al garrese, non ha corna ma ha due zanne da vampiro che scendono giù oltre il muso. Non è un cervo, ma un Moschidae. Vive felice nella boscaglia, si nutre soprattutto di foglie, sta da solo sul suo territorio e gira soprattutto di notte.
Quando è stagione e il Mosco maschio ha voglia di scopare, la ghiandola sotto la sua pancia secerne pallette dall’odore pungente e caratteristico. Se gli va bene, una femmina le trova e s’arrapa.
E’ la fine del X° secolo, e il mosco non sa che gruppi di sicari professionisti stanno scalando le montagne alla sua ricerca. Chi vorrà mai attentare alla vita di un animale che per definizione si fa sempre e solo i cazzi suoi?
La risposta è: Fujiwara Michinaga, l’uomo più potente del Giappone.

Un mosco himalayano. Notare i dentini.

Nato nel 966, Michinaga è il cadetto di un potentissimo clan aristocratico. Dopo la morte intempestiva di suo fratello maggiore, Michinaga diventa capo del clan e si adopera affinché la sua famiglia resti alla guida dell’Impero per le generazioni a venire. Per cominciare, fa in modo che le sue figlie diventino spose imperiali e che i futuri imperatori siano scelti tra i pargoli delle madri Fujiwara. In questo modo il capo del clan sarà sempre nonno o zio materno del Figlio del Cielo.
In una società in cui la famiglia materna è dominante nei primi anni dell’infante, questo significa che il capo del clan sarà sempre l’uomo più potente del Paese. Di fatto, Michinaga amministra l’Impero come se fosse suo, tanto da usare le strutture burocratiche della propria famiglia invece che le istituzioni governative stabilite dai Codici.
C’è tantissimo da dire su Michinaga e il suo tempo, ma oggi parleremo di un aspetto molto preciso: i cosmetici.
Se c’è una cosa su cui i nobili di Heian erano assolutamente fissati, era il protocollo. Dovevi avere un certo tipo di carro, un certo abito, abilità in un certo tipo di musica, danza, poesia, ecc. E’ importante sottolineare che questa roba per l’alto aristocratico di Heian non era “contorno alla politica”, era LA politica!
In un contesto del genere, cosmetici, medicine e profumi erano importantissimi, oggetto di prestigio, scambio politico e dono diplomatico tra la Corte giapponese e quella cinese.
Tra questi prodotti ricercatissimi e uber-lussuosi, c’era anche il muschio.
Cos’è il muschio e a che serve?

Intanto chiariamo: con “muschio” qui non si intende la borraccina del Presepe. Si tratta di pallette pelose, contenenti una sostanza simile al grasso e molto odorosa, rilasciate dal nostro piccolo caprioletto himalayano via una sacca che si trova tra il pene e l’ombelico.
Si tratta di roba molto rara: per ottenere 1Kg di muschio sono necessari 30 o 40 moschi. Piuttosto che andare a caccia di minuscoli pallini per le valli del K2, i cacciatori di solito ammazzano il nostro caprioletto vampiro per strappargli la sacca del muschi da sotto la pancia. Estratto fresco, il muschio ha un odore insopportabile e deve essere ulteriormente trattato per poter essere veduto.
Come si può intendere, questo complicato processo fa del muschio una sostanza pregiatissima. Per avere un’idea di quanto prezioso fosse, basta un esempio dal diario di Michinaga, in cui racconta di alcuni doni ricevuti dal Figlio del Cielo in persona il terzo giorno della seconda luna del secondo anno dell’era Chōwa, ovvero nel 1015:

[Sua Maestà] mi consegna 8 pezze di broccato, 23 pezze di saia, 100 once di chiodo di garofano, 5 ghiandole di muschio, 100 once di pigmento blu e 3 libbre di Nardostachys.

Pallette di muschio in tutto il loro splendore!

Come si evince, una sola palletta di ‘sta roba era cosa da principoni. Ma cosa ci facevano i nobili con queste frattaglie essiccate?
Le sostanze appaiono spesso nelle fonti, ma senza troppi dettagli riguardo al loro uso. Ad esempio, negli Engishiki (i regolamenti dell’era Engi) si stabilisce che, tra le vettovaglie previste per il pellegrinaggio della principessa consacrata di Ise, dovessero esserci delle dosi di shimi (四味). Non è spiegato di cosa si tratta, letteralmente significa “quattro sapori/essenze”, ma pare chiaro che il muschio fosse un ingrediente fondamentale.
Il muschio compare anche nello Honzō wamyō, un’opera enciclopedica sulle “cose viventi” compilata nel 918. Anche in questo caso, non sappiamo di preciso come questa sostanza era utilizzata.
Una luce ci arriva però dallo Ishinpō, il più antico trattato medico giapponese. E’ stato scritto da Tanba Yasuyori nel 984 basandosi su trattati medici della Cina dei Sui e dei Tang.
Il primo riferimento al muschio appare nel sesto capitolo del primo rotolo (sono trenta in tutto) e si capisce che il gustosissimo palloccolo di sugna era previsto per delle pillole. Il capitolo non parla della funzione del farmaco, ma si concentra sulle precauzioni tecniche per manipolare il materiale: è fondamentale che il farmacista non abbia attorno signore, bimbetti o donne incinte, che si sa mandano radiazioni gender e sciupano la carica yang degli elementi.
Nel terzo capitolo del ventiseiesimo rotolo abbiamo finalmente un uso pratico: le pillole di ghiandole sono usate per profumare la persona!
E siccome vi voglio bene, qui l’utilissima ricetta!
Tre once (circa 42 grammi) di:

  • Chiodo di garofano
  • Menta coreana (Agastache rugosa)
  • Psychotria reevesii (un tipo di rubicaceae)
  • Nerdostachys
  • Basilico (tanto per gradire)

Un’oncia (circa 14 grammi) di:

  • Angelica anomala
  • Angelica polymorpha
  • Cannella
  • Noce di Betel

E infine mezza oncia (circa 7 grammi) di muschio!

