Aneddoti e narrativa: Vaporteppa

Questo è un articolo di narrativa, e come tale vorrei iniziarlo con un aneddoto di vita vissuta.

Poche settimane fa ero in Italia in visita dagli Augusti Genitori. Come ogni fine di agosto, il mio tempo era assorbito da incontri col gruppo Bilderberg, consolidamento del dominio giudaico e lettere di insulti alla mia università. Io e la segreteria abbiamo un rapporto masochista, non tanto di amore e odio, quanto piuttosto di odio e antipatia (cit.).

Sicché un bel giorno pianto il summit rettiliano per l’asservimento dei goya e vado in Paese. Faccio un giro dei vari tabaccai. L’ultima volta che hanno visto un francobollo era il 1923, uno di loro giura che glieli ha mangiati il cane, un altro mi urla “NON LI AVRAI MAI SPORCA GIUDEA ALLAH AKBAR!” e si fa saltar per aria.

Avevo due opzioni: rinunciare a spedire la lettera o andare alle Poste. L’idea di lasciare la mia segretaria senza la sua usuale dose di “che cazzo state combinando coi miei documenti, manica di luddisti psicopatici” mi rattristava troppo. Alle Poste dunque!

Ammetto che sette anni a Lutezia mi hanno rammollita. A Lutezia uno entra, compila i fogli, affranca alla macchinetta e in dieci minuti è fuori dalle palle, libero come un fringuello.

Le porte automatiche si aprono con un cigolio di ruggine e metallo, una zaffata di putrefazione e polvere mi investe. Bambini piangono, aggrappati a madri macilente che hanno esaurito le scorte di merendine. Una di loro cerca di sedare il pargolo facendogli respirare della colla. Un vecchio si guarda intorno spaesato. Ha i calzoni corti e una mantellina troppo piccola. E’ qui dal 1925, voleva spedire una cartolina alla nonna. In un angolo, una donna con gli occhi iniettati di sangue sta armeggiando con una scatola puzzle per evocare i Cenobiti (che tanto non si muoveranno perché non ci sono più anime da sbranare, qui dentro). Sul tabellone lampeggiano i numeri A012, A011 e E018. Tiro il bigliettino. E389. Sarà da ridere.

Io non ho paura. Sono un vichingo, checchazzo. Mi siedo sulla cenere dei secoli. Apro la borsa.

E l’orrore mi assale.

Ho scordato la roba a casa. Non ho portato nulla! Non il romanzo americano che sto leggendo, non il romanzo giapponese che sto leggendo, né il saggio di Souyri né il numero Osprey dei Pirati d’Estremo Oriente. Sono disarmata, sola e in territorio nemico!

Il mio coraggio scema, mi ficco il bigliettino in tasca e mi precipito fuori dall’ufficio. La luce del sole mi fa male agli occhi. Ho visto una libreria da queste parti. Eccola!

Entro, m’infilo nel settore narrativa.

E’ lì che mi rendo punto a che punto il Paese sia messo male.

Pensate che la crisi sia brutta? Guardate al tipo di “arte” che mettiamo insieme. Non sono nemmeno nel reparto Fantasy/Sci-Fi (noto per essere il reparto Cottolengo), sono proprio in Narrativa, e sugli scaffali si assiepano tomi buoni per soli due target: i ritardati mentali giovani e i ritardati mentali vecchi che vorrebbero essere giovani. Tra le altre cose, scopro che la Licia Nazionale ha sfornato una nuova Creatura, con protagonista una Metallara.

Licia Troisi + Metal = WE ARE DOOMED! DOOMED!

Ora, io non ce l’ho col trash. Io amo il trash! Le porte dell’abisso è uno dei miei film preferiti, Tommy Wiseau è uno dei miei idoli (Oh hi Mark), ho un piccolo altare in casa dedicato solo al Daibosatsu Rocca-nyorai…

Ma quando esiste solo il trash, allora inizio ad aver paura. Insomma, sono come Vincent Smith di Silent Hill 3: venero il Dio, ma non per questo vorrei vederlo realizzato nel mondo reale. Il trash è il sale della vita, ma non lasciategli conquistare il Mondo o è la fine.

Nella fattispecie, l’unica cosa lontanamente potabile era una traduzione di Stephen King, che è peraltro uno degli autori più sopravvalutati di sempre (Sì, l’ho detto, non vi temo funz, fatevi sotto!).

Grazie al Cielo l’editoria digitale è messa un po’ meglio.

Non voglio scrivere un articolo sullo stato della letteratura digitale in Italia. Se vi interessa, leggetevi gli articoli del Duca di Baionette, è molto più informato di me. Oggi voglio parlare di racconti.

