Il sole è tornato, la fine dell’anno si appropinqua, e sto navigando nella merda senza terra in vista. Ergo mi sono detta che poteva essere à propos dedicare il primo articolo di giugno a un altro navigatore sventurato: Fujiwara no Sumitomo.
E’ uno di quoi momenti…
Sumitomo è considerato il capo di una delle principali rivolte dell’epoca di Heian e uno dei più acerrimi nemici della Corte. Eppure, per ragioni a me ignote, Sumitomo non se lo fila nessuno. Granted, non è simpatico come altri grandi ribelli della storia giapponese, ma resta degno di nota. A tutti piacciono i pirati no? Eppure, a parte essere citato di sfuggita in diversi saggi nel capitolo “Immagino sia obbligatorio accennare a questo tizio”, ho scovato solo DUE saggi specializzati su di lui. Bizarre, bizarre.
Il contesto
La zona del Mare Interno
Prima metà del X° secolo. Il Giappone attraversa un periodo di carestie ricorrenti ed epidemie disastrose. Malnutrizione e povertà sono conseguenze immediate di questi fenomeni, seguite a ruota da fuga dalle campagne, insubordinazione civile, aumento del crimine.
Il Mare Interno, vicino alla regione della Capitale, beneficiava di una situazione più stabile e di un’agricoltura più sviluppata rispetto ad altre zone come le lande orientali, con un tenore di vita mediamente più alto. Ciò nonostante, la zona annoverava anche le famiglie più povere del Paese, pigiate sulle coste a vivere di sale e pesca.
Il Mare Interno era anche un centro importantissimo per il commercio domestico e internazionale. Il porto di Hakata era un punto d’approdo per mercanti del Continente. Beninteso, il commercio internazionale era scarso e strettamente controllato dal Governo. L’arrivo e permanenza dei mercanti stranieri era supervisionato dal Dazaifu, il Governo militare di Kyūshū, situato nel nord dell’isola. Qui si faceva un inventario della mercanzia e lo si spediva alla Corte, che aveva diritto di prelazione. Una volta che i sacrés ci-devants avevano finito di fare la spesa, i mercanti potevano trattare con altri sudditi.
Con l’inizio del X° secolo gli scambi col Continente furono ridotti. Le provincie di Buzen e Nagato continuarono a fare un po’ di commercio nero, finché nel 911 il Governo non diede un giro di vite a cattivo: ridusse il numero di navi straniere autorizzate ad attraccare e proibì ai propri sudditi di lasciare il Paese.
Ora, il Mare Interno è sempre stato un posto da pirati, che potevano allungarsi lungo il fiume Yodo fin nella provincia di Yamashiro, ma queste bande non avevano mai rappresentato una minaccia seria. Troviamo un sacco di riferimenti alla loro esiziale presenza nel IX° secolo, ma siamo onesti: la Capitale non aveva né mura né fortificazioni degne di questo nome. Se queste bande fossero state numerose e capaci, i danni sarebbero stati molto maggiori.
Come si può immaginare, dopo la stretta sul commercio estero, il Mare Interno era diventato ancora più importante, un centro pulsante di commercio domestico. Ora, trasporti e traffici erano gestiti da clan locali legati per clientelismo a delle famiglione di Corte, tipo i Fujiwara. Come tutto il resto della vita economica, amministrativa e politica del Paese, durante l’epoca di Heian i legami di dipendenza personale presero un posto sempre più grande. In altre parole, via queste famiglie locali, il commercio e i trasporti erano di monopolio degli alti aristocratici. Secondo Matsuhara una delle ragioni di conflitto che spingevano gli uomini al saccheggio e alla pirateria era proprio questa offensiva del settore privato nella vita economica del Mare Interno.
Questa zona e la penisola di Kii erano il territorio di caccia favorito di questi gruppi. Impiegavano navi da pesca e da trasporto, robette a vela singola e remi, con una capacità di circa 27 tonnellate quando andavano bene.
Ve lo dico subito: la marina giapponese fa e farà piangere i gattini fino al XIII° secolo almeno. Ora, notiamo un cambiamento tra il IX° e il X° secolo, non riguardo alle navi, ma riguardo alle ciurme : mentre nel IX° la maggior parte era composta da criminali occasionali che lavoravano nei trasporti, più una massa di pescatori e morti di fame, quelli del X° erano, almeno in parte, dei toneri.
Cosa sono i toneri?