Il muschio conta per poco meno del 3% del prodotto completo (circa 275 grammi di mappazzone). Dovete macinare tutto, filtrarlo attraverso un panno di seta fine, mischiarlo a del miele e dargli 1000 martellate. No, non scherzo. Occhio a non perdere il conto, che poi è la fine.

Michinaga si compiace mentre l’olezzo muschiato gonfia il suo abito di Corte

Dopo questo processo, potete plasmare delle pillole della taglia di un nocciolo di giuggiola e farle sciogliere sulla lingua, una a botta durante il giorno e tre a botta durante la notte (perché di notte è più facile strozzarsi) per un totale di 12 pillole al giorno.
Questo portentoso preparato, oltre a favorire la carie dei denti, dovrebbe profumarvi l’alito e, sul lungo periodo, il corpo. L’effetto è crescente: dopo 5 giorni le vostre ascelle dovrebbero olezzare di cannella e bestia morta, e dopo 30 dovreste profumare così tanto da appiccicare l’odore addosso al prossimo con un semplice abbraccio. Che mi pare una splendida idea.
A chiosa, ciò dovrebbe far bene a “tutte le malattie” (tranne che al tartaro, immagino), basta astenersi dal mangiare roba agra come cipolle e aglio. Siam messi male, io senza aglio non vivo.
Un altro rimedio di sicura efficacia è spiegato nel quindicesimo capitolo: mettete in un sacchetto zenzero, muschio e zolfo, e sarete protetti dai serpenti e dai morsi in generale! Ma fate attenzione: dovete tenerlo sulla destra se siete uomini e sulla sinistra se siete donne (non vi confondete che sennò non funziona).

Un serpente

Infine, sappiamo che il muschio era un componente fondamentale di un rimedio cinese molto apprezzato in Giappone: la “neve di porpora”. Questo prodotto era usato un po’ in tutti i casi di febbre, sia essa puerperale, da infreddatura, da dissenteria, ecc.
To be fair, in questo caso il muschio probabilmente aveva effetti benefici, in quanto il suo odore pungente, mischiato ad altri aromi, può avere un effetto rinfrescante e alleviare la sofferenza del malato.
In Giappone il muschio aveva un uso soprattutto nei profumi. Secondo Von Verschuer in Le commerce extérieur du Japon, la maggior parte della medicina isolana si affidava più a piante locali che non a complicate importazioni cinesi. Siamo onesti, spesso o prendevi un malanno leggero o morivi, tanto valeva andare al creatore senza spendere una fortuna.
Michinaga si era assicurato il controllo quasi esclusivo degli scambi col Continente. Il muschio, come altri prodotti di stralusso-che-levati, era molto importante per il protocollo di Corte, ma anche come moneta di scambio. Poteva essere usato per acquisire roba davvero utile. Gente come Michinaga doveva nutrire e vestire un numero esorbitante di gente tra servi, intendenti, figli, nipoti, nipotini, amanti, guardie, falconieri, cuochi, paggi, mezzadri, ecc. Tre pallette di muschio potevano diventare una notevole quantità di riso o miglio, per fare un esempio.
Potevano anche essere usati come doni politici, per sugellare e rinforzare alleanze.
Infine, il muschio essendo un materiale di straordinaria rarità, era un elemento di bling. E’ importante essere ricchi sfondati, ma è ancora più importante apparire come ricchi sfondati, oggi come al tempo di Michinaga.
E per soddisfare questi bisogni, la domanda spingeva i suoi tentacoli oltre l’Oceano, fin nelle remote valli himalayane. Non so voi, ma per me è buffo pensare che un povero bestio sia freddato sull’Himalaya perché in Giappone un vecchio maneggione doveva darsi il deodorante. E questo, secoli prima della Globalizzazione che fa tanto arrabbiare Diego Fuffaro.
A chiosa, sapete quanto ci vuole a ricercare una cazzata del genere? GIORNI. Se qualcuno a voi caro decide di buttarsi nella ricerca umanistica, fategli leggere questo articolo finché non rinsavisce.

MUSICA!


Bigliografia

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http://www.arkive.org/himalayan-musk-deer/moschus-leucogaster/

http://www.treccani.it/enciclopedia/muschio/

Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (2.4)

Abbiamo recentemente parlato del Nuovo Ordine Mondiale, quindi mi pare solo coerente tornare a cose serie: il Vecchio Disordine Locale. Oggi continueremo la nostra serie su Taira Masakado, uno dei ribelli più fighi della Storia!

Nella puntata precedente avevamo lasciato Masakado vittorioso di un’epica battaglia combattuta nella grigia alba invernale.