Racconti editi da Vaporteppa.

Sono sicura che tra i bazzicatori di questo piccolo blog molti già la conoscono: si tratta di una casa editrice digitale specializzata in narrativa fantastica, in particolar modo Steampunk (da cui il nome), ma non solo.

Devo essere sincera, di solito, quando vado a selezionare le mie letture, “fatine”, “mec a vapore”, “retro-futurismo” e “conigli” non sono proprio le parole chiave che mi vengono in mente. Non sono una gran lettrice di Stempunk o bizzarrie, conosco il genere molto poco e molto male.

Tuttavia tutti i racconti che finora ho letto usciti dalle fucine di Vaporteppa mi sono piaciuti, alcuni di più, alcuni di meno. Mi sono piaciuti in primo luogo perché sono di buona qualità. Alcuni brevi, altri lunghi, tutti sono scritti bene. Il livello tecnico degli autori sbriciola a mani basse quello di altri “campioni” dell’editoria cartacea. Non c’è paragone. Sul piano tecnico i vaporteppari vincono.

In secondo luogo, i racconti che ho letto finora hanno in generale una vena ironica e divertente.

Avete presente quando la Troisi pretende di scrivere passaggi tragici, o quando Altieri parla di ninja crucci che ammazzano lanzi a secchiellate e pretende di essere preso sul serio?

Niente di tutto questo. Il tono e lo stile cambiano ovviamente da autore ad autore (duh!) ma in generale nessuno, a mia esperienza, fa il passo più lungo della gamba. Non mi è ancora capitato di leggere passaggi involontariamente ridicoli: le scene esagerate o divertenti lo sono perché l’autore vuole che lo siano, non per sbaglio.

Con queste basi, certe opere mi sono piaciute più di altre per le trovate fantasiose, o i personaggi, o il tono più o meno spiritoso, ma sono tutte di qualità oggettivamente buona.

Qui alcune di quelle che ho letto e che consiglio caldamente anche ai non appassionati del genere.

 

L1L0, di Pippo Abrami


La storia è abbastanza lineare: L1L0 è un automa a vapore con tre cervelli di scimmia, creato da un illustre scienziato di Praga per salvare sua figlia, tenuta ostaggio in una caserma.

Cosa distingue L1L0? Il Witz. Dacché qualunque essere autocosciente, una volta resosi conto di essere un bollitore dalla forma vagamente lagomorfa, si toglierebbe la vita, L1L0 è stato dotato di Umorismo Giudaico, l’ironia fatalista.

Un minuto di awe per una delle idee migliori che abbia mai trovato in un racconto. Il Witz è in effetti un’arma culturale elaborata per sopravvivere i diciassette secoli di oppressione e antisemitismo. Inserirla come componente anti-suicidio è geniale.

Non è solo una trovata deliziosa, è anche un grande pregio della storia. L1L0 è il personaggio-PoV, ed è il suo modo di vedere e pensare a dar vita a quella che altrimenti sarebbe una quest piatta e fine a se stessa.

Le scene d’azione sono ben descritte, il Punto di Vista è adorabile, la storia è semplice ma riesce a tirar fuori un twist che non scade nello zuccheroso e banale. Con tutto che ho un’idiosincrasia feroce per i marmocchietti in narrativa (ho il santino di Erode tra la foto di Wiseau e quella di Mattia Sorrenti), il racconto mi è piaciuto un sacco.

 

Piloti e Nobiltà, di Diego Ferrara


Diego Ferrara è lo stesso che ha scritto Soldati a vapore, un racconto che straconsiglio (magari ne riparlerò). A questo giro seguiamo Elsa, un pilota donna in un mondo di uomini, che deve eseguire un volo dimostrativo di un nuovo eligibile anfibio, a beneficio di una banda di nobili (possibili acquirenti). Tra Elsa e i suoi passeggeri il disprezzo è a prima vista e reciproco, e mentre il volo prosegue e le richieste assurde si moltiplicano, la situazione si fa più scomoda e la tensione sale.

Elsa è il Personaggio-Punto di Vista. Elsa è una donna forte, competente, con un brutto carattere e un’antipatia feroce per i Nobili. E’ un buon personaggio, con qualità e difetti, e all in all molto credibile.

In questa storia l’umorismo non è dato tanto dal tono della protagonista (che di umorismo ne ha poco), quanto dalla vicenda vera e propria. Specie alla fine, il racconto strapperà un largo sorriso a chi apprezza l’humour nero (tipo me).

Consigliatissimo anche questo.