Energumeni della provincia impiegati dal Governo, di solito nelle sei Guardie. Queste bande, più addette alla prevaricazione e il casino gratuito che al mantenimento dell’ordine pubblico, erano in teoria incaricate di gestire la sicurezza e la logistica della levata delle tasse destinate alle Guardie. Costoro, come la maggior parte degli uomini in questo periodo, erano invischiati in una rete di clientelismo, che complica sempre le cose.
Il clientelismo e i legami di dipendenza privata generano impunità, e l’impunità è una minaccia all’ordine pubblico. Sicuro come la morte, questi uomini delle provincie erano spesso in conflitto con le autorità locali, forti della protezione dei loro patroni privati.
Nei primi due decenni del X° secolo la Corte aveva cercato di risolvere il problema di questi toneri turbolenti prima assegnandogli dei lotti di risaie per rimetterli all’agricoltura, poi scaricando il barile sulle spalle degli zuryō (governatori di provincia dalle competenze militari accresciute). Nessuna delle due strategie funzionò.
E’ in questo contesto che emerge Sumitomo, uno dei più scellerati nemici dello Stato. O così pare.
Sumitomo era un rampollo di nobile famiglia, i Fujiwara, no less. Suo padre Yoshinori era nipote dell’Imperatrice, cugino del giovane imperatore Yōzei e di Tadahira. Fujiwara no Tadahira fu uno dei politici più influenti del periodo e, ai suoi tempi, l’uomo più potente del Giappone (nonché Reggente degli imperatori Suzaku e Murakami).
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Yoshinori non apparteneva al ramo dominante, ma seguì una carriera più che onorevole: ottenne il quinto rango, fu funzionario della Casa dell’Imperatrice, Ciambellano e governator della provincia di Suō.
Tutto molto bello, non fosse che nel frattempo il capo dei Fujiwara d’allora, padre di Tadahira, fece deporre l’Imperatore Yōzei. Pare che il sovrano fosse un matto da catena e che ci fosse un omicidio di mezzo. Ad ogni modo Yōzei e sua madre furono messi da parte.
Una decina d’anni dopo (895), Yoshinori fu spedito a Kyūshū come Aggiunto minore del Dazaifu con la missione di cacciare dei pirati coreani. Secondo Shimomukai, Sumitomo, che all’epoca doveva avere una decina d’anni, lo accompagnò in missione per farsi le ossa.
Le cose non finirono bene: Yoshinori mollò la funzione in anticipo e non fu ricompensato per il proprio impegno (peraltro infruttuoso). Morì poco dopo, seguito nella tomba dal padre, il nonno di Sumitomo.
La disgrazia di Yōzei e la morte prematura del padre e del nonno lasciarono il giovane Sumitomo senza protezione o appoggi politici. Suo fratello minore se la cavò abbastanza bene, ma lui rimase senza rango e senza funzioni di prestigio. Uno smacco duro da accettare.
Non sappiamo cosa combinò nei trent’anni seguenti la morte del padre. E’ possibile che abbia esercitato delle funzioni militari, tipo il takiguchi (guardia personale dell’Imperatore), ma non possiamo esserne sicuri. E’ anche possibile che sia stato impiegato nella Casa di uno dei figli dell’Imperatore Daigo.
Sumitomo ricompare nei radar nel 932, quando viene nominato Funzionario di terza classe della provincia di Iyo e messo ad assistere Fujiwara no Motona, il cugino più giovane del suo defunto padre. E’ probabile che Motona stesso lo avesse raccomandato in nome delle sue competenze tattiche, dacché Motona era uno zuryō e aveva una missione precisa: risolvere un nuovo, recente rigurgito di pirateria nel Mare Interno, faccenda che stava minacciando il monopolio Fujiwara sui traffici marittimi.
Tre anni passarono senza che i due riuscissero a ottenere un risultato decente. Nel 935, Motona e Sumitomo tornarono alla Capitale con le pive nel sacco. Motona continuò la sua carriera con un governatorato, Sumitomo beneficiò di qualche pacca sulla spalla, un “le faremo sapere” e fu spedito a spasso senza ricompense.
La delusione
Lo ritroviamo di nuovo un anno dopo, nella provincia di Settsu, alla testa di una flotta di loschi figuri. Secondo lo Honchō seiki, aveva ricevuto l’ordine (senji) di tornare nel Mare Interno e spianare un po’ di pirati. A questo giro, Sumitomo risolse parte del problema arruolando una percentuale di detti pirati nella propria banda.