Dopo aver sconfitto il suo principale avversario, lo zio/suocero Yoshikane, Masakado è felice come francese che ha appena inventato un paio di calzoni auto-rimuoventi. La stesso non si può dire di Sadamori, cugino e rivale. Il nostro è un funzionario più che non un guerriero. Non ha nessun gusto per la violenza fine a se stessa, non voleva immischiarsi nella faida familiare per cominciare! Ha cercato di restarne diplomaticamente fuori, finché Yoshikane non l’ha trascinato nel merdaio tirandolo per un orecchio.

Ora, a giochi fatti, Sadamori è infognato. I suoi potenti amici della Capitale non possono aiutarlo, non ha più alleati sul posto, non ha una banda di guerra, non ha reputazione, non ha nulla. Sadamori è cibo per corvi e lo sa.

Una sola cosa lo protegge: l’inverno. La stagione non si presta a caccia e guerra. Sotto la spessa neve dell’inverno orientale, il nostro aspetta in trepidazione, mentre suo cugino Masakado arrota la mannaia.

Due mesi dopo il disastro di Iwai, appena le strade diventano praticabili, Sadamori fa fagotto e parte per la Capitale a rotta di collo. E’ il secondo mese dell’ottavo anno di Jōhei (938).

Solo che… chi ha due pollici e i migliori scout della zona?

Masakado.

Masakado viene avvisato della fuga del cugino in poche ore. In meno ore ancora, raccatta una banda di caccia da decine di cavalieri e parte in tromba a caccia di parenti.

Meno di una settimana di corsa e BINGO! Nord di Shinano, riva del fiume Chikuma, nei pressi del tempio provinciale. Sadamori e i suoi compagni (una dozzina) sono avvistati.

Pausa un istante. Guardate la cartina. In blu sono le provincie aventi ricevuto ordine di collaborare con Masakado per la cattura di Sadamori. In rosso Shimōsa, la provincia di Masakado. In Giallo, Shinano. Masakado si è fatto circa 200Km in una settimana, attraverso pantani, sorgive primaverili, rovesci e, soprattutto, confini provinciali. Il tutto accompagnato da un congruo numero di cavalieri armati fino ai denti e infoiati come facoceri. Nel caso ve lo stesse chiedendo, sì, ciò è illegale perfino per gli standard del 938. Anche perché, come si vede dalla carta, Masakado non ha nessuna autorizzazione di passare. In altre parole, l’atto di Masakado potrebbe essere interpretato come Rivolta Contro lo Stato (muhon), il peggiore dei crimini.

Fino ad ora Masakado ha sempre giocato nei limiti della legalità (legalità molto elastica, c’è da ammettere). E’ la prima volta che sputa apertamente in faccia all’ordine stabilito.

Perché lo fa?

In primis, perché può. Ha vinto contro Mamoru, Kunika, Yoshimasa, Yoshikane. E’ il guerriero più temuto della regione, nessun sergente provinciale sano di mente si sognerebbe di dire o fare qualcosa.

In secundis, perché deve. Sadamori ha tanti amici alla Capitale e la Corte è volubile. Arrivato sano e salvo tra i nobili, Sadamori potrebbe benissimo chiacchierare nelle orecchie giuste e rovesciare la situazione. E’ un rischio che Masakado non è disposto a correre.

Dal canto suo, Sadamori ha una dozzina di compagni e le valige. Non può sperare di scappare dalla banda di Masakado. L’unico vantaggio che ha, a questo punto, è la scelta del terreno.

Spoiler…

-Ok gente.- Sadamori fa sistemare i suoi sul terreno nei pressi del tempio. -Loro sono dieci volte più di noi, ma battaglie sono state vinte in momenti peggiori, no?

-Sì, da tuo cugino Masakado.

-Ovvia, gli è capitato anche di perdere! E poi ricordiamoci: noi siamo più riposati, loro sono più stanchi, e noi siamo più convinti, perché-

La battaglia finisce in un battibaleno. Uno degli omini personali di Masakado si sbuccica un ginocchio, la banda di Sadamori viene sparpagliata tipo stormo di anatre, Sadamori riesce a stento a battersela smollando compagni, bagagli, trousse da doccia, tutto. Il brillante funzionario delle Scuderie di Palazzo si ritrova solo nella gelida primavera orientale, costretto a campare di radici e ragni, a viaggiare tra valli e pantani. Secondo lo Shōmonki, Sadamori è conciato tanto male in questo frangente che considera seriamente l’opzione suicidio. Probabilmente lascia perdere perché il pugnale era nella trousse da doccia, e ammazzarsi a sassate in fronte non è dignitoso.

Quanto a Masakado, per qualche giorno setaccia boschi e cespugli, senza riuscire ad acciuffare suo cugino. Dopo l’ennesimo incontro con una moffetta incazzata, il nostro deve rassegnarsi e lasciar perdere.

Si conclude così la seconda fase del conflitto: i disordini di Jōhei.

Perché “disordini” e non “ribellione”?

Perché, tecnicamente, nessuno si è ancora ribellato. Tolto il colore e le curiosità etnografiche, tutto il casino accaduto dal 935 al 938 è riconducibile a uno scazzo familiare che si è incarognito. Tutti i partecipanti hanno infranto la legge, ma nessuno di loro se l’è presa direttamente con il Governo. Al contrario, da loro punto di vista tutti gli uomini coinvolti in questa festa dello smembramento hanno fatto molta attenzione a non far saltare il grillo alla Corte. Le carovane di tasse non sono state disturbate, gli edifici pubblici non sono stati rasi al suolo. Masakado e i suoi nemici hanno preso molta cura di restare nella buona grazia della Corte.

