Diavoli, Lindy Hop e orsi in monopattino: Hellzapoppin’!

Interno, bar.

Sono a bere con un gruppo di amici, gente con una vita e una famiglia che ha comunque deciso che bere un bicchiere con la Tenger fosse un buon investimento di tempo. Valli a capire.

Stiamo parlando di film. L’amico americano lancia il commento:

“Mi piacciono tantissimo i film vecchi!”
“Ah!- M’illumino. -Anche a me! Ma com’era bello e bravo Tony Curtis? Peraltro, ho rivisto di recente Bringing up Baby, lo conosci? Ho sempre avuto una cotta grandissima per Kat-

Mi fissa perplesso.

“Oh, scusa, intendevi ‘vecchi’! Io non ho particolare passione per la roba pre-anni ’30, però è vero che-

Stesso sguardo perplesso.

“Sei un fan di George Méliès?”

“Io intendevo gli anni ’80. 1980.”

“Ma mica sono vecchi!”

“Boh, 30-40 anni fa ormai.”

Oggi parliamo di film vecchi. E quando dico “vecchi” dico vecchi, gli anni ’80 erano pochissimo tempo fa, tipo boh, 10-15 anni fa al massimo!

Nella fattispecie, parliamo di film divertenti, di quello che è secondo me un momento d’oro nella commedia americana: gli anni ’40 e ’50.

Alcuni dei miei film preferiti sono stati girati in questo periodo: Some like it hot, How to marry a millionaire, Operation Petticoat, Arsenic and old lace

Oggi parliamo di un’altra perla del cinema in bianco e nero: Hellzapoppin’!

Oh yes

La storia dietro questo film comincia nel 1918, in un piccolo nightclub di Chicago, dove è prevista una serata vaudeville chiamata Mike Fritzol’s Frolics.

Il vaudeville è cabaret, scenette comiche inframezzate da canzoni popolari, pezzi musicali e sketch acrobatici. Molti dei più grandi artisti dello spettacolo cominciarono col vaudeville: Charlie Chaplin, Buster Keaton, Cary Grant…

Il genere ha avuto un’importanza immane nell’evoluzione del cinema: commedia acrobatica, ritmo e farsa fisica sono palesi in molti film dell’epoca d’oro.

Questa sera de1918, nel mazzo dei cabarettisti compare un duo sconosciuto: Harold Ogden Johnson e John Sigvard Olsen. I due tizi dai nomi vichinghi stanno cercando di riciclarsi dopo che il gruppo musicale che li aveva assunti si è sciolto.

I due spingono un pianoforte su scena davanti a una platea di gente poco convinta. Johnson si lancia in una frenetica sinfonia in ragtime, accompagnato dal violino di Olsen. La musica pimpante è inframezzata da boutades e insulti che i due si scambiano, mentre mettono insieme il testo improbabile di una canzone ridicola.

E’ un successo.

Il duo comico Ole&Chic ha debuttato sulla scena comica!

I roaring ’20 sono un buon periodo per Ole e Chic, e tra alti e bassi i nostri si costruiscono una rispettabile carriera che li porta, nel 1930, ad essere assunti come comici da niente meno che la Warner Bros!

I due norrenoamiericani compaiono in musicals come Gold Dust Gertie e Fifty million Frenchmen, ma il genere musical incappa in alcuni scogli e l’azienda decide di tagliare sulle canzoni e sui film musicali in generale.

A questo punto il duo è riuscito a inserirsi nel mondo dello showbiz: sono loro a lanciare sulla scena un altro celebre duo comico, Abbott e Castello (tradotti in Italia come Gianni e Pinotto, sigh).

Nel 1938, liberi dal contratto con la Warner Bros, Ole e Chic decidono di mettere insieme un nuovo spettacolo musicale. Nasce Hellzapoppin‘ (tradotto in Italia come Il cabaret dell’Inferno), la vendetta del musical!

Hellzapoppin’ al Winter Garden Theater di New York, 1938

Cos’era Helzapoppin’?

In un’atmosfera da circo, con fili del bucato tirati sopra la platea, la facciona di Hitler balena su uno schermo e urla con spiccato accento yiddish, seguito da Mussolini in blackface. Ole e Chic irrompono sul palco e lanciano incalzanti sketch comici fatti di scambi rapidi, insulti e buffonate acrobatiche, musica, balletto, animali ammaestrati!

Gli artisti si susseguono su scena, coinvolgono il pubblico, infliggono scherzi assurdi a colleghi in incognito seduti in platea o anche a spettatori paganti. Alla fine dello spettacolo, le ragazze del coro scendono dal palco per ballare con gli spettatori, le sedie sono spinte via per concludere in una colossale festa danzante con gli artisti.

Il copione cambia da spettacolo a spettacolo in una continua riscrittura che lo tenga sempre fresco, sempre attuale, sempre imprevedibile.

Hellzapoppin’ è un trionfo gargantuesco del vaudeville!

I critici arricciano il naso, ma è un assoluto successo di pubblico.

Helzapoppin‘ sarà lo show con la vita più lunga e il più alto numero di spettacoli del suo tempo, con un totale impressionante di 1.404 spettacoli!

Barto e Mann, due degli artisti di Hellzapoppin’ a Broadway

Lo spettacolo annoverava grandi artisti del vaudeville, come Barto e Mann, un duo di ballerini e acrobati che giocavano sul fatto che uno era uno scricciolo e l’altro un Marcantonio; il prestigiatore Theo Hardeen, fratello minore di Houdini; gli straordinati Harlem Congeroo Dancers (meglio noti poi come i Whitey’s Lindy Hoppers), e tantissimi altri.

Lo spettacolo piacque così tanto che una versione itinerante fu messa insieme e spedita a zonzo per gli Stati Uniti, ma non era finita lì: Hellzapoppin’ sarebbe diventato un film con la Universal Picture!

Manifesto del film

Ole e Chic adattano la follia prorompente dello spettacolo teatrale con l’aiuto dello sceneggiatore Nat Perrin, già affermata penna al servizio dei Fratelli Marx.

Del cast originale restano solo Ole, Chic e i Whitey’s Lindy Hoppers. In compenso saltano a bordo grandi artisti del grande schermo, come la ballerina e attrice comica Martha Raye, l’affermato Mischa Auer, o uno dei tre Marmittoni Shemp Howard.

Il nuovo medium presuppone un radicale cambiamento strutturale (non potendo più smollare blocchi di ghiaccio in grembo al pubblico o altre balordaggini simili), ma offre anche l’occasione di reinventare, e il duo ne approfitta per deridere Hollywood e i film del periodo.

Come dice il regista nel film (insistendo che un film deve avere una trama):

-This is Hollywood, we change everything.

Brace yourselves!

Il film comincia con quella che appare una banalissima scena musicale, con un coro di belle figliole che canta una sdolcinata canzone d’amore scendendo una scalinata.

I once had a vision of Heaven, and you were there

La sbrodolata melensa si trasforma però in strilli di terrore quando la scalinata che svanisce sotto i loro piedi, scaraventando tutti all’Inferno. Dopo i credits, che scorrono davanti a immagini di gente che precipita nell’abisso, un cartello ci spiega che ogni somiglianza tra Hellzapoppin‘ e un film è puramente casuale.