 

 

La maschera di Bali, di Francesco Durigon


Questo è forse il più fantasy tra i racconti che ho letto finora e uno dei più “seri”. E’ anche l’unico in cui ho una riserva. Ma veniamo al dunque.

Londra, 1897. Il Dipartimento di Scienze Occulte sta studiando su un povero alienato gli effetti di alcune maschere tribali, ritenute magiche in qualche maniera. Durante l’esperimento, la maschera balinese di Rangda prende vita, e la situazione precipita: in poche ore Londra è invasa da orde di demoni immortali e fiammeggianti, affamati di carne umana.

Due personaggi sono voci narranti: Abigail, veggente del Dipartimento di Scienze Occulte, e John Plye, soldato di Sua Maestà Britannica, mandato al macello contro le orde demoniache.

Parliamo dei pro della storia per cominciare. I personaggi sono ben caratterizzati nel poco spazio disponibile, sono credibili e funzionano bene nella storia.

Le scene d’azione sono eccellenti. Il volo di Plye sui tetti di Londra e il primo scontro coi demoni è un piacere da leggere.

Per il fattore: “mah”…

Attenzione, SPOILERS!

La “seconda vita” di Plye pare poco concludente. Abbiamo messo in scena un buon personaggio, gli abbiamo dato una morte intempestiva e accidentale, il che potrebbe starci bene (fatalità della guerra, stiamo come d’autunno sugli alberi eccetera). Ma non finisce lì, viene resuscitato alla meno peggio, creando una buona situazione di conflitto: Plye preferirebbe essere morto che non uno zombie motorizzato, e lo si può capire.

Ergo abbiamo un buon personaggio (il soldato di fegato), lo ficchiamo in un contesto interessante (un dipartimento scientifico invaso da mosti e demoni), con un conflitto eccellente (essere non-morto)… e poi boh, Plye viene massacrato poche pagine dopo senza nemmeno arrivare in fondo al percorso.

Era proprio necessario?

Sarebbe cambiato qualcosa se invece di avere il suo punto di vista Abigail fosse stata accompagnata per il breve tratto da un soldato a caso?

Insomma, a mio avviso un peccato.

FINE SPOILER

In conclusione, la storia resta ben scritta, con scene notevoli e una vicenda interessante. L’impressione è che ci sia molto più materiale da sfruttare, anche in termini di ambientazione e personaggi. Forse il tutto si presterebbe meglio a essere rielaborato per un romanzo, più che non per un racconto breve.

Nonostante tutto, una lettura gradevole, che consiglio.

 

 

Caligo, di Alessandro Scalzo


Questo non è un racconto, ma un romanzo. Dalla quarte di copertina:

Repubblica di Zena, Italia, 1912. Barbara Ann ha quasi diciassette anni e un seno che se crescerà ancora diventerà davvero imbarazzante. Ma questo non è il suo problema principale: da alcuni mesi soffre di forti emicranie e allucinazioni. Cosa c’è nella testa di Barbara Ann? E come si collega alla morte di suo padre, il defunto colonnello Axelrod, il primo uomo a mettere piede su Marte nel 1894, ossessionato dalla ricerca di qualcosa di ignoto fin da quando ritornò dal Pianeta Rosso? E cosa vuole Michele, quel bel ragazzo biondo col cappotto che puzza di piscio? Barbara Ann si troverà immischiata in un gioco internazionale tra Inghilterra, Austria e il protettorato inglese di Zena… e intanto, chi si preoccuperà dei suoi criceti?
Un’avventura Steampunk con mech, zombie e scafandri potenziati, in una Genova del 1912 che non è mai esistita.

Come avrete capito dalla quarta, Caligo ha una vena ironica molto presente. C’è anche molto fan-service, e l’autore non è timido a riguardo (Barbara Ann ha delle tettone così!).

Di solito mi dà sui nervi quando l’autore indulge in descrizioni fisiche del/la protagonista per il puro scopo di titillare il lettore. Nihal che si contempla nello specchio e si trova gli occhi “troppo grandi” è un esempio immortale.

Trovo anche fastidioso e vagamente inquietante quando l’autore approfitta della storia per ficcarci dentro una sua personale perversione, che non ha nulla a che fare con la trama, non serve a niente, è lì solo perché piace all’autore. Un po’ come la gatta con tre tette in Star Treck 5. Shatner, what the hell?

Nella fattispecie il fatto che Barbara Ann abbia delle tettone così e che ce lo ricordi in più di un’occasione passa, perché alla fine segue bene il tono semiserio della storia, oltre che il carattere represso-esibizionista-masochista del personaggio. Ci sono dei momenti di puro fan-service in stile anime-ecchi, perché, non scordiamocelo, Barbara Ann ha delle tettone così, ma gli si perdona, perché alla fine la scena è divertente e non rallenta la storia. E poi Barbara Ann ha delle tettone così.