Questo ha ragioni pratiche e culturali.

Come dicevamo negli articoli precedenti, la Corte è la fonte legittima di potere. Ogni società umana sopravvive grazie al fatto che i suoi membri condividono un a visione di mondo e una percezione di realtà. Noi siamo condizionati a rispettare una divisa, loro erano condizionati a rispettare, entro certi limiti, l’Autorità Centrale. E’ una pulsione radicata nel più profondo del nostro cervello, dacché la scimmia che sonnecchia in noi, sotto tutti gli strati di personalità, cultura e abitudini, sa: senza il branco sei ciccia per le iene.

Fintanto che la fonte di potere costituita continuerà ad essere legittima agli occhi della fetta più grande della popolazione, la ribellione sarà sempre qualcosa che l’individuo considererà con estrema cautela.

E qui si passa alla questione pratica. Fintanto che una certa percentuale del gruppo accetta la legittimità costituita, ribellarsi significa trovarsi solo contro tutti. Il gruppo deve tutelare se stesso, ergo deve eliminare chi minaccia la visione comune su cui tutto il resto è basato.

E’ per questo che, di solito, la rivolta è un’impresa in cui la gente si imbarca quando non vede nessun’altra alternativa. Oppure, quando la fonte di legittimità ha perso di credibilità. Quando l’incantesimo si spezza.

E’ chiaro che Masakado è ancora lontano da entrambi questi casi.

Ma le cose stanno per cambiare,.

Alto aristocratico in abito da tutti i giorni (kariginu)

Mentre Masakado e i suoi sono per calanchi e grottoni a dar la caccia a Sadamori, altro casino si preparava nella provincia di Musashi.

All’origine del chiasso abbiamo il governatore provvisorio, il Principe Okiyo, che una volta tanto ha portato il culo dalla Capitale in provincia per fare il suo cazzo di lavoro. Insieme a lui troviamo il vicegovernatore Minamoto no Tsunemoto. Se a qualcuno costui suona familiare è perché ne ho già parlato. Ma niente spoilers!

Torniamo a noi! Costoro sono due funzionari della Capitale e, come da tradizione, si trovano ai ferri corti con un magistrato di distretto, tale Musashi no Takeshiba.

L’oggetto del contendere? Banale: TASSE.

Takeshiba è un piccolo funzionario su cui ricadono i doveri più pragmatici: organizzare i lavori stagionali, raccattare le leve necessarie per le corvées di stato, assicurarsi che tutti paghino le tasse, ecc. Secondo lo Shōmonki, Takeshiba è un uomo di specchiata reputazione, capace e apprezzato dai compaesani.

Un bravo magistrato è un tesoro raro e prezioso. Allora perché Okiyo e Tsunemoto decidono di piantargli grane?

E’ probabile che il distretto fosse in ritardo con in tributi, non per cattiva volontà ma per un accordo non scritto coi funzionari precedenti (ricordiamo che il Paese – e l’Est in particolare – sta attraversando un periodo di gravi carestie).

Problema: Okiyo è un governatore provvisorio. Non deve essere amico dei funzionari locali, non gliene sbatte niente di farsi amare, tanto di lì a poco sarà di ritorno alla Capitale. E’ peraltro possibile che lui e Tsunemoto non fossero al corrente dell’accordo (o che non gliene fregasse nulla).

Inoltre, i nostri si trovavano in una posizione delicata: per certi versi sono funzionari provvisori e la loro autorità è considerata quasi illegittima. D’altro canto il funzionario vero e proprio arriverà a breve, e il protocollo obbliga Okiyo e Tsunemoto ad organizzare banchetti e riti per l’occasione. C’è quindi bisogno di fondi!

In ogni caso i nostri decidono di insegnare a questi fastidiosi distrettuali chi è il capo: raccattano le truppe di provincia e attaccano la residenza si Takeshiba. Il disgraziato non può affrontare da solo l’esercito provinciale ed è costretto ad abbandonare la base al saccheggio.

La faccenda non piace né alla plebaglia né ai piccoli funzionari di provincia. L’atmosfera è tesa, il malcontento serpeggia.

Quando Masakado torna a casa in Shimōsa, la brutta storia è sulla bocca di tutti.

-Credi che scoppierà un altro casino?- Lancia uno dei suoi fratelli. -Non vorrei che la Corte schiodasse e mandasse un Esercito di Pacificazione.

-Con tutte le grane che ci piovono in testa e la carestia alle porte, ci manca solo un bello scazzo in periodo di semina.- Masakado tamburella le dita sull’elmo. Sospira. Se lo rimette in testa. -Pranzo al sacco gente, partiamo per Musashi.

-Ma che c’entriamo noi? Non abbiamo nessun cugino da uccidere, in Musashi.

-La vita non è fatta solo di cose belle e cugini da uccidere, sai.

-Non abbiamo nemmeno interessi, in Musashi!

-Appunto. Sono il nuovo pezzo grosso della regione e non sono coinvolto nel bisticcio. Sono potente e sono super partes. Sono l’unico che può mettere pace tra questi scimuniti.

-Ma è prudente?