In una bolgia frenetica diavoli in mutande cantano “anything can happen and it probably will!” mentre acrobati e ballerini torturano dannati e inscatolano peccatori.

Un taxi arriva con un colpo di fulmine e scarica Chic e Ole assieme a polli, capre, pecore e bestie assortite.

Dopo qualche minuto di pura follia e metahumor, il tutto si rivela essere il palco di unu studio: Chic e Ole stanno realizzando il film di Hellzapoppin‘. Dopo un frenetico concatenarsi di gag surreali e il suicidio di uno dei cameramen, un furioso regista cerca di spiegare ai due che non possono continuare a snocciolare sketch folli come fanno a Broadway, che “in un film ci vuole una trama”.

-A story.- Ride Chic. -Crazy!

Anything can happen and it probably will!

Il film è costruito con cornici-nelle cornici e metahumor surreale: un tecnico sta proiettando il film di Hellzapoppin’ in un cinema, e nel film Chic e Ole stanno parlando di Hellzapoppin’ col regista, che spiega loro la storia che Hollywood vuole (“ci vuole una storia d’amore!”), e nella storia che Hollywod vuole si sta preparando uno spettacolo teatrale, e così via, un’infinita matrioska del “che cacchio sto guardando”.

Per citare uno scambio nel film:

-Look here my friend, we’re making a motion picture!

-That’s a matter of opinions.

Può sembrare una faccenda molto contorta, ma il ritmo del film è così frenetico e il tono così surreale ed esilarante, che ci si trova a seguire senza porsi troppe domande. E ne vale la pena!

Duckface before it was cool!

Se vogliamo proprio individuare la storia “principale”, al centro di tutto, si tratta di una parodia geniale delle peggio mattonate di Hollywood.

Kitty è una ragazza giovane, bellissima, ricchissima e talentuosissima. E’ corteggiata da Woody, pure ricchissimo e favorito dai genitori di lei. Ma dramma! Kitty è innamorata del drammaturgo squattrinato Jeff.

Kitty ha abbastanza soldi per tutti e due e abbastanza carattere da sfidare il volere dei genitori, ma Jeff rifiuta di fare la vita del mantenuto. Con l’aiuto di Kitty mette su uno spettacolo teatrale che spera di mostrare a un noto produttore di Hollywood.

Se il produttore gli compra lo spettacolo, Jeff sposerà Kitty, altrimenti fuggirà via, lasciando la nostra a sposare il suo caro amico Woody.

Jeff fa quindi appello a Chic e Ole per mettere insieme lo spettacolo, e segue una folle sarabanda di scherzi, canzoni, giochi di prestigio e personaggi caricaturali.

Signore e signori: a coat of arms!

E’ difficile descrivere davvero Hellzapippin’.

Per certi versi è una commedia tipicamente anni ’40, con il botta e risposta serrato, il dialogo velocissimo, gli intermezzi musicali.

La meta-ironia e la satira degli schemi tradizionali però lo rendono un film assolutamente unico che ha ispirato generazioni di commediografi a seguito.

Uno di quelli che di certo hanno pescato più di tutti dalla surreale comicità di Hellzapoppin’ è l’ottimo Mel Brooks. Il suo bellissimo The producers è sicuramente in debito con il film di Chic e Ole.

Un altro elemento comunissimo nel film (ed ereditato nelle pellicole di Mel Brooks) è il continuo rompere della “quarta parete”, il riconoscere che si tratta di un film. In diversi momenti gli attori si rivolgono all’operatore della prima cornice o direttamente al pubblico. Queste gag non sono semplici battute o strizzate d’occhio, ma sono sviluppate e sfruttate al loro massimo potenziale comico.

In un momento del film, ad esempio, il proiettore s’incanta, bloccando il film a cavallo tra due fotogrammi, sicché Chic si trova nel fotogramma di sopra mentre Ole e Woody sono incastrati in quello di sotto.

In un altro momento il secondo proiettore si avvia catapultando Chic e Ole in un film di indiani e cowboy. E così via.

I personaggi sono una compagine memorabile ed esilarante, dove Martha Raye brilla in particolar modo come la rozza ballerina Betty, una specie di ruspa umana determinatissima a violentare il principe Pepi, esule russo e truffatore che si guadagna la vita facendo il buffone per ricchi americani. Durante tutto il film Pepi sarà lo sventurato oggetto delle attenzioni di Betty, in una parodia del topos Hollywoodiano della giovane innocente assediata dallo straniero seduttore e predatore.

Il tutto è punteggiato da pezzi musicali nel miglior stile anni ’40, con uno straordinario spezzone dei Whitey’s Lindy Hoppers, in una rara celebrazione cinematografica di arte afroamericana.

E’ degno notare che tutti i ballerini appaiono in abiti da domestici per poi scatenarsi in un eccezionale numero musicale, probabilmente una frecciata al fatto che, al tempo, l’unico ruolo che un afroamericano poteva ottenere in un film era proprio quello di domestico, a prescindere dal talento della persona. Ricordiamo che negli anni ’40 (e anche dopo) solo il fatto di mettere nella stessa scena attori bianchi e neri era considerato risqué o proprio riprovevole (specie negli stati meridionali). Film come questo o Gone with the wind sono eccezioni, non la regola.

I Whitey’s Lindy Hoppers

Molte delle canzoni non hanno alcuno scopo nella storia (ma poi c’è davvero una storia?), ma sono pimpanti e orecchiabili: Watch the birdie mi resta in testa per ore ogni volta che riguardo questo film!

Non voglio elaborare oltre su tutte le buffonate presenti, perché non è proprio possibile rendergli giustizia in prosa e perché rovinerei le trovate comiche. Come dice la canzone principale: anything can happen and it probably will!

La trama nella trama nella trama nella trama che al mercato mio padre comprò

Good_Grumpy

L’energia dirompente e il ritmo incalzante

Good_Grumpy

Il surrealismo e la creatività

Good_Grumpy

Il cast

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La musica

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Lo stile vaudeville

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La satira delle smarmellate romantiche Hollywoodiane

Good_Grumpy

Hellzapoppin’ è un film spassosissimo che tutti dovrebbero conoscere. Ancora nel 1967 arrivò al secondo posto in un sondaggio fatto dalla Canadian Centennial Commission tra i critici cinematografici di 40 paesi per determinare le migliori commedie di sempre. Altri titoli erano Ninotchka, Shoulder arms e The Navigator.

E’ un trionfo del vaudeville, che invade e deride i tropismi e clichés del cinema.

Non vi spoilero la fine, ma sappiate che questa include invero un orso in monopattino, cani parlanti e uno sceneggiatore preso a rivoltellate.

Lo trovate su YouTube in lingua originale, ma esiste una versione doppiata in italiano, e doppiata piuttosto bene (nei limiti del possibile, si tratta pur sempre di commedia, il genere più difficile da tradurre e doppiare).

Dategli una chance!

MUSICA!


Bilbliografia

Il film completo

COBBETT Steinberg, Film facts, New York, Facts on Files Inc., 1980

La pagina wiki del film

La pagina wiki dello spettacolo teatrale

La pagina wiki di Olsen

La pagina wiki di Johnson

 

Sabaton: Heroes

Il 16 usciva il nuovo album dei Sabaton, Heroes. Ho usato spesso le loro canzoni in fine articolo, e credo che continuerò a usarle, visto che si sposano bene col tema generale di questo postaccio: guerre e botte.