Tette a parte, la storia è originale e il personaggio di Barbara Ann interessante e divertente da leggere. Combina bene competenze, inventiva, coraggio, pregiudizi e bizzarrie. Ambientazione e comprimari peraltro le corrispondono bene: una Genova d’acciaio, catrame e fumi di scarico, dove niente è come sembra, dove chiunque potrebbe essere una spia, un traditore o un abbonato a Superomo (recapito anonimo e discreto).

La storia bilancia bene momenti semiseri con momenti più truci. La scena in cui Barbara Ann ha una crisi di emicrania non ha niente di umoristico, e non è la sola, ma passaggi dl genere sono molto ben dosati senza mai essere melodrammatici.

Le scene d’azione sono buone, e Barbara Ann è una che se la sa cavare senza scadere nel cliché della tettona guerriera (peraltro, ho già detto che ha delle tettone così?). L’ambientazione è solida e creativa, con la giusta dose di follia e realismo.

Le finale ha un twist, che io non mi sarei aspettata, ergo è oggettivamente un buon twist partendo dall’assunto che (ormai lo saprete) io sono infallibile.

Insomma, non voglio spoilerarvelo troppo perché vale davvero la lettura.

E questo è tutto per questo sabato. Oggi sono di corvé Al festival Beermageddon, che promette di essere altrettanto epico del proprio nome.

Intanto, un pezzo dalla band FogHorn. Non è il mio genere di Metal, ma siccome ci suona il mio jarl, è buono a prescindere!

Horde Noire!

13 thoughts on “Aneddoti e narrativa: Vaporteppa

  1. Ti parlo dal mio punto di vista: in Italia non c’è qualità perché nessuno la paga e la cerca. Non ci sono i meccanismi né le competenze. Io sto cercando un traduttore per esportare quello che scrivo in USA, dove per un racconto di 4000 parole ti danno circa 350/400 dollari, e questo le riviste di medio livello. Tor paga 25 cent a parola, ma è un altro discorso. L’altro giorno stavo guardando il premio Robot, gestito dai soliti furbetti. Ebbene, non solo non ti pagano un euro, ma sei tu a dover fare l’abbonamento alla loro rivista per poter partecipare. WTF?
    I romanzi non ne parliamo. La fantascienza italiana non esiste e gli editor delle grandi case editrici investono a caso negli esordienti, perché non non hanno le competenze per capire se hanno davanti una cagata o un buon libro.
    E non ci sono agenti letterari a fare da filtro e garanzia, altro grande problema(un paio di agenzie ci sono, ma sono quelle che ti “valutano” il manoscritto, un classico dell’inculata all’italiana).
    Io non so se Vaporteppa avrà le possibilità di cambiare un po’ le cose. Il modo in cui si presenta il progetto non mi piace, c’è troppo ego nell’aria, e il genere weird o lo steampunk rapportato al risorgimento italiano non mi interessano. Non so perché, ma da qualche anno è scoppiata la moda dello steampunk tra i wannabe scrittori, quasi fosse un rigetto dopo la valanga di pessimo fantasy.
    E questo ci porta anche all’altro grande problema: che in Italia gli aspiranti scrittori appunto seguono le mode del momento ma del loro genere, del loro campo, non hanno letto quasi nulla e non leggono quasi nulla di quello che viene pubblicato negli altri paesi, soprattutto anglosassoni – non pretendo che uno sia aggiornato sulla produzione russa o giapponese, ma almeno leggersi le 4 più importanti riviste di sci-fi e fantasy? Cavoli, io mi ricordo che quando commentavo sul sito di Gamberetta e chiedevo su quali autori, in ambito fantasy, facessero dei paragoni, ben pochi mi sapevano citare qualcosa oltre a LOTR.
    L’edizione mensile digitale di Analog costa 1,90 dollari mi pare, mettiamo anche che sia 1,5 euro. Dentro ci sono 5-6 sei racconti dalle 4k alle 10k parole. Quanto sarà la quota standard per non andare in passivo? 10’000 euro? Prova a pensare di aprire una rivista qui in Italia: secondo te 10’000 persone disposte a pagare un cazzo al mese per leggersi una rivista fatta bene con racconti del loro genere preferito ci sono?
    Ecco l’altro grande problema.

    • Cavoli, io mi ricordo che quando commentavo sul sito di Gamberetta e chiedevo su quali autori, in ambito fantasy, facessero dei paragoni, ben pochi mi sapevano citare qualcosa oltre a LOTR.