-Qualcuno in questo fottuto Paese dovrà cominciare a ragionare da persona adulta, prima o poi!.- Masakado si allaccia l’elmo sotto il mento. -E poi non preoccuparti, non andiamo a uccidere nessuno. Arriviamo, mettiamo tutti d’accordo, ripartiamo. Pulito e preciso, nessuno si farà male. Cosa può andare storto?

Masakado riprende la strada e va a ricercarsi Takeshiba su per i monti. Il magistrato è il più basso in grado, ma è un notabile locale, la cui famiglia vive nella regione da tempo immemore. E’ popolare e benvoluto, come lo è Masakado. La plebaglia sarà rassicurata dal vedere il Rambo di Shimōsa andare a confortare il povero distrettuale, senza mischiarsi subito coi fottuti nobiloni della Capitale LadronaTM.

I fottuti nobiloni, da parte loro, vengono a sapere dell’arrivo di Masakado e non accolgono la notizia con molta gioia.

Tsunemoto, malfidato come un chihuahua, se la svigna subito per asserragliarsi in un posto un pochino più difendibile della capitale provinciale.

Okiyo, dopo qualche tentennamento, resta agli uffici. E’ un Principe Imperiale, fottuto Inferno, non si farà certo spaventare da un guerriero senza rango!

Masakado arriva alla Capitale provinciale con Takeshiba al seguito. Okiyo sbircia dallo spioncino.

-Vi avverto, uccidere un governatore è reato di tradimento!

-Oilà, vossignoria!- Masakado gli fa un sorriso a trentadue denti. -Che onore incontrarvi!

-Non sono tuo cugino, non puoi uccidermi!

-No no, sembrerà strano, ma non vogliamo far male a nessuno.

Ma certo!

-Suvvia, suvvia.- Masakado posa una mano sulla spalla di Takeshiba. -Ho un’idea rivoluzionaria per risolvere questa brutta storia.

Okiyo apre di uno spiraglio la porta del governo provinciale. -E sarebbe?

-Potremmo sederci intorno a un tavolo e discuterne da persone adulte.

Sguardi sorpresi tra gli astanti.

-Oibò, non ci avevamo pensato.

Alle spalle di Okiyo, uno scriba alza l’indice. -Non ci sono precedenti! Sarebbe altamente eterodo- Viene silenziato a sediate e trascinato via.

Okiyo lascia entrare i nuovi arrivati negli uffici,. Takeshiba è seguito da un pugno di compagni.

-Dov’è la tua retroguardia?

Takeshiba si stringe nelle spalle. -Dispersi da qualche parte.

-Non sai dove sono?

-Lo saprei se qualcuno non me li avesse dispersi attaccando a cazzo la-

Masakado fa scricchiolare le nocche, Okiyo e Takeshiba abbozzano, si siedono, parlano.

E il miracolo accade. Entrambi presentano il loro punto di vista, le loro necessità, gli obblighi, le difficoltà logistiche. Entrambi capiscono la posizione dell’interlocutore. Con la mediazione di Masakado, la trattativa si sviluppa, equilibrata e costruttiva, finché a fine giornata non viene raggiunto un accordo.

Gli scribi si precipitano ad aggiornare gli annali, la plebaglia ancora non si capacità che nessuno stia bruciando baracche o stuprando pecore, i guerrieri esitano, incerti se sentirsi sollevati o delusi. Tutto pare finito per il meglio, ma senza spargimenti di sangue a gratis la cosa sembra sbagliata.

Per loro fortuna la Legge di Murphy interviene.

Mentre i nostri stanno festeggiando con una solenne bevuta, un galoppino arriva da Takeshiba.

-Capo, abbiamo ritrovato la retroguardia!

-Ottimo!- Okiyo sbatte la mano sul tavolo. -Non è che potete ritrovare anche quell’altro bischero di Tsunemoto? Il figlio di puttana è sparito su per i monti e si sta perdendo questo momento storico!

-Errr…- Il galoppino sposta il peso da un piede all’altro. -Abbiamo trovato anche lui, in effetti… O meglio, la nostra retroguardia lo ha trovato…

Masakado silenzia gli astanti con un gesto. –Cosa è andato storto stavolta?

-La retroguardia… eh. Erano tagliati fuori, non sapevano cosa fare… E c’è il proverbio, no? “Nel dubbio ammazza qualcuno…”

-Oh no.

-Sono andati a uccidere Tsunemoto.

Takeshiba tentenna la testa. -Beh, era la cosa più logica da fare.

-Ci sono riusciti?

-No, Tsunemoto è in fuga verso la Capitale.- Il galoppino esita. -Pare abbia detto qualcosa del genere “Takeshiba ha messo il Principe e l’altro Ammazzasette contro di me!” e ” Lo dirò al Ministro degli Affari Supremi, brutti stronzi!”

Scende il silenzio. Masakado facepalma. Takashiba alza le mani.

-Che volete farci? Sono ragazzi!

Okiyo si schiarisce la gola. -Era troppo pretendere di concluderla ammodo, ‘sta cosa. Vediamo di non buttar via il bimbo con l’acqua sporca, dai…

-Fanculo.- Masakado si alza, acchiappa il fiasco. -Io me ne torno a casa. E voi andatevene tutti a fanculo.

Sembra un a triste conclusione per quella che sarebbe stata un’eccezionale prova di buonsenso da parte di non uno, ma ben TRE capoccia. Tuttavia non tutto finisce in mona.