Quindi colgo l’occasione per dire due cose sulla loro ultima fatica.

A differenza di altri album, Heroes si concentra su individui o gruppi relativamente ridotti più che su battaglie celebri. Canzoni sui singoli ne hanno fatte anche prima (prima tra tutte White Death), ma è la prima volta che ne fanno tutta una serie.

Ma di che parla Heroes?

Night Witches

Nachthexen, i piloti donna del 588° Reggimento per il Bombardamento Notturno dell’aviazione sovietica, creato dal Colonnello Marina Raskova e dal Maggiore Yevdokia Bershanskaya.

                                                       

Marina Raskova e Yevdokia Bershanskaya

Era l’Ottobre del 1941, quando fu dato l’ordine di creare tre reggimenti di aviatori il cui personale doveva essere completamente femminile: dai piloti ai meccanici ai tecnici. Il 588° era uno di questi. Il reggimento, che arrivò a contare un’ottantina di persone, doveva assillare i tedeschi e operare bombardamenti di precisione dal 1942 al 1945. Queste signorine furono estremamente attive: ognuna di loro con 800 o più missioni all’attivo e 23 di loro decorate come Eroi dell’Unione Sovietica. Trenta non videro la fine della guerra.

Sarebbe abbastanza badass così, ma va dato uno sguardo ai trabiccoli su cui viaggiavano: biplani Poliakarpov Po-2, roba concepita nel ’28 e mai intesa come aereo da guerra! Se da un lato questi marhingegni erano molto manovrabili, non potevano portare che poco peso, e ogni notte erano necessarie più missioni (anche 15 per notte!).

Sì, viaggiavano su roba del genere nel ’42

Ma non tutte le magagne vengono per nuocere: I Po-2 erano lenti, chiocciole a motore, così tanto da essere più lenti della velocità di stallo degli aerei tedeschi. La cosa complicava non poco la vita dei crucchi. Lenti e molto bassi, questi aggeggi di cartoncino e colla vinilica silenziavano il motore in vista del bersaglio e planavano: il fischio del vento era la sola cosa che i mangiacrauti udivano prima che le matrioske cominciassero a cadere. Questa pare l’origine del soprannome.

I piloti, che di solito avevano appena la ventina, venivano formati a Engels, nei pressi di Stalingrado. E i crucchi non erano il loro unico problema. Ostilità, molestie sessuali e discriminazione da parte dei loro colleghi erano continue. Ve lo immaginate in un romanzo? Il pilota maschilista che mette le mani addosso a una collega membro di un reggimento con ottime prestazioni? Roba da buttare la sospensione dell’incredulità alle ortiche. Ma la realtà ha sempre più fantasia di noi, e “ma è successo davvero!” non è una scusa, in narrativa…

I bersagli preferiti delle Streghe erano campi, depositi di rifornimenti, retroguardie. Oltre ai danni materiali, le loro azioni impedivano ai crucchi un riposo normale e minavano il morale della truppa.

Incapaci di pizzicarle coi radar, i crucchi si buttarono sui riflettori. Piazzate intorno ai bersagli sensibili, le luci disegnavano cerchi nel cielo. Una buona idea, ma non avevano fatto i conti con le russe, che si organizzarono per volare a gruppi di tre. Due volavano in parallelo e attiravano l’attenzione dei riflettori. Quando i fasci di luce erano concentrati su di loro, i piloti invertivano la rotta, si separavano, e poi erano cazzi loro staccarsi di dosso l’occhio nemico. Nel frattempo, la terza Strega poteva avvicinarsi al bersaglio e lasciare le bombe. Se i tre arei se la cavavano, si riunivano e cambiavano i ruoli, finché tutti e tre non avevano scaricato i loro souvenirs. E potevano rientrare per essere ricaricate. Anche quindici volte a notte.

 

No bullets fly

Il 20 dicembre 1943, dopo un bombardamento riuscito su delle industrie aereonavali di Brema, Charles “Charlie” Brown cercava di riportare indietro la carcassa della sua Fortezza Volante B-17. Dopo la contraerea e uno stormo di Bf-109 e FW-190 incazzati, l’aereo di Brown aveva due motori morti, un terzo danneggiato, circuiti idrailici, elettrici e di areazione in avaria, e un equipaggio costituito da un morto e nove feriti (incluso Brown stesso, sforacchiato alla spalla).

Charlie Brown

Fu allora che un pilota crucco intento a fare il pieno lo vide. Il pilota era Franz Stigler, un veterano con 22 vittorie all’attivo e a un passo dal ricevere la Knight’s Cross. In altre parole, Stigler vide la propria medaglia solcare i cieli spitacchiando fumo e catrame. Saltato sul suo Bf-109, il crucco raggiunse in un niente la Carcassa Volante.

Franz Stigler

In un’intervista a Michael Fuller, Stigler racconta di aver avvicinato da dietro l’aereo, di aver aspettato per dare una chance alla coda di sparare. Non c’era stato movimento, il tail gunner era morto. Stigler volò a 20 piedi, vide il gunner a muzzo nel proprio sangue, e non riuscì a sparare. Affiancò l’aereo, e capì che anche il resto dell’equipaggio era ridotto male.

Stigler non avrebbe mai tirato su qualcuno in paracadute. Un suo superiore in nordafrica era stato chiaro: “voi siete piloti combattenti, prima, dopo, sempre. Se vengo mai a sapere che uno di voi ha tirato su qualcuno in paracadute, gli sparerò di persona.” Davanti allo spezzatino di yankee che viaggiava nel Rottame Volante, Stigler si disse che ridotti com’erano, era come se fossero già in paracadute.

Invece di dargli il colpo di grazia e guadagnarsi la medaglia, decise di spingerli ad atterrare, lì o in Svezia. Brown non intese o non volle intendere i segni di Stigler e tirò dritto sul Mare del Nord, un vespaio di crucchi inferociti. Dal canto suo, Stigler si rese conto di quanto gli yankee fosseo zucconi, ma invece di abbandonarli al loro fato, volò con loro fin fuori dalla zona di rischio, prevenendo l’attacco della contraerea. Una volta al sicuro, fece un cenno di saluto, e tornò dai suoi.

Stigler aveva il dovere di tirar giù il B-17, lo sapeva. Nell’intervista Stigler spiega di non essere riuscito a ucciderli. Alla domanda “perché lo hai scortato”, Stigler rispose “Because I didn’t want anyone else to get him“. Stigler non era un pacifista né un tenero. Lo stesso giorno, aveva abbattuto 2 B-17. Non gli piaceva, ma lo faceva, come tutti gli altri. Non con Brown, non dopo aver visto l’altro pilota in faccia.

All’arrivo di Brown alla base, i superiori gli vietarono di parlare della propria avventura a chicchessia, per non ispirare simpatia per il nemico. Come disse lui stesso “qualcuno ha deciso che non puoi essere umano e volare in una carlinga tedesca”. Nemmeno Stigler ne fece mai parola, dato che quel gesto di cavalleria poteva significare un’ultima sigaretta davanti a un plotone d’esecuzione.