      Ahah, mi ricordo! Atroce! E la situazione non è molto cambiata, in generale. Il che mi ha sempre lasciata perplessa: io scrivo roba di ambientazione nipponica e di argomento guerresco perché mi piacciono la Storia nipponica e la Guerra. Non leggo romanzi rosa perché mi annoiano, me nemmeno ne scrivo, Cristo, che palle sarebbe! Già scrivere di qualcosa che ti appassiona è una fatica immane, perché farsi la violenza di scrivere di roba che non t’interessa @_@ Manco il mercato editoriale ti rendesse ricco…
      Per Vaporteppa, non trovo che ci sia ego nell’aria rispetto ad altre realtà editoriali. Sono stata trattata come una povera ritardata invidiosa in più occasioni, da gente che dava risposte cialtrone ma del tutto prive di contenuti. Non mi è mai successo con nessuno collegato a Vaporteppa. Sarà la mia esperienza personale ù_ù
      E concordo: lo Steampunk sta avendo un suo boom in questo momento. Ma per quel che ho letto su Vaporteppa, tutti i racconti sono legittimi, non “fantasy con occhialoni e ingranaggi appiccicati”. Certo, se il genere non piace è meglio evitare. Ma se il genere è indifferente (come lo è per me), consiglio di dare un’occhiata al catalogo. Hanno un sacco di roba gratis, per chi vuol farsi giusto un’idea 🙂

      • Non so a quali altre realtà editoriali ti riferisci, ma è chiaro che se la gente che lavora per Vaporteppa controlla un minimo i testi e li sgrossa delle più semplici brutture, già questo li rende di molto al di sopra di qualunque casa editrice. La storia dell’ego riguarda il loro modo di presentarsi, ma non ha senso parlarne qui. Lo stesso, io spero che la loro iniziativa prenda piede, anche se il genere non mi piace, sarebbe una ventata d’aria nuova.
        Però, cavoli, in Italia avremmo bisogno di ben altro.

  2. Vaporteppa per ora non mi ha deluso: L1L0 è carino, nulla di che ma si legge che è un piacere.
    Piloti e nobiltà anche, non mi stupisco che abbia vinto il concorso del Duca.

    Caligo ha del fanservice è vero, ha anche dei punti narrativamente un po’ discutibili (gli incontri a caso con personaggi importanti! Li odio nei manga, dove sono la regole, e li odio nei romanzi).
    Barbara Ann è un discreto personaggio (l’unico punto in cui mi è scaduto è stato quando criticava un vestito troppo “volgare” dopo essersi fatta ripassare da un pescivendolo).

    Ma nel complesso mi è piaciuto molto più di tanti altri romanzi che costavano dalle 5 alle 10 volte tanto.
    Ha una trama ben costruita, che non lascia nulla al caso, personaggi azzeccati (il mio preferito è Gallo) e anche se si tratta di una Genova steampunk con viaggi su Marte, spie, dirigibili e superomo è un romanzo credibile.

    La Maschera di Bali mi manca ma recupererò.
    Nel complesso plaudo all’iniziativa, leggendo il blog del Duca e leggendo Caligo mi sono reso conto di quanto siano vere le sue lezioni (Caligo è scritto quasi come un esercizio di stile che per me è un complimento), io non so quanto l’editing ducale abbia pesato sul prodotto finale ma sapere di avere alle spalle del romanzo qualcuno di competente mi da molta più fiducia sull’acquisto.

    • Premesso che Superomo è un’idea geniale, e che Barbara Ann ha delle tettone così (non scordiamocelo)…

      Ho fatto il corso di scrittura del Duca e ne sono stata felicissima. Il manuale è ottimo, chiaro e sintetico, e gli esercizi sono molto utili. L’ultima parte del corso consisteva nella correzione di qualcosa scritto da me. Siamo andati riga per riga analizzando il testo nei particolari e nell’insieme. Francamente non si potrebbe far di meglio.

    • Attenzione che in realtà quel comportamento di Barbara Ann è assolutamente coerente col personaggio, che è l’incarnazione della tipica ipocrisia vittoriana (e un po’ anche italiana, diciamolo). È un personaggio volutamente pieno di contraddizioni e basato sul bipensiero, e in questo è costruito in modo molto verosimile e “vivo”. Ci si scorda fin troppo spesso che la coerenza non è una tendenza poi così naturale, negli esseri umani.

      • Non critico il fatto che Barbara Ann non fosse sempre coerente, ma quell’episodio particolare in cui fa una critica a un modo di vestire che mi è sembrata molto fuori contesto.

        Poi erano un paio di righe fuori posto su un intero romanzo, non a big deal.

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