Per più di un anno la situazione si calma. Okiyo continua a governare Musashi, Takeshiba se ne torna nel suo distretto, Masakado può dedicarsi ai suoi campi e ai suoi cavalli.

La pace sembra tornata nell’Est.

Purtroppo due faccende restano in sospeso. Una si chiama Sadamori, l’altra Tsunemoto.

Entrambi riescono ad arrivare alla Capitale (il primo sui gomiti, il secondo a cavallo). Entrambi cominciano a scrivere pagine su pagine di accuse e a mettono in moto la complessa macchina burocratica.

La quiete nell’Est è fragile ed effimera: quello che era cominciato come uno scazzo tra parenti sta per diventare una ribellione di proporzioni bibliche (fuoco e fiamme che piovono dal cielo, fiumi e oceani che ribollono, quarant’anni di buio, terremoti, vulcani, morti che escono dalle tombe, sacrifici umani, CANI E GATTI CHE VIVONO INSIEME… insomma, ci siamo capiti).

MUSICA!

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata


Bibliografia

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PIGEOT Jacqueline, Femmes galantes et femmes artistes dans le Japon ancien, Gallimard, 2003, Paris

Illustri sconosciuti: Taira no Masakado (2.3)

Bentornati in questa fossa di fastidio e mestizia. Oggi riprenderemo una delle nostre serie: la mirabolante storia di Taira Masakado!

La scorsa puntata avevamo lasciato il nostro baldo comandante a un punto morto con il suo acerrimo nemico: lo zio/suocero Yoshikane. I due si sono incontrati sul monte Tsukuba, ma a parte far esplodere delle mucche (e non dite che la Storia non è affascinante), non sono riusciti a concludere niente di significativo. Con la cattiva stagione alle porte, i due contendenti sono costretti a ribuscare la porta di casa: Masakado a Iwai e Yoshikane a Ishida.

La nostra cara cartina del Nord-Est dell’Impero, per chi si fosse scordato DOVE capitano le rivolte migliori!

La parodistica scaramuccia non è stata proprio senza risultati: essendosi svolta puntuale nel periodo della trapiantazione del riso, una bella fetta di raccolto è andata a baldracche, i contadini scappano, i piccoli guerrieri si danno al brigantaggio, i burocrati pregano e in generale gente che non c’entra niente crepa di stenti.

Sul piano militare, la faccenda è bloccata. Masakado ha dalla sua parte un editto imperiale che gli dà ragione, ma i funzionari provinciali che dovrebbero assisterlo trascinano i piedi, restii ad inimicarsi il potente Yoshikane (ricordiamolo, ex-vicegovernatore).

La stallo però non dura. Un bel giorno qualcuno ha la brillante idea di andare da Yoshikane.

-Senti capo, e se invece di aspettare il beltempo e fare un’altra spedizione che levati facessimo un bell’attacco notturno? Arriviamo a Iwai, zick-zack, passiamo a a fil di spada tutto ciò che respira, e quando passa l’Ispettore Imperiale diciamo che è stato un incidente!

-Un incidente…

-Sì, tutti gli uomini, donne e bambini di Iwai si saranno tragicamente tagliati la testa per distrazione mentre si radevano.

-Dobbiamo essere sicuri di spacciarli tutti in una botta sola, però. E non abbiamo idea di come sia fatta casa di Masakado, quel cialtrone non mi ha mai invitato.

-Aha.- Il genio sorride. -Ma io ho la soluzione!

-Spara.

-C’è questo ragazzino, Hasetsukabe no Koharumaru. I suoi hanno uno sputo e un cazzo di terra morta qui in Hitachi, e siccome non tirano su nemmeno da campare il canarino, il citto va a lavorare in Iwai per arrotondare.

Yoshikane si fa attento. -Un ragazzino che va e viene tra questa provincia e Iwai…

-Un ragazzino che la gente di Iwai è abituata a vedere e che non attira l’attenzione.- Rincara il genio.

-Un ragazzino le cui terre (chiamandole così) si trovano nella mia zona d’influenza.

-Esatto.

-Mandalo a chiamare!

Due bravi impacchettano Koharumaru e lo portano da Yoshikane. Non sappiamo molto di questo garzone. Ha dodici o quattordici anni, è un uomo libero e non miserabile, ma comunque della fascia bassa della plebaglia. Una fascia scomoda, specie in un periodo di carestie ed epidemie a nastro come questa lieta metà del decimo secolo.

Koharumaru arriva alla residenza di Yoshikane, ex-governatore, discendente di imperatori e uomo più potente della provincia. E’ probabile che il marmocchio non abbia mai nemmeno osato guardare in faccia un uomo della statura di Yoshikane. Anche perché guardare in faccia i guerrieri è sempre una cattiva idea.

Stando allo Shōmonki, Yoshikane lo riceve son mille cortesie, lo copre di regali e di attenzioni. Una volta messo a suo agio il pargolo, il nostro va al sodo.

-Dimmi, te lavori alla residenza di Iwai, vero?

-Porto carbone per la forgia.

-Dimmi, caro figliolo… che ne diresti la prossima volta che vai di portare con te un bravo signore amico mio?

-In che senso?