La guerra finì, i crucchi persero (Spoiler), Brown se ne tornò in West Virginia, finché, dopo 47 anni, non riuscì a ritrovare il pilota che in guerra aveva risparmiato lui e i suoi compagni. Salvare la vita a qualcuno e alla sua squadra a rischio della pelle può essere un buon inizio per un’amicizia. Brown e Stigler rimasero in stretti rapporti fino al 2008: i due piloti in pensione morirono lo stesso anno, a pochi mesi di distanza.

With all said and done, questa storia è una bella storia e dà un’idea della complessità che c’è nella testa di un uomo in una situazione del genere.

 

Smoking Snakes

La canzone che meno ho capito. Beninteso, musicalmente non è male, ma in compagnia degli altri Eroi costoro sembrano un po’ fuori posto. Ma andiamo con ordine.

La Seconda Guerra Mondiale si scatenava, e mentre tutti i paesi industrializzati correvano all’annientamento reciproco, il Brasile restava neutrale. Per il presidente Vargas, “i serpenti avrebbero fumato” prima di un cambiamento, che era un po’ come dire “entreremo in guerra quando i maiali voleranno”. Ma nell’agosto del ’42 in Brasile era tutto un cinguettar di porci tra i rami e i cobra facevano anelli con la pipa.

Nel gennaio del ’42  il Brasile aveva deciso di interrompere ufficialmente i suoi rapporti con l’Asse. I crucchi non la presero molto bene, e a farne le spese furono le navi mercantili brasiliane. In tutto, l’Asse tirò giù 36 navi, per un totale di più di 2.600 morti. Dopo un ultimo dispetto da 600 morti, i serpenti iniziarono a rollarsi sigari.

Vargas spedì i suoi in Italia in sostegno degli alleati. La Força Expedicionària Brasileira (FEB) aveva adottato l’espressione del presidente come motto, addirittura come patch ufficioso.

Pare i brasiliani combatterono inaspettatamente bene, al punto che una nuova espressione entrò nel già colorato insieme dei modi di dire: “the snake is smoking”, per dire “ora si fa sul serio”. In realtà, per quanto ne so, i soldati brasiliani combatterono bene come molti altri, senza distinguersi in azioni particolarmente eclatanti. Insomma, la loro presenza in questo album è boh.

Tornando a noi, la BEF, sotto il comando del Generale Mascarenhas de Moraes, combatteva con la V° Armata (sotto Clark prima e Truscott poi) e il IV° Corpo d’Armata (sotto Crittenberger). Era organizzata sul modello di una divisione di fanteria americana, con circa 15.000 uomini in gruppi di compattimento (Combat Regimental Team).

Il 16 giugno del ’44, i primi soldati della BEF sbarcarono a Napoli, e forse è per questo che i Sabaton ne parlano.

Ok, sto scherzando.

Dopo un primo tempo di adattamento (tipo trovare le armi!) e qualche missione di ricognizione, i brasiliani furono messi al pezzo contro la Linea Gotica, dove i tedeschi gli ruppero le corna. Andò meglio a fine febbraio, inizi marzo, quando riuscirono a sloggiare i crucchi da certe posizini chiave degli appennini.

Il 25 aprile, coordinandosi coi partigiani, gli Alleati presero una serie di città chiave, tra cui Parma, Venezia e Trieste, e il 28 quelli della BEF si rifecero con una bella figura nella Battaglia di Collecchio, ottenendo, tra l’altro, più di 13.000 prigionieri. Questo scombinò il piano del comandante tedesco in Italia, dato che si basava sulle truppe di Fornovo per un contrattacco. La batosta, più la notizia della caduta di Berlino e della morte di Hitler, persuasero i crucchi alla resa. Il 2 Maggio i brasiliani raggiungevano i francesi a Torino. Era la fine ufficiale delle ostilità in Italia.

Insomma, la partecipazione brasiliana fu dignitosa, ma tra tutti gli altri titoli, questo è quello che più mi lascia perplessa.

 

Inmate 4859

Ecco, per me costui quanto a palle d’acciaio si mangia i brasiliani con tutto il serpente.

Witold Pilecki

La canzone parla di un soldato polacco, Witold Pilecki. La sua carriera era cominciata nel 1918 quando, appena diciassettenne e residente in Lituania, si era unito a un gruppo polacco di autodifesa nella zona del Wilno. Combatté contro i bolscevichi tra il 1919 e il 1920, si arruolò nell’esercito regolare e combatté di nuovo nella ritirata da Kiev e ancora alla battaglia di Varsavia e nella foresta di Rudniki nell’estate del 1920.

Nel ’39, Pilecki fu uno dei fondatori di un gruppo di resistenza polacca, la Tajna Armia Polska (TAP), che pochi mesi dopo contava già 8.000 uomini e forniva informazioni ad altri resistenti, come quelli dell’Esercito Confederato (KZ) e della Confederazione della Nazione (KN).

Nel 1940, quando ancora non era ben chiaro cosa combinassero i nazi nei loro lager, Pilecki decise di infiltrare niente meno che Aushwitz per organizzare una ribellione all’interno del campo. Il 19 settembre, sotto il nome di Tomasz Serafinski, si fece arrestare e spedire nel più noto dei campi di sterminio. Il suo numero era 4859.

Foto ricordo

Nel campo, sopravvivendo polmonite e barbarie, Pilecki riuscì a organizzare un movimento segreto coerente. L’organizzazione faceva circolare notizie, assisteva i prigionieri e, soprattutto, iniziò a inviare informazioni su quello che davvero succedeva dietro la rete elettrificata. Già dal 1941, tramite la resistenza polacca, Inghilterra e Stati Uniti ricevevano rapporti precisi sull’Olocausto, scritti da lui, che lo stava sperimentando sulla propria pelle.

Pilecki aveva contatti coi suoi. Aveva qualche possibilità di scappare, possibilità che gli altri prigionieri non avevano, ma decise di restare, e continuare a mandare informazioni, organizzare il suo gruppo, nell’attesa che gli Alleati gli dessero un qualsiasi sostegno logistico. Un appoggio, e Aushwitz avrebbe potuto sparire nel ’42.

Sappiamo com’è andata. Non ci fu nessuna azione da parte degli inglesi o degli americani. Pilecki rimase nel campo fino al ’43, nella speranza di poter liberare i deportati, finché non si rese conto che gli Alleati li avevano abbandonati, lui e tutti quelli chiusi dentro con lui. Nel frattempo, la Gestapo si era accorta dei maneggi suoi e del suo gruppo. In un giro di vite, molti dei compagni di Pilecki furono catturati, e vi lascio immaginare cosa sia successo loro. Pilecki, dal canto suo, si rese conto che l’aiuto non sarebbe mai arrivato.

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile, dopo due anni e mezzo di volontaria permanenza, Pilecki evase, la Gestapo alle costole. Nonostante questo, tornò nei paraggi lo stesso anno, fino ad Agosto: voleva liberare il campo. Non è che dopo l’ennesimo scacco e la morte di un altro dei suoi che si rese conto di non avere le forze necessarie.

Pilecki scrisse un rapporto completo agli inglesi, dettagliando il numero dei morti e le condizioni dei prigionieri. I brits lo mandarono a spasso: i numeri erano troppo astronomici, e che ne poteva sapere lui che c’era stato quasi tre anni? Inaffidabile. Niente supporto aereo, niente aiuto.