L’operazione fu un successo: senza troppo bisogno di martellar capocce, Sumitomo e il governatore di Iyo, Ki no Yoshito, trovarono una soluzione diplomatica. La maggior pare dei pirati, tra cui una trentina di capibanda di rilievo, si arresero senza combattere. Furono amnistiati e furono assegnate loro delle risaie.
Tutto sembra calmarsi, fino a tre anni dopo, quando Yoshito scrive alla Corte per avvertirli che Sumitomo ha di botto preso il mare coi suoi uomini. Non dice con quali intenti (Yoshito era amico di Sumitomo e cercherà di coprirlo fino alla fine), ma avverte che la cosa ha gettato un po’ tutti nello scompiglio.
Non si sa bene cosa intenda Yoshito con “prendere il Mare”. Per alcuni si tratta del Mare Interno, per altri Sumitomo si stava dando allegramente al contrabbando, in barba ai regolamenti di Corte. E’ probabile. Di certo aveva un dente contro il Governo, dato che, dopo anni di onorato servizio, non aveva ancora visto l’ombra di un riconoscimento. Sumitomo era rampollo della famiglia più potente del Giappone, i suoi zii e cugini erano tutti Alti Dignitari. Doveva bruciargli, e tanto.
Secondo il Sumitomo tsuitōki, Sumitomo aveva lanciato la sua flotta pirata con puri intenti criminosi. La voce era arrivata nella regione della Rivolta di Masakado, il più grande sollevamento guerriero del secolo, nelle regioni orientali. Con un casino del genere all’Est, quale momento migliore per rosicchiare la Corte a ovest?
In realtà è molto dubbio che Sumitomo fosse di persona implicato in attività troppo aggressive, ma di certo questo ragionamento era stato fatto da alcuni dei suoi compagni, ed era solo una questione di tempo perché anche il Mare Interno fosse coinvolto nel casino.
In seguito a questa misteriosa partenza, una serie di misteriosi incendi scoppiarono nella Capitale. Colposi? Dolosi? Il Sumitomo tsuitōki suggerisce che fossero opera di gente di Sumitomo, che da tempo aveva un programma piromane in testa.
Si tratta probabilmente una bufala, gli incendi erano quasi di sicuro accidentali.
La rivolta
Sumitomo in azione
La situazione cambiò di botto quando il Governatore di Bizen, Fujiwara no Sanetaka, decise di lasciare il suo posto senza preavviso e precipitarsi alla Capitale. A quanto pare, aveva avuto vento di un attacco piromane preparato dai pirati contro la città e stava cercando di dare l’allarme.
Non sappiamo di preciso queli informazioni avesse Sanetaka, perché fu intercettato: alle sue calcagna c’era infatti un uomo chiamato Fujiwara no Fumimoto. Non si sa bene che rapporto avesse costui con Sumitomo. Amici, colleghi, alleati?
Fumimoto e i suoi riacchiapparono Sanetaka e famiglia nella provincia di Settsu, sul finire dl 939. I ragazzi furono uccisi, la moglie stuprata e rapita. A Sanetaka furono mozzate orecchie e naso e fu lasciato andare. Che tornasse pure alla Capitale a raccontare e sue storie: febbre e cancrena si sarebbero prese cura di lui.
Uno dei seguaci di Sanetaka era riuscito, intanto, a dare l’allarme alla Capitale. Quel giorno i nobili scoprirono di avere una nuova rivolta pirata sotto casa e non solo. Un altro messaggero era arrivato il giorno stesso, questo qua dalle lande orientali: a Est, Taira no Masakado si stava mangiando una provincia dietro l’altro manco fossero biscotti. La Corte si trova con due rivolte a tenaglia. Sarebbe stata il vaso di coccio tra i due di bronzo?
Il Governo nominò in fetta e furia Ono no Yoshifuru come tsuibushi del circuito del San’yōdō.
Che vuol dire? Spiego.
“Tsuibushi” è una funzione “extra-codale”, trattata con più dettaglio in questo articolo. Si tratta di una carica militare temporanea conferita a un aristocratico e che dava autorità sui guerrieri di un Circuito (insieme di provincie).
E’ interessante notare che la provincia di Iyo NON fa parte del circuito del San’yōdō su cui Yoshifuru aveva autorità. Secondo autori come Shimomukai, questo significa che, a questo stadio, la Corte non considerava il buon Sumi come il capo della rivolta.