-Oh, voglio regalare a mio nipote delle tendine nuove, ma da quando gli ho sgozzato i figli non mi invita più (vai a sapere!). Non so di che colore ha la carta da parati, non vorrei che le tendine stonassero! Se tu potessi portare uno dei miei con te, ecco, questa brava persona potrebbe osservare per benino com’è costruita la base di Iwai e venirmelo a dire.

-Vuoi che infiltri uno spione in casa di uno dei migliori guerrieri della regione?

-Ora via, “spione”! “Esperto di ricognizione” sarebbe più appropriato…

-Se va male mi staccano la testa e ci giocano a pallone.

-Ma se va bene ti faccio diventare gregario a cavallo (umanori no rōtō).

E’ un’offerta ghiotta, l’occasione di una vita, una breccia fuori dalla miseria, lontano dalla vita da cavaterra e dritto nel geloso circolo dei guerrieri domestici. Come seguace montato, Koharumaru potrebbe ottenere terre, una casa, magari perfino qualche servizio presso un nobile patrono alla Capitale. Koharumaru è giovane, non ha mai avuto la pancia piena in vita sua, decide di correre il rischio.

Le gioie della vita all’aria aperta.

Koharumaru arriva alla residenza di Masakado accompagnato da un estraneo. Il piantone lo ferma.

-Chi è ‘sto tizio?

-E’ il fratello del cognato del vicino di mio padre.

-Basta che non sia uno zio o un cugino, non vogliamo casino nella base.

I due passano.

La mancanza di precauzioni alla base di Masakado pare bizzarra. Può spiegarsi in vari modi. Intanto il fatto è narrato nello Shōmonki, fonte principale della storia e giudicato molto affidabile in generale. E’ comunque una fonte di seconda mano (chi l’ha scritto non era sul terreno) e non può essere presa per oro colato a prescindere. E’ possibile che questa faccenda non sia accaduta o sia accaduta in modo diverso.

E’ possibile. Però il testo viene convalidato in diversi punti da altri documenti e si dimostra molto attendibile. Quindi è probabile che la storia sia autentica.

Assumendo ciò, è possibile che Koharumaru non sia stato fermato perché era una faccia conosciuta. E’ anche possibile che Koharumaru fosse un cavaterra troppo basso nella gerarchia per attirare davvero l’attenzione: una certa arroganza è insita nella società di classe e l’arroganza è la morte della cautela.
Tuttavia Masakado e i suoi danno prova, in generale, di competenza e prudenza, quindi la prima opzione pare più probabile.
Infine, non bisogna dimenticare che Masakado gode dell’approvazione ufficiale della Corte: Masakado ha ragione, il che lo rende, in teoria, intoccabile. Probabilmente non si aspetta un attacco, non nella cattiva stagione.
Il piano di Yoshikane riflette grande audacia e spregiudicatezza, e si basa su una singola scommessa: “se li ammazzo tutti in una notte e non disturbo le carovane di tributi, la pace torna nella provincia e la Corte lascerà perdere tutta questa incresciosa faccenda”.

In parole povere, Yoshikane confida che la Corte non investirà in una campagna punitiva fintanto che la quiete viene ristabilita. Yoshikane si sente intoccabile e protetto dalle conseguenze grazie alla propria posizione e ai suoi legami personali con notabili e capibanda.

Resta una scommessa avventata: Masakado è popolare, è capace, ha la benedizione Imperiale, il che vuol dire che solo i veri fedelissimi di Yoshikane saranno disposti a rischiare la pellaccia contro di lui.

Ad ogni modo la missione di ricognizione di Koharumaru va a buon fine, Yoshikane ha le sue informazioni, può passare all’azione.

La battaglia di Iwai

La zona dello scontro.

Quattordicesimo giorno del dodicesimo mese del settimo anno dell’era Jōhei (checcazzo vi ridete, le persone civili datano così, e comunque è l’inverno del 938).

E’ buio, Yoshikane esce dalla sua residenza. Ha elmo, armatura lamellare, sode a proteggergli i bicipiti, gambali. 80 dei suoi uomini migliori lo aspettano, arco in pugno, faretra piena, sciabola all’anca. Sono i suoi guerrieri personali, il cuore pulsante della sua banda di guerra, i migliori, i più fedeli. Non c’è posto per seguaci recalcitranti o ragazzini di primo pelo in una missione come questa. Iwai è a una trentina di chilometri, attraverso due fiumi e pantani.

I nostri montano a cavallo, escono in ordine da Ishida sulla strada coperta di brina. Non ci sono uomini a piedi con loro, solo cavalieri. Nessuno parla, nella notte si sente solo lo scalpiccio sommesso degli zoccoli sulla terra battuta.

Nemmeno l’esercito più preparato però è perfettamente silenzioso, non quando sei coperto d’acciaio in groppa a una bestia. E la notte è piena di occhi.

A una ventina di chilometri dalla meta, il gruppo viene visto da un guerriero di Masakado. Una nutrita banda di cavalieri non è mai una buona notizia, specie se, avvicinandoti, puoi sentire di quando in quando il lieve tintinnare dell’acciaio. Ma chi sono e dove vanno?

Il guerriero si avvicina al gruppo da dietro, li raggiunge. Il suo cavallo va al passo come il loro, è piccolo e tarchiato come il loro, nella notte nuvolosa la sua armatura è nera come la loro, la sua faccia un buco nero nella bocca dell’elmo, come la loro.