Nel ’44 Pilecki chiese aiuto perfino ai Russi, che si trovavano in una buona posizione rispetto al campo. Anche i russi lo mandarono a spasso. Niente aiuto, niente sostegno ai suoi compagni rimasti dentro. Pilecki rimase il solo a passare ai suoi quel poco di sostegno che era in misura di dare.

Pilecki fu poi catturato durante il sollevamento di Varsavia nel ’44, ma nel Luglio del ’45 riuscì a raggiungere i suoi connazionali in Italia, dove combatté fino alla fine della guerra, per poi tornare in Polonia.

Nel ’46, il governo polacco in esilio gettò infine la spugna: non c’erano speranze per la Polnia, che i partigiani cessassero ogni attività o riparassero in Occidente. Pilecki fu informato che la sua copertura era saltata e che gli veniva ordinato di andarsene. Abbandonato per l’ennesima volta, Pilecki li mandò a cagare e rimase. Imperterrito, dal ’47 si mise a raccogliere prove sulle atrocità commesse dai sovietici.

Non durò. Pilecki fu catturato e torturato, ma non rivelò nessuna informazione sensibile. Il processo cominciò nel marzo del ’48. Tra gli accusatori c’era anche il futuro primo ministro e sopravvissuto di Aushwitz, Jozef Cyrankiewiz.

Pilecki fu ucciso il 25 maggio 1948.

Nella sua ultima conversazione con la moglie, disse che Aushwitz non era stato niente in pragone a quello che i sovietici gli avevano fatto. Le sue ultime parole furono “Lunga vita alla Polonia libera”.

Quanto alla sua storia, non emerse che dopo l’89. Il Capo Rabino di Polonia, Schudrich, commentò: ““an example of inexplicable goodness at a time of inexplicable evil. There is ever-growing awareness of Poles helping Jews in the Holocaust, and how they paid with their lives, like Pilecki. We must honor these examples and follow them today in the parts of the world where there are horrors again.”

To hell and Back

 Gli americani hanno manovrato male ad Anzio. Sono sbarcati, si sono presi paura, invece di avanzare si sono apprattati sulla spiaggia e nel frattempo i crucchi si sono organizzati. Da quel momento fu il tiro all’anatra.

Tra i soldati mandati al macello c’era Audie Murphy.

Audie Murphy

Murphy era un ragazzo del Texas, nemmeno ventenne, orfano di entrambi i genitori, con documenti falsi dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Nel gennaio del ’44, appena diciannovenne e promosso sergente di fresco, fu ricoverato a Napoli per curarsi la malaria: non era quindi ad Anzio per il primo sbarco. Raggiune i suoi dopo 8 giorni di trattamento. Per mesi lui e il suo plotone combatterono sulla costa. Il 2 marzo incapparono in un tank crucco e riuscirono a macinarne l’intero equipaggio. Murphy fu quello che prese il rischio di andare a far saltre il tank, il che gli valse la Stella di Bronzo. Dopo il fatto, Murphy e i suoi continuarono a operare, finché una ricaduta di malaria non lo rispedì all’ospedale. Non per molto.

Murphy si distinse ancora in Francia con azioni eclatanti. Fu di nuovo decorato, perse il suo migliore amico. Man mano che il fronte avanzava, ricevette il Cuore di Porpora, poi la Stella d’Argento, e infine una palla di cecchino nella coscia, con cancrena allegata. L’operazione lo parcheggiò in ospedale per mesi, in attesa che gli ricrescesse il quadricipite, onde poi essere mandato nei Vosgi, dove si distinse ancora crivellando da solo una cinquantina di crucchi.

Infine, dopo l’inverno di inizio ’45, fu ritirato dal fronte con un’altra medaglia, la Legione al Merito.

Murphy tornò vivo a casa, ma non intero. Già durante la guerra aveva iniziato a soffrire di insonnia e depressione, e al ritorno fu anche peggio. Sfibrato dallo stress, dormiva con una pistola carica sotto il cuscino, imbottito di sonniferi, perseguitato da incubi sulla guerra. I fantasmi e i rimorsi lo perseguitarono per tutta la vita. Gli amici che aveva lasciato indietro, i bimbetti tedeschi che aveva reso orfani, i cadaveri suoi e degli altri gli rimasero addosso.

La canzone riprende i versi di una poesia scritta da Murphy stesso, “The Crosses Grow on Anzio”. Il titolo, To hell and back, è quello della sua autobiografia.

Infine, il pluridecorato volontario morì nel 1971, in un crash aereo. Ancora oggi è considerato come uno dei migliori combattenti dell’esercito americano nell’ultimo secolo.

 

The Ballad of the Bull

Leslie “Bull” Allen era un soldato australiano, veterano della 17° brigata di fanteria australiana. Appena ventenne si distinse il Libia e in Siria, non come cazzutissimo guerriero, ma come cazzutissimo camallo: Leslie portava la barella.

Leslie “Bull” Allen

Come Audie Murphy, anche il Toro era orfano, e si era fatto il mazzo con lavori pesanti dall’età di 12 anni. A 21 si arruolò nell’Australian Imperial Force e fu spedito in Palestina. Durante il suo servizio in Medioriente fu decorato per il coraggio mostrato nel recupero dei feriti sotto il fuoco nemico.

Il soprannome “Bull” gli fu affibbiato in questo periodo. Leslie era uno huge fellow di 1m80, forzuto, pesante, con un umorismo distorto e una risata risonante. Infaticabile e inarrestabile, Leslie non mostrò mai paura in azione. Il Toro era il tipo che imbottiglia le proprie ansie senza mostrarle, ma anche lui era umano come gli altri, e nel ’41 fu ricoverato per ansia e nevrosi.

Curato alla spiccia, fu rispedito il prima possibile coi suoi e partì per la campagna di Wau-Salamaua.

Il 30 giugno 1943 gli yankees diedero l’assalto alla posizione giapponese sul monte Tambu. Gli australiani non avevano previsto di prendere parte al combattimento. Leslie “Bull” non rimase in disparte, salì sul monte e andò a raccattare i feriti, anche se non erano dei suoi. Lui da solo riportò a spalle 12 soldati americani, su e giù dal monte senza fare una piega, come se fosse stato “in gita domenicale”.

La guerra aveva avuto il suo impatto sul Caporale Allen. Verso la fine del ’43 fu ritirato dal fronte per un periodo di licenza. Leslie aveva sempre avuto problemi con l’autorità, ma dopo la campagna di Wau-Alamaua il suo comportamento era peggiorato, era diventato imprevedibile, finché un bel giorno il Toro non prese a pugni un ufficiale e non finì sotto corte marziale. Fu assolto per ragioni mediche e congedato nel settembre del ’44.

In Australia tornò un veterano decorato di tre campagne e incapace di parlare. Ci vollero mesi perché il Toro riprendesse una parvenza di normalità. L’esercito americano comunque gli riconobbe i meriti, e dopo il congedo gli conferì la Croce d’Argento per il salvataggio sul Monte Tambu.

 

Resist and bite

Résiste et mords, il motto degli Chasseurs Ardennais. Si tratta di una formazione di fanteria belga il cui ruolo era di vegliare sul confine tra Belgio e Germania. Verso la fine del ’39 gli Chasseurs contavano nel complesso circa 30.000 uomini, sotto il comando del generale Maurice Keyaerts.