Tre spiegazioni principali si presentano:
Sumitomo era protetto dalla parentela di sangue che lo legava agli uomini più potenti del Paese (nel qual caso il legame di sangue presso l’aristocrazia del Kinai si avvererebbe particolarmente solido e vigoroso, a differenza del legame di sangue nei gruppi guerrieri orientali);
Sumitmo non c’entrava davvero niente e a capitanare i black-bloc del Mare Interno era Fumimoto;
E’ possibile che Sumitomo sia stato protetto almeno in parte da Yoshito, con cui pare avesse mantenuto un rapporto di sincera amicizia.
Quello che pare sicuro è che, dopo questa bravata, Fumimoto chiese aiuto al suo compare Sumitomo, che scrisse a Tadahira per dire che Sanetaka se l’era cercata e che, se volevano la pace e l’agio di difendersi dal ribelle orientale, dovevano scendere a patti. I pirati non chiedevano molto, solo ricompense degne per il loro apporto durante la pacificazione del 936.
Il ricatto parve funzionare: il primo mese del terzo anno dell’era Tengyō (940) la Corte concesse delle funzioni di sottufficiali a Fumimoto e due dei suoi scherani (che si presume furono subito arruolati contro i ribelli orientali). Quanto a Sumitomo, la Corte gli assegnò il V° rango, facendone ufficialmente un membro dell’Alta Aristocrazia.
Ora, i ribelli del Mare Interno non erano ben coordinati come ci si potrebbe aspettare. Nei giorni che corsero tra la decisione della Corte e la consegna dei diplomi di rango e funzioni, Fumimoto pensò bene di occupare l’attesa flagellando la flotta lealista della provincia di Bitchū.
Quanto a Sumitomo, ricevuto il diploma pensò bene di raccattare i suoi e presentarsi alla Capitale. Proprio negli stessi giorni scoppiò una serie di bizzarri incendi, mettendo le autorità sul chi-vive. Incidenti o incendi dolosi? Molto probabilmente la prima. Non erano fenomeni rari e nel diario di Tadahira sono definiti “fortuiti” (jikka). Fatto sta che quando Sumitomo arrivò a Kawajiri, nella provincia di Settsu, fu accolto da porti chiusi e guerrieri incazzati. Senza far scandalo, il nostro optò per un discreto ritorno a Iyo.
E’ importante notare che Ono no Yoshifuru non aveva ancora ricevuto l’ordine di avanzare contro i pirati, ma la sua nomina a tsuibushi non era stata revocata. Insomma, al Governo ci credevano un sacco in questa faccenda del compromesso coi pirati.
A ciò si aggiunge il fatto che, lo stesso giorno in cui Sumitomo aveva picchiato il naso sul porto sbarrato di Kawajiri, la Corte aveva ricevuto una lettera dall’Est: Masakado era stato freddato da una freccia. I ribelli orientali si stavano sgretolando, il fronte era assicurato, e ora la Capitale aveva tutto l’agio di sistemare i ribelli del Mare Interno. Ecco perché non bisogna mai fidarsi dei nobili.
Per spezzare una lancia in favore degli aristocratici, bisogna dire che gli amici di Sumitomo non erano proprio persone affidabili. Mentre quest’ultimo si era messo in viaggio verso Heian, due dei suoi bravi avevano ripreso raids e saccheggi ad glandus segugi. E’ chiaro che, se a un certo punto Sumitomo può essere considerato “capo” dei pirati, di certo la sua presa sulle bande armate era labile.
Il sesto mese del 940, la Corte diede infine l’ordine a Yoshifuru di avanzare. All’inizio gli andò bene: marciò attraverso Bizen, Bitchū e Bingo, costringendo Fumimoto a ripiegare in Sanuki. Tuttavia, il 18 dell’ottavo mese, Sumitomo, che si era tenuto fuori dal casino, decise di ributtarsi nella mischia. Secondo il Sumitomo tsuitōki era alla testa di 400 navi! (O barche. Hum…) Secondo Shimomukai, lo scopo dell’operazione era fare talmente tanti danni da costringere la Corte a trattare.
Sta di fatto che fece polpette della flotta lealista di Bingo e Bizen, e prese il controllo di Iyo e Sanuki. Yoshifuru dovette ripiegare su Harima. In compenso, verso la fine dell’ottavo mese, la sua sfera di autorità fu allargata anche al circuito del Nankaidō, in cui era compresa (surprise!) la provincia di Iyo.
