Il cervello umano è un complesso organo sviluppato per risolvere problemi. E’ quello che fa in continuazione: risolve problemi.
Che capita però se nasci in un’agiata famiglia borghese e, tragedie permettendo, non hai problemi pressanti di cui occuparti?
Beh, il cervello se li crea.
Non c’è una ragione reale sul perché le norme sociali debbano essere così complicate, le ricorrenze così faticose, o le cene di famiglia così angosciose: è così e basta. L’inutilità gratuita del disagio che ne consegue è tragicomica.
Non sto tirando la pietra a nessuno, sia chiaro. Io stessa sono nata in una famiglia borghese (microscopica borghesia ora, grazie alla crisi economica), sono familiare con l’ambiente e so che è difficile sfuggirci.
Oggi vorrei parlare di un disegnatore che ha elevato il disagio borghese di tutti i giorni ad ARTE: Giuseppe Novello.
Novello nasce nel 1897 a Codogno. Suo zio è il pittore milanese Giorgio Belloni, un paesaggista affermato. Da ragazzo Novello visita spesso l’atelier dello zio e si appassiona di pittura. Il nostro decide: vuole fare il pittore come zio Giorgio!
E perché no dopotutto? Lo zio ha una buona carriera, il padre è un direttore di banca e la famiglia non ha certo urgenza di fondi.
Ma nessuno sfugge all’inutile disagio di cui sopra, e finito il Liceo Giuseppe è costretto baionette alle reni a cercarsi una carriera rispettabile.
Come tutti sappiamo, le femminucce devono sposarsi e sgravare tanti bambini. I maschietti invece hanno la vasta scelta tra 4 mestieri, gli unici esistenti sulla faccia della Terra: Avvocato, Dottore, Ingegnere e Architetto.
Il Novello finisce in facoltà di Legge. Ducunt volentes fata nolentes trahunt eccetera.
Ma il Novello non si rassegna: si laurea con una tesi sui diritti d’autore nelle Arti Figurative.
Frattanto che il Novello si dibatte tra le futili fisime della borghesia bene milanese, un Vero Problema si presenta: la Prima Guerra Mondiale.
Nel 1917 Novello viene arruolato e entra nel battaglio Tirano del 5° reggimento Alpini. Ha 20 anni precisi e sarà forse l’unico alpino astemio mai esistito.
No, sul serio.
Il tizio è un esperto in acque minerali. GIURO CHE NON STO SCHERZANDO!
Tornando a noi, non tutti quelli arruolati se la sono passata proprio malissimo durante la Guerra. La maggioranza sì, ma uno può sempre avere fortuna. Alla fine le guerre sono un po’ come catastrofi naturali: aleatorie. Chi se la passa bene, chi male, chi così così…
Giuseppe Novello si cucca prima la battaglia di Ortigara e poi la disfatta di Caporetto.
Ma esce dalla guerra con la pelle salva e tutti i pezzi del corpo più o meno intatti, quindi alla fine il nostro ha avuto molta più fortuna di decine di migliaia di giovanotti della sua età.
Tornato a casa il nostro abbandona ogni velleità di diventare avvocato e si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove aveva studiato anche lo zio pittore.
Riguardo alle sue scelte di carriera Novello commentò: “Sento tuttora questi miei clienti mancati che mi ringraziano per aver rinunciato alla toga per i pennelli: altrimenti sarebbero tutti in galera “.
Ad ogni modo, il nostro si diploma nel 1924 e inizia subito una promettente carriera di pittore.
Giuseppe non è solo un paesaggista: si diletta di caricature e satira, i suoi disegni compaiono dal 1925 nel quindicinale L’Alpino.
Nel 1929 viene avvicinato da un altro ex-alpino, anche lui reduce di Caporetto: Paolo Monelli. Qualcuno degli habitués del blog avrà già sentito questo nome: il Monelli è l’autore de Le scarpe al sole (1921), sulla vita degli alpini sull’Altopiano di Asiago e la Valsugana. A differenza di Novello, Monelli era un interventista, e resterà una testolina per il resto della vita.
Restando in tema, Monelli propone al Novello di partecipare come umorista a una raccolta satirica pubblicata dall’editore Treves, e Novello accetta: nasce così La guerra è bella ma scomoda.