Resisti e mordi, il simbolo degli Chasseurs

Il 10 maggio 1940, prima dell’alba, movimenti sospetti di truppe convinsero Keyaerts a far saltare i ponti di confine senza previa autorizzazione dello Stato Maggiore. Quando i crucchi finalmente si mossero, Guderian si trovò bloccato a Chabrehez da un centinaio di Chasseurs e motociclisti rimasti isolati dal grosso dei loro e determinati a sparare tutto lo sparabile. Guderain non fu il solo a mordere un nocciolo più duro del previsto. A Martelange e a Bodange poche centinaia di Chasseurs ritardarono 3.000 crucchi. A Bastogne, anche dopo la morte del comandante, un gruppo di Chasseurs bloccò i nazi per tutta la mattina, fottendogli 5 tank con un cannone da 47.

Approfittando della conoscenza del terreno, gli Chasseurs si batterono talmente bene che i crucchi temettero di veder compromessa la rapidità della spedizione. Rommel stesso avrebbe definito i soldati belgi non uomini ma “lupi verdi”.

Gli Chasseurs si distinsero ancora il 25 Maggio presso Vinkt, quando inflissero circa 1.500 perdite ai crucchi. Il contro fu che i nazi, avendo subito una tattica d’infiltrazione, pensarono di avere a che fare con dei tiratori franchi invece che con dei soldati regolari, e reagirono con una rappresaglia storica sul villaggio di Vinkt.

In sunto, gli Chasseurs non riuscrono a respingere l’offensiva, ma combatterono con grande valore, specie durante la Campagna dei 18 Giorni a Martelange, Bodange, Strainchamps, tra Vieslalm e Houffalize, Léglise e Rochelinval, ritardando l’avanzata crucca.

Non sottovalutate mai dei cicllisti in gran numero, MAI!

Soldier of 3 Armies

 Questo tizio è forse l’unico personaggio controverso dell’album, in quanto si tratta di un ex-SS. Stiamo parlando di Lauri Allan Torni, un finlandese che nel ’38, non ancora ventenne, si arruolò nell’esercito finlandese e combatté contro i sovietici nel ’39-’40.

Lauri Torni

Anche dopo, promosso capitano, Torni continuò a combattere appoggiato di nazisti, formando truppe su sci (che si rivelarono, au passage, estremamente efficaci). Nel ’41 ricevette un periodo di addestramento specifico in Vienna, presso le Waffen-SS, onde poi tornare in Finlandia a uccidere bolscevichi. Durante questo periodo fu più volte decorato, ottenendo anche uno dei riconoscimenti maggiori, quello di Cavaliere della Croce di Mannerheim.

Con l’appoggio dei tedeschi, Torni si distinse in diverse occasioni. Nel ’43 fu addirittura creato un distaccamento non ufficiale sotto il suo comando, il Distaccamento Torni. Lui e il suo gruppo fecero tanto male ai russi che Torni divenne l’unico ufficiale finlandese con una taglia sulla testa (tre milioni di marchi finlandesi).

Nel ’44, dopo anni di guerriglia, la Finlandia si arrese all’Unione Sovietica. Torni no.

Si arruolò nelle SS e combatté nella loro marina fino alla fine della guerra. I Russi non apprezzarono: dopo la guerra fecero pressioni sul governo finlandese perché Torni fosse arrestato come collaborazionista, e difatti lo fu, nel ’46. Fuggì e fu ripreso nel ’47 e nel ’48 il presidente finì per accordargli il perdono. Ma Torni non poteva restare in Finalndia. Si rifugiò in Venzuela.

Nel ’50 riuscì finalmente a raggiungere gli Stati Uniti dove, nel ’53, fu naturalizzato e arruolato. Nell’esercito, Torni si abboccò con altri reduci ora finno-americani. Col loro aiuto, il soldato Torni si costruì una nuova carriera, e nel 1960, il novello Capitano delle Forze Speciali Larry Alan Thorne dava corsi di guerriglia e sopravvivenza. Nello stesso periodo servì in Germania Ovest e sulle montagne delll’Iran.

Nel 1963 Torni era in Vietnam. Lui e i suoi furono attaccati a più riprese. Il governo americano lo decorò con due Cuore di Porpora e una Croce di Bronzo per il valore dimostrato nel distretto di Tinh Bien.

Il 18 ottobre del 1965 Torni e il suo elicottero sparirono sorvolando l’attuale Laos. Gli yankees riuscirono a ritrovare i rottami dell’elicottero, ma non il suo corpo. Nel 1966 smisero di cercarlo, ma il dubbio rimase. Torni poteva essere morto, o catturato e tenuto prigioniero.

Nel 1999 dei resti furono riesumati e mandati in America. Torni fu identificato nel 2003 e seppellito con altri soldati morti nello stesso crash, ad Arlington. Dall’età di 19 anni alla sua morte, Torni combatté i comunisti sotto tre bandiere diverse.

 

Far from the fame

Karel Janoušek nacque in Moravia, nel 1893. Suo padre fu uno dei fondatori del Partito Socialdemocratico Cecoslovacco.

Karel Janoušek

I Cechi non erano fans dell’Impero Austroungarico. L’assassinio dell’Ariduca non li scombinò molto. Janoušek non era di certo entusiasta quando, nel 1915, fu arruolato.

Janoušek combatté per la prima volta nel 1916, sull’Isonzo, come Caporale. Pochi mesi dopo fu spedito in Russia nell’offensiva di Brussilov, che costò all’Impero 1,5 milioni di morti. Janoušek fu catturato dai russi e spedito in campo di prigionia presso Kiev. Di lì, evase e raggiunse la Legione Cecoslovacca e via loro l’esercito Serbo in Odessa. Si trattava di un esercito filo-russo ma non zarista. Non rimase nemmeno con loro: in ottobre integrò il primo reggimento di fucilieri Cecoslovacchi in Borispol, altra formazione sotto controllo russo.

Con la caduta degli Zar l’esercito russo si sfasciò. Dopo Brest-Litovsk, i Cecoslovacchi finirono presto nel mirino dei Bolscevichi, determinati a impiegarli nella causa o scaricarli in campi di lavoro. Il 24 maggio la Legione Cecoslovacca ricevette ordine di consegnare le armi (ed eventuali dissidenti). La Legione non si arrese, decise di tagliarsi la via fino a Vladivostok. Janoušek era un dichiarato anti-bolscevico, e fu promosso capitano e comandante ad interim della 7° compagnia, 2° Battaglione, 1° Reggimento. Nel 1920 divenne ufficiale di carriera nel nuovo Esercito Cecoslovacco. Completò la scuola di guerra nel ’23 e si iscrisse subito nella scuola di aureonautica militare: Janoušek sarebbe diventato un pilota.

Non fu un pilota eccezionale, ma fu comunque impiegato come ufficiale in ricognizione. Nel 1930 fu nominato comandante del 6° Reggimento aereo e nel ’33 fu promosso colonnello. Geografia e Meteorologia erano i suoi principali centri d’interesse.