E’ durante questa fase che il nome di un generale in seconda dell’esercito imperiale emerge: Minamoto no Tsunemoto, il fondatore della famiglia guerriera dei Minamoto! Esatto, è l’antenato di Yoritomo, cheers!
Frattanto, nel Mare Interno, la flotta del governatore di Sanuki era stata spazzata via. Sumitomo saccheggiò il governo provinciale di Awa e andò a becchettare le coste della penisola di Kii. Secondo il Sumitomo tsuitōki, la sua flotta contava ormai 1500 navi. Che pare tanto, granted. Sempre prendere le cifre con le molle. Quella che pare un’informazione sicura è il nome del suo “ammiraglio”: tale Fujiwara no Tsunetoshi.
Tsunetoshi era un tattico molto abile e un uomo accorto: la rivolta non poteva durare all’infinito, la Corte aveva le mani libere per contrastarla e non sarebbe scesa a patti. Probabilmente capì che era solo questione di tempo prima che la bilancia cominciasse a pendere dalla parte sbagliata, e mollò Sumitomo per riarruolarsi subito con lo sconfitto governatore di Sanuki.
Può parer strano lasciare un capo all’apice della gloria per un altro che ha appena perso. Soprattutto se ha perso per colpa tua. Ma Tsunetoshi sapeva di essere indispensabile, e sapeva che sul lungo periodo la Corte aveva più probabilità di prevalere. Seguendo l’antico principio di “combatti solo guerre vinte”, cambiò bandiera e guidò con successo un attacco alla base dei suoi ex-compagni. E’ grazie a lui se Sanuki tornò nelle mani del Governo.
In Sanuki Tsunetoshi fu raggiunto da Yoshifuru e insieme partirono contro Iyo e il grosso della flotta ribelle. La flotta lealista tagliò attraverso i pirati come un coltello nel burro, disperdendone la maggior parte. Ma non era finita: Sumitomo e Fumimoto erano sempre vivi e avevano ancora abbastanza energia per far danni. Grossi danni.
La progressione del conflitto. Nellla legenda a destra, le provincie toccate nel 2°, 3° e infine 4° anno dell’era Tengyō
Quel che restava della flotta ribelle si lanciò in una corsa frenetica al saccheggio sulle coste del Mare interno, spingendo verso ovest. Annientarono la flotta dello tsuibushi del Dazaifu e saccheggiarono la zecca della provincia di Suō. Non solo: il distretto di Hata, nella provincia di Tosa, fu messo a ferro e fuoco.
Dopo questo slancio distruttivo, i nostri bucanieri spariscono dai documenti. Per qualche mese non abbiamo più notizie (si erano nascosti?), ma risaltano fuori il quinto mese del quarto anno di Tengyō (941), quando Yoshifuru avverte la Corte che Sumitomo ha saccheggiato niente meno che la sede del Dazaifu, rastrellato un numero imprecisato di persone e che ha poi rivenduto come schiavi.
L’attacco al Dazaifu fu l’ultimo momento di gloria di Sumitomo: il 20 del quinto mese Yoshifuru lo riacchiappò nel porto di Hakata e lo fece a pezzi. La repressione dei fuggiaschi prese ancora settimane, ma la battaglia di Hakata fu la fine della grande rivolta dei pirati del Mare Interno.
Sumitomo e suo figlio riuscirono a sfuggire alla cattura e tornarono in Iyo. Sumitomo sperava forse di potersi nascondere, o forse voleva chiedere protezione a qualcuno. Sta di fatto che il 29 del sesto mese fu catturato insieme al ragazzino. Non ci fu nessun giudizio, entrambi morirono prigionieri poco tempo dopo.
Fumimoto e i suoi fratelli erano a loro volta riusciti a scappare, ma arrivati in Tajima un vecchio amico li denunciò ai lealisti, che li presero e li scapitozzarono senza troppe cerimonie.
Così si concluse la rivolta pirata più grande del periodo di Heian. Purtroppo abbiamo pochi dettagli sui tipi di legami che univano questi uomini o sulle loro motivazioni ultime. Quel che è certo è che il sollevamento non aveva una strategia uniforme e che molte delle bande erano tenute insieme da legami relativamente labili. All in all, la Corte riuscì ancora una volta a usare un ladro per acchiappare un ladro: sia durante la pacificazione di Ki no Yoshito che durante la rivolta di Sumitomo, il grosso del contributo militare fu portato da gente che aveva cominciato la stagione dalla parte dei ribelli.
That’s all for today, folks!
MUSICA!
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Bibliografia
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