Fun times
Sempre il Monelli introduce il Novello al circolo della Bagutta, una trattoria toscana dove facevano buca artisti e critici per parlare di libri ed arte davanti a un bicchiere di Chianti e un bel piatto di lampre (la più alta espressione artistica che Homo sapiens abbia mai raggiunto). Tra i baguttiani di spicco val la pena citare Adolfo Franci, nome che qualcuno ricorderà da Sciucià o Ladri di biciclette.
Qui il Monelli e compari avevano deciso (dopo non si sa bene quanti fiaschi di rosso di Greve) di creare un premio letterario di cui loro sarebbero stati giudici (ma ti pare?).
A chiosa, lo statuto del Premio Bagutta è riassumibile con “abbiamo bevuto come scimmie e abbiamo deciso che dall’anno prossimo daremo un premio all’opera presentataci che più ci garba!”
I Baguttiani reclamarono sempre indipendenza, tanto che il premio fu sospeso tra il ’37 e il ’46 per non subire pressioni dai fascisti. Onestamente non so quanto questa protestata indipendenza sia stata reale, visto che non si trattava proprio di antifascisti, anzi! Monelli era uno di quelli che s’ingollarono la panzana fascista con tutto il bicchiere, e uno dei laureati del premio Bagutta è quel pasticcio umano noto come Montanelli (che non so come mai insistiamo a prendere sul serio, ma bon). Ciò detto, tra i laureati compaiono anche Calvino, Primo Levi e altri, abbastanza da controbilanciare quella verruca pomposa che risponde al nome di Indro Montanelli.
[NOTA: se vi garba il Montanelli, cool, io adoro Ungaretti che certo non manca di scheletri nell’armadio. Ciò detto, il primo che dice “ma la storia di Roma era scritta bene” lo sculaccio con un battipanni storicamente accurato]
Tornando alla Bagutta, quale che fossero le tendenze politiche dei compari di bevute, resta un vivace e prominente circolo intellettuale del periodo, la cui produzione non dovrebbe essere giudicata solo dal clima politico. E parlando di clima politico, dal ’29 il Novello inizia a pubblicare su Il Guerin Meschino e La gazzetta del Popolo, due giornali storici finiti sotto il concone fascista.
Le vignette di Novello sono uno tra i rarissimi esempi di satira che sopravvisse durante tutto il Regime (perché se c’è una cosa per cui sono noti i fasci è il loro senso dell’umorismo). La ragione è semplice: sono vignette astemie. Sono satira di costume che prende in giro la sottocultura dell’alta borghesia del nord-Italia. Niente di politico, niente di davvero sensibile.
Troviamo però una vena molto cinica in diversi disegni, non proprio in linea con la prosopopea nazionalista e pomposamente conformista del fascismo. Novello non è un coraggioso resistente come Bloch (martire a Parigi), non è un dichiarato antifascista o un idealista come Mucha (assassinato dalla Gestapo), ma non è nemmeno un leccaculo servo del potere come Pirandello.
Politica a parte, durante il trentennio il Novello entra a far parte del mondo intellettuale, e con l’ex-commilitone Monelli si lanciano in una serie di progetti di ricerca importantissimi per la cultura italiana. Stiamo parlando di roba tipo la guida ai monumenti più brutti d’Italia o un viaggio gastronomico edito nel ’35 col titolo Il ghiottone errante. Nel frattempo, Novello pubblica vignette che deridono la borghesia bene, con la raccolta Il signore di buona famiglia.
Per alcuni, questo periodo rende Novello particolarmente poco potabile. E la cosa è più che comprensibile.
L’Italia è comandata da un bandito e un truffatorucolo improvvisatosi dittatore, la libertà d’espressione è annientata, i militari italiani compiono stragi atroci in Etiopia, il regime prepara il terreno alle leggi razziali, e Novello fa il dandy nei salotti intellettuali e va in tour gastronomico con quel pazzoide del Monelli. Se è vero che non tutti possono essere un Piero Gobetti o una Sophie Scholl, è anche vero che in certi contesti chi avalla è complice. E Novello, pur non mostrandosi un fascistone sbavante che va a pestare dissidenti, è senza dubbio complice della situazione.
Capisco come per alcuni questo renda Novello del tutto indigeribile.
In questo caso, io credo che l’autore presenti sufficiente interesse per essere degno di attenzione nonostante tutto (pur senza scordare il contesto).