Nel frattempo la situazione bolliva in Germania. Nel 1938 l’Austria fu annessa. I Cecoslovacchi mobilitarono l’esercito. Janoušek, ormai Generale di Brigata, era responsabile della forza aerea della 1° Armata, con 24 squadroni ai suoi ordini.

La Cecoslovacchia divenne protettorato tedesco nel ’39, ma una resistenza anti-nazista si sviluppò all’interno stesso dell’Esercito. Molti ufficiali e soldati espatriarono per ricostituire un esercito all’estero e liberare il paese. Janoušek era tra questi: il 23 giugno del ’39, dopo aver discusso il suo dottorato alla Charles University di Praga, passò il confine e finì per arrivare in Francia. Lì, dal 1 dicembre 1939 al 15 marzo 1940, cercò in tutti i modi di organizzare l’aviazione cecoslovaccca, scontrandosi con l’inettitudine del ministero francese. Un lavoro di Sisifo sfibrante e inconcludente.

Fu finalmente rimpiazzto da Alois Vicherek, dello stesso grado ma più anziano: Vicherek era un pilota migliore, ma il suo coinvolgimento nella creazione del protettorato e nella resa ai nazisti lo rendeva molto impopolare tra i piloti.

Tra l’attacco tedesco e la capitolazione della Francia, 135 piloti Cecoslovacchi combatterono in più di 3000 missioni. Costituivano il 12% della forza aerea francese. Il 18 giugno 1940, con disastro alle porte, Janoušek e un congruo numero dei suoi ripararono in Inghilterra, raggiunti poi alla spicciolata da circa 935 piloti Cecoslovacchi.

In Inghilterra Janoušek divenne il principale artefice della forza aeronautica Cecoslovacca. In barba a tutti i garbugli burocratici, riuscì a far integrare i suoi nella RAF. Per questo fu criticato dai suoi, che videro la sua azione come avventata. Sta di fatto che i tempi erano corti, e se i piloti cecoslovacchi riuscirono a organizzarsi e passare all’azione, anche se sottomessi alla RAF, il merito fu di Janoušek.

In Inghilterra, nel ’45, Janoušek fu il primo cecoslovacco a essere nominato Air Marshall, il grado supremo dell’aureonautica. Il suo ruolo fu tanto militare quanto politico e diplomatico.

Finalmente, il 13 agosto 1945, Janoušek poté tornare in patria.

E lì scoprì che, alla differenza degli imperiali, i nazisti non rispettavano le famiglie dei loro nemici: i suoi erano stati deportati, sua moglie e sua sorella erano morte ad Aushwitz, suo fratello a Buchenwald, due dei suoi cognati erano anche morti in prigione.

Quanto a Janoušek, il governo, interessato a curarsi i rapporti con la Russia, gli preferì il vecchio rivale Vecherek, filorusso. A Janoušek, che venne comunque riassorbito nell’esercito, fu offerto di andare in Canada. Janoušek rifiutò. A quest’epoca si affiliò alla Socaldemocrazia Cecoslovacca.

Tornato in partia dopo anni, Janoušek si ritrovava senza alleati e con tanti nemici.

Dopo il colpo di stato comunista del febbraio del 1948, gli venne fatto capire che era ora di ritirarsi per “ragioni di salute”. In marzo, fiutando l’aria, Janoušek chiese permesso ufficiale di lasciare il pese, gli fu negato. Il 30 aprile fu catturato mentre cercava di espatriare in segreto.

Tra il 1948 e il 1950 il nuovo regime comunista eliminò circa 6500 tra ufficiali e alti ufficiali, e Janoušek fu tra i primi. Per lui, interrogatori e tortura cominciarono il 2 maggio. Il processo cominciò il 17 giugno. L’accusa era tradimento, la pena richiesta l’impiccagione. Alla fine, Janoušek fu condannato a 18 anni di carcere duro, privato del suo rango, delle sue onorificenze e del suo dottorato.

In carcere, una giovane guardia di nome Jaroslav Flemr propose a Janoušek una via di fuga, ma temendo una trappola lui rifiutò. Pessima idea. Flemr fu arrestato e condannato all’ergastolo nel 1950, e così anche Janoušek per aver saputo del piano e non averne parlato. La sentenza di Janoušek fu poi ridotta a 25 anni nel 1955.

Non purgò tutta la pena. Dopo 12 anni di carcere duro, all’età di 66 anni, Janoušek fu lasciato andare. I suoi ex-colleghi marcivano in galera, erano morti, o facevano la fame. Lui morì in povertà nel 1971.

Nella sua luna carriera, Janoušek aveva ricevuto docarazioni da Cecoslovacchia, Russia, Yugoslavia, Romania, Polonia, Francia, Inghilterra, America e Norvegia, tra cui la Legion d’Onore, Cavaliere comandante dll’Ordine di Bath e l’Ordine al Merito di Comandante Americano.

 

Hearts of Iron

Una carta degli spostamenti di truppe, cortesia del buon Dago. La coda del freccione parte da Halbe, la punta passa a nord di Baruth

I russi lanciarono la Battaglia di Berlino il 16 aprile, e il 21 già circondavano la città. Sulle alture di Seelow, non lontane dalla capitale, erano asserragliati gli uomini della IX° Armata. Quando il Fronte Bielorusso li attaccò insieme al Fronte Ucraino, i crucchi della IX° ripiegarono a sud-ovest di Berlino, nella Spreewald, dove rischiarono di farsi imbottigliare.

Hitler, che aveva perso ogni contatto con la realtà, ordinò alla IX° armata di tenere la posizione di Cottbus e, coordinandosi con le divisioni corazzate, circondare gli ucraini, mentre Steiner con non si sa bene cosa avrebbe dovuto intercettare e circondare i bielorussi. No, i crucchi non avevano nemmeno da lontano forze sufficienti per una cosa del genere. Alfred Jodl suggerì di richiamare a Berlino la XII° Armata, piazzata sull’Elba, perché tanto gli americani non si sarebbero spinti più a est del fiume. Hitler zompò subito sull’idea: il generale Walter Wenck della XII° ricevette l’ordine di portare i suoi uomini a Berlino, mentre Heinrici della IX° ebbe il permesso di far ritirare i suoi a ovest per permettergli di far giunzione con la XII°.

Adolfo a questo punto era ancora convinto di poter salvare Berlino. Quanto ai suoi generali, né Wenck, né Busse, né Heinrici si facevano illusioni, ma l’azione delle due armate combinate avrebbe forse rallentato abbastanza i russi da permettere a un congruo numero di civili e soldati di scappare a ovest ed arrendersi agli americani. Meglio essere presi dai loro che dai sovietici.

La XII° avanzò nell’est, contro le forze sovietiche, per riunirsi alla IX°, che dal canto suo, in schiacciante svantaggio numerico, aveva piazzato i Panzer pesanti in avanguardia e avanzava “come un caterpillar”, mentre la sua retroguardia sudava sangue e lacrime per sganciarsi di dosso i bolscevichi.

Nella notte tra il 25 e il 26 arrivò un nuovo ordine da Hitler: la IX° e la XII° dovevano convergere su Berlino. Busse mantenne l’idea di ripiegare a ovest e raggiungere la XII°. L’unico punto di passaggio possibile era attraverso Halbe. Questo i sovietici lo sapevano, mentre Busse non aveva più nessuna informazione affidabile sulla posizione dei nemici.