Si spinge nel cuore del gruppo. Nessuno parla, nel buio nessuno si rende conto che c’è un cavaliere in più, ma quel cavaliere è lì per osservare. Riconosce un ornamento su un elmo, uno stemma su una manica, abbastanza da essere sicuro: ora sa chi sono, e sa dove stanno andando.

Si lascia distanziare di nuovo, senza mai un moto di agitazione, senza uno slancio di fretta. Appena è abbastanza lontano dalla banda, pianta i talloni nei fianchi del cavallo e corre come se non ci fosse un domani. Corre a Iwai.

Infiltrati. E’ sempre colpa dei fottuti infiltrati.

Siamo tra le 5 e le 7 di mattina del 15, il cielo è ancora color piombo, l’aria è tanto fredda da strapparti il naso. La residenza di Iwai è silenziosa e morta nella nebbia. Non sappiamo di preciso come fosse costruita. Probabilmente somiglia a un villaggio: la casa di Masakado, quelle più piccole dei suoi sodali, contadini e artigiani, il tetto allungato delle scuderie, quello ripido dei magazzini, la distilleria, il camino della forgia. Le cime nude degli alberi da frutto sporgono di certo oltre la palizzata. C’è probabilmente un fossato basso e largo fuori dalla palizzata, con punte di bambù nascoste nel fango tipo triboli.

Yoshikane sorride nella luce grigia.

-Perfetto! Allora ragazzi, ricordate! Lisci come l’olio, attacchiamo dal nulla, li troviamo in pigiama, tagliamo i-

Una salva di frecce piove dal nulla. Cavalli nitriscono, urli di sorpresa e dolore.

-Checcazzo?

Una seconda salva di frecce. Yoshikane fissa la residenza inorridito. Le parole di suo nipote Sadamori gli attraversano la testa: ci ha sgamato.

Il portone si spalanca, Masakado e una decina di cavalieri sono armati da capo a piedi. Stanno facendo una sortita. Masakado sprona il cavallo, incocca, scocca. La sua freccia fende l’aria con un sibilo sordo, centra in piena faccia un uomo chiamato Taji no Yoshitoshi. E’ il miglior arciere di Yoshikane, uno così tosto che fa colazione a chiodi arrugginiti e ricaga lingotti d’acciaio per pranzo.

Yoshitoshi schianta giù di sella morto come uno stoccafisso. Perché puoi essere tosto quanto ti pare, ma le frecce in fronte sono democratiche e uguali per tutti. Il morale degli uomini di Yoshikane si sgonfia all’istante.

Una cosa che impararemo con questi articoli: una sola freccia può decidere il destino di un Impero.

Il gruppo di Masakado è in minoranza, ma prende la banda di Yoshikane del tutto alla sprovvista. Si avventano sul nemico come lupi sui fagiani e scatenano un carosello sanguinoso di arti mozzati e ossa rotte.

La gente di Yoshikane cerca di riorganizzarsi, ma la terra trema. Dalla boscaglia e dai campi intorno a loro arrivano urla e nitriti. Nella nebbia si disegnano guerrieri incazzati su cavalli schiumanti. Masakado non ha avuto il tempo di radunare i suoi uomini, ma ha avuto tempo di mandare dei messaggeri e avvertire dell’attacco. I fedeli alleati si sono precipitati carichi come bombe a mano, perché se c’è qualcosa che fa imbestialire un guerriero è dover combattere prima del caffé.

La banda di Yoshikane viene presa a sandwich tra i Mirabolanti Dieci di Iwai e il resto dei fedeli di Masakado. E’ un cicciaio. Yoshikane riesce a scappare, ma lascia 40 dei suoi a terra.

E’ la fine di Yoshikane. Masakado ha vinto con una sortita, lui e un pugno di valorosi, da soli nella prima luce mattutina, contro un nemico di otto volte superiore. E’ un trionfo, Masakado è il miglior guerriero della regione, uomini accorrono per giurargli fedeltà, donne restano incinte a sentirne parlare, il Time gli dedica un’edizione straordinaria.

Yoshikane invece ha perso, la sua banda è annientata, i suoi guerrieri morti, feriti o disonorati. Ha perso e i perdenti hanno sempre torto agli occhi del Mondo. E’ la fine della sua carriera Il suo nome sparisce dalle fonti, non metterà mai più piede su un campo di battaglia, non alzerà mai più un dito contro suo nipote. Come l’antagonista dei Duellanti, è un morto che cammina. Solo e senza gloria, muore di malattia due anni dopo.

Quanto al giovane Koharumaru, la sua storia finisce senza sorprese. Dopo circa due settimane di caccia, viene catturato e decapitato una giornata d’inverno, il terzo giorno del primo mese dell’ottavo anno di Jōhei.

E così si conclude la seconda fase delle rivolte di Jōhei e Tengyō.

Ma non è finita. Perché gli eroi non possono invecchiare, e il lieto fine è solo una questione di timing.

MUSICA!

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quinta puntata

Interludio

Sesta puntata

Settima puntata


Bibliografia

YANASE Kiyoshi, YASHIRO Kazuo, MATSUBAYASHI Yasuaki, SHIDA Itaru, INUI Yoshihira,Shōmonki, Mutsu waki, Hōgen monogatari, Heiji monogatari, Shōgakukan, Tōkyō, 2002, p.7-130

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In lingua occidentale

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