In ogni caso Novello si trova presto a patire in prima persona dell’inettitudine criminale del regime, quando il Duce decide che entrare in guerra è proprio ciò che ci vuole.
Novello viene quindi richiamato al suo reggimento.
Si è cuccato Caporetto nella Prima Guerra Mondiale, quindi cosa gli riserva il Karma a questo giro?
La campagna di Russia.
Il valoroso gatto Timofei con un prigioniero tedesco da lui catturato durante la Grande Guerra Patriottica, di Alexander Zavaliy
Ora capitano, Novello si guadagna una medaglia d’argento alla battaglia di Nikolajevka.
Nella sfiga il nostro ha comunque fortuna: è uno dei pochi che riescono a tornare con tutte le appendici apposto.
Novello sarà stato lieto di tornare a casa, ma non aveva contato sul proprio governo: l’8 settembre del ’43 arriva, il battaglione di Novello è in Alto Adige quando l’esercito cessa di esistere. Nel giro di 24 ore, il nostro e alcuni compagni, sbandati e confusi, abbandonati dal loro re, vengono catturati da una banda di tedeschi incazzati come iene.
Novello viene deportato in Polonia, poi nel campo di concentramento di Wietzendorf, in Germania.
Siccome è un personaggio, qualche manina influente ci mette una buona parola, e gli viene proposto di tornare in Italia come membro della Repubblica Sociale.
Novello rifiuta.
Tra i compagni di prigionia, un tal Guareschi, maledetto reazionario baciapile che ci ha donato l’impareggiabile Don Camillo (le serie tv sono meglio delle novelle, fight me!).
Nel 1945 la sorella di Novello viene a sapere della sua morte.
Tra i vari omaggi, spicca quello del giornalista Silvio Negro: “la morte, quando è ingiusta, colpisce di regola i migliori “
PIU’ FORTE DELLA GIOIA: L’autore dell’ammiratissimo articolo “In morte di un amico lontano” riceve la smentita della triste notizia
Solo che, usando le parole di Novello stesso, “evidentemente e per fortuna non sono tra quella eletta schiera “.
Come fece notare Buzzati, “il redivivo che si gode i propri elogi funebri è abbastanza novelliano “
Contro ogni aspettativa, il Novello sopravvive alla prigionia e, dopo la guerra, torna in Italia, dove diventa vignettista per a Stampa.
L’Italia del Piano Marshall è l’Italia della “conciliazione”, l’Italia vittima, l’Italia che dà pochi mesi di galera ad assassini di massa come Graziani. E’ l’Italia che vuole con ogni atomo passare ad altro e far finta che non sia successo niente.
E Novello con questa vigliaccheria piccolo-borghese (di cui lui stesso è colpevole) ci va a nozze. Nel 1950 esce la sua nuova raccolta Dunque dicevamo, che canzona proprio quest’attitudine ignava.
La stanza fiorita
Seguono Steppa e Gabbia, sulla sua esperienza in Russia e in prigionia, e Sempre più difficile, entrambi del ’57. Dieci anni dopo esce Resti fra noi.
Ad ogni modo dal ’65 in poi il nostro si dedica soprattutto alla pittura.
Novello si campa il resto della vita come artista apprezzato, ricevendo anche la medaglia d’oro di benemerenza dal Comune di Milano nel 1985.
Muore tre anni dopo a Codogno, dov’è nato, alla veneranda età di 91 anni.
Non male per uno che ha subito il disastro di Caporetto, la campagna di Russia, i campi di concentramento in Germania e la compagnia del Monelli.
Novello è stato importante per la satira del costume. Le sue vignette sono una lente di ingrandimento su ciò che c’è di piccolo, meschino e petulante nell’italiano, e in particolare nel borghese italiano.
Tipo la famiglia ricca a teatro che finge di non vedere il parentado povero che saluta dal loggione. O la famiglia che si rallegra del fatto che il recente bombardamento ha distrutto il caseggiato dirimpetto, liberando la vista sul mare.
Ma non c’è superiorità arrogante nelle vignette di Novello. Novello stesso è un borghese, e quando parla della meschinità dell’uomo, parla della meschinità che si annida in tutti, lui per primo:
“All’umorista che se ne sta sulla torre d’avorio ad osservare, non ho mai creduto. Prima di mettermi di fronte agli altri mi sono sempre guardato allo specchio e ho cominciato a ridere di me stesso”
Non tutte le vignette sono incisive e crudeli, ovviamente. Molte sono bonarie, un’ironia inoffensiva sulla famiglia in ambascia poiché Luigino rifiuta di fare “ciao ciao” con la manina al signor Commendatore.