Busse ordinò a von Luck e Pipkorn di aprirsi una strada attraverso Baruth. Il gruppo di von Luck avanzò bene fino a Baruth, dove incocciò nei sovietici, e la stessa sorte toccò a Pipkorn. Il giorno dopo la battaglia virò al disastro. Pipkorn fu ucciso, von Luck catturato insieme a 5.000 soldati, alcuni sopravvissuti e sbandati fuggirono verso l’Elba.

La mattina dopo i crucchi riuscirono a infilarsi in una falla dello spiegamento sovietico e sbucare a nord di Baruth, dove furono visti da uno della Luftwaffe. Hitler inviò numerosi messaggi imponendo a Busse di dirigersi su Berlino. Busse lo ignorò. Il 28 un altro sostanzioso contingente crucco riuscì a sfondare e passare a ovest di Halbe, pagandolo molto caro. Ma si parla di crucchi, sono gente determinata: il caterpillar continuò a spingere nel corridoio, mentre i sovietici cercavano di segmentarlo e spiacciarlo un pezzetto alla volta. Nel frattempo l’avanguardia della IX° riusciva finalmente a raggiungere la XII° a Beelitz.

In Halbe, dove il corridoio restava aperto, la situazione peggiorava. Uno scazzo crudele scoppiò tra i crucchi della Waffen-SS e quelli della Wehrmacht, che si accusavano a vicenda di badare solo ai loro e ignorare i compagni degli altri. Alcuni dei civili di Halbe, mossi a pietà dalla giovinezza dei soldati, aiutarono alcuni di loro a procurarsi vestiti civili e disertare. In un’altra occasione uno scoppiato delle SS decise che voleva sparare un panzerfaust in una cantina con 40 tra civili e soldati della Wehrmacht, che però furono più veloci e stecchirono lui.

Nei giorni successivi lo scontro divenne ancora più confuso e sanguinoso, con perdite altissime per tutti. Verso la fine di aprile, circa 25.000 soldati della IX° armata riuscrono a raggiungere la XII°. Altri che riuscirono a sfondare furono comunque accerchiati prima di ritrovare i loro compagni. Quanto ai soldati della IX° e della XII°, dovettero tagliarsi col sangue la via per tornare all’Elba e arrendersi agli americani. Oltre ai 25.000 soldati, diverse migliaia di civili riuscirono a passare con loro attraverso le linee sovietiche e riparare sull’Elba.

Ad Halbe sono sepolti 15.000 soldati. I russi affermano di averne ammazzati 60.000 e averne catturati circa 120.000. Almeno 20.000 commies morirono nello stesso posto. Il bilancio totale è difficile da conoscere, e ossa umane continuano tuttora a saltar fuori. Quanto ai civili, pare che almeno 10.000 di loro abbiano perso la vita in quella seconda metà d’aprile del ’45.

Circa 250.000 persone riuscirono a rifugiarsi ad ovest dell’Elba grazie all’intervento della XII° e della IX° armata.

 

 

Queste sono le storie di Heroes. Se vi interessa, potete ascoltarvelo gratis su Spotify.

—————————————————EDIT 19/05/2014——————————————————————-

Dopo matura decisione, ho deciso di aggiungere due parole sul gruppo autore dell’album. Non volevo allungare un articolo, ma mi hanno fatto notare che forse, specie in Italia, i simpatici svedesi di Heroes non sono molto conosciuti.

Il gruppo Sabaton è stato fondato nel 1999, e il loro primo album, Fist for fight, uscì con l’italiana Underground Symphony. Dopo aver rotto i piatti con loro, la band pubblicò Primo Victoria, Attero Dominatus, Metalizer (che è quello che a me dice meno, ma si tratta di un vecchio progetto riesumato: avrebbe dovuto uscire con la US nel 2002) e Coat of Arms.

Come avrete intuito, la stragrande maggioranza delle loro canzoni (salvo in Metalizer) parla di storia militare, persone o episodi, battaglie o imprese. La Seconda Guerra Mondiale è quella in assoluto più rappresentata, seguita a ruota dalla Prima.
Nel 2012 una novità: Carolus Rex, che non solo mollava il Novecento, ma si concentrava sulla storia svedese, da Gustavo Adolfo alla morte di Carlo XII e la fine dell’Impero svedese.

Quanto al lineup, è cambiato negli anni, e i soli membri fissi sono rimasti Parr e Brodén.

Lineup, da wikipedia

Ora, a me il power piace, e mi piacciono i vocioni da orco alla Brodén, ma non è la sola ragione per cui adoro questo gruppo. Come gruppo che canta di storia militare fanno un ottimo lavoro: le loro canzoni sono storicamente inappuntabili, celebrano gente che sarebbe altrimenti ingiustamente dimenticata (io NON conoscevo Karel Janousek o Witold Pilecki prima di ascoltare questo album) e svolgono un utile servizio di educazione. A prescindere dai gusti musicali, uno è un po’ meno ignorante dopo aver sentito una delle loro canzoni, è questo è un bene.

Fungirl livel: over the roof!

Per tirare in ballo il mio autore preferito di sempre, c’è più rigore storico nel ritornello della canzone Carolus Rex che in tutto Magdeburg di Altieri. Insomma, i Sabaton spakkano, check ‘em out!

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Bibliografia

http://en.wikipedia.org/wiki/Night_Witches

http://www.seizethesky.com/nwitches/nitewtch.html

 

http://en.wikipedia.org/wiki/Charlie_Brown_and_Franz_Stigler_incident

http://109lair.hobbyvista.com/articles/pilots/stigler/stigler.htm

 

http://ascensionislandwideawakes.blogspot.be/

http://en.wikipedia.org/wiki/Brazilian_Expeditionary_Force

 

http://en.wikipedia.org/wiki/Witold_Pilecki

http://www.nytimes.com/2012/06/24/books/review/the-auschwitz-volunteer-by-witold-pilecki.html?_r=0

 

http://www.audiemurphy.com/poems.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/Audie_Murphy

http://www.audiemurphy.com/biography.htm

 

http://mobile.abc.net.au/news/2013-07-30/black-and-white-photo-of-leslie-bull-allen-carrying-soldier/4853506

http://mobile.abc.net.au/news/2013-07-30/call-to-posthumously-award-victoria-cross-to-war-hero-bull-allen/4853496

http://www.ww2australia.gov.au/pushingback/bullallen.html

 

http://en.wikipedia.org/wiki/Chasseurs_Ardennais

http://fr.wikipedia.org/wiki/Chasseurs_ardennais

http://fr.wikipedia.org/wiki/Massacre_de_Vinkt

http://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Belgium

http://www.freewebs.com/3th-chasseurs-ardennais-reenacting/histoire.htm

 

http://www.arlingtoncemetery.net/larry-thorne.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/Lauri_T%C3%B6rni

 

http://fcafa.wordpress.com/2012/05/08/karel-janousek/

http://en.wikipedia.org/wiki/Karel_Janou%C5%A1ek

 

http://en.wikipedia.org/wiki/Walther_Wenck

http://en.wikipedia.org/wiki/12th_Army_%28Wehrmacht%29

http://en.wikipedia.org/wiki/9th_Army_%28Wehrmacht%29

http://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Halbe