A conti fatti, si tratta di satira, o è semplice ironia di un borghese sui borghesi?
In un’intervista al Tempo del 1957, Novello si esprime sul perché i suoi disegni sono così popolari.
““Forse la tua popolarità” mi ha detto un caro amico “è dovuta al fatto che i tuoi disegni piacciono anche ai cretini”. Dove quell’anche salva egregiamente i miei estimatori e il mio amor proprio. “
Novello aveva amici preziosi.
Ciò detto, l’auto-deprecazione è un chiaro strumento di difesa. Novello non è il Bill Mauldin italiano, e lo sa.
Quindi che valore ha, a oggi?
Quando la moglie è in vacanza, perché Novello è Novello anche quando dipinge
Le vignette di Novello sono uno specchio della sua carriera: Novello non prende rischi, a meno che non sia costretto a farlo. Quando vince il premio per il ritratto nel 1940, abbandona il genere. Non parte volontario in guerra ma va quando chiamato. Negli anni ’60, davanti a una modernità che lo perplime, molla la satira e si dedica alla pittura. E la sua pittura è come le sue vignette: ironica, ma inoffensiva.
Sappiamo che Novello poteva, quando voleva, essere un commentatore crudele e cinico. Allo stesso tempo, anche le più crude delle sue vignette, non condannano mai davvero la borghesia.
E’ uno sguardo cinico, ma bonario.
E’ all’altezza delle lodi sperticate che gli riservano alcuni?
Forse no, ma alcune sue vignette sono eccellenti, ed è un fatto.
Merita di essere dimenticato come lo snob borghese che sfotte senza esporsi?
Nemmeno, anche se certa roba che ha disegnato è davvero la camomilla della satira.
Le vignette di Novello sono l’acqua minerale della satira. Allo stesso tempo, se non ci fosse l’elefante nella stanza delle sue simpatie per il regime, nessuno metterebbe in dubbio la sua bravura e la deliziosa costruzione dello scherzo.
Citavo Ungaretti dianzi, ma non è l’unico esempio. Ci sono artisti le cui opere sono così straordinarie e innovative che è facile separare il loro operato dal resto della loro persona. Ungaretti, Picasso, Charlie Chaplin, Woody Allen… Sì, è vero, Chaplin aveva un debole per le bambine quattordicenni. Era un predatore con spiccate tendenze pedofile. Il fatto che fosse un attore e artista assolutamente straordinario non lo assolve da nessuno dei suoi crimini, ed è importante sia separare l’arte dall’artista che ricordare che, se fu grande in un certo campo, fu terribile nel resto.
Esiste anche il caso contrario: certuni sono così sopravvalutati che è molto difficile riconoscere l’interesse del loro lavoro al di là di una personalità davvero infetta: ho già nominato Indro Montanelli, ma un altro fenomeno che non so perché ce lo prendiamo ancora tanto sul serio è Rousseau, per esempio. In realtà sono uomini che hanno un valore, ma la loro persona era così odiosa e la loro opera celebrata in modo così esagerato e ingiustificato, che la reazione a pelle è di buttare l’intero autore nel tritarifiuti.
Novello a parer mio si situa tra i due. Non è stato all’altezza dei suoi tempi, ma non è stato né un criminale né un traditore di Salò. La sua satira annovera alcuni esempi straordinari, ma anche molta fuffa di colore locale. Offre un interessante spaccato d’epoca e uno sguardo spietato nella società borghese del nord.
Capisco chi non ne voglia nemmeno sentire parlare. Personalmente però trovo che, al di là di tutto, era un umorista di talento, e le colpe che gli si possono assegnare non sono tali da offuscare la sua arte.
Ne consiglio quindi la lettura, pur con tutti i caveat del caso.
Bibliografia
Un eccellente articolo de Il Tascabile
MONELLI Paolo e NOVELLO Giuseppe, Il ghiottone errante, Slow food editore, 2016
MONELLI Paolo e NOVELLO Giuseppe, La guerra è bella ma scomoda, Treves, 1929
NOVELLO Giuseppe, Il signore di buona famiglia, Mondadori, 1934